La guerra mediatica



articolo apparso su il domani di bologna del 6 settembre 2002


Sui fronti della guerra mediatica la piovosa estate che stiamo per lasciarci
alle spalle è stata caldissima. Prima di addentrarci sui campi di battaglia
vediamo cosa è plausibile intendere con l'idea di guerra combattuta con
antenne televisive e carta stampata. 1) E' una lotta di potere tra élite che
tendenzialmente esclude la partecipazione popolare se non sotto forma di
pubblico o folla da stadio. La società è la grande emarginata pur essendo il
suo controllo la posta in gioco dell'intero conflitto. 2) La Tv generalista
è l'arma comunicativa più potente. Possederla significa essere dotati di una
forza che: orienta l'opinione pubblica; condiziona le scelte elettorali;
contribuisce in maniera decisiva alla conquista del potere politico. 3)
Informazione, propaganda e pubblicità sono ormai un intreccio finalizzato a
fare della comunicazione un tutt'uno con il pensiero unico dell'attuale
neo-liberismo. 4) La guerra mediatica non nasce per moto proprio ma
corrisponde alla guerra economica che negli ultimi 20 anni ha prodotto: la
restaurazione del potere assoluto del capitalismo sulla società; la
precarietà di molti e la ricchezza di pochi. 5) A differenza dei rapporti di
dominio immediati e materiali sul luogo di lavoro il potere della Tv è
autoreferenziale. Genera di continuo nuovo potere ma con una particolarità:
è immateriale, sublimato dagli spettatori, invisibile, non localizzabile
perché è ovunque, dentro e fuori lo schermo. Fatto il punto teorico vediamo
casa accade sul campo.
Tv & calcio. E' stato il romanzo agostano. Club e Rai hanno trattato per
settimane sui diritti di trasmissione delle partite. E a tutt'oggi non hanno
raggiunto un accordo economico. Intanto il campionato è slittato di due
settimane. Un dramma nazional-popolare che ha fatto versare alla stampa
italiana fiumi d'inchiostro. E tifosi/non tifosi hanno percepito "in chiaro"
che il calcio è ormai solo affarismo. Ma sul piano politico risvolti non
sono solo negativi: proprio perché in crisi il calcio favorisce le ascese di
uomini anticrisi, nuovi narratori alla Berlusconi, presidente del Milan e
proprietario di Tv commerciali.
Rai 3/Mtv. Rai3 prosegue nel suo malinconico declino. Programmi scadenti,
palinsesti traballanti, film interessanti relegati nel cuore più profondo
della notte. Trend negativo anche per MTv. Il canale che ha creato la
videogeneration è stato colonizzato dalla pubblicità  ed è precipitato nel
baratro di programmi banali condotti da oche giulive e bellocci
dall'italiano stentato che intervistano la star di turno ansiosa di vendere
il più possibile.
Terrorismo. E' la fiaba più recente con la quale le élite al potere
manipolano globalmente l'opinione pubblica. Un esempio: il falso scoop della
Cnn sul ritrovamento in Afghanistan di 64 videocassette appartenenti a Bin
Laden. Quotidiani e TG si sono sperticati nel mostrare le immagini di un
cagnolino-cavia utilizzato per testare armi chimiche. Come non commuoversi?
Si è trattato di un'operazione bellica di tipo non militare che ha
l'obiettivo di fomentare paura collettiva e giustificare future guerre.
Altri fronti in ordine sparso: Auditel fornisce dati inventati sul numero di
spettatori delle trasmissioni TV; i media indipendenti si difendono sul Web
dalle campagne intimidatorie di Panorama (di proprietà di Berlusconi) che
equipara l'informazione alternativa al terrorismo; Assolombarda, in tandem
con i Carabinieri (buoni d'animo e altruisti nei serial televisivi), scheda
i lavoratori che scioperano e si perquisiscono le abitazioni di giornalisti
che indagano dove non devono indagare; Sciuscià, il talk-show non allineato
all'idea televisiva di Berlusconi, è stato soppresso dalla Rai.
Conclusione: per la maggioranza dei cittadini le uniche eredità della guerra
mediatica sono lutti e devastazioni. Il lutto di una democrazia sempre più
zoppa. Le devastazioni di una cultura di massa sempre più mediocre.
L'abbassamento di qualità di film, fiction, musica leggera,
dell'informazione e dello stesso calcio è il segno di una crisi della
civiltà capitalistica che ha ormai tagliato di netto le sue radici liberali.
Patrizio Paolinelli