Conosco personalmente Madre Teresa di Calcutta da
quasi 25 anni. La prima volta l'ho conosciuta nel 1964 proprio a Calcutta,
quando ancora pochi parlavano di lei. Era nella sua « Casa per i morenti
abbandonati», vicino al tempio della dea Kalì (che simboleggia morte e
distruzione), dove raccoglieva con le sue suore i poveri in fin di vita che
trovava sui marciapiedi della metropoli, soli, abbandonati da tutti. « Qui
possono fare una morte da uomini», mi aveva detto, « sentirsi amati da qualcuno
». Poi l'ho rivista molte volte in Italia e ancora in India. Di lei voglio
raccontare un episodio successo in Italia, qui a Milano, quando Madre Teresa
venne nel 1977. Eravamo alla fine di aprile e una sera (era già buio) l'abbiamo
portata in giro per il parco di Milano, presso l'Arco della Pace. Era con noi un
padre carmelitano della chiesa del Corpus Domini che s'interessava dei poveri e
voleva far conoscere alla Madre alcuni suoi amici. Nel parco abbiamo
incontrato un barbone disteso su una panchina e avvolto in un soprabito di lana
e in una coperta. Il carmelitano lo tocca e gli dice: « Carletto, ti ho portato
un regalo, Madre Teresa. Te l'avevo detto stamattina che sarebbe venuta a
trovarti». Madre Teresa gli porge la mano e gli dice una frase in inglese. Il
vecchietto si drizza a sedere e dice: «Ueila, mi capisi no...» Allora traduco
cosa ha detto la Madre: «Dio è il tuo migliore amico. Lui non ti abbandona».
Perché Madre Teresa parla così: frasi brevi, che vanno all'essenziale. L'uomo
ci pensa un po', si alza in piedi e poi dice sempre in milanese: «Ha proprio
ragione. Sono convinto anch'io. Dio è l'unico che mi vuol bene. Mi hanno
abbandonato tutti, ma Dio no». Poi si presenta dando la mano a Madre Teresa:
«Permetta che mi presenti, sono il Carletto, qui al parco mi conoscono tutti».
Sempre in milanese, naturalmente. La Madre dice ancora qualche frase, poi tira
fuori una caramella dal suo sari e la porge al Carletto, il quale la scarta e la
mangia lì sul momento. Più tardi, Madre Teresa commenta: «Vedete, i poveri
sono sereni come bambini, sanno godere anche delle piccole cose come una
caramella. Questi uomini sono uguali dappertutto, a Calcutta come a Milano, a
New York come a Londra. Comunicano il sorriso e la tenerezza. lo vorrei chiedere
a uno di questi ricchi che abitano nei palazzi vicini di dormire una notte su
una panchina del parco e poi vedere se hanno ancora la forza morale di
continuare a vivere con gioia. Eppure ci sono uomini che dormono su una panchina
come nel palazzo del re ». Beh, non voglio certo dire che dobbiamo diventare
tutti dei barboni. La povertà può essere disumana e può anche essere una colpa.
Ma il saper accontentarsi con poco è una dimensione essenziale dell'uomo, a cui
dobbiamo tornare, perché non è l'abbondanza delle cose materiali che dà la
felicità. Un economista americano, Kenneth Galbraith, ha scritto:
«L'americano medio consuma almeno tre volte tanto quello che gli è necessario
per una vita pienamente dignitosa e umana. Il di più che consuma lo rende meno
uomo, poiché la troppa abbondanza rende meno uomini allo stesso modo della
troppa miseria». Impariamo ad apprezzare l'austerità di vita. Genitori,
educate i vostri figli a fare a meno di tante cose superflue. Non date loro con
facilità tutto quello che chiedono, perché li rendete infelici. lo ho girato il
mondo e ho visto tanti popoli che ai miei occhi erano veramente poveri, ma
avevano l'essenziale: ebbene, debbo dire che ho trovato in essi più gioia di
vivere di quanta ne ritrovo tra noi, quando torno in Italia. Lasciatemi
chiudere con una frase del Vangelo: «Disse Gesù ai suoi discepoli: In verità vi
dico: un ricco difficilmente entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più
facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che un ricco nel regno di
Dio» (Matt. 19, 23-24).
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