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(AIM) MAGGIO: LA MARCIA DEGLI AFFAMATI



"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani

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NOTIZIE EST #443 - MACEDONIA
3 giugno 2001
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MAGGIO: LA MARCIA DEGLI AFFAMATI
di Branka Nanevska - (AIM Skopje, 28 maggio 2001)

Questi giorni la Macedonia non e' solo sull'orlo di una
crisi che riguarda la sua sicurezza, ma e' minacciata
anche da un'esplosione sociale dalle conseguenze che e'
difficile prevedere. In particolare, ogni giorno nel
paese vi sono sempre piu' affamati, e la loro
insoddisfazione e' enorme. Se a questo si aggiunge il
fattore della politica, senza la quale da lungo tempo
nulla nel paese funziona, gli attuali sussulti sociali,
prevedono gli esperti, possono diventare molto
drammatici.

Secondo gli ultimi dati comunicati ufficialmente, in
Macedonia vi sono quaranta collettivi che da alcuni
anni stanno "producendo" unicamente perdite. Tali
perdite attualmente ammontano a 820 milioni di marchi e
ogni giorno aumentano. Nessuna delle misure adottate ha
dato i risultati che ci si attendeva. Dal 1995, quando
per la prima volta si e' intervenuti in maniera
sistematica, nessuna delle aziende in perdita e'
riuscita a rimettersi in piedi. Per questo, il governo,
sotto il diktat dei gendarmi finanziari mondiali, deve
ora liberarsene vendendole o liquindandole, a tappe,
entro la fine di quest'anno. Rimarranno senza lavoro
oltre 35.000 operai. Il piano di azione e' stato
concordato con il FMI e la Banca Mondiale gia' alla
fine dell'anno scorso. Gli elenchi sono stati redatti
gia' da lungo tempo, le aziende in perdita sono state
raggruppate, i termini sono stati precisati. Purtroppo
vi e' stata lentezza nella realizzazione. Cio' e'
dovuto sia alla specificita' del problema, visto che
verranno messe letteralmente sulla strada cosi' tante
persone che il governo macedone teme di esporsi al
rischio di dovere "assaggiare" la rabbia dei
lavoratori, sia alla lentezza delle oligarchie
finanziarie internazionali, poiche' il denaro promesso
per la realizzazione di questo delicato piano, si
afferma, arriva con il contagocce. Ricordiamo che nel
paese vi sono circa 360.000 disoccupati, pari a circa
il 45% della popolazione attiva. E' in atto inoltre una
crisi politica e relativa alla sicurezza che comunque
tiene lontani gli eventuali partner strategici
interesssati, e non bisogna dimenticare nemmeno i
numerosi intrighi politici quotitidani e le ambizioni
da profittatori di guerra di alcuni alti funzionari del
governo. In particolare, tutti sono nel paese ormai da
mesi testimoni muti della svendita del capitale
pubblico rimasto a ritmi spediti, dell'accaparramento
senza scrupoli, da parte di "soldati" dei partiti al
governo, di proprieta' create negli anni, fenomeni che
negli ultimi giorni si sono fatti ancora piu' intensi.

La marcia di maggio degli affamati e' cominciata in
maniera organizzata lo stesso giorno della festa del
lavoro, il Primo Maggio. I lavoratori dei collettivi
che per anni hanno lavorato in rosso, e per questo sono
stati liquidati, oppure sono ora minacciati di una tale
eventualita', hanno deciso, guidati dall'Unione dei
Sindacati di Macedonia (SSM), di smettere di tacere.
Sono scesi nelle strade della capitale e hanno
protestato pacificamente, ma rumorosamente, chiedendo
il diritto al lavoro che e' stato loro sospeso, il
diritto a uno stipendio, alla previdenza pensionistica
e sociale, a una vita dignitosa. Si sono fatti vedere i
nuovi "proletari" di Skopje, Stip, Veles, Prilep,
Gostivar, Tetovo e di altri centri maggiori, ai quali,
per cosi' dire, "brucia ormai fino alle unghie" e
quindi non vogliono piu' stare a guardare pacificamente
come tutto vada a rotoli nel nome di cio' che, a
parole, e' la costruzione del pluralismo e della
democrazia e, nei fatti, e' nell'interesse personale di
coloro che detengono il potere o dei ligi servitori dei
partiti. Purtroppo, gli effetti di questo travaso di
giustificata insoddisfazione sono stati nulli!

