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Sent: Friday, January 02, 2009 8:10
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Subject: «Vivo con i malati terminali Su
Eluana dico: fermiamoci»
«Vivo con i malati
terminali Su Eluana dico: fermiamoci»
La specialista che ha accompagnato centinaia di pazienti
oncologici nelle loro ultime settimane di
vita: «La volontà espressa quando si è sani immancabilmente muta
quando si è malati» www.avvenire.it
DA
MILANO - LUCIA BELLASPIGA
« Come medico ho il dovere di dire che
il quadro clinico della paziente è assolutamente incompleto,
basato su informazioni contrastanti e insufficienti. Nessun medico con
una situazione tanto lacunosa prenderebbe mai alcuna decisione, prima
appurerebbe tutta una serie di cose». Carla Ripamonti, oncologa,
responsabile della Terapia del dolore e delle cure palliative
all’Istituto dei Tumori di Milano, è una degli oltre 300 medici che hanno
già aderito all’appello per Eluana.
Un motivo strettamente scientifico il
suo, dunque?
Tengo
a precisare che parlo appunto da scienziata e da laica: la
situazione reale di questa paziente non è stata approfondita come si
dovrebbe, molti quesiti restano ancora senza risposta, vedi ad
esempio questo ultimo dato sulla deglutizione, che se verificato sarebbe
fondamentale. Qui mi trovo di fronte a una paziente che apre gli occhi di
giorno e li chiude quando è notte, che da due anni ha ripreso il suo
ciclo mestruale, che ha un fisico molto sano e forte, respira senza alcun
ausilio, assimila il cibo e ora leggo che forse potrebbe anche deglutire
se riabilitata a farlo... Un quadro del genere già deve far
riflettere qualsiasi giudice autorizzi addirittura la
sospensione dell’alimentazione. Che elementi ha un magistrato, se nemmeno
a noi la situazione è chiara? Quello che manca è un bollettino
medico ufficiale: cuore, polmoni, polso, stato della
deglutizione, tutto. A impedirlo non è certo la privacy, visto
che da anni la storia di Eluana è su tutti i media ed è uscito anche un
libro.
Si moltiplicano le adesioni dei
suoi colleghi all’appello. Perché? Che cosa avrebbe da perdere la scienza
medica dalla drammatica morte di Eluana?
Da questa vicenda per il momento il mondo
medico desume questo: che a tutt’oggi in Italia per tentare di sospendere
l’alimentazione e l’idratazione è necessario affidarsi a una clinica
privata e lontano dalla città in cui il paziente vive ed è curato.
Significa che c’è una fortissima nonconcordanza su ciò che bisogna
fare... Se si arrivasse davvero a far morire Eluana, però, il caos
sarebbe ancora più grave, non tanto nel mio àmbito (il cancro uccide da
solo!), ma in neurologia, tra i malati di Sla o le
migliaia di persone per anni in stato vegetativo: l’effetto
emulazione potrebbe spingere altri parenti a chiedere a loro volta la
morte del paziente, dando corso a nuovi processi e a sentenze da parte di
giudici poco esperti di cose
mediche.
Da 25 anni lei lavora nelle cure palliative, dunque ha
affiancato centinaia di malati terminali nelle loro ultime settimane di
vita. Che cosa le suggerisce la sua lunga
esperienza?
Di
Eluana si è detto che da ragazzina aveva espresso il desiderio di
morire piuttosto che restare in uno stato vegetativo. Io vivo nel
mondo dei malati di cancro e testimonio senza alcun dubbio ciò che riviste
prestigiose come Lancet, New England o
American Journal of Psychiatry hanno
ampiamente dimostrato, e cioè che quando la persona è sana
pensa determinate cose, ma quando diventa
un paziente le idee cambiano perché le priorità nel malato si
trasformano. Insieme alla sua malattia, si modifica anche il paziente e
le sue esigenze non sono quelle di quando era sano. Nessuno scienziato sa
nulla della coscienza di Eluana o delle sue sensazioni... quanto sappiamo
che lei ad esempio non si senta amata e protetta dalle cure continue delle
suore di Lecco? C’è un momento in cui la scienza non è più scienza e non
sa più nulla.
Il malato terminale oncologico a volte chiede di
morire?
Chiede di
non soffrire, ma mai in 25 anni - con un’unica eccezione - nessuno mi ha
chiesto di accelerare la fine. Nemmeno chi prima si dichiarava pro
eutanasia: le direttive date da sani, se non sono revisionate di
evento in evento, quasi 'in diretta', non hanno validità, io lo vedo
tutti i giorni. Ho studiato la frequenza del suicidio tra i malati
oncologici: se sono seguiti come si deve, a domicilio, con tutte le cure,
la percentuale precipita a 5 casi su 17mila. Io sarò disposta a discutere
di eutanasia solo quando tutta Italia avrà
l’assistenza domiciliare, le terapie palliative, la cura del dolore
inteso come sofferenza totale dal momento iniziale della diagnosi fino a
quello finale. Ma finché l’eutanasia è la risposta più economica
dello Stato e la scorciatoia di una società che non vuole farsi carico dei più
deboli, io non ci sto.
Sono più spesso i
parenti a chiedere una fine più rapida e pietosa,
forse?
Càpita
soprattutto quando nel malato vien meno la capacità di comunicare:
per il parente è la sofferenza meno tollerabile e pur di non vederlo così
chiede di accelerarne la morte. Penso a Beppino Englaro, un uomo che
ama immensamente Eluana: si è trovato un macigno, una figlia che
improvvisamente non ha più comunicato con lui, e questo nelle
relazioni familiari è lo stress più devastante. Capisco cosa prova
questo padre: per lui Eluana non 'esiste' più da anni, col fatto che non parla
e non ascolta per lui è morta. Englaro è una figura estremamente
sofferente, estremamente da comprendere e da rispettare, soprattutto da tenere
fuori dal giro dei media, un uomo che sta soffrendo in modo
inimmaginabile e che cerca una cosa di cui forse potrebbe pentirsi tre
mesi dopo. Lui la chiama la 'libertà' di Eluana, e non immagina che magari per
la nuova Eluana libertà è solo essere accudita e amata come lo è
oggi».
Ripamonti,
responsabile cure palliative all’Istituto dei tumori di Milano: «Quadro
clinico incompleto, informazioni contrastanti. Per questo come medico aderisco
all’appello». Beppino Englaro?
«Soffre immensamente. Va
rispettato»
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