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Intervista sulla nuova base Nato (e Usa) di Taranto
- Subject: Intervista sulla nuova base Nato (e Usa) di Taranto
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Mon, 25 Oct 2004 00:26:15 +0200
-- La nuova base Nato di Taranto e i piani americani di militarizzazione --
Intervista del mensile "Fogli" ad Alessandro Marescotti, presidente di
PeaceLink (http://www.peacelink.it)
D. Come è stato scoperto il piano NATO per installare una nuova base
militare a Taranto?
R. Noi di PeaceLink abbiamo l'abitudine di gironzolare su Internet. E così,
una volta connessi al sito del Pentagono, abbiamo inserito nel motore di
ricerca interno la parola "Taranto". E' uscito fuori l'elenco di tutti i
nuovi comandi Nato, tra cui il più recente: Taranto. Abbiamo fatto una
conferenza stampa per presentare il documento ufficiale del Pentagono.
Tutti i giornalisti intervenuto hanno potuto vedere che in quel documento
Taranto viene considerata una base della U.S. Navy, ossia della flotta
americana. I parlamentari italiani sono caduti dalle nuvole.
D. Leggendo il modo in cui sono andati i fatti colpisce una cosa: nel 1998
il Pentagono decide di installare il sistema di collegamento e spionaggio
C4i e da lì si intuisce il progetto di integrazione della base di Taranto
nel sistema di comando militare Usa. Ma non esiste un’autorità nazionale
che possa quanto meno controllare e porre dei limiti? Si ha quasi
l’impressione che si parli molto di pace ma si studia moltissimo come fare
la guerra.
R. E' proprio così. I piani di guerra vengono studiati molto bene.
Rimangono nell'ombra. E poi ci si trova di fronte al fatto compiuto. Ciò è
avvenuto, spiace dirlo, anche con esecutivi di centrosinistra (il C4i ebbe
il via libera con l'Ulivo al governo). Che fare? Occorre un'intensa
attività di controllo. La sovranità popolare appartiene al popolo, dice la
Costituzione (art.1 comma 2). E' una sovranità che poggia sul diritto di
sapere. Non c'è sovranità se non si sa cosa accade. E' questa un'attività
che spetterebbe in primo luogo al Parlamento, mentre i governi si arrogano
il diritto di sovranità ereditando un brutto vizio dei sovrani assoluti del
Seicento. Praticamente il Governo non passa al Parlamento informazioni
vitali. Ad esempio le Commissioni Difesa di Camera e Senato non dispongono
neppure della mappa delle installazioni militari sulla penisola, suddivise
per status: italiane, Nato e Usa. Sarebbe auspicabile che le Commissioni
Difesa esigessero la pubblicazione sul sito Internet del Parlamento di
questa mappa, così come fa il sito del Pentagono. PeaceLink, da parte sua,
cerca di surrogare questo vuoto istituzionale ponendo in pubblica visione
le informazioni prive di segreto militare all'indirizzo Internet
http://italy.peacelink.org/disarmo
D. Nel 2004, per far posto alla Marina Militare, Taranto ha rinunciato a
ben tre milioni di metri quadri di mare sottratti all’allevamento dei
mitili. Eppure era da anni che si parlava di un piano per liberare il Mar
Piccolo dalla presenza militare: cos’è che non ha funzionato? Come mai la
Nato ha chiesto questo spazio se oggi l’83% dei tarantini è contrario a
questa presenza?
R. Non ha funzionato un sistema basato sulla delega alla Marina Militare e
su un rapporto di fiducia nei confronti di una classe politica che
prometteva una liberazione di spazi. Poi si è visto che questo non è vero.
Tutta la storia dell'ampliamento della militarizzazione di Taranto
(raddoppio della base navale, progetto di terza base a comando Usa) è stata
una storia di bugie dette "a fin di bene". I tarantini sono considerati
come dei pazienti con metastasi: devono essere solo tranquillizzati. Per
non generare preoccupazione si fanno promesse senza alcuna certezza, anzi a
volte palesemente false. Ma l'83% dei tarantini dice "no" al rischio
nucleare e noi sappiamo che i sottomarini Nato a propulsione nucleare sono
un rischio.
D. Il comando della VI Flotta Usa verrà trasferito da Gaeta a Taranto per
motivi di spazio ma soprattutto perché strategicamente il sito offre una
possibilità di controllo del Medio Oriente; è così?