Occupato da affari piu' "urgenti", di tipo personale o
statale, l'attuale governo, cosi' come quello che lo ha
preceduto, non ha dimostrato la seppur minima buona
volonta' e disponibilita' di ascolto al fine, se non di
migliorare, almeno di prestare orecchio alle sofferenze
di queste persone. E tali sofferenze sono come le
montagne: enormi. Le hanno raccontate, con le lacrime
agli occhi ed evidentemente angosciati, uomini e donne
della fabbrica in fallimento "Makedonka", di Stip, la
citta' una volta chiamata la "Manchester dei Balcani",
attualmente in rovina, cosi' come le loro colleghe
della "Hemteks" si Skopje, luiqidata, che riceveranno
ancora solo per due mesi dall'Ufficio di Collocamento
un sussidio sociale di 100 DM - e dopo cosa accadra'?
Hanno espresso la loro amarezza e la loro impotenza con
diversi striscioni e grida anche gli operai della FAS
"11 Oktomvri", che una volta producevano 1200 autobus
all'anno, e ora ne producono solo una decina, cosi'
come gli operai della "Silika" ai quali i politici,
secondo quanto dicono, hanno promesso molto, senza
mantenere nulla. C'e' poi la "Jugohrom" di Tetovo, un
tempo la "gallina dalle uova d'oro" dell'economia
macedone, i cui prodotti strategici procuravano milioni
di dollari di entrate ed era l'orgoglio della citta'
sotto il monte Sar e di tutto il paese. Hanno
raccontato ai giornalisti il loro "percorso di tortura"
anche gli operai della fabbrica "Porculanka" di Veles,
che non riescono a trovare un acquirente interessato,
perche' nessuno vuole pagare la commissione che
chiedono sfacciatamente i "profittatori di guerra"
locali e nazionali. Tutti questi lavoratori, secondo
quanto affermano, non ricevono regolarmente il loro
stipendio non da mesi, ma addirittura da anni, vivono
della carita' di qualcuno, o di quello che riescono a
mettere insieme da soli. E, anche per la situazione
dello stato ne' di guerra ne' di pace che dura ormai
quasi da quattro mesi, le possibilita' sono sempre meno
e la pazienza si e' infine esaurita. Hanno raccontato
le loro storie, hanno messo in guardia e hanno
minacciato. Tutto inutilmente!

Se ne sono poi tornati a casa e per qualche giorno
hanno proseguito le proteste nei loro "cortili di
casa". E' continuato cosi' per tre settimane. Prima
hanno cercato di esercitare pressioni affinche' le
dirigenze immobilistiche delle loro fabbriche, o i
curatori fallimentari, si preoccupassero di risolvere i
loro problemi vitali. Poi hanno bussato alle porte dei
potenti locali, per vedere se alcuni di essi per caso
non potessero in qualche modo farsi sentire lassu' in
alto, nel governo e nel Parlamento, affinche' questi
ultimi si occupassero dei loro destini. Poi quelli piu'
ostinati si sono recati sulle vie di comunicazione
locali e regionali. Hanno organizzato delle barricate e
hanno bloccato per alcune ore con i loro corpi le
tratte piu' trafficate delle autostrade Skopje-Veles,
Veles-Stip, Skopje-Tetovo... Hanno chiesto un aiuto
finanziario straordinario di 200 marchi per comprare
pane per i loro figli, per potere pagare i contributi
arretrati in modo tale da potere andare in pensione,
una volta soddisfatti tutti i requisiti. Per alcuni di
loro lo stato non ha adempie piu' tale suo davere ormai
da 5-6 anni.

Hanno chiesto anche la sostituzione dei manager
incapaci che si occupano soprattutto di se' stessi e
dei rispettivi partiti dai quali hanno avuto il loro
posto, e non degli interessi dei lavoratori. Hanno
insistito per l'accelerazione del processo di
revisione, con l'aiuto di consulenti internazionali, al
fine di sapere quanto prima se conserveranno il loro
posto di lavoro oppure no; hanno chiesto aiuti e
agevolazioni per una ripresa del lavoro nelle fabbriche
i cui prodotti vengono cercati dagli acquirenti, come
quelle che producono autobus, per esempio. Anche tutto
questo e' stato inutile.

Bisogna comunque dire che infine i blocchi delle strade
hanno in qualche modo "svegliato" i ministri
competenti. Il governo ha incaricato, in occasione
della sua ultima seduta della settimana scorsa, una
commissione di esperti per le riforme strutturali di
accelerare l'individuazione di soluzioni per le
maggiori aziende in perdita, come la HEK "Jugohrom", il
complesso tessile "Makedonka", la FAS "11 oktomvri" e
altre ancora.

Lo scorso fine settimana, la Commissione del governo
per le aziende in perdita non e' riuscita a trovare una
posizione comune riguardo ai criteri chiave, e quindi
non ha fatto altro che rimandare le decisioni relative
ai destini dei collettivi di cui sopra, i primi
nell'elenco delle aziende da vendere o liquidare. Il
motivo e' che i ministri del settore, che appartengono
a diversi partiti, hanno opinioni differenti riguardo
ai problemi e all'interpretazione delle raccomandazioni
dei revisori stranieri e della missione del FMI. Il
ministro per l'economia, Besnik Fetai, del DPA, che
fino a ieri era il piu' accesso sostenitore della
vendita del complesso "Jugohrom", e aveva a proposito
trovato un "suo" acquirente, ora chiede che venga messo
con procedura urgente tra quelli da "congelare",
perche' e' quello dal costo piu' basso. E' necessario
reperire a tale fine circa 300.000 marchi. Attingendo
al bilancio dello stato, gli operai otterebbero una
somma mensile forfettaria di circa 150 marchi. Il
ministro delle finanze Nikola Gruevski, della VMRO-
DMPNE, ritiene che si debbano seguire i consigli dei
consulenti olandesi della "Arthur Andersen", la quale
ritiene che la Jugohrom abbia un futuro e che debba
quindi essere venduta a un prezzo "onesto" mediante
un'asta internazionale, ma solo dopo che sara' passata
la crisi militare nel paese. Fino alla sua
privatizzazione, che potra' avvenire al piu' presto tra
sei mesi, il governo dovra' assicurare il denaro per la
produzione e il pagamento dello stipendio minimo ai
dipendenti, mentre la societa' per l'eneregia elettrica
dovra' fornire energia gratuitamente(?!). Tutto questo
dovrebbe costare circa tre milioni di marchi. Entrambi
in ministri ritengono che l'ammontare degli stipendi
mensili arretrati dovra' essere pagato ai lavoratori
solo dopo che il complesso industriale sara' stato
venduto.

