"Cosa ho visto a Genova un anno fa"



Ciao a tutti,
mentre a Genova migliaia di persone stanno ricordando Carlo Giuliani, testimoniando la loro voglia di non dimenticare la terribile violenza, mentre l'insostituibile Radio Popolare trasmette in diretta quanto accade in questi minuti, ho pensato utile inserire il "diario" di Marinella Marescotti (già pubblicato su Cronache Martinesi nov.dic.2001) che racconta quei fatti accaduti esattamente un anno fa. Marinella - oltre ad essere mia sorella - è docente di matematica a Marina Franca (TA) ed è attiva nel movimento Attac a sostegno della Tobin Tax. Il 20 luglio 2001 presso Genova era appena scesa dal treno quando... Ecco qui la storia vista e raccontata da Marinella (e-mail: m.marescotti at tiscali.it).
A. M.


VENERDI' 20 luglio 2001
Scendiamo dal treno preso con i Cobas la sera di giovedì da Taranto. Siamo alla stazione di Quarto: Brignole è chiusa al traffico ferroviario, come preannunciato. Un pullman ci porta fino a Genova centro, dopo aver fatto sosta nella palestra - adibita a dormitorio - di un Liceo artistico, per lasciare zaino e sacco a pelo. Appena scesi in prossimità del luogo dove era prevista la piazza tematica dei Cobas, sul tema del lavoro, ci si accorge che qualcosa non va: sono già in atto scontri e l'aria è solcata in più punti da scie di fumo (quello bianco è dei lacrimogeni, quello nero delle auto incendiate). Comincio a notare gruppi di persone in nero (alcuni parlano in tedesco tra loro), di cui uno in particolare mi colpisce, tanto da volerli fotografare: è il gruppo dei tamburini dei Black Bloc. I caschi a cresta e le bardature nere imbottite da mazinga zeta stridono pesantemente con lo stile di altri soggetti che, a poca distanza, elevano inni ambientalisti: un variopinto serpentone di stoffa e una ironica mucca in cartapesta ricordano i rischi connessi al transgenico. Non potendo arrivare nella piazza prevista, dove c'è odore di disordini - e comunque ben lungi dalla zona rossa - si risale un po' a casaccio verso zone che appaiono tranquille. Anche qui lo stridore è tra le colonne di fumo che si vedono e la gentilissima, anziana signora tedesca che ti sottopone una petizione per un ideale di futuro socialista nel mondo. Nel giro di poco la scena dei disordini, nolenti, ci raggiunge: arrivano gruppetti di ragazzi che sfasciano una vetrina del Postamat e una cabina telefonica, tra le urla dei Cobas che gridano di smetterla (la sera vedremo un membro dell'esecutivo nazionale Cobas con la testa fasciata per aver 'difeso' una vetrina). Questi 'sfasciatori' (in francese li chiamano 'casseurs') sono agili, si muovono in piccoli gruppi, si procurano gli 'strumenti' sul luogo stesso: ne vedo uno spezzare una tavola di legno da una zona cantierizzata, un altro smontare il mantello di sampietrini dal marciapiede, un ultimo cercare di spezzare una grossa pietra dalla scala dei giardini pubblici. L'istinto suggerisce che è meglio allontanarsi da questi soggetti e salire per il giardinetto che, scopriremo, porta su una strada in direzione lungomare. Ma su questa strada, appena rimesso insieme il gruppo di Taranto, si comincia a vedere gente correre alle nostre spalle: la carica non la vedi, ma la senti arrivare. La preannunciano ragazzetti che rovesciano la campana della raccolta differenziata del vetro: confesso, non sono abituata a sentirmi braccata, e poi non ho alcun motivo per esserlo, ma sono a Genova da mezz'ora appena e sono già immedesimata da questo angoscioso 'scappa-scappa'. Correndo nei pressi del lungomare ci accorgiamo di essere vicini alla caserma della Guardia di Finanza: sgommano auto verdi e un graduato brandisce un fucile puntato verso l'alto. La corsa ora è in salita, verso la via che avevamo lasciato poco prima, bottiglie a terra e campana del vetro rovesciata. Troviamo rifugio, con due amici, in un portone aperto. Si affaccia una signora, che ci affrettiamo a rassicurare. Ma lei non è preoccupata per la nostra presenza, bensì per il marito, pensionato, che è uscito a controllare l'auto. La signora, gentilissima, ci offre di entrare per telefonare al cellulare