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un racconto per l'educazione alla pace e all'intercultura



fonte: http://utenti.tripod.it/ceabs Museo Pinacoteca dell'arte dei Bambini del Comune di Smerillo (AP)

           "IL SOLE, AL DI LA' DELLE NUVOLE"

           Un percorso di educazione alla Pace

           *****

           di LUCIANO GALASSI

            

           Era una tiepida giornata di primavera, il sole splendeva e le rondini avevano fatto la loro comparsa nel
           cielo.
           Mario non si stancava di osservarle mentre volavano libere e felici, in evoluzioni, a volte, spericolate.
           Quelle bestiole gli mettevano tanta allegria addosso.
           La sua raccolta attenzione fu turbata dalla voce di Lucia, che correva verso di lui, chiamandolo a gran
           voce: "Mario, Mario!"
           Mario e Lucia erano amici e frequentavano la stessa scuola, anche se non la stessa classe.
           Lucia aveva 9 anni ed era di un anno piu grande di Mario.
           "Che succede?" chiese Mario. "Come mai sei cosi agitata?"
           "E' che stiamo per entrare in guerra!" rispose Lucia.
           "Co?come in guerra??" balbetto Mario.
           Per un istante era come se il cuore si fosse fermato nei loro petti.
           "Si, in guerra!" ripete Lucia, mentre riprendeva fiato dalla corsa che aveva fatto.
           Un brivido di paura percorse la schiena di Mario, anche se non comprendeva del tutto il significato di
           quelle parole.
           "Stiamo per entrare in guerra con chi?" chiese Mario. "E chi te lo ha detto?"
           Un raggio di sole fece brillare le piccole gocce di sudore sulla fronte scura di Lucia, mentre, con un
           gesto del capo, rimetteva in ordine le sue treccine.
           "Ho sentito degli uomini che lo dicevano tra loro, la, sulla piazza" disse Lucia. "Pare che faremo la
           guerra con i nostri confinanti, quelli che vivono al di la delle montagne" prosegui.
           "Chi, quelle persone dalla pelle chiara, di cui abbiamo tante volte sentito parlare?" chiese Mario.
           "Proprio loro" confermo Lucia.
           "Ma ci hanno sempre detto che si tratta di gente pacifica e semplice, anche se parlano una lingua
           diversa dalla nostra?" disse, quasi tra se, Mario.
           "Si, cosi ho sempre sentito anch'io. Anzi, una volta mi e capitato di incontrare una famigliola che si era
           avventurata da noi per cercare lavoro, e ho fatto amicizia con i loro bambini. Amicizia per modo di dire,
           perche non era facile comprendersi a parole, pero con i gesti e il sorriso, un po' ci siamo capiti" disse
           Lucia.
           Mario e Lucia erano - come avrete capito - due bambini di colore, come si dice oggi, e abitavano in
           una terra lontana, lontana. E i loro vicini erano bianchi, ma con le guance rosa. I rapporti tra le due
           popolazioni non erano molto intensi, nonostante la vicinanza.
           "Bisogna che ne sappiamo di piu" disse, convinto, Mario.
           "Sono d'accordo con te" gli rispose Lucia e continuo: "A chi possiamo chiedere? ? Aspetta ? si, si?
           al vecchio Giacomo".
           Presi dalla gran voglia di notizie, si incamminarono, anzi, corsero verso la casa di Giacomo.
           "Giacomo! Giacomo!" urlava Lucia.
           "Giacomo! Giacomo!" gli faceva eco Mario.
           Dovete sapere che Giacomo era un anziano signore, dai corti e ricci capelli, ormai d'argento.
           Era un uomo di poche parole e piuttosto solitario. Non e che non gradisse la compagnia degli altri, ma
           amava la solitudine e i suoni della natura, che lo facevano sentire in pace con se stesso e con il
           mondo. Si affascinava a sentire il rumore del vento o il ticchettio della pioggia.
           Era particolarmente amato dai bambini, ma anche gli adulti lo cercavano, ogni tanto, per avere un
