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Notizie Est #280 (1) - NATO/Jugoslavia
- To: "Notizie Est" <est@ecn.org>
- Subject: Notizie Est #280 (1) - NATO/Jugoslavia
- From: "Est" <est@ecn.org>
- Date: Tue, 16 Nov 1999 16:45:42 +0100
- Posted-Date: Tue, 16 Nov 1999 16:57:41 +0100
- Priority: normal
"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani
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NOTIZIE EST #280 (1) - NATO/JUGOSLAVIA
10 novembre 1999
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LA NATO PENSAVA A UN'INVASIONE DI TERRA? / 1
[Negli ultimi mesi stanno uscendo vari articoli
che riesaminano l'evoluzione della guerra della
NATO contro la Jugoslavia. Si tratta soprattutto
di articoli pubblicati da alcuni tra i maggiori
mezzi d'informazione di Stati Uniti e Gran
Bretagna ("Washington Post", "New York Times" o
BBC, per fare solo alcuni esempi), che godono di
canali di accesso particolari con alti
funzionari dei due rispettivi paesi. Il pezzo
che riportiamo qui sotto, per esempio, e' stato
scritto da Steve Erlanger, un giornalista con
buoni agganci all'interno dei meccanismi del
potere USA, in particolare per quanto riguarda i
Balcani, ma che spesso e' stato il canale
attraverso il quale i vari circoli
dell'amministrazione statunitense hanno fatto
passare, se non proprio delle "veline", almeno
delle informazioni che miravano a obiettivi
politici evidenti. Ora al centro dell'attenzione
e' la strategia seguita dalla NATO durante
questa ultima guerra e la relativa polemica tra
le diverse fazioni politiche
dell'amministrazione USA, tra le quali si e'
evidentemente aperta una forte spaccatura
(semplificando molto, si possono individuare la
linea dei "falchi" Albright-Clark e la linea
delle "colombe" Clinton-Cohen-Pentagono-Stati
maggiori dell'Esercito, usando i termini
"falchi" e "colombe" solo per comodita'
esplicative e non certo per il loro contenuto
effettivo). All'interno di questa polemica, un
ruolo di primo piano lo stanno avendo le
"rivelazioni" sulla presunta decisione, ai
primissimi di giugno, di procedere a un
intervento di terra. L'articolo riportato qui
sotto sostiene questa tesi (anche se, a leggerlo
attentamente, non la formula mai a chiare
lettere e si contraddice svariate volte). La
nostra opinione e' che tali ipotesi
"decisionistiche" servano a coprire a posteriori
l'enorme imbarazzo in cui si e' trovata la NATO
durante tutto il corso della guerra contro la
Jugoslavia e siano poco reali, o comunque
debbano essere lette piu' come mossa disperata
di fronte alle eccezionali difficolta'
incontrate che come esito lineare di una
strategia militare pianificata in anticipo.
L'articolo di Erlanger, al di la' di queste
osservazioni, contiene molte informazioni e
interpretazioni utili. Domani pubblicheremo una
seconda e piu' breve parte con i nostri commenti
- a.f.]
MENTRE MILOSEVIC NON CEDEVA SUL KOSOVO, LA NATO
SI STAVA MUOVENDO VERSO UN'INVASIONE
di Steve Erlanger - ("New York Times", 7
novembre 1999)
BELGRADO, Jugoslavia - Ai primi di giugno, il
primo ministro britannico Tony Blair, il piu'
esplicito sostenitore di un'invasione di terra
del Kosovo, aveva ordinato la preparazione di
30.000 lettere per richiamare i riservisti
dell'esercito britannico. Scritte e messe in una
busta con indirizzo, erano pronte per essere
spedite e rendere cosi' possibile l'impiego di
50.000 soldati britannici - meta' degli
effettivi di cui dispone l'esercito - per
entrare in Kosovo.
A Washington, il presidente Clinton, con enorme
riluttanza, stava per dare la propria
approvazione ai preparativi per un'invasione di
terra del Kosovo, che avrebbe visto il
coinvolgimento di ben 120.000 soldati americani -
nonostante il suo impegno, dato in un discorso
televisivo trasmesso il primo giorno della
guerra, il 24 marzo, a non intervenire via
terra, con le chiare parole: "io non intendo
dispiegare nostre truppe in Kosovo per
combattere una guerra".