di uno dei nostri e comunicare che stiamo bene. Torna anche il marito, che insiste per offrirci da bere e ci fornisce le indicazioni, su una piantina, per tornare a piedi al liceo di Quarto, dove abbiamo le robe. Ci sembra infatti improbabile riuscire a camminare in una città che non conosciamo, distanti mille miglia dalla zona rossa, eppure braccati come chissà chi. Già, la zona rossa… la rete privata genovese su cui è sintonizzata la TV dei i due anziani signori mostra a Piazza Dante un 'assedio' alla zona rossa fatto di palloncini colorati e teste d'aglio, con un anziano signore dai capelli bianchi che riesce ad entrare da 'libero cittadino del mondo'. Giusto un po' di idranti, ma le scene sono sostanzialmente idilliache rispetto a quelle viste finora… si sta meglio in Piazza Dante. Ci accomiatiamo e, una volta fuori, tutto sembra tranquillo: gruppetti sparsi di manifestanti (ce ne sono alcuni venuti in bicicletta da lontano) fanno la coda alla cabina telefonica o al bar, che nel frattempo ha riaperto. Non si sa dove andare, poiché ci sono blocchi un po' dappertutto, stando ai più informati. Prima di imboccare la strada del ritorno al liceo, ci avviciniamo ad una zona dove si intravvede uno spezzone di tute bianche. Questo è la coda di un corteo che sta facendo un'azione di 'disobbedienza civile', avanzando verso la zona rossa con bracciali, pettorali e ginocchiere di gommapiuma. Da un camion una ragazza fornisce in diretta informazioni su quello che accade davanti: "I compagni che sono nelle prime file sono stanchi, vorrebbero riposarsi un po', fate defluire dietro..." In questa situazione tranquilla da retrovia ritroviamo casualmente il resto del gruppo: stanno bene, hanno solo pianto per i lacrimogeni e corso per le cariche. Anche questa volta la direzione verso cui andare ce la darà il rumore sordo della corsa di quelli dietro di noi: un'altra carica, un'altra corsa verso zone del tutto periferiche (chissà se siamo in zona gialla, forse neanche…). Ci decidiamo a tornare verso il liceo-dormitorio, a Quarto. Chiediamo la strada a due signori genovesi, anch'essi gentili nelle risposte, nonostante uno di loro abbia subìto un danno alla macchina da una pattumiera ribaltata. Ci incamminiamo nella direzione suggerita, in un'atmosfera rilassata: ci sono poche persone sparse, del tutto tranquille (potrebbero anche non essere manifestanti, dopotutto). Ma subito inizia un'altra parentesi angosciante: 100 metri davanti a noi alcune auto blu delle forze dell'ordine accostano al marciapiede e mettono al muro proprio quelle tre o quattro persone, fanno una sommaria perquisizione condita da alcuni colpi di manganello. Il resto non lo vediamo perché immediatamente prevale l'istinto di filare via, verso un condominio con giardinetto su cui affaccia un cortiletto nascosto. Sostiamo in silenzio per un'oretta, attenti ai rumori delle tapparelle sopra la nostra testa, pronti, nel caso, a giustificare ai condomini la nostra strana presenza. In quell'ora interminabile presto una delle mie magliette di ricambio ad uno che sfortunatamente si ritrovava addosso una t-shirt nera. Non si sa mai, si comincia a pensare di tutto quando si è proiettati verso una situazione mai vissuta, vista solo nei film dove gli ebrei si nascondono per sfuggire ai rastrellamenti. E' in quel piccolo cortile che apprendiamo, da una mini-radio che ci siamo portati dietro, che un ragazzo è morto, gli hanno sparato. Un'altra ragazza è ferita alla testa gravemente, forse anche per lei non c'è niente da fare. E' angosciante sentire le dirette affannate degli inviati di Radio Popolare, l'unico filo con il mondo esterno, decidiamo di uscire cautamente, fuori l'atmosfera è di nuovo distesa con tanti ragazzi soli o in piccoli gruppi che si fermano per passarsi le ultime notizie. Un ragazzo infermiere volontario nel Genoa Social Forum ci racconta amaramente di aver dovuto interrompere il soccorso di alcuni feriti per la quantità insopportabile di gas lacrimogeno. Al rientro a Quarto, gira voce che durante la notte si avrà una perquisizione. Ma la notte, nella palestra-dormitorio, passa tranquilla.

