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Date: Mon, 12 Jul 2004 00:30:36 +0200
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Ilva -Taranto: la storia di Fabio, un dipendente tra i più "discriminati"
a cura di Lisa Biasci
A Taranto, la siderurgia, vuol dire prima di tutto Ilva, l'ex Italsider
privatizzata e poi ceduta alla famiglia Riva.
Tra il gruppo lombardo e i tarantini non corre buon sangue, sebbene lo
stabilimento per la produzione d'acciaio e laminati dia lavoro a circa
12.500 persone.
I rischi per la salute degli operai hanno raggiunto nel tempo proporzioni
sempre maggiori, ben oltre i cancelli della fabbrica. Non stiamo parlando
solo delle malattie derivanti dalle polveri di distillazione del coke, che
contengono gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), altamente cancerogeni.
Stiamo parlando dei casi di "mobbing", malattia "endemica" tra le più
pericolose soprattutto quando nel più grande polo siderurgico italiano
anche le condizioni di sicurezza sul lavoro vengono meno.
Tra quelli che ci sono stati segnalati, quello di Fabio, un operaio
assunto con contratto di formazione lavoro nel 2002, poi "mobbizzato" e ad
oggi, licenziato.
La sua storia professionale è l'ultimo caso di mobbing denunciato all'Ilva
di Taranto. Nel 1998, sette ex dipendenti fra i più sindacalizzati erano
stati "confinati" e "demansionati" nella palazzina Laf del Siderurgico. La
Procura aveva poi sequestrato la palazzina e il processo di primo grado
avviato subito dopo, si concluse con la condanna di alcuni dirigenti e il
riconoscimento della malattia professionale da mobbing da parte dell'Inail
per i dipendenti.
La storia di Fabio all'Ilva segue, per clamore ed enfasi, questi
precedenti apparendo da subito come un'altra storia complicata di mobbing
all'italiana. Una storia di denuncia e soprattutto di umiliazioni, di
violenza verbale, e di demansionamento, cioè di operatività con mansioni
inferiori a quelle attribuite e in alcuni passaggi, di sottrazione di
strumenti di lavoro.
Ma non solo. La fotografia è quella di una situazione lavorativa in cui
più volte Fabio è stato invitato a dare le dimissioni, obbligato a turni
feroci di sedici ore consecutive, a rientri al sabato mattina, con
altrettante accuse di incapacità e con la chiara percezione di essere
stato isolato come caso "difficile" e "scomodo" da gestire.
Un melting-pot da "manuale", un iter simile a molti altri casi di mobbing
nelle fabbriche italiane.
Ma veniamo al racconto della sua storia, così come lui ce l'ha presentata.
Fabio, diplomato come analista programmatore, viene assunto nel gennaio
2002 con un contratto di formazione lavoro della durata di ventiquattro
mesi e con l'obbligo di essere "formato" per l'acquisizione di una
professionalità medio-alta. Per Legge, questo tipo di contratto
presuppone, un progetto formativo, un adeguato inquadramento
professionale, con specificità di mansioni, orari di lavoro e orario di
formazione (dalle 80 alle 130 ore da effettuarsi in orario di lavoro).
Fabio viene da subito destinato ai controlli dell'altoforno come Secondo
addetto, un ruolo che presupponeva la risalita di un impianto di oltre 120
metri con scale di tipo elicoidali, assai pericolose per un giovane come
lui che non si era mai misurato con simili altitudini.
La posizione prevedeva poi un successivo addestramento come Caricatore,
cioè responsabile delle cariche e del buon andamento dell'altoforno. Tutto
sembrava procedere nel migliore dei modi, tanto che si era persino
candidato per eventuali stage siderurgici all'estero.
Certo non mancavano le lacune, anzi "certe cose"non andavano affatto. Ad
esempio le pratiche operative, cioè quelle di sicurezza gli venivano
impartite durante la notte da un operaio di terzo livello e non da un
"tutor"qualificato come vuole invece la Legge in materia di CFL.
Quando,con un cambio improvviso, di colpo gli viene imposto per la seconda
volta, un nuovo reparto e collocazione, per "un suo evidente problema di
vertigini che lo rendono inadatto a ricoprire quel ruolo"dichiarerà il suo
caporeparto.