Divergenze e incomprensioni sono in atto anche per
quanto riguarda i rimanenti collettivi. Il governo
manterra' la fabbrica degli autobus per salvarla dal
fallimento, a quanto ci viene detto, ma a tale fine e'
necessaria una sua ristrutturazione. Questa fabbrica di
Skopje ha un passivo e debiti per circa 50 milioni di
marchi complessivamente, ha 1.158 dipendenti, dei quali
650 ritenuti in eccedenza e che dovranno essere
licenziati. Gli esperti hanno calcolato che e' 3,5
volte piu' economico venderla, piuttosto che liquidarla
con una procedura di fallimento. Tuttavia, la fabbrica
e' stata privatizzata al 73% e le azioni sono in mano
ai dipendenti che non sanno assolutamente cosa farsene.
Il governo ritiene che per trovare un partner
strategico sara' necessario innanzitutto modificare la
struttura del capitale a proprio vantaggio. Non pensa
di ricomprare le azioni dai lavoratori, bensi' di
ricorrere a una procedura di capitalizzazione, di
pagamento dei debiti e di suddivisione delle spese con
le imprese pubbliche creditrici. In tal modo il
capitale statale passerebbe dall'attuale 24,91% al 56%
e quindi lo stato si troverebbe nella posizione di
esssere tenuto a trovare una soluzione redditizia. Ma
chi gli credera' mai?

I politici hanno fatto un bello scherzo anche ai
lavoratori tessili di Stip. Da quando e' stato nominato
direttore generale della "Makedonka" l'ex leader locale
della VMRO-DPMNE, 2.700 lavoratori non hanno piu' visto
la "luce del sole". E chissa' se la vedranno mai. Le
macchine sono state svendute a prezzo derisorio, come
ferri vecchi, le scorte di tessuto di prima classe sono
state "donate" ad amici di partito, i reparti vuoti
vengono dati in affitto e trasformati in negozi,
caffe'... Il partner strategico inglese, con un
contratto gia' firmato, a quanto si dice, per nuove
tecnologie, non arriva mai. L'ultima somma che hanno
ricevuto gli operai e' un dono del governo per il nuovo
anno, 4000 denari, pari a circa 130 DM. Per pagare i
debiti in arretrato relativi ai contributi per la
sanita', i servizi sociali e la pensione ci vogliono
circa 16 milioni di marchi, e non c'e' chi li possa
reperire! Non si intravede una fine per questa agonia!

I lavoratori dei collettivi che lavorano in rosso,
ormai e' un fatto, non hanno piu' pazienza, ne'
orecchio, per alcun "interesse supremo". Hanno
annunciato che, a partire dal primo giorno dell'ultima
settimana di maggio, fino a quando non avranno chiaro
quale sara' il loro destino, bloccheranno ogni giorno
le grandi vie di comunicazione piu' frequentate, o in
alternativa pianteranno le tende di fronte all'edificio
del governo e del parlamento. Non e' escluso che si
uniscano a loro anche i colleghi di altri collettivi
che si trovano in una situazione analoga e altrettanto
piena di incognite e che sono gia' stati invitati a una
protesta generale da parte dell'Unione dei Sindacati di
Macedonia. Vi e' il grande punto di domanda
sull'opportunita' di intraprendere un passo cosi'
radicale proprio ora, in momenti cosi' critici per la
Macedonia. Il leader sindacale Zivko Tolevski nega che
dietro il suo attuale impegno vi sia una "politica
sotterranea" interessata alla destabilizzazione del
paese, come hanno pubblicamente dubitato i
rappresentanti di governo. E' il contrario! Cosi'
smentisce energicamente, ribattendo che e' stato lo
stesso governo a fare traboccare il "bicchiere della
pazienza" degli operai con il suo comportamento
arrogante, sottovalutando i problemi, vendendo
proprieta' statali a prezzi fortemente scontati, senza
aste pubbliche e a propri uomini con capitali di dubbia
provenienza. E' giunto il tempo, afferma, che esso
risponda per tutto quello che (non) ha fatto, e che
invece avrebbe dovuto assolutamente fare.


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