Se si deve giudicare da interviste condotte con
alti funzionari di sette governi - Stati Uniti,
Gran Bretagna, Germania, Italia, Francia,
Finlandia e Jugoslavia - gli Stati Uniti sono
giunti molto piu' vicini a una guerra di terra
in Europa di quanto generalmente non si ritenga.
Il 2 giugno, il giorno prima che il presidente
jugoslavo Slobodan Milosevic decidesse di
accettare i termini della NATO per porre fine al
conflitto, il consigliere per la sicurezza
nazionale Sandy Berger ha convocato una lunga
riunione dei piu' alti responsabili della
sicurezza nazionale dell'amministrazione
Clinton. Nel corso della riunione, tra le altre
cose, si e' discusso nei dettagli come la NATO
avrebbe potuto vincere la guerra.
Quasi contemporaneamente, l'ex primo ministro
russo Viktor Cernomyrdin e il presidente
finlandese Martti Ahtisaari si trovavano a
Belgrado, esponendo a Milosevic le condizioni
della NATO, ma pochi a Washington si attendevano
che Milosevic le accogliesse. Cernomyrdin,
insoddisfatto dalle condizioni poste, aveva
quasi rifiutato di recarsi a Belgrado, ma ha
infine presenziato ascoltando Ahtisaari che
spiegava a Milosevic come la NATO avrebbe
colpito ancora piu' duramente le citta'
dall'aria, distruggendo i suoi ponti e le sue
centrali elettriche, e come essa, se necessario,
sarebbe stata costretta a invadere il Kosovo.
Due settimane prima, Clinton aveva detto che
"tutte le opzioni sono sul tavolo" e Cernomyrdin
aveva reso chiaro a Milosevic che la Russia, che
aveva fornito a Belgrado informazioni radar
sugli aerei NATO in arrivo, non sarebbe piu'
stata in grado di dare il proprio sostegno,
perfino nel caso di un'invasione di terra.
A Washington, funzionari della Casa Bianca
stavano ancora lavorando duramente alla ricerca
di opzioni di terra che escludessero la proposta
avanzata dal gen. Wesley Clark, il comandante
della NATO, il quale richiedeva un'invasione con
un numero di soldati alleati fino a 175.000.
Tali funzionari discutevano della creazione di
un "corridoio di uscita" limitato per fare
defluire dal Kosovo gli albanesi sfollati
interni, e di "aree protette" per loro
all'interno del Kosovo stesso, dove avrebbero
ricevuto cibo e riparo. Ma gli Stati Maggiori
Congiunti, che comunque non erano favorevoli a
un'invasione, hanno fatto capire con chiarezza
che avrebbero preferito la proposta di Clark
rispetto a qualsiasi altra soluzione che avrebbe
impegnato troppo pochi soldati americani per un
obiettivo eccessivamente limitato. E i
funzionari sapevano, secondo quanto raccontano,
che Clinton aveva solo alcuni giorni per
autorizzare i preparativi per un'invasione se
voleva riuscire a convincere in qualche modo la
NATO, un Pentagono riluttante e un Congresso
scettico, e a mettere in atto tale intervento
prima dell'inverno, dando ai profughi una
possibilita' di tornare a casa. L'idea che la
guerra avrebbe potuto trascinarsi fino alla
primavera - con Milosevic duramente colpito, ma
ancora in possesso della presa sul Kosovo,
850.000 profughi ancora nei campi e l'alleanza
NATO logorata o addirittura spaccata - "era
troppo orribile per poterci solo pensare", ha
detto un alto funzionario.
I britannici ritenevano che avrebbero avuto
bisogno di ben quattro mesi - 120 giorni - per
prepararsi a un'invasione, motivo per cui le
lettere di richiamo erano quasi state spedite.