Ma il ruolo a cui era stato assegnato, quello di Caricatore, presupponeva
un'altezza di non più di tre metri, in una sorta di palazzina ufficio.
Quali erano allora le vere ragioni? Fabio viene quindi assegnato al terzo
incarico, quello di Colatore, in un reparto in cui, non certo per leggenda
metropolitana, si capisce che si è giunti in una sorta di "purgatorio",
ossia di zona punitiva prima degli "inferi", il reparto delle pulizie
industriali.
I turni si fanno massacranti, anche di 16 ore consecutivi, e alcuni
infortuni sul lavoro, come le ustioni gravissime accorse ad un giovane
operaio in un grave incidente, rendono il clima teso e insostenibile.
Il caporeparto poi è il vero problema: utilizza metodi di organizzazione
del lavoro intimidatori e punitivi "in quanto necessari "a suo dire. Il
messaggio è sempre lo stesso"nessuna malattia, nessuno sciopero,
esecuzione degli ordini, nessuna ribellione, pena la non conferma del
contratto da formazione lavoro a tempo indeterminato".
Ma Fabio è un giovane che domanda, e chiede, e se può si ribella e per
questo traccia il suo destino con le sue mani.
Viene destinato al quarto trasferimento: pulizie industriali,gli inferi.
Cinquanta persone che lavorano in un ambito al limite delle condizioni
igienico-sanitarie e di quelle di sicurezza. I macchinari sono molto
pericolosi in quest'area e i nastri che trasportano i minerali sono molto
polverosi. E' la zona "calda" del polo siderurgico e i sindacati lo sanno.
E per Fabio peggiorano ulteriormente le condizioni di lavoro. I sabati
d'impiego aumentano, le pressioni si fanno più insistenti, i rischi sempre
maggiori e la sua condizione psicologica ne resta inevitabilmente compromessa.
All'ennesima richiesta di trasferimento da parte di Fabio, prontamente
rifiutata e condita con le minacce dal suo caporeparto, segue il trasporto
d'urgenza in infermeria "per evidente stato iper-confusionale".
Ormai anche la direzione del Personale è al corrente del caso di Fabio,
del suo andare avanti e indietro con l'infermeria, della sua richiesta di
trasferimento.
E le sue preghiere sembrano essere accolte quando arriva la proposta di
trasferimento al reparto parchi minerari, lontano da quel caporeparto e da
quel clima vessatorio e ostile.
Ma salta anche quest'occasione. Fabio viene ricollocato nel vecchio
reparto per "non comprovate note di demerito professionale" dichiara
l'ufficio del personale.
Fabio si ribella e non molla la presa e si rivolge al direttore del
personale, ottenendo un sesto trasferimento.
Mansione colatore, che però mal si adattava alla condizione del suo occhio
destro che non poteva sopportare la presenza di un impatto di calore,
oltre i 1500° come quelli in cui avrebbe dovuto operare.
Fabio rischia, ma non gli viene neanche consegnata la mascherina
protettrice per gli occhi e si ammala, prostrato dai postumi della ferita
e dallo stato d'ansia in cui ormai non poteva porre rimedio.
Le sue condizioni di salute vengono di nuovo sottovalutate e viene
rispedito al reparto. Fabio non demorde e ottiene il settimo e non ultimo
trasferimento. Ritorna d'accapo, come secondo addetto, come all'inizio
della sua storia professionale e conclude il suo primo anno di lavoro
presso l'Ilva.
Da lì in poi ci saranno un ottavo e un nono passaggio di reparto e poi,
infine, il licenziamento, il 02 gennaio 2004.
Fabio adesso è in causa contro il gruppo Riva e richiede il reintegro nel
suo posto di lavoro, con tutte le mensilità pregresse e il danno
esistenziale, morale e fisiologico a conclusione di questa incredibile
storia umana e professionale.
Il rammarico a fine chiacchierata,mi dice Fabio, è quello di non poter
dire tutto,vista la causa ancora in ballo.
Intanto però,a Taranto si aspetta e si chiede giustizia. E su questo caso
la magistratura dovrà esprimersi al più presto.
Lisa Biasci