Fwd: Impatto ecologico dell'alimentazione e biodiversità






ACCADEMIA MEDITERRANEA PER L’AGROECOLOGICA E LA VITA (A.M.A. LA VITA) - RETE ZEROGM
"L’'inviolabilità della Memoria Genetica di tutti gli Organismi Viventi (DNA), regolata da Leggi fisiche perfette, sancita dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per il rispetto della Vita"  (Michele Trimarchi, Candidato Premio Nobel per la Pace, 1986)
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Impatto ecologico dell'alimentazione e biodiversità
di Adriano Fragano - 08/09/2009

Fonte: Associazione Eco-Filosofica [scheda fonte] 


VACCHE GRASSE E BAMBINI MAGRI
840 milioni di esseri umani, soprattutto bambini (e quasi tutti nel Sud del mondo), soffrono di
denutrizione cronica (dati FAO 2004). Ma, com’è noto, la fame nel mondo non è un problema
causato dalla mancanza di cibo prodotto, ma da una sua distribuzione non omogenea e soprattutto
dagli sprechi enormi: 36 dei 40 paesi più poveri del mondo esportano cibo verso gli USA e
l’Europa.
L’Etiopia, anche durante la sua peggiore carestia, produceva semi oleosi che esportava per il
consumo animale.
Il Brasile conta 16 milioni di persone malnutrite. Ed esporta 16 milioni di tonnellate di soia per
mangimi animali - 1000 kg di soia l’anno per ogni individuo malnutrito! (Fonte: Database FAO
2001)
La Colombia dispone di 45 milioni di ettari coltivabili: solo 5 milioni sono coltivati per produrre
cibo per la popolazione, 40 milioni sono latifondi lasciati a pascolo per la produzione di carne.
In Messico, milioni di persone soffrono di denutrizione cronica. Nel 1960, il bestiame consumava
5% dei cereali prodotti. Nel 2003, il 45%. Allo stesso modo, per l’Egitto si è passati dal 3% a 31%,
per la Cina dall’8% al 28%. (Fonte: Unimondo)
FABBRICHE DI PROTEINE ALLA ROVESCIA
L’animale, considerato come macchina che trasforma risorse vegetali in animali, è
completamente inefficiente.
L’indice di conversione è definito come la quantità di kg di vegetali necessari a far crescere
l’animale di un kg.
Se facciamo un confronto con le proteine, anziché col peso dei vegetali, i risultati sono simili: per
produrre un kg di proteine animali servono 16 kg di proteine vegetali! Un vera fabbrica di
proteine alla rovescia!
L’economista Frances Moore Lappé, ha calcolato che in un anno, nei soli Stati Uniti, sono
state prodotte 145 milioni di tonnellate di cereali e soia. Per conto, sono stati ricavati 21 miloni
di tonnellate di carne, latte, uova. Facendo la differenza, si ottengono 124 milioni di tonnellate
di cibo sprecato: questo cibo, avrebbe assicurato un pasto completo al giorno a tutti gli
abitanti della Terra! Con il solo spreco degli USA. (Fonte: Frances Moore Lappé, “Diet for a
small planet”, New York, Ballantine Books, 1982, pp.69-71)
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Se consideriamo le proteine anziché le calorie: un ettaro di terra destinata ad allevamento bovino
produce in un anno 66 Kg di proteine. Destinando lo stesso terreno alla coltivazione della soia
otterremmo nello stesso tempo 1848 Kg di proteine, cioè 28 volte di più (Fonte: J. Andrè, Sette miliardi
di vegetariani, Giannone Ed.)
GLI SPRECHI GLOBALI DI CIBO E TERRE
I 2/3 delle terre fertili del pianeta sono usati per coltivare cereali e legumi per animali. (Fonte: FAO e
USA Agency for International Development)
Su scala mondiale, il 90% della soia e la metà dei cereali prodotti globalmente sono destinati a nutrire
gli animali anziché gli esseri umani. (Fonte: Database FAO, Food Balance Sheet, 2001).
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IMPATTO SOCIALE
L’Europa è in grado di produrre abbastanza vegetali da nutrire tutti i suoi abitanti, ma non i suoi
animali. Solo il 20% delle proteine vegetali destinati agli animali d’allevamento proviene
dall’interno, il resto viene importato dai paesi del sud del mondo, impoverendoli ulteriormente, e
sfruttando le loro risorse ambientali. (Fonte: Commissione Europea).
Se tutti, sulla Terra, adottassero un modello di consumo come quello oggi imperante nei paesi
occidentali, il pianeta non potrebbe reggere, servirebbero almeno due volte e mezza le terre emerse
oggi esistenti.Viceversa, se tutti seguissero il modello alimentare degli indiani, potremmo nutrire 11
miliardi di persone (contro i 6 miliardi attualmente esistenti).
I paesi ricchi oggi possono consumare così tanta carne solo perché sfruttano suolo e risorse dei
paesi poveri in cui il consumo di carne è minimo.