Gli americani pensavano di avere bisogno di meno
di 90 giorni - ma le loro scadenze sono state
brutalmente dilazionate quando all'improvviso si
sono resi conto che, senza significativi lavori
per la costruzione di nuove strade, i grossi
carri armati americani M1 Abrams, non sarebbero
riusciti ad affrontare l'unica strada che
collega l'Albania al Kosovo. Clark, le cui
truppe stavano gia' ricostruendo la strada da
Tirana a Kukes, in Albania, in preparazione per
una possibile invasione, avrebbe voluto una
decisione entro il 1 giugno, e pensava che
comunque il 10 giugno fosse la scadenza
assolutamente ultima se si voleva cominciare
un'invasione in settembre. L'ambasciatore di
Clinton presso la NATO, Alexander Vershbow, un
ex funzionario del Consiglio di Sicurezza
Nazionale, si era convinto per la prima volta di
potere riuscire a rifilare una guerra di terra
all'alleanza, nonostante la contrarieta' di
Germania, Italia e Grecia, ma avrebbe avuto
bisogno di cinque o sei giorni per riuscirci.
La riunione dei funzionari e' terminata con
l'intesa comune sul fatto che dei tre obiettivi
americani per la guerra - vittoria della NATO,
mantenere l'alleanza coesa e conservare il
coinvolgimento della Russia - la vittoria era
diventato l'unico obiettivo fondamentale, anche
a costo di spaccare l'alleanza e di interrompere
la collaborazione della Russia con l'Occidente.
Fino a quel momento non era pronto ancora alcun
documento che Clinton dovesse firmare, ma
l'unico piano sul tavolo era l'idea di Clark di
un'invasione da parte di 175.000 soldati
attraverso l'Albania, con l'appoggio di alcuni
elicotteri d'assalto dall'Italia ed
eventualmente un finto attacco dal nord, cioe'
dall'Ungheria, per tenere impegnate le forze
jugoslave. "Clinton doveva decidere in un paio
di giorni", ha affermato un alto funzionario,
riferendosi all'approvazione formale da parte
del presidente degli intensi preparativi per una
guerra di terra in settembre. "Non vi era modo
di aggirare la questione".
La Casa Bianca ha annunciato che Clinton si
sarebbe incontrato con gli Stati Maggiori
Congiunti il 3 giugno. Poco prima, il 2 giugno,
Berger aveva incontrato un gruppo di esperti e
di analisti esterni, che avevano criticato
l'amministrazione e insistito per
l'autorizzazione a una guerra di terra. Del
gruppo facevano parte l'ex ambasciatore alle
Nazioni Unite, Jeane Kirkpatrick, due ex
ambasciatori alla NATO, Robert Hunter e William
Taft, un ex comandante della NATO, George
Joulwan, un ex funzionario del Dipartimento di
Stato, Helmut Sonnenfeldt, un funzionario della
RAND Corp., Stephen Larrabee, e due ex
funzionari del Consiglio di Sicurezza Nazionale,
Ivo Daalder e Jeremy Rosner, che avevano aiutato
Clinton a fare approvare dal Senato
l'allargamento della NATO. Berger ha detto loro
di essere convinto che la guerra aerea stava
funzionando - un'opinione non universalmente
condivisa - ma ha aggiunto, "vinceremo",
indipendentemente da cosa sara' necessario fare
per "fare uscire i serbi, fare entrare la NATO e
fare tornare gli albanesi" in Kosovo. Vi erano
"quattro fatti innegabili", ha detto Berger
secondo gli appunti presi dai partecipanti.
"Uno, vinceremo. Punto e a capo. Non c'e'
alternativa. Due, vincere significa quello che
noi abbiamo detto che significa. Tre, la
campagna aerea sta avendo un forte impatto.
Quattro, il presidente ha detto che non esclude
alcuna opzione. Cosi' tornate al punto uno.
Vinceremo". In una successiva discussione,
Berger e' sceso maggiormente nei dettagli: "Non
siamo ancora giunti alla conclusione che la
campagna aerea non funziona. Ma ci stiamo
preparando alla possibilita' essa non dia
risultati". E ha aggiunto che la vittoria
sarebbe stato ottenuta "all'interno della NATO o
al di fuori di essa", aggiungendo: "Un consenso
all'interno della NATO e' prezioso. Ma non e'
una condizione sine qua non. Ci vogliamo muovere
con la NATO, ma la NATO non puo' impedirci di
muoverci". Ha inoltre aggiunto: "Ci sono
svariate opzioni e svariate scadenze per come
applicare la forza, e noi le stiamo prendendo in
esame tutte". Ma nei fatti, affermano
funzionari, c'era un sola opzione in quel
momento, che gli Stati Maggiori avrebbero
sostenuto: l'opzione di Clark, anche se il
Pentagono e il segretario alla difesa William
Cohen non hanno mai gradito per nulla l'idea di
un'invasione di terra.