SABATO 21 LUGLIO
Nella mattina di sabato è previsto il corteo generale: dopo i fatti di venerdì pomeriggio non ci sarà nessuna azione 'di disobbedienza' e lo svolgersi della manifestazione sarà maggiormente vigilata da eventuali intrusioni dei black (anche se un vero e proprio servizio d'ordine generale non c'è). Il corteo è esattamente quello che avrei voluto vedere: immenso, colorato, variegato, pacifico, con mille disegni, slogan, e tematiche: i Social Forum di tante città, la rete di Lilliput, Rifondazione, Fiom, le associazioni ambientaliste Wwf e Legambiente, le Donne in Nero, Cancella il Debito, il Movimento dell'Uomo Casalingo, i Cobas, i gruppi contrari all'alta velocità, i Centri sociali, gli anarchici della Federazione Anarchici Italiani, ARCI, ARCI GAY, gli scout, Attac Italia, qualche bandiera CISL e CGIL, un sacco di bandiere di 'Che' Guevara, funi con irrispettose mutande, trecce d'aglio, datteri clandestinamente sottratti all'embargo irakeno…i pullman venuti da tutt'Italia (e quanti non ne sono partiti dopo la notizia del ragazzo morto!) continuano a far scendere persone che si accodano al corteo. Incontro persone che non vedevo da tempo, per tre ore camminiamo sul lungomare assolato senza ombra di tensioni. Un ragazzo vede che ho la macchina fotografica e mi indica, lontano, il cancello di una caserma. "Fai una foto là! Là, vedi? Quelli sono infiltrati!". Dove rivolge l'indice si scorgono alcuni agenti con la divisa, altri con la pettorina 'POLIZIA' che non brandiscono manganelli d'ordinanza, bensì bastoni del tutto simili a manici di piccone. Non so dire se la caserma indicatami è la stessa delle foto pubblicate successivamente, che mostrano fianco a fianco agenti in divisa e persone bardate con fazzoletti sul viso. Il caldo è forte e, nei momenti in cui il corteo si ferma, alle richieste di acqua i genovesi rispondono, ancora una volta, con gentilezza e sollecitudine: con secchi e perfino con una manichetta irrorano dai piani alti dei palazzi i manifestanti che chiedono "acqua, acqua". Sugli scogli e le spiaggette che costeggiano il lungomare molti bagnanti guardano la sfilata dei duecentomila. Ma la scena muta nel giro di poco: alla testa del corteo si vede fumo bianco. Immediatamente il nostro camminare in ordine sparso si compatta per le indicazioni di un improvvisato servizio d'ordine, fatto di persone che si tengono per le mani e che incanalano il corteo verso una deviazione: "Passate di qua, davanti ci sono scontri! Il corteo di qua, i pacifici di qua!" La deviazione ha rimescolato i gruppi dei manifestanti e ora mi trovo vicino a due frati con il saio, ad alcuni Giovani Comunisti e a ragazzi con le mani dipinte di bianco. Poco davanti a noi c'è lo striscione con 'La rivoluzione non russa' del Manifesto. Ma dalla traversa che interseca il viale che stiamo percorrendo vediamo correre ragazzi con fazzoletti e bastoni e agenti in tenuta anti-sommossa. Il corteo si spezza letteralmente in due parti; noi ci troviamo in testa al segmento posteriore e qualcuno suggerisce: "Alziamo le mani! Facciamo vedere le mani aperte". Abbiamo i poliziotti davanti, abbastanza lontani, non troppo da vedere le nostre mani nude alzate. "Meno male - si consola qualcuno - hanno capito che siamo 'buoni' ". Non l'avesse mai detto. Se l'aria era già acre per i lacrimogeni lontani, ora ce ne arriva dritto dritto uno verso di noi. La sensazione è quella aspra e bruciante di un peperoncino piccante spalmato sul viso e sugli occhi. Ci mettiano un fazzoletto sul viso (meno male che è verde e non nero!), bagnato d'acqua, e con buona pace del ragazzo di prima, pure noi sembriamo 'cattivi'. Mi guardo dietro, l'istinto è di scappare, ma c'è un intero corteo dietro di noi con gente di ogni età. Si indietreggia piano, per dare il tempo a quelli di dietro di retrocedere senza creare schiacciamenti, ma la carica annunciata comincia a prendere forma, e allora si corre, ordinatamente, ma si corre. Vedo correre genitori con il passeggino del bambino, correre l'accompagnatore di un signore sulla carrozzella, noi corriamo sul marciapiede verso un portone chiuso. Citofoniamo e qualcuno apre, facciamo entrare subito una ragazza che ha una ferita alla testa, qualcosa l'ha