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ora invece va di moda la "Piccola Serbia"



L'articolo è del Piccolo di Trieste,con un ovvio condizionamento di parte.
La notizia rimane comunque clamorosa.
Davide


Un referendum per sancire l’indipendenza dal Montenegro
Cambia il «sogno» di Belgrado:
tutti vogliono la Piccola Serbia


TRIESTE È l’estremo paradosso balcanico: dopo aver insanguinato la 
regione per nove lunghissimi anni per difendere quella che Belgrado 
definiva «l’integrità istituzionale» della Jugoslavia contro le spinte 
centrifughe delle repubbliche secessioniste, ora è la Serbia che vuole 
diventare indipendente. Vuole cioè spezzare quell’unico sottile «trattino» 
costituzionale che ancora la lega al Montenegro dopo che il 14 marzo 
scorso proprio Belgrado e Podgorica avevano raggiunto l’accordo di 
suonare le campane a morto per la storica dizione «Jugoslavia» e sostituirla 
con un soggetto istituzionale cui è stato dato molto più semplicemente il 
nome di «Serbia-Montenegro».
Soggetto istituzionale che, a fronte di un iter politico estremamente difficile (i 
venti di fronda soffiano ancora impetuosi), ha ottenuto il placet dai due 
Parlamenti repubblicani ma vede ora l’avvio della raccolta delle firme per 
indire un referendum che sancisca proprio l’indipendenza della Serbia. 
Raccolta che è scattata ieri in 140 città serbe, Belgrado compresa, e che 
vede il suo artefice nel ministro della Giustizia serbo, Vladan Batic, il quale 
ha battezzato l’iniziativa con lo slogan: «Si deve chiedere alla gente». Batic 
è il leader del Partito democratico cristiano, formazione che fa parte della 
coalizione Dos al potere con il premier Zoran Djindjic. Eppure la sua idea è 
in chiara controtendenza con quelli che sono gli indirizzi di programma 
dell’esecutivo.
Dieci anni dopo, dunque, cambiano gli slogan. Sepolto quello roboante ma 
insanguinato dalle guerre contro Croazia e Bosnia e sintetizzato nell’idea 
della «Grande Serbia», ecco nascere dalle ceneri del fallimento del regime 
di Milosevic la proposta di una «Piccola Serbia», limitata ai suoi vecchi 
confini e senza legami con il Montenegro, in grado di sfruttare al meglio, 
così predica il ministro Batic, il suo potenziale economico e la sua posizione 
politicamente e geograficamente centrale nei Balcani. «I serbi sono stanchi 
di essere i soli a pagare per due governi (repubblicano e federale ndr.) - 
spiega Batic - e la cosa peggiore è che paghiamo noi l’opposizione 
montenegrina». Ragionamento dannatamente simile a quello che nel 1991 
si faceva in Slovenia, la prima ad andarsene dal fallimento di quel che 
restava della Jugoslavia di Tito, quasi che la storia avesse deciso di 
prendersi gioco di Belgrado. Anche perché tra la gente comune sta avendo 
il sopravvento il luogo comune che vuole i montenegrini pigri e inefficienti e 
poco importa se con l’indipendenza si perderà lo sbocco al mare. 
«L’importante è che i soldi della Serbia restino ai serbi». Proprio come dieci 
anni fa a Lubiana si gridava nelle piazze che i soldi della Slovenia dovevano 
restare agli sloveni.
L’iniziativa del referendum ha già raccolto il consenso di altri tre gruppi 
partitici del Dos. Si tratta di Nuova Serbia, Lega socialdemocratica della 
Vojvodina e Coalizione di Sumadija, nonché di parte del cosiddetto G-17, il 
gruppo di esperti apartitici che affianca il Dos. Finora il mantenimento di un 
unico Stato serbo-montenegrino era osteggiato solo dal governo di 
Podgorica, che per lunghi anni aveva fatto dell’indipendentismo la sua 
bandiera, e che ora sta attraversando una pesante crisi d’identità per aver 
accettato, su pressione come detto dell’Ue, l’accordo del 14 marzo con 
Belgrado. Il presidente Milo Djukanovic è partito proprio ieri per Washington 
per discutere della sua difficile situazione con i vertici della Casa Bianca. La 
posizione degli Usa è in linea con quella di Bruxelles, ma, secondo gli 
osservatori politici montenegrini, mantiene comunque margini di ambiguità 
tutti ancora da esplorare.
Stando ai sondaggi però la febbre di indipendenza sta scemando in 
Montenegro, mentre in Serbia accade l’esatto contrario e il 56 per cento 
della popolazione è d’accordo sul referendum secessionista. E nel primo 
giorno di raccolta delle firme i banchi sono stati abbastanza affollati. Batic è 
ottimista e si dice convinto di ottenere più di 300 mila firme, il triplo di quelle 
previste per avviare l’iter referendario. A questo punto Kostunica, l’uomo 
che ha spodestato Milosevic, rischia, se la federazione dovesse andare in 
frantumi, di finire anzitempo disoccupato. Per «Slobo», invece, un buon 
tema su cui meditare. Nelle sue lunghe ore di galeotto tra i fantasmi di una 
piccola grande Serbia.
Mauro Manzin