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"Fascist legacy"





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Subject: [JUGOINFO] "Fascist legacy"
Date: Wed, 22 May 2002 16:29:28 -0000
From: "itajug" <jugocoord@libero.it>
To: crj-mailinglist@yahoogroups.com, jugoinfo@domeus.it


FASCIST LEGACY

La "eredita' fascista" dei crimini di guerra commessi
dagli italiani nei Balcani ed in Africa nel corso della 
II Guerra Mondiale

* Resoconto della proiezione di Torino, 4/5/2002
* Scheda filmografica

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Resoconto della proiezione di Torino, 4/5/2002

Sabato 4 maggio 2002 al Politecnico di Torino ha avuto luogo la
proiezione del film "Fascist Legacy", cui ha fatto seguito una 
breve conferenza. Presenti personaggi della cultura di rilievo: 
Costanzo Preve, filosofo, Angelo del Boca, storico e Massimo Sani, 
regista. Coordinava Massimo Zucchetti, del Politecnico. L'incontro 
era organizzato dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, da 
SNUR-CGIL Torino e Piemonte, RSU PolitecnicoTorino, Torino Social 
Forum, Lavoro e società-Cambiare rotta Piemonte, PRC Federazione 
Torino e Assemblea Antimperialista.
Tra il numeroso pubblico, oltre a studenti del quinto anno delle
superiori (per la valle di Susa, il liceo di Bussoleno), la signora 
Rita Comoglio della ANPPIA di Torino e Bruno Carli.

Il film, un documento storico prodotto dalla BBC, è stato da oltre 
dieci anni tradotto in italiano dal regista Sani e consegnato alla 
RAI, che ne aveva acquistato i diritti sulla versione italiana ma
non intende in nessun modo, da dieci anni, mandarlo in onda. Perché? 
È probabile che cio' non sia ancora "politicamente opportuno", né per 
la destra al governo, né per quella sinistra che comunque ha spesso
appoggiato le iniziative di intervento armato coloniale dell'Italia, 
già prima del fascismo (le mire coloniali italiane risalgono al 1895 
con la dura sconfitta all'Amba Alagi e la conseguente caduta del 
governo Crispi nel 1896), e che solo due anni fa ha "finalmente" 
potuto esprimere, in prima persona, queste velleita' occupando "per 
ragioni umanitarie" la provincia jugoslava del Kosovo, dopo aver 
partecipato ai bombardamenti sulle infrastrutture e sui centri abitati 
della Serbia e del Montenegro; d'altronde, soldati italiani sono 
presenti nei Balcani (Bosnia e Macedonia) gia' da qualche anno. Anche 
secondo i relatori, l'intervento della NATO per il Kosovo non era 
dovuto a "ragioni umanitarie" in quanto non era in corso un 
"genocidio" bensì uno scontro tra esercito e miliziani secessionisti: 
le ragioni addotte per l'attacco NATO nascondono piuttosto
in modo grossolano finalita' di tipo coloniale.

La questione dei crimini di guerra e della occupazione militare 
italiana nei Balcani e' dunque di estrema attualita'. Il film della 
BBC è diviso in due parti: nella prima sono documentate in modo chiaro 
e terribile le atrocità commesse dal regio esercito italiano in Africa 
e poi in Jugoslavia, per reprimere col terrore la resistenza delle 
popolazioni; nella seconda parte, testimoni, storici, politici e 
documenti dimostrano la volontà degli alleati, Statunitensi ed 
Inglesi, di insabbiare le indagini sugli oltre 750 criminali di guerra 
italiani, colpevoli di numerosi crimini. Duecento i campi di prigionia 
solo italiani, non tedeschi, nei Balcani, dove si moriva perfino di 
sete, come a Rab/Arbe! Centinaia di migliaia gli internati (600mila 
secondo il governo jugoslavo, 250mila accertati per gli storici), 
donne e bambini compresi, di cui pochissimi i sopravvissuti (perché 
gli uomini tra i 16 e i 60 anni venivano subito massacrati e uccisi). 
750 criminali di guerra italiani, nessuno condannato in Italia, 
nessuno estradato all'estero. Si dice che cio' fosse necessario in 
funzione anticomunista, perché era di fatto già iniziata la "guerra 
fredda". 

