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fatto vergognoso



 dall'unionesarda  del  30\06\'02

Villamassargia.
Il maresciallo dell'Esercito non avrà la pensione privilegiata e l'
indennizzo

Marco ha perso la sua guerra
Riconosciuto e poi negato il "cancro per causa di servizio"


Dal nostro inviato
Villamassargia Il maresciallo Marco Diana ha perso un'altra guerra. Prima
quella contro una malattia, il cancro, «che a trentatré anni mi sta portando
alla morte». Poi quella contro lo Stato, l'Esercito, il Ministero della
Difesa, «che con una lettera recapitata due giorni fa a Villamassargia, suo
ritiro obbligato, mi hanno negato pensione privilegiata, danno biologico ed
equo indennizzo. Non è soltanto una questione di soldi», prosegue Marco
Diana, «anche se mi fa male morire per lo Stato ed essere costretto a farlo
da pezzente con una pensione minima di un milione di lire, elemosinando i
soldi per le medicine e gli avvocati a genitori e parenti. È una questione
di principio: due commissioni mediche militari, a Perugia (il 19 aprile
1999) e a Cagliari (14 novembre 2000) hanno certificato che il carciroma all
'intestino con metastasi è dovuto "ai disagi fisici, climatico ambientali,
allo stress psichico, ai disordini alimentari, al contatto con oli,
solventi, benzine ed altre sostanze cancerogene patiti in servizio". Adesso
una terza commissione, il Comitato di verifica della direzione generale per
il personale, nega tutto. E non mi dà una lira. Mi sembra che resti soltanto
in attesa del mio necrologio».
Dietro front inspiegabile, secondo Marco Diana, disposto a continuare la sua
battaglia: «Presenterò un ricorso alla Corte dei Conti e al Tar del Lazio.
Lo Stato sostiene che non è provato scientificamente il nesso di causalità
tra il contatto con certe sostanze e la mia malattia? Veramente sarebbero
loro a dovermi dimostrare che il mio tumore - rarissimo e, per usare i
parametri medici, a rapida evoluzione - non è dipeso dai missili che ho
maneggiato, dalle medicine che ho preso e da quelle che non mi hanno dato,
dai raggi magnetici in cui sono incappato, dalle sostanze nucleari
utilizzate dai miei commilitoni o dagli eserciti che dovevamo controllare
per la Nato, e dallo stress delle missioni in Somalia, in Bosnia e in tutto
il mondo. A farmi forza ci sono purtroppo tanti ragazzi, colleghi, nelle mie
stesse condizioni: perché i morti dopo il contatto con l'uranio impoverito
sono pochissimi rispetto agli altri militari malati o scomparsi dopo le
trasferte di pace con la Nato».
Parole durissime. E le prove?
«Per esempio i manuali che dovevamo studiare noi istruttori lanciamissili.
Prescrivono una serie di norme di sicurezza che noi non abbiamo mai
rispettato. La distanza dai bersagli per le esercitazioni - che emanano
raggi infrarossi - doveva essere almeno 75 metri, noi abbiamo sempre sparato
a sagome sistemate a non più di 50 metri, senza maschere e cuffie. E poi
certe esercitazioni dovevano essere svolte in 3-4 mesi, per evitare i
contatti troppo prolungati con certe sostanze, usate per preparare le bombe
o per pulire mortai, lanciamissili e armi. Invece no, le prove duravano
spesso 3-4 settimane, poi via in missione».
Dove lei può essersi ammalato?
«In Bosnia, in Somalia, chissà. In Africa ero il responsabile della scorta
per le carovane che trasportavano armi, missili, mezzi e quant'altro da
Mogadiscio verso le altre zone, sotto la bandiera Nato. Questi mezzi poi
dovevano essere sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica prima di
essere imbarcati di nuovo per l'Italia».
La sua denuncia arriva dopo una pensione rifiutata, potrebbe essere
considerata poco credibile, la vendetta da un muretto a secco.
«Tutto questo è vero e avviene tutti i giorni, lo sa chi va sul campo e non
sta dietro un ufficio in caserma. E di fronte a certe parole la mia unica
difesa è dire e provare la verità. Ma tutto questo avviene perché nell'
Esercito non esiste un sindacato, si è sempre sotto schiaffo, in balia dei
superiori, se pretendi di far rispettare le leggi sulla sicurezza magari ti
rovinano con le note caratteristiche. E allora ubbidisci, in silenzio. E non
è il discorso di un maresciallo: lo stesso vale per i tenenti, i colonnelli
e per i generali, che poi devono rendere conto ai politici. Tutto sulle
spalle dei poveri soldati che magari dovevano lavorare in missione operativa
in Africa sui carri armati vecchi, superati, senza nessuno schermo
protettivo per le radiazioni elettromagnetiche, malgrado la presenza pochi
metri di ponti radio che arrivavano sino all'Italia e negli Usa. E tutti
sanno gli effetti di certe esposizioni ai campi magnetici».
Quello che lei sostiene verrà negato. O sminuito.
«Io, purtroppo, sono la prova vivente, non so ancora per quanto, di tutto.
Sono disposto anche a incatenarmi davanti al Campidoglio a Roma pur di
ottenere giustizia. Ma alla fine il problema è di natura economica: se
dovessero riconoscere a me, maresciallo dei Granatieri di Sardegna, il danno
biologico per il cancro causato dal servizio nell'Esercito, dovrebbero
scucire tanti soldi anche per gli altri ragazzi che sono morti e che
moriranno per colpa dello Stato e della guerra».

Paolo Carta


SULCISPagina 18


VILLAMASSARGIA. Marco Diana lancia un appello a tutti coloro che sono
disposti ad aiutarlo. «Sono rimasto senza una lira - dichiara il maresciallo
dell'Esercito malato di cancro - non so più come andare avanti. Sto vivendo
con 150 mila lire al mese, ciò che mi rimane dopo che restituisco la rata
del prestito di 20 milioni che chiesi per potermi curare. Mi trovo in
serissime difficoltà economiche e non posso nemmeno acquistare le vitamine
che mi servono per andare avanti e combattere la malattia. Proprio in questi
giorni ho chiesto un ulteriore prestito in banca di 12 milioni di lire.».
Quello del maresciallo Diana è un appello che viene dal cuore. I genitori,
anche loro pensionati, non possono certo contribuire alle spese del figlio
per poter sopravvivere. Una situazione davvero difficile.
Chi volesse aiutare Marco Diana può farlo con un contributo economico
intestato a Diana Marco- c/c 11509/00-Coordinate bancarie: Abi 2008-Cab
43910. La banca è il Credito Italiano di Iglesias. Altrimenti può inviare il
contributo economico in Piazza Gramsci 1, 09010 Villamassargia. (p. cab.)