Droga e disagio giovanile



DROGA E DISAGIO GIOVANILE

Il problema delle tossicodipendenze non è una questione di ordine pubblico,
benché come tale venga considerata, rinunciando ad un'analisi razionale del
fenomeno e ad una rigorosa prassi politico-sociale, per abdicare a favore
dell'azione poliziesca e invocare una crescente militarizzazione del
territorio. Tale scelta politica, non solo non ha mai eliminato o dissuaso
determinati atteggiamenti ritenuti "devianti", ma al contrario li ha
ulteriormente aggravati.
E' indubbio che alcune sostanze, come le cosiddette "droghe pesanti", siano
letali, per cui chi ne abusa rischia la morte; ma è altrettanto certo che
la pericolosità di simili droghe, in quanto proibite, anzi proprio perché
proibite, venga notevolmente amplificata.
Del resto, qualsiasi comportamento sociale che produca effetti  nocivi per
la salute psicofisica delle persone (si pensi anche all'abuso di
superalcolici, al consumo eccessivo di nicotina o all'assunzione abituale
di psicofarmaci), nella misura in cui venga ridotto ad oggetto di ordine
pubblico, perché vietato e perseguito penalmente, potrebbe far salire il
livello della tensione sociale, degenerando in atti criminali condannati
alla clandestinità e alla disapprovazione sociale e determinando una
crescente spirale di violenza.
Il problema delle tossicodipendenze non si può più fronteggiare usando la
forza pubblica, o attuando progetti di segregazione sociale, come avviene
in alcune "comunità". Al contrario si deve prendere coscienza della reale
natura del problema, dissimulata sotto una veste deformata dalle reazioni
più irrazionali messe in moto dal sistema vigente. Bisogna rendersi conto
della pericolosità sociale delle risposte repressive ed alienanti scatenate
dal regime proibizionista, ormai fallito.
Pertanto, sgombrando il campo da ogni luogo comune - come la  tesi che
equipara le "droghe leggere" a quelle "pesanti"- , il problema delle
tossicodipendenze appare per quello che in effetti è: una questione di
carattere socio-culturale ed educativo, da un lato, ed una grave emergenza
sanitaria, dall'altro. Pertanto, credo che si debba perseguire una duplice
finalità:
- avviare una campagna di sensibilizzazione, di prevenzione e di
controinformazione politica, per abbattere lo stato di ignoranza che genera
pregiudizi, paure ed eccessi di allarmismo sociale;
 - intraprendere una serie di azioni per mettere il territorio in
condizione di fronteggiare l'emergenza sanitaria, che presuppone quantomeno
l'esistenza di un presidio di pronto intervento, il che comporta un
rilancio della sanità pubblica di fronte al degrado esistente.
Questo articolo non prescrive alcuna soluzione, ma si propone di suscitare
un serio dibattito a partire dall'innegabile realtà del disagio giovanile,
che richiede nuovi e più incisivi strumenti di indagine e di prassi
politico-sociale, finora mai concepiti, e tantomeno messi in opera.
La questione del disagio giovanile è da tempo oggetto di un'ampia rassegna
di studi, di analisi e di ricerche, e malgrado ciò non si conoscono ancora
risposte efficaci, mentre l'universo giovanile continua a manifestare aspre
e dure contraddizioni, a cominciare dall'emergenza di nuove forme di
tossicodipendenza e di devianza troppo spesso sottovalutate.
Preciso subito che, rispetto al tema del disagio esistenziale dei giovani
(benché occorra ammettere che il disagio non è una condizione
esclusivamente giovanile in senso strettamente anagrafico, ma appartiene
purtroppo anche ad altre categorie di persone, come ad esempio gli
anziani), si dovrebbero tener presenti alcune nozioni che non sono affatto
ovvie né superflue.
E' noto che il fenomeno del "disagio" o, per meglio dire, della
"disobbedienza", della "trasgressione", costituisce una caratteristica
fisiologica, quindi ineludibile ed inscindibile, dell'esistenza giovanile,
in modo specifico della fase adolescenziale.
Infatti, gli psicologi fanno riferimento alla tappa evolutiva della
pubertà, descrivendola come "età della disobbedienza", in quanto momento
assai importante e delicato per lo sviluppo psicologico e caratteriale
dell'individuo in giovane età, ossia del soggetto in fase di crescita e di
cambiamento, non solo sotto il profilo fisico-motorio e dimensionale, ma
anche sul versante mentale, affettivo e morale. Proprio attraverso un atto
di rifiuto e di negazione dell'autorità incarnata dall'adulto - sia esso il
padre, il professore o il mondo degli adulti in generale -, l'adolescente
compie un gesto vitale di autoaffermazione individuale, per raggiungere un
crescente grado di autonomia della propria personalità di fronte al mondo
esterno. Senza tale processo di crisi e di negazione, di rigetto e di
disobbedienza, vissuto in genere dal soggetto in età adolescenziale, non
potrebbe attuarsi pienamente lo sviluppo di una personalità autonoma,
libera e matura, non potrebbe cioè formarsi la coscienza dell'adulto, del
libero cittadino. Inteso in tal senso, il disagio acquista un valore
indubbiamente prezioso, altamente positivo, di segno liberatorio e
creativo, nella misura in cui l'elemento critico concorre in modo
determinante a promuovere nell'essere umano, un'intelligenza cosciente ed
autonoma, ossia una mente capace di formulare giudizi, opinioni e
convinzioni proprie, originali e coerenti, requisito fondamentale per
acquisire uno stato di effettiva cittadinanza che non sia sancito solo
formalmente sulla carta della  nostra Costituzione.
Ebbene, a mio modesto avviso, tale processo di  maturazione e di
emancipazione non si conclude mai, nel senso che una personalità veramente
libera, duttile e creativa, è sempre pronta a reagire, a ribellarsi, a
disobbedire, per salvaguardare la propria dignità, la propria libertà, la
propria vitalità.
Al contrario, credo fermamente che ci si debba preoccupare dell'assenza,
non solo nell'adolescente ma nell'essere umano in genere, di un simile
atteggiamento e di un simile stato d'animo, di ansia liberatoria, di
desiderio di riscatto e di autoaffermazione, di capacità di rivolta e di
disobbedienza, un complesso di sentimenti e di attitudini che suscitano
sicuramente motivi di disagio e di crisi, ma sono comunque necessari per
una continua maturazione della persona. Mancando tali dinamiche
psicologico-esistenziali ci sarebbe da allarmarsi, in quanto non avremmo
formato una personalità davvero autonoma, cosciente e matura, ma solamente
un individuo passivo, inerte e succube, un conformista vile e pavido, un
gregario, insomma un servo.
Quando, invece, il disagio può determinare una situazione davvero
inquietante e preoccupante?
Secondo me, quando il disagio non viene rielaborato in chiave critica e
creativa, dunque in funzione liberatoria, ma degenera in un malessere
devastante, quando produce una condizione esistenziale estremamente
alienante e patologica, se non addirittura criminale.
Ebbene, la tossicodipendenza (intesa in senso lato, anche come
alcool-dipendenza) costituisce una delle manifestazioni patologiche,
devianti ed autodistruttive, che sono la conseguenza di un disagio che non
è stato superato in modo cosciente, inducendo comportamenti di
auto-emarginazione, di rifiuto nichilistico verso la società, di chiusura
egoistica del soggetto in crisi.

Lucio Garofalo