Un'autorizzazione di Clinton all'invio di decine
di migliaia di altri soldati americani e della
NATO per preparare un'invasione del Kosovo
avrebbe avuto un impatto psicologico su
Milosevic. L'ideale, secondo quanto speravano i
funzionari, sarebbe stato che una tale decisione
avesse portato Milosevic a capitolare senza il
bisogno di inviare tali forze sul campo di
battaglia. Clinton era gia' stato oggetto di
gravi critiche da parte di funzionari NATO e
perfino di un ex generale della NATO, Klaus
Naumann, per quella che avevano definito la
follia strategica di escludere un'invasione di
terra fin dall'inizio della guerra. All'inizio
della campagna dei bombardamenti, le previsioni
degli americani e della NATO erano che Milosevic
avrebbe ceduto dopo soli pochi giorni di
bombardamenti essenzialmente simbolici. Le stime
americane
secondo cui egli non avrebbe resistito per oltre 12 giorni di una campagna
aerea in escalation si sono rivelate ampiamente inaccurate.
Tre settimane dopo la guerra, affermano i funzionari, mentre Milosevic stava
espellendo a decine di migliaia gli albanesi dal Kosovo, le capitali
occidentali erano in preda a un vero e proprio panico, mentre tra Berger e il
segretario di stato Madeleine Albright, la quale pensava che Milosevic avrebbe
ceduto prima, si erano aperte nuove e forti tensioni. Blair si stava
convincendo che un'opzione di terra fosse di importanza vitale e si e' recato
presso la sede generale della NATO a meta' aprile, appena prima del delicato
summit per il cinquantenario dell'alleanza, cosi' come subito dopo di esso, per
discutere tale opzione. Anche se Clinton ha chiesto a Blair, in una
conversazione telefonica, di cessare prima del summit le pressioni fatte
pubblicamente per un'invasione di terra, i due si sono incontrati con alti
funzionari nel corso della riunione, per discutere seriamente un'invasione e
hanno approvato un l'avvio di una relativa attivita' di pianificazione, anche
se non e' chiaro se il presidente degli Stati Maggiori Congiunti, Henry
Shelton, ne fosse stato informato. A Clark e' stato dato dal segretario
generale della NATO, Javer Solana, il tacito assenso a cominciare a discutere
di opzioni di terra. E a quanto si dice, Clinton aveva deciso che una guerra di
terra, se si fosse mai avuta, non sarebbe stato "uno sforzo a meta'", secondo
quanto riferisce un funzionario.
A meta' maggio, Clark ha presentato il suo piano ed e' stato trattato
scetticamente dal Pentagono, che rimaneva ancora contrario all'autorizzazione
dell'uso degli elicotteri Apache sul Kosovo. Tuttavia, viste le pressioni di
Blair su Clinton e l'evidente fallimento della guerra aerea nell'espellere
Milosevic dal Kosovo, Solana e' stato autorizzato a commissionare a Clark un
piano di invasione modificato e dettagliato. Clinton, contemporaneamente, era
costretto a chiedere di nuovo a Blair, in termini energici, di cessare la
campagna pubblica del suo governo per un'opzione di terra. Ma in un'occasione
eloquente, il 18 maggio, Clinton si premurava di sottolineare che "tutte le
opzioni sono sul tavolo" e, alcuni giorni dopo, Clark si trovava a Washington
per esaminare il proprio piano con gli Stati Maggiori. Clinton ha approvato il
dispiegamento di un numero di soldati NATO fino a 45.000 (ivi inclusi 7.500
americani) in Macedonia, che avrebbero dovuto fare parte di una forza NATO di
occupazione del Kosovo se Belgrado avesse capitolato, ma come il nucleo di una
potenziale forza di invasione se non lo avesse fatto.
