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[Fwd: [Co.Na.R.eS.] Fuga da Scampia. Appello dal COMPARE]
ciao,
per una volta vi chiederei di non considerare questo come l'ennesimo
forward volante, ma di leggere con attenzione. è un paradigma ed insieme
una storia, purtroppo, edificante.
davide
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From: "nandosigona@libero.it"<nandosigona@libero.it>
CERCHIAMO DI DIFFONDERE QUESTO APPELLO, DI FARLO LEGGERE IN GIRO
per adesioni e contatti scrivere a: compare98@yahoo.com o a me
saluti a tutti
Nando
1 giugno 2001. Una famiglia estesa di rom kosovari, i Dobreva, e'
costretta a fugire da Napoli. Sono circa 50 persone, minoranza
musulmana in un campo abitato prevalentemente da cristiano-ortodossi.
Abbandonano lavoro, casa e progetti futuri. Le tensioni sono continue.
Gli scontri asperrimi con una famiglia cristiano-ortodossa giungono fino
alle minacce di morte. E' passato poco meno di un anno
dall'apertura a Secondigliano del primo 'villaggio d'accoglienza'
autorizzato della Campania.
Da circa cinque anni conosciamo i Dobreva e la loro partenza rappresenta
per noi una grave perdita. Innanzitutto una perdita personale, perchè ci
unisce una forte amicizia; in secondo luogo la perdita di interlocutori
politici privilegiati. Della stessa opinione saranno sicuramente il
Comune di Napoli e le associazioni legate al campo dagli svariati
progetti, in cui i Dobreva hanno ricoperto un ruolo fondamentale, come
in quelli riguardanti la scolarizzazione dei bambini.
Cos'è, allora, che non ha funzionato? Possiamo considerare questa
un'ineluttabile storia, fra le tante, che nasce da intolleranza e da
rivalità, una storia di "zingari" che, si sa, sono 'di cultura un po'
difficile'?
E la Città, il Comune di Napoli, con quali responsabilità s'inseriscono
in questo quadro?
Per rispondere ripercorriamo, forse troppo velocemente, la storia di
questa famiglia negli ultimi venti anni.
A Pristina i Dobreva vivevano svolgendo attività commerciali, in un
quartiere abitato da rom di religione musulmana e cristiano-ortodossa.
L'incalzare della guerra (primi anni '90) segna per tutta la comunità
l'inizio dell'infinito e obbligato viaggio. Abbandonano casa e averi per
approdare in Italia dove non viene loro riconosciuto neanche il 'titolo'
di profughi. L'unica soluzione abitativa possibile è la sistemazione in
baracche che da soli costruiscono con materiali di fortuna, senza acqua,
luce e servizi igienici, in condizioni sanitarie del tutto disumane, nel
più totale disinteresse delle istituzioni.
I Dobreva si 'sistemano' a Secondigliano, degradata periferia del
napoletano, sotto i ponti di quello che un giorno, forse, sarà l'asse
mediano. A pochi metri lo stazionamento degli autobus e la fermata della
Metropolitana che permettono una buona mobilità. Attorno al campo
palazzi e negozi. Nella zona sono stanziati circa un migliaio di rom,
disseminati in vari campi abusivi. Vivono principalmente d'elemosina,
quand'è possibile di lavori sottopagati. E' facile immaginare come sia
delicata la convivenza con gli altri abitanti del quartiere, con cui
condividono la pesante emarginazione dal resto della città. Nel giugno
di due anni fa scocca la scintilla che fa esplodere tensioni covate da
tempo: un rom investe un motorino e muore una ragazza, figlia di un boss
locale. Si scatena l'ira dei 'cittadini' del quartiere, con una vera e
propria caccia allo zingaro che raggiunge l'apice con i roghi delle
baracche. Ancora una fuga, che però questa volta si conclude con un
'felice' rientro a casa, grazie anche all'intervento di chi, preoccupato
per l'aumentata presenza di pattuglie della polizia sul territorio,
placa l'ira degli abitanti e promette tranquillità ai rom.
La situazione si mostra però troppo incandescente, la visibilità della
questione rom in ambito cittadino e nazionale è forte, inoltre preme il
progetto di apertura dell'asse mediano. Le amministrazioni locali
trovano nella situazione di emergenza un'ulteriore legittimazione per la
costruzione del nuovo megacampo attrezzato alle spalle del carcere di
Secondigliano, promettendo un'accelerazione dei lavori, mai
verificatasi. Il nuovo campo è, per chi lo ha progettato, una grande
innovazione, segno d'accoglienza e solidarietà, anche se si parla, e
purtroppo si è solo parlato, di soluzione provvisoria, non sostenibile
su lunghi periodi. I gruppi che si occupano di politiche abitative da
anni denunciano la pericolosità dei megacampi, luoghi di esclusioni, in
pratica veri e propri ghetti, polveriere dove fermentano tensioni e
illegalità, in una miscela capace di dimostrarsi esplosiva velocemente.