           consiglio su cose che li turbavano.
           Abitava in una piccola casa, a piano terra, con un giardino, altrettanto piccolo, che aveva riempito di
           fiori e pietre e con una vasca per i pesci. Era un piacere rasserenante osservare l'armonia dei colori e
           delle forme di quel giardino.
           Per guadagnarsi da vivere scolpiva dei piccoli cavalli di legno, che un mercante passava a ritirare quasi
           ogni settimana.
           Ogni tanto un cavalluccio lo regalava ai bambini che passavano a trovarlo e a fare una carezza al suo
           cagnolino, un barboncino scuro, di nome Dik.
           Mario e Lucia lo raggiunsero mentre era seduto, pensieroso, davanti alla sua casa.
           "Giacomo?Giacomo!" trillo Mario.
           Dik li accolse con uno scodinzolio festoso.
           "Che succede, bambini?" chiese loro Giacomo.
           "E' vero che stiamo per entrare in guerra con gli uomini bianchi che abitano al di la delle montagne?"
           domando, tutto d'un fiato, Lucia.
           "Purtroppo e cosi?" rispose, tristemente, Giacomo.
           "Perche ?" chiese Mario.
           Giacomo disse ai due bambini di sedersi su una pietra, accanto a lui. Dik si acciambello ai loro piedi.
           Giacomo si passo la mano sul collo, come se raccogliesse i pensieri, sospiro, scrollo il capo e inizio a
           parlare: "I nostri governanti hanno deciso di impossessarsi della nazione dei nostri vicini" spiego
           Giacomo.
           "Impossessarsi della nazione? Cosa significa?" domando a precipizio Lucia, frastornata da quelle
           parole. E seguito: "Impossessarsi delle persone, delle case, delle piante, degli animali, del cielo, della
           terra, dei fiumi?"
           "Piu o meno" disse Giacomo con un filo di voce.
           "Ma non abbiamo la nostra, di nazione, per vivere?" chiese Lucia, ancor piu infervorata.
           "Certamente" confermo Giacomo. "Ma dicono che siamo diventati troppi e la nostra terra non basta a
           sfamarci tutti quanti, mentre i nostri vicini sono pochi e con una terra assai vasta".
           "In guerra?" disse, quasi tra se Mario, ancora incredulo. "In guerra?" ripete.
           Quella terribile parola girava e rigirava per la sua testa, come un vento gelido ed inquietante. Anche Dik
           sembrava diventato inquieto.
           "Ma per fare la guerra serve un esercito, tanti soldati e tante armi? e battaglie, e battaglie?" disse
           Mario.
           "E' cosi" confermo Giacomo.
           Come un fulmine che all'improvviso saetti nel cielo, cosi un pensiero si fece largo nella mente di Lucia:
           "Mio padre! Mio padre!" quasi grido.
           Dik drizzo le orecchie, allarmato.
           "Tuo padre, cosa?" domando Mario, che non aveva ancora compreso.
           "Se scoppia la guerra," gli rispose Lucia "gli uomini dovranno andare a combattere. Io non voglio che
           mio padre ci vada? potrebbe morire?"
           "Anche il mio, anche il mio?" disse Mario, che ora aveva capito. "Anch'io non voglio!"
           Giacomo, di fronte alle parole allarmate dei due bambini, non riusciva a trovare il modo per consolarli.
           Del resto, in cuor suo, sentiva che i bambini avevano ragione.
           "Giacomo, cosa possiamo fare?" gli domando, infine, Lucia.
           "Bambini, possiamo solo cercare di comprendere gli avvenimenti, ossia gli atteggiamenti e i
           comportamenti degli uomini, ma fermare la guerra ?" rispose, sconsolato, Giacomo.
           "Diciamolo a tutti i bambini," fece Mario "diciamo loro che convincano i loro padri a non andare in
           guerra".
           "Sarebbe bello, ma non so se servira" replico Giacomo.
           Lucia si addentro ancora di piu nella sua riflessione: "Una guerra, una guerra? una follia ! Quante