colpita, forse un sasso, forse un lacrimogeno. Una signora del palazzo ci dà l'acqua ossigenata, noi abbiamo fazzoletti e il cellulare per chiamare un numero di soccorso medico. Mentre fuori vediamo distintamente le camionette della polizia con gli 'spara-lacrimogeni' funzionare a pieno ritmo, come in un film ci troviamo chiusi dentro un portone, un microcosmo che conta due professori, due parrocchiane (una è la ragazza ferita), un ragazzo anarchico e un pensionato di Rifondazione. Le scaramucce verbali tra questi ultimi due sono perfino tenere, rispetto a quello che succede fuori: "Perché non è venuto il vostro Bertinotti alla manifestazione?" "Ma come, il compagno Bertinotti è in prima fila, alla testa del corteo!" . Tutti chiamano a casa per rassicurare. Gli operatori del soccorso medico arrivano velocemente e prestano i primi soccorsi alla ragazza, fortunatamente non grave. Distribuiscono acqua ed energetici a tutti, chiedono a tutti, tre o quattro volte, con una gentile insistenza, se qualcuno ha bisogno di soccorso. Forse è questa la normalità, non ci siamo più abituati da ieri. Ascoltiamo Radio Popolare per sapere che il pezzo di corteo dietro di noi, che si trovava ancora sul lungomare (prima della deviazione forzata) è stato caricato con le camionette e con lacrimogeni dall'elicottero. Troverò poi un amico, in treno, che mi racconterà di aver dovuto fare da stampella, nel fuggi fuggi, ad un ragazzo con il piede ferito dall'arrivo di uno di questi lacrimogeni lanciati da altezze vertiginose. Torneremo a Quarto, a piedi, solo quando sapremo dalla radio che il lungomare è libero. La gente che incontriamo è sotto shock. Un bar ha riaperto e concede a tutti l'uso della toilette. Una signora del Pinerolo Social Forum si sfoga con amarezza: "Non ci crederanno… neanche mio marito mi crederà quando racconterò che la polizia, anziché inseguire i black, picchiava noi, seduti a terra con le mani in alto… ci portiamo a casa una ragazza ferita." Anche ora percepiamo lo stridore di una giornata di sole, con i bagnanti, con il bar- ristoro, e chilometri di lungomare inguardabili. Non sono i cassonetti e le campane del vetro rovesciati che mi colpiscono. Dopotutto, una energica pulizia mette tutto a posto. Ma c'è lo scheletro di un'auto bruciata, ci sono magliette, bandiere, striscioni e tubetti di tempera frettolosamente abbandonati a terra. Ci sono bossoli di candelotti e gocce di sangue ancora fresco. Al rientro a Quarto sapremo che tutti gli zaini sono stati perquisiti e che sono stati arrestati sette tarantini. Si trattava proprio di quelle persone che, colpite da quello che era successo venerdì pomeriggio, avevano rinunciato al corteo. Uno di loro, che conosco da anni, proprio il sabato mattina mi aveva detto di sentirsi troppo angosciato per partecipare. Quasi a scusarsi per questa sua defezione. Un'altra signora era la mamma di uno dei ragazzi manifestanti, anche lei pensava ovviamente di essere 'al sicuro', rimanendo nella scuola. Noi lasceremo Genova da Brignole, la sera tardi, e sapremo dal telefonino della terribile incursione alla scuola Diaz. Per le persone arrestate, invece, sarà drammaticamente la volta di Bolzaneto, con i suoi carichi di pestaggi, di insulti, di ore in piedi, poi il carcere di Vercelli ed Alessandria, poi il rilascio 'per immotivato arresto'. Mi chiedo quante persone, dopo Genova, rinunceranno a manifestare nelle città, e quante invece siano state risvegliate dalla gravità degli eventi e richiamate ad una partecipazione più attiva alla vita sociale o politica. C'è bisogno di far sapere quanto siano importanti le idee che marciano sui princìpi di dignità del lavoro, di salvaguardia ambientale, dei diritti minimi di acqua, cibo, istruzione e cure mediche per tutti gli esseri umani. Nessuno, se non è cieco, sordo o, peggio, cinico, può far finta di niente. Diffondiamo quindi queste idee, con costanza, tutti i giorni di tutti i mesi di tutti i lunghi anni che abbiamo davanti. Lo dico con le parole dell'indimenticabile Fabrizio De Andrè: "Morire per delle idee, sì, ma di morte lenta". Per uno di quelli che era a Genova, invece, la morte è arrivata repentina.




Alessandro Marescotti
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