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umts surplus comunicativo
- Subject: umts surplus comunicativo
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
- Date: Fri, 06 Dec 2002 19:41:44 +0100
il manifesto - 01 Dicembre 2002 ---------------------------------------------------------------------------- Surplus comunicativo Arriva con l'Umts la videotelefonia portatile. Servirà davvero a capirsi meglio? FRANCO CARLINI Nel lontanissimo 1964 il colosso telefonico americano At&t propose al mercato un videotelefono; si chiamava PicturePhone e grazie a un piccolo monitor, incorporato nell'apparecchio di casa o di ufficio, si poteva vedere la faccia dell'interlocutore lontano e viceversa. Si rivelò un flop clamoroso e la colpa principale venne attribuita all'alto costo e ai limiti tecnici: allora le linee telefoniche non erano in grado di trasportare abbastanza informazione e perciò le immagini arrivavano a scatti (come nel cosiddetto videolento), generando un effetto del tutto sgradevole e innaturale, peggio di quando Enrico Ghezzi parla in video desincoronizzando la sua voce e le sue labbra. Oggi, quasi trent'anni dopo, H3G, l'operatore di telefonia mobile che sta riempiendo le pagine con il suo nuovo marchio («Emozione con la forza di 3»), annuncia che sono aperte le prenotazioni per dotarsi di telefoni cellulari di terza generazione (3G), con tecnologia Umts. Certo i telefonini (detti anche «apparati utente») non ci sono ancora in dosi adeguate, e la rete nazionale relativa non è ancora del tutto a punto, ma intanto con «3» potete cominciare a sognare e il sogno che viene proposto è, una volta ancora, la video telefonata, per di più mobile, nel senso che piazzandosi l'oggetto davanti alla faccia si viene ripresi da una microcamera (le meraviglie della miniaturizzazione lo consentono) e nel monitor, piccolo ma non piccolissimo, si può vedere il volto dell'altra persona. Il genovese Vincenzo Novari, autore in passato di un vistoso flop con il portale Omnitel 2000 e ora amministratore delegato di H3g, spiega così la nuova eccezionale possibilità: «Io non riesco quasi mai ad andare a prendere mio figlio a scuola. Pensate però se potessi dirgli bravo quando ha fatto un buon compito di storia, guardandolo in faccia». A parte la scarsa cura parentale che Novari dimostra, illudendosi che la tecnologia possa supplire magicamente alla sua scarsa disponibilità verso la famiglia, e lasciando perdere per ora le molte difficoltà tecniche che la rete di H3G deve superare qualora milioni di persone si videotelefonassero in contemporanea, dietro questa narrazione si cela un problema più profondo: davvero abbiamo bisogno di vederci in faccia per telefonare? Davvero apprezzeremo questa prestazione in più? Chi pensa di sì sostiene giustamente che la gran parte delle relazioni tra le persone avviene grazie al canale visivo, il quale è molto più ricco e flessibile di quello vocale, il quale a sua volta è migliore di quello puramente testuale. In altri termini: le parole scritte sono una grande invenzione ma spesso non riescono a esprimere pienamente sentimenti e stati d'animo. Se però vengono pronunciate, il contenuto puramente informativo del testo si arricchisce di sfumature, toni di voce, pause e sospiri che comunicano anche il non scritto e persino l'inconscio. Se alla voce si aggiunge anche l'immagine, ecco che il linguaggio visivo rende ancora più intensa la comunicazione: un silenzio accompagnato da una faccia perplessa può dire più di tante parole e uno sguardo intenso, sempre silenzioso, è sovente il primo innesco di una reciproca seduzione. Dunque, seguendo questo filone di pensiero, più largo e ricco è il canale di comunicazione, meglio è, e ben venga allora il videofonino, un termine coniato di recente dalla stessa «3» per presentare in modo accattivante e giovanile il nuovo servizio. Ma nella comunicazione umana le cose sono sempre un po' più complicate che nei modelli cibernetici: può capitare allora che non sempre noi umani apprezziamo la pienezza della comunicazione; magari vogliamo mantenere nelle nostre relazioni dei margini di ambiguità o di riservatezza; talora per calcolo, talaltra per piacere o per gioco. Il telefono classico fisso o mobile che sia, è così amato e apprezzato proprio perché consente una comunicazione insieme ricca ma non totale: l'assenza del canale visivo, inizialmente percepita come un limite, è divenuta nel tempo anche un pregio. E tra i pregi c'è quello di attivare la fantasia, mentre l'immagine pienamente nota non lascia spazio alcuno all'immaginazione. E' lo stesso motivo per cui certamente si guarda volentieri la televisione per il molto che dà, ma ciononostante si apprezza anche un dramma radiofonico, con i suoi rumori di passi e di porte che si aprono, e le voci senza volto né corpi che tocca a noi immaginare. La telefonia mobile (ma senza video) ha introdotto altre sottili modalità di relazione. Infatti telefonando a Giovanni su un apparecchio fisso, e se Giovanni risponde, si sa con certezza dove egli è. Chiamando Giovanni sul mobile, invece, egli risulta delocalizzato, tant'è vero che uno degli inneschi più frequenti delle conversazioni cellulari è «dove sei?», oppure «ti sto chiamando dall'aeroporto». Cui segue di solito un «per caso ti disturbo?»; infatti la risposta al telefono fisso suppone che la persona abbia tempo e voglia di colloquiare, mentre con il telefono cellulare si può essere capitati nel bel mezzo di una riunione o di un incontro sentimentale (c'è chi lo lascia acceso anche in tali occasioni). Ma chi risponde, talora si fa forte proprio dell'assenza di informazioni sul dove egli sia per celarsi o mentire: per esempio dirà «sono in un convegno», mentre invece è al bar in pieno sole, oppure «sono appena uscito dalla doccia» (generando complessi di colpa nel chiamante), mentre invece non ha alcuna voglia di parlare con quella persona. Infinite varianti insomma, all'insegna del nascondersi e del dissimulare. E tutte lecite, perché il possesso di un telefono cellulare non può tradursi in disponibilità assoluta. Un giurista francese, Jean Emmanuel Ray, in proposito va teorizzando il «diritto alla sconnessione», in un mondo che dà invece per scontata la «le disponibilità generalizzata» (Le Monde, 9 ottobre 2002). Per questi motivi non è affatto garantito che video-telefoneremo molto: un po' sì certo, ma probabilmente meno di quanto gli operatori telefonici immaginano e sperano. Anche perché scatterà un altro sottile meccanismo di relazioni umane: se io chiamo Eva e lei mi risponde senza però attivare il suo videotelefono cosa vuol dire? Forse che non vuole farmi vedere dove è? Oppure che è ancora con i bigodini e si considera impresentabile? O semplicemente che non vuole spendere per il video-collegamento? Infinite varianti che tutte generano ansietà e disturbi relazionali e che non necessariamente favoriscono la diffusione «virale» delle telefonate convideo.
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