           persone moriranno ? E quante resteranno ferite o mutilate ? E non solo tra i combattenti: madri e padri
           che perderanno i loro figli, mogli che resteranno vedove, figli orfani ? Quanto dolore, quante lacrime !"
           "Proprio cosi" assenti Giacomo.
           "Che follia, che follia" seguito tra se Lucia.
           A quel punto Mario comprese una cosa importante: "Ma non solo tra la nostra gente ! Porteremo morte
           e dolore anche ai nostri vicini. Anche la ci saranno morti e feriti, soldati e civili. Bambini che
           piangeranno, tanto terrore ? Ma non ci hanno pensato?"
           "Temo di si" gli rispose Giacomo. "Ma forse non gliene importa molto. Pensano che il loro obiettivo sia
           piu importante delle sofferenze e delle morti, anche dei nostri. Anzi, preferiscono che la gente non
           pensi a tutto cio".
           "Non capisco, non capisco" ripeteva Mario.
           "Ma l'esercito, le armi, saranno costati tanto denaro, frutto del lavoro di tutti" disse Lucia. "Non
           sarebbe stato meglio usarlo per il bene di tutti, per i loro bisogni ?"
           "E quanto costera una guerra?" chiese Mario.
           "Chi puo dirlo?" rispose Giacomo.
           "Che follia, che follia!" seguito ad esclamare Mario.
           "E poi," riprese Lucia, "anche se dovessimo battere i vicini - che, oltretutto, non ci hanno fatto niente -
           insieme alle sofferenze e alle morti creeremo anche tanto rancore, tanta rabbia, a causa della nostra
           prepotenza. Quelle genti ci odieranno e cercheranno, magari, di farcela pagare. Vivremo sempre con la
           paura di una rivalsa, di una vendetta. E poi, li faremo diventare dei servi, degli schiavi, o che altro ? Non
           mi piace?"
           Lucia si rese conto che la questione era molto complessa e la sua testolina-treccina sembrava
           incapace di immaginare tutte le conseguenze di una guerra.
           "Ma se la nostra terra sembra non essere piu sufficiente," riprese Mario "non si potevano trovare altre
           soluzioni, invece della guerra?"
           Giacomo capi che la domanda era centrale e poteva essere un'ottima occasione per alleggerire un po'
           lo stato d'animo dei due bambini.
           "Penso proprio di si" disse Giacomo. "Voi, come avreste fatto?"
           "Non e facile," rispose Mario "ma se la terra dei vicini e molto piu ampia, potremmo comperare dei
           prodotti della terra da loro".
           "Oppure," aggiunse Lucia "potremmo fare degli scambi. Noi, per esempio, abbiamo degli ottimi
           artigiani che lavorano il ferro. In cambio dei loro prodotti potremmo fornire loro degli attrezzi agricoli.
           Cosi otterranno raccolti ancora piu abbondanti !"
           I due bambini si erano appassionati a quella discussione. Gli sembro che le soluzioni potessero
           essere tante, al fine di evitare la guerra: migliorare le tecniche di coltivazione, ridurre gli sprechi, gli
           eccessivi arricchimenti, le ingiustizie? e tante altre soluzioni.
           "Pero," disse Mario " i nostri vicini parlano un'altra lingua. Come faremo a capirci ?"
           "Non credo sia un grande problema," rispose Lucia "dato che tutte le persone che abitano lungo i
           confini hanno gia rapporti con i nostri vicini e quindi comunicano gia, si comprendono. Cercheremo di
           imparare la loro lingua. Bastera far conoscere loro le nostre necessita e sentire se la cosa puo
           interessarli. Io credo di si".
           "E per la religione ?" chiese Mario. "Loro credono ad un Dio diverso dal nostro, cosi mi hanno detto".
           "E pensi che questo sia un ostacolo ?" ribatte Lucia. "Se un Dio c'e, e nel cuore di ogni uomo, e ci
           insegna l'amore e il rispetto per ogni forma di vita e per tutte le necessita della vita: l'acqua, l'aria, la
