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Jugo: Un "traditore" nella NATO - Libro



Date sent:      	Wed, 02 Aug 2000 10:56:40 +0200
From:           	Coordinamento Romano per la Jugoslavia <crj@sigmasrl.it>
Subject:        	Un "traditore" nella NATO

ANCORA UN LIBRO CHE IN ITALIA NESSUNO RECENSIRA' NE' 
PUBBLICHERA':

Pierre-Henri Bunel, *Crimes de guerre à l’OTAN*, 
Paris, Editions 1, $$$ p., 110 FF, parution juin 2000.


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La seguente INTERVISTA A PIERRE-HENRI BUNEL e' stata 
pubblicata dalla rivista marxista tedesca KONKRET n.8/2000
http://www.infolinks.de/medien/konkret/

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Il maggiore Pierre-Henri Bunel ha prestato servizio dal 1972 al
1999 nell'Esercito francese; e' specialista per il terrorismo
islamico ed e' stato ufficiale per le informazioni per 13 anni.
Bunel ha partecipato alla seconda guerra del Golfo, nel 1995-96 ha
fatto parte del Comando delle truppe di intervento rapido della
NATO in Bosnia-Erzegovina e dal 1996 all'autunno 1998 ha lavorato
nel Quartier Generale della NATO a Bruxelles. All'inizio
dell'ottobre 1998 e' stato arrestato ed incriminato per alto
tradimento: avrebbe trasmesso piani segreti della NATO a Belgrado.
Dopo aver scontato 10 mesi di custodia cautelare e' adesso in
attesa di processo.

D: Quando le e' stato chiaro che la NATO avrebbe attaccato la
Jugoslavia?

R: Nel settembre 1998. Ho incontrato il primo segretario della
missione jugoslava presso la UE, Milanovic, esclusivamente il 23
luglio ed il primo ottobre 1998. Il 23 luglio non era stata ancora
presa nessuna decisione. Ma gli statunitensi gia' lavoravano ai
piani operativi. Solo dopo il mio rientro dalle ferie, nel
settembre, venni a sapere di cosa si trattava. L'ufficiale che da
noi si occupava di questo mi ha detto testualmente: "Gli americani
vogliono bombardare la Jugoslavia a qualsiasi costo" e "ci
troveremo dinanzi ad una nuova catastrofe".

D: Lei ritiene che il governo francese l'abbia usata come "capro
espiatorio"?

R: Si. Il Ministro francese della Difesa disse che le informazioni
che io trasmisi a Milanovic non potevano in nessun modo
compromettere le nostre operazioni ne' mettere in pericolo le
nostre truppe. Purtuttavia mi ha consegnato alla giustizia. Io non
ho operato di mia iniziativa. A Milanovic telefonai dal mio
ufficio. Io credevo che i francesi si sarebbero rapportati con gli
alleati e che il fine della mia trasmissione di informazioni
sarebbe stato quello di indurre Milosevic a ritirare le sue truppe
da Kosovo.

D: A quanto pare gli americani non volevano questo.

R: No! Loro avevano bisogno di Milosevic. Avevano bisogno
quantomeno di ottenere una vittoria su di un dittatore. Con Saddam
Hussein non aveva funzionato. Percio' la macchina da guerra
americana stavolta doveva colpire per costringere Milosevic a
ritirare le sue truppe.

D: Questo pero' e' avvenuto solo il 24 marzo 1999. Tuttavia
nell'ottobre 1998 Milosevic si era mostrato disponibile al ritiro
dal Kosovo. Era un risultato della vostra trasmissione di
informazioni?

R: In ottobre Milanovic ha telefonato varie volte nel mio ufficio
ma senza trovarmi. Dunque sapeva bene che ero stato allontanato
dall'incarico e che cio' che gli avevo trasmesso doveva essere
qualcosa di importante.

D: Dopo il ritiro dell'esercito jugoslavo nella meta' di ottobre
1998 l'UCK ha preso le sue posizioni. Ed alla meta' di gennaio si
e' arrivati al cosiddetto massacro di Racak.