Esposto nuovamente alle pressioni dei britannici, Clinton ha inviato Cohen a
una riunione segreta con le proprie controparti di Gran Bretagna, Germania,
Francia e Italia. In occasione della riunione, tenutasi a Bonn il 27 maggio, i
ministri hanno deciso che i loro governi avrebbero dovuto decidere se formare
una forza di terra per un'invasione e avrebbero dovuto farlo in tempi
decisamente rapidi.
I vari funzionari, Clark incluso, avevano reagito con enorme sfiducia e
scettiscismo ai chiari segnali che provenivano a inizio maggio da Belgrado,
secondo i quali Milosevic era interessato a discutere un accordo. Nonostante
tutte le affermazioni della NATO secondo cui l'esercito di Milosevic veniva
duramente colpito, i generali della NATO sapevano bene che l'esercito era ben
trincerato e non sarebbe stato possibile espellerlo dal Kosovo con le bombe.
Gli attacchi della NATO, quindi, stavano diventando sempre piu' mirati a
esercitare una pressione politica su Milosevic e il suo regime, con
bombardamenti su obiettivi civili come ponti, strade, impianti di riscaldamento
e centrali elettriche. "Sapevamo che avrebbe dovuto capitolare, prima o poi",
ha detto un alto funzionario occidentale. "L'unica domanda era quando lo
avrebbe fatto. E nessuno si aspettava che avrebbe ceduto presto".
La mattina del 3 giugno, l'accettazione da parte di Milosevic delle condizioni
della NATO ha letteralmente scioccato Washington e Clark, mentre altri hanno
dimostrato grande scetticismo, convinti che Belgrado stesse tentando solamente
di guadagnare tempo e mandare all'aria ogni idea di invasione. Ma alti
funzionari jugoslavi hanno detto che il sostegno russo alle condizioni della
NATO, la prospettiva di attacchi aerei ancora piu' intensi e, cosa forse piu'
importante, la comprensione che un'invasione di terra era imminente, sono stati
sufficienti per Milosevic, che era riuscito a ottenere alcuni importanti
cambiamenti diplomatici nella posizione della NATO. Per lui, infatti, era molto
importante che a sanzionare la pace e a controllare il Kosovo fossero le
Nazioni Unite, e non la NATO; le truppe russe avrebbero fatto parte delle forze
di pace e il Kosovo veniva riconosciuto come parte sovrana della Jugoslavia.
"Per Milosevic era il momento migliore per accettare e salvarsi", ha detto un
funzionario.
"Alla fine, il presidente ha concluso che non poteva rischiare di perdere la
guerra, e si e' pertanto preparato a inviare forze di terra in Kosovo per
assicurare una vittoria della NATO", ha affermato Daalder. "Ma perche' sia lui
che i suoi consulenti sono arrivati a questa conclusione cosi' tardi, nel corso
della guerra? Perche' non hanno preso in considerazione cosa avrebbe potuto
accadere se Milosevic non avesse immediatamente ceduto quando i bombardamenti
sono cominciati? In realta', perche' mai bisognerebbe dare il via a una guerra
se non si e' preparati ad andare fino in fondo?". Daalder, che ora e' uno dei
piu' importanti membri della Brookings Institution, sta lavorando a un libro
sulla crisi del Kosovo insieme a Michael O'Hanlon.
Alcuni hanno sostenuto che il Kosovo ha dimostrato la possibilita' di vincere
una guerra con la sola potenza aerea. Ma Daalder e numerosi funzionari
sostengono che per la psicologia della decisione di Milosevic sia stata di
importanza chiave la prospettiva, in ultimo
reale, di una guerra di terra che egli non
avrebbe potuto vincere e che avrebbe decimato il
suo esercito e la sua polizia, due dei pilastri
sui quali chiaramente si regge il suo regime. E
uno dei grandi problemi della sicurezza dei
Balcani, fino a quando Milosevic rimane al
potere, dicono questi stessi funzionari, rimane
proprio quello del suo esercito e della sua
polizia, che egli e' stato in grado di ritirare
quasi intatti dal Kosovo, proprio perche' la
NATO non e' riuscita a distruggerli dall'aria.
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