R. Diciamo che la ragione principale della scelta sta in un dato
inoppugnabile: Taranto è diventata la più grande base Nato del
Mediterraneo. Va poi aggiunto che Taranto è l'unico nodo del Mediterraneo
in cui gli Usa hanno installato il sistema di comunicazione C4i collegato
direttamente ai computer dello spionaggio americano. E' verosimile pensare
che Taranto rientri nel grande orecchio di Echelon capace di controllare le
comunicazioni globali: email, fax, telefonate, comunicazioni digitali.
D. Alcuni dicono che questa novità sarà per Taranto una vera fortuna…
eppure Gaeta, che ha già vissuto quest’esperienza non sembra pensarla allo
stesso modo, come mai?
R. Il sindaco di Gaeta, che è di Forza Italia, si è dichiarato soddisfatto
del prossimo trasferimento del comando VI Flotta dalla sua città: si
liberano spazi per il commercio, il turismo, le attività civili. A Taranto
invece molti politici - anche di centrosinistra - ragionano con la logica
della rendita: accontentiamoci di quel po' che arriva. Anche se soffoca le
possibilità di sviluppo civile. Anche se può far male alla salute. E' la
stessa logica di quei condomìni disinformati o disperati che per qualche
migliaio di euro si fanno piazzare sul palazzo un'antenna per cellulari:
meglio l'uovo oggi che la gallina domani. Poi scoprono che lo stabile perde
il 10% del valore di mercato perché quell'antenna può essere un rischio. La
stessa cosa avviene a Taranto con l'incremento della militarizzazione. I
vantaggi immediati vengono valutati senza una comparazione con le perdite
future della scelta compiuta, semplicemente perché non si ha una visione
del futuro e si cerca di acchiappare ciò che si può.
D. Nel 92 a Rio fu approvato il Documento di Agenda 21 a conclusione dei
lavori dell’Earth Summit. Le nazioni che sottoscrissero quel documento
furono ben 170 e si impegnarono a mettere in atto politiche-azioni per
avviarsi sulla strada dello Sviluppo Sostenibile: come la mettiamo con
questi progetti di militarizzazione a Taranto? Sembra che alla base di
tutte queste azioni umane ci sia una logica schizofrenica.
R. L'Agenda 21 prevede un obbligo di informazione ambientale verso i
cittadini. E' proprio ciò che manca a Taranto. A parte le centraline che
misurano l'inquinamento del traffico, non vi sono centraline che misurano
l'inquinamento industriale (o almeno i dati non sono conosciuti dai
cittadini). E non sappiamo se vi è radioattività nei mitili (o almeno i
dati non sono conosciuti dai cittadini). Per sapere se lo sviluppo è
sostenibile occorrono le informazioni. Taranto è come una bilancia su cui
sono caricati dei pesi ma noi non vediamo la lancetta. Come facciamo a
regolarci?
D. Nell’art.18 della L.349/86, legge costitutiva del Ministero
dell’Ambiente, viene introdotta per la prima volta in Italia la nozione di
‘danno ambientale’: "Qualunque fatto doloso o colposo in violazione delle
disposizioni di legge o dei provvedimenti adottati in base alla legge che
compromette l’ambiente ad esso recando danno, alterandolo, deteriorandolo,
o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al
risarcimento in tutto o in parte nei confronti dello Stato". Ma cosa
succede se è lo stesso Stato che si rende, anche indirettamente,
responsabile di un eventuale incidente?
R. Lo Stato dovrebbe risarcire i cittadini in caso di incidente. Specie se
vi è stata negligenza. Ma nei porti a rischio nucleare - a Taranto come a
Napoli o a La Maddalena per fare tre nomi - nessuna assicurazione
risarcisce in caso di incidente ad un sommergibile nucleare che provochi la
contaminazione e l'abbandono del territorio per secoli. Chi risarcirebbe
allora? Lo Stato non ha preso alcun impegno. Non mi risulta che in
Parlamento si discuta di una copertura assicurativa pubblica per le vite e
i beni dei cittadini dei porti a rischio nucleare. Forse la cosa non è
ritenuta importante. O è così onerosa che è proibitivo discuterne. Intanto
il rischio permane e nessun impegno di denuclearizzazione del mare è preso
da alcuna coalizione politica. Vige la logica del non porsi i problemi
finché non capitano le catastrofi. Per fortuna vi sono alcuni parlamentari
attenti e sensibili che hanno presentato delle interrogazioni parlamentari.
Ma occorre che questi problemi entrino nell'agenda parlamentare dei partiti
e nei programmi delle coalizioni.