R: Nel caso di Racak si e' trattato, cosi' come nel cosiddetto
massacro di Markale a Sarajevo nell'agosto 1995, di una buona
scusa per bombardare i serbi. Come ex militare io so cos'e' una
strage. Ci hanno fatto vedere le foto di Racak, sulle quali i
cadaveri erano tutti perfettamente allineati. Le ferite non erano
tutte uguali. Se uno fa una strage, di regola le vittime vengono
uccise tutte allo stesso modo, ed hanno le stesse ferite. Percio'
sono giunto alla conclusione che i cadaveri fossero stati riuniti
e messi tutti in fila. 

D: L'ambasciata cinese e' stata bombardata intenzionalmente
durante la guerra?

R: Si! E' stata colpita cinque volte da missili comandati con il
laser, cinque volte! Se fosse stato un unico Tomahawk si sarebbe
potuto credere all'errore, perche' questi non hanno una grande
precisione sul bersaglio. E poi, io durante la guerra del Golfo ho
visto come preparano le loro carte gli americani, e come si
procurano le munizioni. Per Belgrado nel quartiere generale della
NATO ci siamo comportati proprio nella stessa maniera. Percio' io
sapevo dove si trovava l'ambasciata cinese, perche' questa era
inclusa nella lista delle rappresentanze diplomatiche a Belgrado.
Questa lista l'ho avuta dal dipartimento informazioni della NATO.

D: Nel suo libro "Crimini di guerra nella NATO" lei descrive le
differenziazioni all'interno della NATO in Bosnia.

R: Non proprio nel cuore della NATO. I militari americani nel
cuore della NATO non hanno mai giocato storto. Molto piu'
problematico e' stato il rapporto di tutti, all'interno della
NATO, con la CIA.

D: Come si evidenziava questo?

R: Ad esempio nell'affare del campo terrorista musulmano a
Pogorelica: la nostra operazione contro il campo e' stata tradita.
Qualcuno ne deve avere fatto menzione.  Dopodiche' abbiamo
condotto una indagine, per trovare il "punto debole" al nostro
interno. E pur senza poterlo dire con estrema sicurezza, tutto ci
indirizzava sul servizio segreto statunitense.

D: Lei non parla di crimini di guerra "della" bensi' "nella" NATO.
Quale sarebbe la differenza?

R: Dal 1989 nei Balcani abbiamo fatto grossi errori. Innanzitutto
abbiamo tollerato Milosevic. Poi - e di questo responsabile e' la
Germania - si e' sancita la frantumazione della Jugoslavia,
riconoscendo Slovenia e Croazia. Il cancelliere federale Kohl a
quel tempo persegui' una nuova "Ostpolitik". Percio' io parlo di
crimini di guerra "nella" NATO, e non di crimini di guerra "della"
NATO. La NATO e' solo una organizzazione con funzionari civili e
militari. Quelli che hanno commesso crimini di guerra sono i
responsabili nei governi.

(trad. a cura del CRJ; distributed without permission, for fair
use only)

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           http://www.albaniannews.com (Click on Full Edition;
           click on Friday, July 28, 2000) Albanian Daily News
           July 28, 2000



           French Officer Says NATO Deliberately Bombed China
           Embassy


           VIENNA - A former French intelligence officer who
           served at the headquarters of the North Atlantic
           Treaty Organization (NATO) forces during the Kosovo
           crisis said in an interview with a German magazine that
           the NATO bombing of the Chinese Embassy in Belgrade in
           May 1999 was done on purpose.

           Maj. Pierre Bunel, who is facing trial for leaking
           intelligence material to Yugoslavia while working at
           the NATO headquarters, told the German monthly Konkret
           that he had seen a NATO intelligence list of diplomatic
           missions in Belgrade showing the correct location of
           China’s embassy.

           The United States, which carried out the bombing
           mission, has called the attack a mistake, saying the
           U.S. Central Intelligence Agency selected the bombing
           target using an outdated map that did not show the
           embassy on the site bombed by U.S. warplanes.

           According to Bunel, preparations for the NATO bombing
           operation had been completed by the fall of 1998 and
           NATO chose the targets and prepared the ammunition
           based on U.S.-supplied maps.

           “I know where the Chinese Embassy was located because
           it was on...the list I got from the intelligence
           department of NATO,” Bunel told Konkret. The magazine
           will be on sale Friday.

           “The embassy was hit by five laser-guided rockets,
           five! If it had been a single Tomahawk (cruise
           missile), you could have believed it was a mistake,” he
           said.