SPRECO D’ACQUA
Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura.
Dobbiamo sommare, infatti, l’acqua impiegata nelle coltivazioni, che avvengono in gran parte su
terre irrigate, l’acqua necessaria ad abbeverare gli animali e l’acqua per pulire le stalle. Una vacca
da latte beve 200 litri di acqua al giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10
una pecora. (Fonte: “Le fabbriche degli animali”, E. Moriconi, Ed. Cosmopolis, 2001)
Il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque chili di carne bovina serve tanta
acqua quanta ne consuma una famiglia media americana in un anno (5 kg di carne non bastano a
coprire il consumo di una settimana, per la stessa famiglia!).
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SPRECO DI ENERGIA
Anche l’energia fossile necessaria per la produzione di cibi animali è di gran lunga maggiore di
quella necessarie per la produzione degli stessi nutrienti da fonti vegetali. Le calorie di combustibile
fossile spese per produrre 1 caloria di proteine dalla soia sono pari a 2; per il grano, servono 3
calorie, per il latte 36, per il manzo 78. Un rapporto soia/carne pari a 1:39 a sfavore della carne.
(Fonte: “Energy and land Constraints in Food Protein Production”, Science, Nov 21, 1975)
Il consumo medio annuo del solo manzo di una famiglia americana richiede 1200 litri di carburante
ed immette nell’atmosfera 2,5 tonnellate di CO2, che equivale a utilizzare la macchina per 6 mesi
(Fonte: Alan Durning, “Cost of Beef for Health and Habitat” Los Angeles Times September 21
1986 V3).
Jon R. Louma afferma che per ogni caloria ingerita dall’americano medio, servono 9.8 calorie di
carburante fossile, quindi in un anno un americano “mangia” 13 barili di petrolio.
INQUINAMENTO CHIMICO
Il massiccio uso di fertilizzanti è dovuto soprattutto alla pratica della monocoltura, che risulta
conveniente in quanto consente una industrializzazione spinta: vengono standardizzate le tipologie
di intervento, i macchinari agricoli, le competenze e i tempi di lavoro.
Se anziché alla monocoltura i suoli fossero destinati a coltivazioni a rotazione per uso diretto
umano, non sarebbero necessari prodotti chimici, perché il suolo rimarrebbe fertile.
I prodotti chimici comprendono fertilizzanti, pesticidi (che uccidono gli insetti nocivi per le colture)
ed erbicidi (che uccidono le piante nocive): tutti inquinano il suolo, l’acqua e il cibo stesso.
Non si tratta però di un problema legato all’agricoltura in sé e per sé, ma all’agricoltura finalizzata
all’allevamento di animali: per quanto riguarda gli erbicidi, ad esempio, è indicativo il fatto che
l'80% di quelli usati negli USA viene utilizzato nei campi di mais e di soia destinati
all’alimentazione degli animali.
INQUINAMENTO DA DEIEZIONI
In Italia gli animali d’allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di
deiezioni a scarso contenuto organico, che non possono essere usate come fertilizzante.
Contengono prodotti chimici (farmaci, fertilizzanti) di cui gli animali sono imbottiti.
Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di
popolazione umana che produrrebbe lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in
Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più
del doppio del totale della popolazione. (Fonte: “Le fabbriche degli animali”, E. Moriconi, Ed.
Cosmopolis, 2001)
Le deiezioni provenienti dagli allevamenti intensivi USA inquinano l’acqua più di tutte le altre fonti
industriali raggruppate. (Fonte: Environmental Protection Agency 1996)
Lo spandimento delle deiezioni animali è strettamente collegato alla “zona morta” di 7,000 miglia
quadrate nel Golfo del Messico, che non contiene più vita acquatica (Fonte: Howlett, Debbie
“Lakes of Animal Waste Pose Environmental Risk”, USA Today, 30 Dec. 1997, p. A7.).
Il 16% del metano immesso nell’atmosfera, una delle cause dell’effetto serra, viene emesso dagli
animali d’allevamento. (Fonte: World Watch Institute, “State of the World 2004”, p. 74).
L’ABBATTIMENTO DELLE FORESTE
Le foreste pluviali, il polmone verde della Terra, non vengono abbattute per predare il legname:
questa è una della cause minori, la causa principale è la creazione di pascoli per l’allevamento di
bovini destinati a fornire carne all’Occidente.
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In Costa Rica, ad esempio, durante gli anni ’60 e ’70 l’aumento vertiginoso delle esportazioni di
carne verso gli Usa – conseguente al boom del consumo degli hamburger - determinò un vero e
proprio assalto alle foreste pluviali; oggi sono ridotte a poco più del 10% della loro estensione
originaria. (Fonte: Unimondo)
Nella foresta Amazzonica, l’88% del territorio disboscato è stato adibito a pascolo (Fonte: The year
the world caught fire, Rapporto del WWF, 12-1997)
In totale, la metà della foresta pluviale dell’America centrale e meridionale è stata abbattuta per
l’allevamento (Fonte: FAO e USA Agency for International Development).
