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Kosovo: dietro il paravento elettorale (Fwd) [JUGOINFO]




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Date sent:      	Sat, 11 Nov 2000 22:03:18 +0100
Subject:        	[JUGOINFO] Kosovo: dietro il paravento elettorale
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Kosovo : Derrière le paravent électoral
       Georges Berghezan 07/11/2000
       fonte: Le Matin

       LAI Balkans Analyses et dossiers Sous l'occupation de
       l'OTAN


       KOSOVO : DIETRO IL PARAVENTO ELETTORALE

       La giornata più pacifica dalla fine della guerra: è
       così che Bernard Kouchner, amministratore del Kosovo
       in nome dell’ONU, ha descritto le elezioni locali
       tenute il 28 ottobre in questa provincia della Serbia
       occupata da più di 40.000 soldati sotto il comando
       della NATO: Lo scrutinio è stato qualificato come
       “libero e onesto” dall’Organizzazione per la Sicurezza
       e la Cooperazione in Europa, un complimento
       indirizzato a se stessa, poiché ne è stata
       l’organizzatrice.

       Anche se non hanno probabilmente influenzato il
       risultato finale, caratterizzato da una netta vittoria
       della Lega Democratica del Kosovo (LDK), guidata dal
       non-violento Ibrahim Rugova, molte irregolarità sono
       state accertate durante le prime elezioni organizzate
       dopo il ritiro delle forze e dell’amministrazione
       serbe e jugoslave: tentativi di furto di urne e di
       intimidazioni degli elettori, urne spesso non
       sigillate, non rispetto degli orari di chiusura dei
       seggi elettorali all’ingresso dei quali sventolava la
       bandiera di un paese vicino (Albania), etc. Diverse
       violenze sono state rilevate: un ufficio elettorale ha
       ricevuto colpi di arma da fuoco, poliziotti dell’ONU
       sono stati aggrediti e due attentati hanno colpito la
       comunità serba. In totale, il giorno delle elezioni
       sono stati effettuati 26 arresti, un bilancio del
       tutto ordinario per il Kosovo.

       Più significativo ancora, la maggior parte dei membri
       delle minoranze ancora presenti nella provincia hanno
       boicottato le elezioni, a cominciare dai Serbi che
       intendevano protestare contro l’insicurezza e la
       “pulizia etnica” che subiscono dall’arrivo delle
       truppe della NATO. Ma la maggior parte delle altre
       piccole comunità si sono ugualmente astenute dal
       partecipare al voto, come i Turchi che esigono il
       ripristino dei loro diritti culturali aboliti
       dall’amministrazione di Kouchner. Come ha dichiarato
       il nuovo presidente jugoslavo Kostunica, c’è il forte
       timore che le elezioni portino alla “legalizzazione di
       una società mono-etnica”, che non avrebbe nulla da
       invidiare all’era del suo predecessore Milosevic,
       durante la quale i diversi scrutini furono boicottati
       dalla comunità albanese kosovara.

       Quest’ultima è dunque stata la sola a recarsi
       massicciamente alle urne il 28 ottobre e ha dato, per
       circa il 60%, i suoi voti al LDK, partito che ha
       mantenuto delle strutture quasi clandestine durante il
       decennio anteriore all’intervento della NATO e durante
       il quale Rugova è stato eletto due volte, con più del
       99% dei suffragi, “presidente” di un Kosovo di cui
       egli aveva proclamato l’indipendenza. Questa vittoria
       rappresenta soprattutto una sferzante sconfessione per
       i partiti generati dall’Armata di liberazione del
       Kosovo (UCK) la cui strategia della tensione con le
       forze serbe e jugoslave aveva portato ai
       bombardamenti della NATO. Il Partito democratico del
       Kosovo, guidato da Hashim Thaci, già capo dell’UCK,
       non ha raccolto che un quarto dei voti e dovrà
       abbandonare la maggior parte delle amministrazioni
       municipali di cui i suoi uomini si erano impadroniti
       l’anno passato.

       Milizia mafiosa e razzista, l’UCK ha costruito,
       particolarmente grazie alla conquista delle
       amministrazioni locali tollerata da compiacenti
       autorità internazionali, un impero criminale dalle
       molte facce: traffico di carburante, di sigarette, di
       droga e di automobili rubate, prostituzione in Kosovo
       e destinata all’Europa occidentale, racket,
       costruzione senza permessi di migliaia di immobili che
       permettono di riciclare i profitti delle sue
       attività, etc.
       La sconfitta elettorale rischia di indebolire il suo
       potere e il problema principale è quello di sapere se
       si piegherà al verdetto delle urne passando le chiavi
       dei municipi al LDK. Messo sotto pressione da
       Kouchner, Thaci ha riconosciuto a denti stretti la sua
       sconfitta, mentre uno dei suoi principali
       collaboratori gridava al “furto dei voti”.

       La vittoria del LDK illustra ugualmente il cinismo
       della politica degli Stati Uniti nei Balcani. Dopo
       aver classificato, fino all’inizio del 1998, l’UCK fra
       le “organizzazioni terroriste”, la diplomazia
       americana ne ha all’improvviso fatto dei “combattenti
       per la libertà”, arrivando perfino a mettere da parte
       il pacifico Rugova.
       A Rambouillet, qualche settimana prima dei
       bombardamenti, era proprio Thaci che guidava la
       delegazione kosovara albanese e che era l’oggetto
       delle adulazioni della Segretaria di Stato e dei suoi
       collaboratori. E’ vero che le provocazioni dell’UCK
       prima della guerra, e il suo ruolo di agente
       informatore della NATO durante la guerra, hanno
       enormemente favorito la penetrazione degli Stati Uniti
       nella regione. Un anno e mezzo dopo, è nel settore
       americano del Kosovo che i malavitosi dell’UCK operano
       nella maggiore impunità.

       Infine, resta la questione spinosa dello status finale
       del Kosovo. Da parte serba, si chiede l’applicazione
       della risoluzione 1244 dell’ONU, che ha messo fine ai
       bombardamenti e che ha previsto il ritorno di tutti i
       rifugiati e di un numero limitato di personale di
       sicurezza jugoslavo, così come l’autonomia del Kosovo
       nel rispetto della sovranità e dell’integrità della
       Jugoslavia. Questa ultima clausola esclude chiaramente
       l’indipendenza del Kosovo reclamata all’unanimità
       dalla classe politica albanese, mentre le autorità
       internazionali hanno preferito “dimenticare” la
       risoluzione, a carattere obbligatorio, con il pretesto
       che la Jugoslavia era governata da un criminale di
       guerra ricercato dal Tribunale dell’Aja. Allontanato
       Milosevic, non si vede come l’ONU riuscirà a schivare
       i suoi obblighi.
       Ma la messa in opera delle clausole più delicate della
       risoluzione farebbero crescere di colpo le tensioni,
       sprofondando l’Occidente un po’ di più nel vespaio in
       cui si è cacciato.

       Georges Berghezan

(ringraziamo Alessandra per la traduzione)

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