           Bunel was arrested in October 1998 for passing secret
           NATO maps to Belgrade. He was released on bail in
           September last year pending trial on charges on high
           treason. (Kyodo news agency)

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SUJET

La confession d’un "traître", ou l’OTAN vue du dedans.

RESUME

Arrêté en automne 1998 sous l’acccusation d’avoir livré aux Serbes
le plan des "frappes" de l’OTAN contre la RF de Yougoslavie, le
commandant Bunel, s’estimant victime d’une accusation injuste, a
choisi de s’expliquer publiquement avant son procès. Son livre
nous apprend qu’au sein de l’armada démocratique, le crime de
guerre est un procédé ordinaire et admis, et que la manipulation
des faits, omniprésente, n’épargne même pas les manipulateurs.

CRITIQUE

Ah! comme le Pacte de Varsovie eût été aimable sans l’URSS!
Hypothèse absurde, évidemment, mais non moins absurde que de faire
croire, aujourd’hui, à une fronde antiaméricaine au sein de
l’OTAN. C’est pourtant l’argument que le commandant Bunel a choisi
pour fonder sa défense dans un livre  qui laisse une impression
équivoque. Oui, explique-t-il, il a bien livré des documents aux
Serbes. Mais d’abord, ces documents n’étaient ni très secrets, ni
dangereux. Et ensuite, il ne l’a pas fait parce qu’il était
proserbe, mais pour servir l’OTAN. Enfin, s’il a été dénoncé à
tort, c’est qu’il s’est mis en travers du chemin d’un mastodonte :
les Etats-Unis, qui tiennent l’OTAN elle-même en esclavage.

A l’heure où Astérix renaît sous les traits de José Bové, un tel
scénario touchera le public. Certains Européens exaspérés
trouveront un soulagement dans cet ouvrage où les Américains
apparaissent le plus souvent balourds, fats, superstitieusement
technocrates, impérialement bureaucrates, maladivement suspicieux,
très lâches et passablement puérils. Sous l’impulsion de ces
gens-là, nous explique Bunel, c’est tout l’art de la guerre
européen qui sombre de conserve avec les souverainetés et les
cultures nationales. Leur devise: zéro mort. (côté U.S., bien
entendu). Leurs armes: des canons contre des lièvres. Leur
diplomatie: mentir, bombarder, puis mentir et mentir encore. Leurs
mobiles: l’argent et la domination. Leur outil: l’OTAN, alliance
dont ils ont dénaturé la finalité et qu’ils ont retournée contre
elle-même, c’est-à-dire contre l’Europe.

Bunel livre une relation subtile et bien documentée des
dissensions intestines concernant le problème islamiste en Bosnie,
Français et Britanniques s’efforçant d’extirper la peste
fondamentaliste-terroriste face à une administration

américaine qui, elle, s’ingénie à la couvrir. Il détaille ainsi
l’opération "Grouse", sommet des audaces européennes, qui permit
de démanteler un camp d’entraînement islamiste en Bosnie, créant
quelque mauvaise presse au gouvernement de Sarajevo, mais qui
n’eut finalement qu’un impact anecdotique. Au terme de la première
partie de son livre, consacrée au problème bosniaque, Bunel
assassine à la fois les accords de Dayton et le rôle que les pays
Occidentaux jouent dans ce pays:

"Il faut se souvenir que, pour beaucoup [de Bosniaques, quels
qu’ils soient], les accords de Dayton n’ont pas plus de valeur que
l’armistice de 1940 pour les patriotes français qui ont résisté
pendant l’occupation nazie." (p. 162)

Et le baroudeur du renseignement de conclure, désenchanté:

"J’avais touché du doigt ,une fois de plus, les incohérences des
dirigeants des grands pays, causes des malheurs des peuples sur le
destin desquels ils interviennent sans qu’on leur ait rien
demandé."