           terra, ecc. Ci insegna la solidarieta e la compassione. Come pensi che la religione possa
           rappresentare un elemento di divisione, se e sentita e vissuta sinceramente ?"
           "Credo possa creare dei problemi," seguito Lucia "solo quando si pensa a Dio come ad una proprieta
           personale, come se il nostro fosse l'unico Dio. Ma il sentimento di Dio e rivolto a qualcosa di unico e di
           universale? E' come il vento che soffia su tutti, senza appartenere a nessuno".
           Giacomo ascolto quasi con sbalordimento le parole della piccola Lucia, che sembrava come ispirata.
           Era proprio compiaciuto. Era proprio una piccola saggia.
           Anche Dik scodinzolava con approvazione.
           Mario, invece, seguitava a fissare Lucia con la bocca aperta. Non l'aveva mai sentita parlare cosi, pero
           gli piacevano le cose che aveva detto ed era contento di essere suo amico.
           A quel punto Giacomo penso che fosse il caso di portare ad un ulteriore approfondimento i
           ragionamenti sin li fatti e pose ai due bambini una domanda:
           "Come pensate, allora, che si possa evitare una guerra?"
           "Abbiamo detto tante cose," disse Mario "e io non saprei cosa aggiungere".
           "E tu, Lucia?" chiese Giacomo.
           "Quando ho risposto a Mario sulla religione," rispose Lucia "mi sono trovata ad usare due parole:
           solidarieta e compassione. Mi sembra possano essere due parole veramente importanti".
           "Sembra anche a me" disse Giacomo. "Puoi farmi capire meglio?"
           "Ci provo" rispose Lucia. "Pensare ad una guerra e possibile solo se l'altro e visto come uno straniero,
           altro da se, di cui non mi importa nulla. Certamente puo apparire tale perche ha una lingua, una
           religione, delle usanze e magari anche il colore della pelle diversi. Ma queste differenze sono solo una
           parte della realta. Essendo esseri umani, abbiamo infatti bisogni e sentimenti simili. Dunque c'e una
           base profonda che ci avvicina, ci rende simili. Cosi puo essere importante scoprire, evidenziare
           l'umanita degli altri, al di la delle differenze piu visibili e superficiali. Se prendo a cuore la realta
           dell'altro, avvicinandomi, frequentandolo, conoscendo i suoi bisogni e la sua storia, condividendo i suoi
           sentimenti, le sue gioie, speranze, dolori, paure, e, dunque, legandomi a lui, credo sara ben difficile
           che io possa fargli del male, farlo soffrire. Far soffrire lui sara anche far soffrire me".
           "Ci aiuteremo," prosegui Lucia "anziche fare la guerra. Cercheremo insieme la strada per la pace".
           Giacomo fu commosso dalle parole di Lucia.
           Lui stesso non avrebbe saputo dire di meglio. Era proprio contento di quella bambina.
           "Speriamo che questa temuta guerra non debba proprio scoppiare" disse Giacomo. "In ogni caso noi
           abbiamo messo insieme le prime, piccole pietre per impedire che cio accada".
           "Tornate sereni ai vostri giochi" disse loro Giacomo, salutandoli.
           Dik, com'era nel suo carattere esuberante, abbaio e scondinzolo a piu non posso?

           Giacomo torno ai suoi cavallucci e il mondo - che si era quasi fermato nella coscienza dei bambini,
           presi dai loro importanti pensieri - riprese il suo corso: le rondini seguitavano i loro voli festosi e Mario
           e Lucia continuarono a correre con quanto fiato avevano in corpo.
           La notte calo come una benedizione su tutte le genti e il giorno seguente il sole torno a splendere e a
           fugare le tristi nubi nate al pensiero della guerra.

           ( L.G. - Aprile 2000)

            

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