Poco conta l'esperienza già provata da altre città italiane, dove la
scelta di tale tipo di soluzione si è dimostrata tragicamente
fallimentare. Inascoltate restano le voci di coloro che propongono
soluzioni abitative alternative, come la costituzione di piccoli
insediamenti per nuclei familiari, con partecipazione e coinvolgimento
dei diretti interessati e degli abitanti del quartiere.
Il megacampo è costruito, il regolamento è redatto, e il 26 luglio
scorso la comunità rom del campo abusivo di Via Zuccarini a Scampia, tra
cui i Dobreva, è trasferita nel nuovo campo autorizzato, situato alle
spalle del carcere di Secondigliano. L'ingresso è sulla circonvallazione
esterna, strada a percorrenza veloce. Nei dintorni né case né negozi.
I rom finalmente hanno l'acqua, la luce, il gas. Il prezzo è però un po'
più caro di quello riportato sulle bollette. I bambini e le donne sono
praticamente reclusi, completamente dipendenti dalle auto degli uomini e
dalla buona volontà delle associazioni, la fermata dell'autobus più
vicina è a circa due chilometri e lungo la strada su cui le macchine
sfrecciano ad alta velocità non c'è neanche un segnale che avverta della
presenza di un insediamento abitativo. In ciascun container (40 mq) è
alloggiata una famiglia, con nonni e nipoti, per un totale di otto o
nove persone. La distanza tra le piazzole è minima.
Non più topi, ma un tremendo fetore fuoriesce dai tombini. Niente asse
mediano sulla testa, ma tralicci dell'Enel ad alta tensione, che, come
dimostrato da una ricerca condotta da Legambiente, producono un campo
magnetico di intensità superiore al limite massimo di tollerabilità. A
sei mesi dall'entrata sono tre le persone investite all'ingresso del
"villaggio", 2 feriti e un morto.
Ad un anno dalla sua apertura il campo è gestito con modalità
autoritarie, contrariamente al regolamento che prevedeva un comitato di
gestione composto da associazioni, rom e istituzioni. Le strutture
comuni vanno gradatamente deteriorandosi, come la casupola destinata ad
ospitare un ambulatorio medico e che è ora ridotta a quattro mura
bruciacchiate.
Tra i circa venti operatori rom che hanno lavorato in progetti comunali
quasi tutti sono della famiglia Dobreva. In particolare Sead e
Severdjian Dobreva si danno molto da fare, divenendo mediatori culturali
dopo un anno di corso seguito presso la Gesco Campania e partecipando
intensamente alla vita cittadina.
I bambini dei Dobreva sono tra quelli che frequentano la scuola con
maggiore continuità e buoni risultati.
Percorso interrotto. Da chi, dai rom cattivi? Da un campo ghetto?
Dall'amministrazione che non è riuscita a tutelare le persone e non ha
fatto sentire adeguatamente la sua presenza?
Si ricorda che in concomitanza con l'apertura del campo è stato
stipulato un patto di cittadinanza, ispirato ai più illuminati principi.
Un patto tra la comunità rom e la Città di Napoli, anche se è rimasto
sconosciuto alla quasi totalità dei rom e ancor di più ai cittadini
napoletani, in cui si considera non risolta la questione abitativa e che
intende la costruzione del campo stesso come una soluzione provvisoria.
Ognuno è libero di trovare il proprio capro espiatorio. I Dobreva sono
nuovamente profughi, in un disperato pellegrinaggio per l'Italia tornano
a vivere in campi abusivi. Alla ricerca di possibili soluzioni
alternative come una casa, che mai nessuno darà loro in affitto,
soprattutto ora che con il container hanno perso il lavoro e la
residenza, condizioni ritenute indispensabili per ricevere un minimo di
credibiltà.
Lanciamo un appello alla Città (Comune e Provincia di Napoli, Regione
Campania, Partiti, Associazioni, Singoli CittadiniŠ) e in particolare al
nuovo Sindaco Rosa Russo Iervolino, affinchè si impegni per:
- garantire le condizioni necessarie ad un ritorno dei Dobreva nella
città in cui stavano costruendo il loro futuro, trovando, per loro,
un'immediata sistemazione.
- ristabilire condizioni di vivibilità minima nel campo, prendendo ogni
necessario provvedimento.
- invertire radicalmente la linea fin qui seguita nelle politiche
sociali rispetto ai rom, considerando superata l'esperienza del
megacampo ed avviando pratiche di convivenza basate su soluzioni
abitative partecipate, alternative a quella dei megacampi (case,
insediamenti abitativi per nuclei di massimo 50 persone, palazzi ed
edifici dismessi da riattareŠ). Facendo sì che tali esperienze diventino
una possibiltà-modello per ogni famiglia rom che decida di uscire dai
confini del "campo".
Napoli, 14 giugno 2001
Com.p.a.re.
(comitato per l'assegnazione e realizzazione di soluzioni abitative non
ghetto per i rom)
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