Mais c’est dans la seconde partie seulement que l’ouvrage justifie
son titre. En comparaison de l’agression qui se trame contre la
Serbie, l’époque de Dayton paraît un modèle de fair-play. En 1998,
escomptant la minable publicité d’un "Dayton bis" à domicile, la
France se poste en tête de la meute antiserbe et, pour prouver sa
loyauté, sacrifie publiquement son "traître à l’OTAN". Elle
obtiendra Rambouillet, où le sordide guet-apens des "accords de
paix" falsifiés par Mme Albright et ses complices viendra ternir
devant l’histoire l’un des noms emblématiques de la civilisation
française. La suite sera, selon Bunel, la seule chose que l’OTAN
ait été entraînée à faire: une "opération de guerre totale" (p.
198), préméditée dans le détail au moins depuis 1997, dans un
climat frénétique:

"Délibérément, les gouvernements des pays de l’OTAN acceptaient
l’augure de frappes massives et sans nuances sur tout un pays,
pour essayer de faire plier son dirigeant honni. Une sorte
d’hystérie colorait les propos des participants aux réunions
civiles et militaires lorsqu’ils parlaient des "Serbes".
Manifestement, ils perdaient de vue que s’ils devaient faire
"jouer l’opération", ils feraient frapper des civils, dont
beaucoup ne seraient pas serbes, et que, parmi les Serbes, tous ne
soutenaient pas Milosevic." (p. 198)

Le crime de guerre est sciemment intégré au programme:

"les plans prévoyaient de commencer par détruire toutes les infrastructures
civiles stratégiques du pays, avant de s’attaquer ensuite aux forces 
militaires" (ibid.).

Quant aux mobiles réels de l’agression, Bunel avance une
explication stupéfiante de cynisme: pour être en règle avec les
accords START signés avec les Russes,

"il fallait démanteler, entre autres types d’équipement, un
certain nombre de missiles de croisière Tomahawk (...) Mais
démonter des missiles de croisière déjà payés sur les budgets
antérieurs est une dépense réellement stupide. Il vaut mieux les
tirer. Cela fait un exercice pour les militaires et ne coûte plus
rien au budget." (p. 184) (1)

D’où, sans doute, les salves tirées sans rime ni raison contre la
Somalie et l’Afghanistan en été 1998 et la hâte des Américains,
cette année-là, à bombarder le premier venu. Deux cibles sont
toujours à disposition: l’Irak et la Serbie. Cette dernière fait
l’objet d’un chantage. Bunel mène alors son opération fatale pour
tenter de persuader Belgrade que l’affaire est sérieuse. Par son
mérite ou non, Belgrade s’en tire in extremis en retirant ses
forces spéciales du Kosovo. On est en octobre 1998. La Serbie a
obtenu un sursis capital de cinq mois d’hiver. L’Irak essuiera à
sa place des mois de bombardements meurtriers, injustifiés, si
quotidiens que les médias ne les relèveront même plus. Mais le
Tomahawk, ce n’est pas le pire. Parmi les innombrables moyens
mobilisés pour tuer sans coup férir un petit Etat ruiné, les
"monstrueuses bombes à fragmentation", parade hypocrite au traité
d’interdiction des mines antipersonnelles:

"...seules les munitions posées par voie terrestre étaient
concernées par le traité d’Ottawa, et étaient donc désormais
interdites. Les bombes à sous-munitions restaient autorisées. Bel
exemple de morale politique: une cluster bomb coûte le prix d’une
"Clio" Renault, il faut pouvoir se la payer (...) Avec cet accord,
les pays riches ont donc désarmé les pays pauvres, mais restent
libres de continuer à assassiner hardiment." (p. 191)

Quelque 1400 de ces containers à mines seront déversés en
Yougoslavie: ils ont "pour objectif de "polluer" le terrain". Les
soldats de l’OTAN l’apprendront à leurs dépens au Kosovo, où
l’arjmée serbe leur a livré son plan de minage, tandis que les
mini-bombes de l’OTAN, dispersées au hasard, continuent à tuer
chaque jour... pour une fois, sans distinction ethnique.

La plupart des crimes exposés dans "Crimes de guerre à l’OTAN"
étaient notoires. Mais de par leur énormité même, ils échappaient
à l’entendement du public. Une famille obsédée par la bienséance
peine à croire que son rejeton premier de classe est un violeur et
un malfrat. C’est aussi à cause d’un préjugé moral de ce genre, et
non uniquement par devoir professionnel, que le procureur du TPI,
la Suissesse Carla del Ponte, persiste à nier la qualification
juridique évidente des agissements de l’OTAN. 
Admettre ces faits, c’est précipiter