E il ritmo di disboscamento è in continua crescita.
UN ESEMPIO EMBLEMATICO: IL BRASILE
Secondo i dati del CIFOR (Centro per la Ricerca Forestale Internazionale) e dell’INPE (l’Istituto di
Ricerca Spaziale del governo Brasiliano):
- Tra il 1997 e il 2003 (6 anni) c’è stato un incremento del 600% di carne bovina esportata
(soprattutto in Europa). L’incremento di popolazione bovina si è avuto per l’80% nella
foresta amazzonica.
- Nel 2003 c’è stata una crescita del 40% della deforestazione rispetto all’anno precedente.
- In soli 10 anni, la regione ha perso un’area pari a due volte il Portogallo. Gran parte di essa è
diventata terra da pascolo. Le operazioni di taglio per il mercato del legno sono molto meno
influenti sulla deforestazione rispetto alla produzione di carne.
Per produrre un hamburger dai manzi dell’America Latina, si devono abbattere 5 mq di foresta
tropicale (Fonte: Julie Denslow Julie and Christine Padoch. People of the Tropical Rainforest.
Berkeley: University of California Press. 1988. p. 169)
L’ITTICOLTURA
Se gli allevamenti intensivi ed estensivi di mammiferi e volatili causano così tanti danni, la pesca e
l'allevamento di pesci non è certo da meno.
Il problema dell'overfishing - la pesca intensiva nei mari di tutto il mondo - è all'ordine del giorno
presso tutte le istituzioni nazionali ed internazionali (ONU, Comunità Europea, ecc.): la quantità di
pesci ancora presente nelle acque è sempre più esigua.
L'allevamento di pesci - o itticoltura - è quindi in rapida crescita (38% del pesce venduto in Italia,
nel 2003), ma crea più problemi di quanti ne risolva. Solo il 12.4% degli allevamenti è "estensivo"
(i pesci sono liberi in stagni o in lagune costiere), il restante è intensivo (vasche di cemento o gabbie
in mare).
(Fonte: Ismea 2003, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 2003).
Allevamento intensivo significa:
- animali in numero altissimo in piccoli spazi, e conseguentemente, come per gli allevamenti di
animali terrestri, largo uso di antibiotici e altri farmaci atti a prevenire malattie di vario tipo (cui gli
animali vanno più soggetti per la vita del tutto innaturale cui sono costretti) per evitare epidemie
devastanti;
- uso di erbicidi per controllare la crescita della vegetazione acquatica;
- uso di disinfettanti;
- produzione di grandi quantità di deiezioni;
- tutte queste sostanze vengono scaricate nelle acque costiere, insieme agli scarti dei
mangimi, inquinando irrimediabilmente le acque;
- saccheggio delle già scarse risorse ittiche naturali per fornire cibo ai pesci carnivori allevati: per
10 kg di spigole d'allevamento serve un quintale di sardine catturate in mare!
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Animali uccisi nel mondo per motivi nutrizionali
48 miliardi ogni anno
131 milioni ogni giorno
5.500.000 ogni ora
91.000 ogni minuto
1.500 ogni secondo
POSSIBILI SOLUZIONI
Esercitare un consumo critico e consapevole, orientando i propri acquisti in modo da causare il
minor impatto possibile sul pianeta, sull’ambiente e sugli animali
Scegliere sempre prodotti di stagione, della zona e poco o per nulla lavorati
Risparmiare il più possibile non seguendo mode o tendenze ma solo le esigenze personali
Acquistare il più possibile direttamente dai produttori di zona
Non consumare carne adottando uno stile di vita VEGETARIANO o meglio ancora VEGANO
Leggere sempre bene ed accuratamente le etichette dei prodotti, privilegiando le aziende piccole e
locali ed evitando le multinazionali
Non acquistare prodotti derivanti dallo sfruttamento animale DIRETTO o INDIRETTO (cibo,
abbigliamento, accessori etc...)
Consumare prodotti biologici
VEGETARIANO? VEGANO? CHE VUOL DIRE?
Vegetariano: il vegetarismo include anche il veganismo ed è definito come la pratica di non
mangiare carne, pollame o pesce o i loro derivati, con o senza il consumo di latticini o uova.
Viene spesso fatta un’ulteriore distinzione attraverso l’uso delle denominazioni OVO-LACTO
e LACTO.
I vegetariani possono utilizzare o minimizzare a scopo non alimentare i prodotti di origine
animale, come accade per i vegani, oppure no.
Ovo-Lacto Vegetariano: segue la stessa dieta di un vegano ma consuma anche uova e prodotti
caseari. E’ la forma più diffusa di vegetarismo.
Lacto Vegetariano: segue la stessa dieta di un vegano ma consuma anche i latticini.
Vegano o Vegan: Vegetariani totali che escludono anche latte, uova, miele, formaggi e tutti gli
alimenti direttamente o indirettamente provenienti dagli animali.
Fruttariano: Vegetariani totali che si nutrono di frutti e di semi.
 
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