Ora, come hanno ribadito Preve e del Boca, non si tratta solo di 
ridimensionare il mito degli "italiani brava gente", ne' tantomeno di 
ridescrivere gli italiani come "cattivi" e fare esercizio di 
moralismo: è indubbio invece che si debbano conoscere questi fatti e 
se ne debba comprendere la gravità, perche' un popolo che non conosce 
la propria storia, e costruisce la propria politica estera sulla falsa 
coscienza, e' destinato a commettere gli stessi errori e crimini, o a 
commetterne di ancora piu' gravi. Lo dimostrano le conseguenze dei 
bombardamenti del 1999, effettuati in spregio alla stessa Costituzione 
repubblicana, e lo dimostra pure la politica di appoggio ai settori 
micronazionalisti e secessionisti, eredi dei collaborazionisti locali 
del nazifascismo, perseguita con grande disinvoltura ed 
irresponsabilita' in questi anni, grazie ad una furiosa campagna di 
disinformazione rivolta alla opinione pubblica per manipolarne il 
consenso.

L'incontro si e' concluso con la stesura e la sottoscrizione, da parte
di tutti i partecipanti, di un appello rivolto al Presidente della
Repubblica affinche' intervenga per "sbloccare" la situazione
consentendo la messa in onda del filmato da parte della RAI.

(a cura del CNJ)

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Scheda filmografica

Fascist Legacy (L'eredità del fascismo), Gran Bretagna 1989. 2x50
minuti. Regia: Ken Kirby; consulenza storica: Michael Palumbo;
fotografia: 
Nigel Walters; montaggio: George Farley; voce narrante: Michael
Bryant.

Documentario prodotto e trasmesso dalla BBC in due puntate, l'1 e 8
novembre 1989, suscitando una protesta da parte dell'ambasciatore
italiano a Londra, un'interpellanza parlamentare e articoli apparsi su
tutti i maggiori quotidiani italiani1. Successivamente è stato
acquistato dalla RAI che ne ha prodotto una versione italiana che non 
è mai stata trasmessa.
Affronta il tema della rimozione dei crimini sistematicamente commessi
dall'Italia fascista nella costruzione del suo impero, in nome della
"superiore civiltà italica" e della sua "missione civilizzatrice", in
Africa (Libia, Etiopia, Somalia) e nei Balcani (Albania, Jugoslavia e
Grecia). Massacri di civili, distruzione di interi villaggi,
eliminazione delle élite intellettuali e politiche, uso di armi
chimiche, distruzione delle colture e del bestiame per ridurre alla 
fame la popolazione, deportazioni e campi di concentramento con una 
mortalità che arrivò sino al 50% degli internati. Una serie di orrori, 
con un bilancio di morti, arrotondato per difetto, di 300.000 etiopi, 
100.000 libici, 100.000 greci e 250.000 jugoslavi.2
La prima parte, intitolata A Promise Fulfilled (Una promessa 
mantenuta), documenta questi crimini analizzando quanto avvenne in 
Etiopia e Jugoslavia. Gli episodi e i luoghi più significativi di
questi crimini vengono ripercorsi affiancando alle immagini dell'epoca 
il racconto di testimoni oculari e il commento di alcuni autorevoli 
storici, fra cui Angelo Del Boca, Guido Rochat e lo jugoslavo Ivan 
Kovacic.
La seconda, intitolata A Pledge Betrayed (Un'impegno tradito) illustra
le ragioni per cui i responsabili di quei crimini non furono mai
processati e incriminati, contrariamente agli impegni precentemente
presi dagli Alleati, né si sviluppò mai un serio dibattito pubblico 
che rielaborasse la memoria collettiva di tali eventi, rimasta così 
ancora oggi abbandonata a un'ambigua mescolanza di rimozione e luoghi 
comuni ereditati dalla propaganda autoassolutoria del regime. 