l’effondrement d’un modèle de société prospère fondé sur
l’alliance de l’exploitation et de la bonne conscience. C’est le
mérite de Pierre-Henri Bunel d’avoir, le premier, crié de
l’intérieur du palais que le roi est nu. Mais sa clairvoyance même
nous inspire le malaise: s’il était conscient de servir une
alliance perçue comme une force d’occupation, aux agissements
contraires à l’intérêt des pays  qui la financent, qui a intégré
le crime de guerre à sa stratégie ordinaire, et qui est manipulée
par des extraterrestres assoiffés de domination, pourquoi
clame-t-il sa loyauté vis-à-vis de l’OTAN? Pour un officier
français, ou pour n’importe quel homme d’honneur, trahir le
monstre qu'il décrit était le seul moyen de ne pas trahir
l’élémentaire morale humaine. Bunel le sait, mais le moyen dont il
use pour occulter ce dilemme moral n’est pas élégant. En défendant
l’OTAN contre elle-même et gonflant artificiellement un "ennemi"
d’outre-Atlantique, il n’est pas sincère.. Dans son livre, où
chaque accusation contre l’OTAN est motivée, il relaie des
méchancetés médiatiques gratuites contre les responsables serbes.
A plusieurs reprises, il loue la distanciation de la politique
chiraquienne vis-à-vis des penchants traditionnels de la France,
selon lui encore valables sous Mitterrand (vraiment?), au profit
d’un alignement sur les volontés américaines. Pour ne pas dire du
bien du peuple banni, Bunel force le trait contre l’autre camp,
mais, soucieux de ménager les susceptibilités françaises, il
inscrit le gros de l’addition au compte des Américains (rappelons
que son éditeur est lié à Hachette, donc à Matra, donc au pouvoir). 
Il sait pourtant que l’OTAN est désormais un organisme analogue 
au pacte de Varsovie: il n’y a qu’un grand maître, mais la chaîne 
des responsabilités irrigue sans rupture les nomenklaturas 
consentantes des pays affiliés.

Il est tragique que, dans le climat actuel, un témoin aussi
crucial doive se censurer pour ne pas nuire à la portée de son
témoignage. Gageons qu’après son procès, lorsque la désillusion ou
la catastrophe aura ouvert les yeux d’un grand nombre de ses
concitoyens, le commandant Bunel criera son attachement aux
valeurs humaines universelles plutôt qu’aux consignes de service
d’une organisation déshonorée.

-SLOBODAN DESPOT

A LIRE

Pierre-Henri Bunel, *Crimes de guerre à l’OTAN*, Paris, Editions
1, $$$ p., 110 FF, parution juin 2000.

NOTE

(1) Cette explication est corroborée par un témoignage de première
main: début 1999, l’attaché militaire américain à Belgrade avait confié 
à un éminent historien que son pays cherchait un prétexte quelconque à
l’agression pour pouvoir tirer ses missiles périmés. L’officier en
était désolé, car il sympathisait avec la nation serbe.

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Subject:       Urgent: Interview with a Nato-"traitor"
  Date:        Sun, 16 Jul 2000 13:43:28 +0200
  From:        J.Elsasser@t-online.de (Juergen Elsaesser)

Look at my website:
www.juergen-elsaesser.de


Dear friends,

in the August issue of KONKRET we print an interview that might
interest you: With Commandant Pierre Henri Bunel, french liaison
officer in the Nato-Headquarter in Brussels from 1996 until
October 1998. Then he was arrested because he handed over top
secret military documents including attack plans against
Yugoslavia to the yugoslav embassy. Fifteeen years of jail are
waiting for him...

In the interview he says that he already in fall 1998 was informed
about the Nato-plans to attack Yugoslavia. Also he assures that
the destroying of the chinese embassy in Belgrad was not a
mistake, but was intended. He thinks so because in the
Nato-Headquarter they had - and even he himself had - accurate
plans of Belgrade which showed the location of the embassy
correctly.  

In other parts of the interview he talks about the CIA-support for
the bosnian Muslims (he was in the headquarter of the Rapid
Deployment Force in Bosnia from 1994 till 1996).

Don't you think, this is hot stuff for your newspaper/magazine?
Wouldn't it be interesting for you to translate and print it?

KONKRET comes out at 29th of July - but you could get it already
on Monday the 17th of July, if you like. So you have enough time
to check it, and we'll easily agree about the conditions of
reprinting.


Please remail me, if you are interested.

Thank you very much,
your sincerely

J.E.


 --------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
                 RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU 
    e-mail: crj@sigmasrl.it - URL: http://marx2001.org/crj
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