Basandosi principalmente sui documenti della Commissione ONU per i 
crimini di guerra istitutita nel 1943, lo storico Michael Palumbo 
ricostruisce come Stati Uniti e Gran Bretagna al termine del conflitto 
appoggiarono deliberatamente i tentativi di chi in Italia voleva 
affossare le richieste di processare quei criminali di querra italiani 
che la stessa commissione ONU riconosceva come tali. Testimoni 
dell'epoca, come il membro della Commissione ONU Marian Mushkat, 
l'allora ministro degli esteri jugoslavo Leo Mattes, storici come 
David Ellwood e Claudio Pavone, affiancano la documentazione fornita 
da Palumbo nel far luce sulla motivazione fondamentale di questo 
insabbiamento: condannare i criminali fascisti avrebbe messo in moto 
in Italia un processo di epurazione che avrebbe indebolito il fronte 
anticomunista, ritenuto essenziale nella logica della Guerra Fredda. 
Così nessun criminale venne processato, molti continuarono anzi a 
ricoprire alte cariche istituzionali. Contestualmente si orchestrò una 
campagna d'opinione che diffuse quel mito del "bravo italiano" ben 
rispecchiato anche nel cinema che ha affrontato queste vicende. Film 
come Mediterraneo (1991), I giorni dell'amore e dell'odio (1999) e il 
più recente Il mandolino del Capitano Corelli (2001) presentano tutti 
un'immagine del soldato italiano vittima egli stesso e 
costituzionalmente incapace di crudeltà.
Paradossalmente, il massacro di Cefalonia, cui gli ultimi due film
citati sono dedicati, venne a suo tempo insabbiato, come tante altre
stragi naziste in Italia, prima ancora che insorgesse l'esigenza di 
non ostacolare il riarmo della Repubblica Federale Tedesca in funzione 
del ruolo assegnatogli dal suo ingresso nella NATO, proprio per 
evitare che questi processi potessero determinare un "effetto 
boomerang", costituendo un precedente che legittimasse le richieste di 
processare i criminali di guerra italiani avanzate da Jugoslavia ed 
Etiopia3. Così, dopo che nel 1953 la pubblicazione sulla rivista 
"Cinema Nuovo" di una proposta di realizzare un film critico sul 
comportamento dei soldati italiani in Grecia, che avrebbe dovuto 
intitolarsi L'armata Sagapò, costò ai suoi promotori Guido Aristarco e 
Renzo Renzi l'arresto e un processo di fronte a un tribunale militare, 
un film italiano su questa pagina buia della nostra storia nei Balcani 
attende ancora di essere fatto. Va ricordato infine come nei confronti 
dell'Africa il cinema italiano sia riuscito a fare ben di peggio, se 
si pensa a quel fortunato genere cinematografico di cui negli anni 
Sessanta sono stati iniziatori Franco Prosperi e Gualtiero Jacopetti 
con il loro Africa Addio (1966).
Un ultimo colpo di coda del razzismo colonialista, sferrato mentre era
in atto il processo di decolonizzazione. Un film peraltro prontamente
difeso da un autorevole custode della memoria italiana dell'avventura
africana come Indro Montanelli. Fra i critici di allora Alessandro
Galante Garrone, che in un suo articolo pubblicato su "Cinema Nuovo" 
nel marzo del 1966, ne denunciava l'ideologia sintetizzandola con il
commento espresso all'uscita dei cinema da un suo spettatore ideale:
"Quelli sono popoli selvaggi. Avrebbero ancora bisogno di noi bianchi,
della nostra civiltà superiore".
Va sottolineato come la censura praticata nei confronti di questo
documentario, così come quella attuata dieci anni prima e tuttora
mantenuta nei confronti del film Omar Mukthar. Lion of the Desert4, 
che documentava la brutale repressione nei confronti della resistenza 
libica all'occupazione fascista, vada inserita all'interno di quella 
politica della memoria che và dalla storiografia defeliciana 
all'attuale retorica della riconciliazione nazionale. Denunciare i 
crimini del colonialismo fascista e l'ideologia razzista che li 
legittimò, smonta infatti una delle basi su cui tale interpretazione 
del fascismo si regge, vale a dire la negazione del carattere 
costitutivamente razzista del fascismo.
A tal fine si è in primo luogo tentato di allontanare l'Italia dal 
"cono d'ombra dell'Olocausto", sino a disegnare un'immagine del 
fascismo che "come non fu razzista non fu nemmeno antisemita", secondo 
le celebri formulazioni di De Felice5. Le leggi razziali del 1938 
diventano così un fenomeno importato dalla Germania, da condannare 
oggi come un semplice errore di percorso o una brutta parentesi, 
relativizzabile inoltre a fronte delle maggiori atrocità del nazismo. 
Presunte attenuanti queste, tutte inutilizzabili per assolvere il 
fascismo da quel razzismo antislavo e coloniale che fu persino 
sanzionato da una legislazione razziale che precedette quella 
antiebraica e sostenuto da una propaganda sulla superiorità della 
razza italica che contribuì a preparare il terreno all'accettazione 
delle stesse leggi antiebraiche. Da qui la necessità di rimuovere 
totalmente questo razzismo e le atrocità che esso servì a 
legittimare6..Da qui, anche, la costruzione del mito del "bravo
italiano" promossa nel dopoguerra7, tuttora perfida arma ideologica
utilizzata in quel conflitto delle memorie, particolarmente evidente 
in occasione di celebrazioni come il 25 aprile o il recentemente 
istituito "Giorno della memoria"8 e nelle produzioni cinematografiche 
e televisive italiane di questi ultimi anni, la cui posta in gioco
sono gli stessi valori democratici che la lotta contro il fascismo
consegnò alla Costituzione dell'Italia repubblicana.

Marco Farano


1. E. Franceschini, L'italia non è innocente, "La Repubblica",
10.11.1988; M. Vignolo, In Tv per gli inglesi i crimini degli italiani
in guerra, "Corriere della sera", 10.11.1989; F. Merlo, Ma l'Italia 
poi voltò pagina, "Corriere della sera", 10.11.1989; L. Maisano, 
Questi italiani sono stati criminali di guerra, "Il giornale", 
10.11.1989; M. Ciriello, La BBC processa i criminali italiani, "La 
Stampa", 10.11.1989; L. Froni, Crimini di guerra, la BBC accusa, "Il 
Tempo", 10.11.1989; P. Filo della Torre, Italia, ecco i tuoi crimini 
di guerra, "La Repubblica", 10.11.1989; R. Caprile, "È vero, e Londra 
sapeva" gli storici italiani rispondono, "La Repubblica", 10.11.1989; 
A. Colombo, Criminali brava gente, "Il Manifesto", 10.11.1989; F. 
Merlo, Crimini di guerra, ora si minimizza, "Corriere della Sera", 
11.11.1989; M. Vignolo, Mack Smith: "Gli italiani non hanno colpe, 
restano brava gente", "Corriere della sera", 11.11.1989; P. Filo della 
Torre, Italiani suscettibili, "La Repubblica", 11.11.1989; N. 
Tranfaglia, Tutti assolti, "Repubblica", 12.11.1989; L. Campagnano, 
Smemorati. Gli italiani e i crimini di guerra, "Il manifesto", 
11.11.1989; F. Longo, M. Moder, La lista della vergogna. Quel che non 
vedremo in tv. Pulizia etnica, genocidio, torture. La BBC accusa i 
generali italiani, Raiuno censura, "Il manifesto", 23.4.2000; R. 
Carroll, Italian's bloody secret, "The Guardian", 25.6.2001; M. 
Cervino, Italiani cattiva gente, "Diario", 7.7.2001.

2. Per quanto riguarda l'Africa si rimanda alle fondamentali ricerche 
di Angelo Del Boca, per un cui primo approccio si consiglia L'Africa 
nella coscienza degli italiani, Laterza, 1992 e Le guerre coloniali 
del fascismo, Laterza, 1991. Per un'introduzione e ulteriori 
indicazioni bibliografiche si rimanda a Enzo Collotti, Sulla politica 
di repressione italiana nei balcani in L. Paggi, La memoria del 
nazismo nell'Europa di oggi, La Nuova Italia, 1997.

3. Vedi in proposito alcune ricerche storiche condotte successivamente
alla realizzazione di questo documentario quali: Filippo Focardi, La
questione della punizione dei criminali di guerra in Italia dopo la 
fine del secondo conflitto mondiale, in "Quellen und Forschungen", 
Deutschen Historischen Institut in Rom, Band 80, Max Niemayer Verlag 
Tübingen, 2000; F. Focardi e Lutz Klinkhammer, La questione dei 
"criminali di guerra" italiani e una Commissione di inchiesta 
dimenticata, in "Storia contemporanea", Anno IV, n° 3, 2001; Mimmo 
Franzinelli, Le stragi nascoste, Mondadori, 2002.

4. Vedi A. Del Boca, L'Africa nella coscienza degli italiani, cit. 
pag. 125.

5. Le espressioni citate ricorrono rispettivamente nella celebre
intervista di De Felice al "Corriere della Sera" del 27.12.1987 e
nell'introduzione all'ultima edizione della sua Storia degli ebrei
italiani sotto il fascismo, Einaudi, 1993.

6. Vedi Enzo Collotti, Il razzismo negato in Enzo Collotti, Fascismo e
antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Laterza 2000; sui
rapporti fra razzismo antisemita e razzismo coloniale in Italia vedi
Centro Furio Jesi, La menzogna della razza. Documenti e immagini del
razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis1994 e Alberto Burgio, 
Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'Italia 1870-1945, Il
Mulino, 1999.

7. Vedi Filippo Focardi, "Bravo italiano" e "cattivo tedesco":
riflessioni sulla genesi di due immagini incrociate, in "Storia e
memoria", n° 1, Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e
dell'Età contemporanea, 1996 (contenente diversi altri contributi sul
tema, in particolare quelli di Brunello Mantelli e Gerhard Schreiber);
il tema è ulteriormente sviluppato da Focardi nel suo saggio L'ombra 
del passato, in "Germania: cultura del ricordo e passato nazista", 
Istituto per la storia della resistenza e dell'età contemporanea di 
Modena, 2000.

8. Valga ad esempio la puntuale osservazione polemica di un'autorevole
storico della legislazione fascista antiebraica come Michele Sarfatti
che ha rilevato come il testo della legge che ha istituito tale
ricorrenza non nomini neppure il fascismo, oppure la decisione da 
parte della RAI di celebrare quest'anno tale ricorrenza con un film su 
Giorgio Perlasca.


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