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La nonviolenza e' in cammino. 722
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 722
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Tue, 4 Nov 2003 03:07:24 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 722 del 4 novembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Piercarlo Racca: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. Mai piu' guerre
3. Lidia Menapace: riprendere l'impegno per la pace
4. Luisa Morgantini: petizione per il Sydney Peace Prize a Hanan Ashrawi
5. L'8 novembre a Verona con Lidia Menapace
6. Franca Bimbi: Dopo Ofena, in dialogo
7. Comitato torinese per la laicita' della scuola: Dopo Ofena, in dialogo
8. Comunita' cristiana di base di Pinerolo: Dopo Ofena, in dialogo
9. Riccardo Di Segni: Dopo Ofena, in dialogo
10. Paolo Naso: Dopo Ofena, in dialogo
11. Enrico Peyretti: Dopo Ofena, in dialogo
12. Adriana Zarri: Dopo Ofena, in dialogo
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'
1. MEMORIA E PROPOSTA. PIERCARLO RACCA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario sul conto corrente n. 9490570 presso la Banca Unicredito,
agenzia di Borgo Trento, Verona, abi 2008, cab 11718, intestato ad "Azione
nonviolenta", via Spagna 8, 3712 Verona, specificando nella causale:
abbonamento ad "Azione nonviolenta". Avvicinandosi la fine dell'anno,
abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici della nonviolenza di motivare
l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a tutti i lettori del nostro
notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la prima volta) l'abbonamento
ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Piercarlo Racca (per contatti:
piercarloracca@libero.it). Piercarlo Racca e' uno dei militanti "storici"
dei movimenti nonviolenti in Italia ed ha preso parte a pressoche' tutte le
esperienze piu' vive e piu' nitide di impegno di pace]
Nel prossimo gennaio il mensile "Azione nonviolenta" compira' 40 anni, io
sono abbonato fin dal 1971 e continuero' ad abbonarmi perche' non c'e'
nessuna altra rivista che tratta le tematiche della nonviolenza con questa
regolarita' e ampiezza.
Il fatto che "Azione nonviolenta" sia uscita regolarmente per 40 anni e' una
grande base di appoggio per chi crede nella nonviolenza, e nel panorama
italiano un "sicuro punto di riferimento".
Per i temi trattati, per garantire la sua continuita', per farla uscire da
una situazione di "precariato" ognuno puo' fare un piccolo ma concreto
gesto: abbonarsi.
Scoprira' cosi' quanto sia importante ed educativo avere sulla propria
scrivania questo strumento.
2. INIZIATIVE. MAI PIU' GUERRE
Giorno verra' che quel patto giurato dai vivi emersi dall'orrore della
guerra e posto come legge a fondamento dell'Italia risorta con la
liberazione dei popoli avra' adempimento, sara' non piu' solo speranza,
parola che chiama a un adempimento, ma effettuale verita', stoffa dei
giorni, sale della convivenza civile: "L'Italia ripudia la guerra". Quanto
tarda a venire quel giorno: e tu di buona lena ad avvicinarlo coopera.
Il 4 novembre cessera' di essere stolto festeggiamento degli apparati di
morte e indecente esaltazione di un'identita' fondata sull'uccisione
dell'altro.
Diventera' memoria addolorata e sincera di tutte le vittime di tutte le
guerre, diventera' cerimonia solenne di impegno affinche' mai piu' guerre si
diano. Che e' il voto del coro dei morti, che e' il voto dell'umanita'
intera.
Oggi le persone amiche della nonviolenza a Viterbo per il secondo anno
consecutivo con una cerimonia pubblica silenziosa, austera, rigorosa,
rendono omaggio a tutti gli uccisi, e ricordano quella verita' che Heinrich
Boell espresse lapidariamente: "ogni vittima ha il volto di Abele".
E senza parole, con il nudo gesto della pieta' verso i defunti, testimoniano
altresi' quanto crudele, e crassa e lugubre a un tempo, e ripugnante alla
coscienza e alla ragione, sia la festa che poche ore dopo nella stessa
piazza terranno i poteri militari per celebrare tronfi se stessi la memoria
ingiuriando di coloro che trucidarono.
Mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' eserciti, mai piu' armi.
3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: RIPRENDERE L'IMPEGNO PER LA PACE
[Ringraziamo di cuore Lidia Menapace (per contatti:
llidiamenapace@virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a
Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Tra le piu' "antiche" espressioni contro il 4 novembre e la cultura
militarista ricordo un sit in a Bolzano, nel 1961, tenutosi in piazza delle
erbe invece e contro l'oscena manifestazione militare al monumento alla
vittoria: erano gli studenti di Bolzano. Fu una delle prime presenze
pubbliche di Alex Langer, con molti studenti e un po' di professori.
Ricordo anche una manifestazione silenziosa per le strade di Bolzano degli
studenti delle due lingue contro la politica di Pella per Trieste Fiume Zara
ecc. carica di retorica nazionalista e dimentica dei torti verso i
sudtirolesi, memtre tra questi allignava gia' la malapianta della violenza
terroristica (gli attentati sono del 1961).
*
Non abbiamo interrotto, ma ci siamo un po' azzittiti/e e il risultato e' che
un anno fa abbiamo perso il referendum popolare per mutare il nome della
piazza da Vittoria in Pace.
E' vero, il movimento per la pace e' intermittente e il militarismo invece
ininterrotto, continuo e permeativo.
Bisogna dirlo, non abbiamo bisogno di forme di autocompiacimento: il 15
febbraio e' stata una cosa grande, le bandiere per la pace sventolano dai
balconi, ma siamo di nuovo via, assenti.
Bisogna riprendere.
4. APPELLI. LUISA MORGANTINI: PETIZIONE PER IL SYDNEY PEACE PRIZE A HANAN
ASHRAWI
[Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int)
per questo appello. Luisa Morgantini, parlamentare europea e presidente
della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo
palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace;
il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito
www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5
novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di
Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal
1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove
ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971
ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore
dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la
sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta
nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato
metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per
il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata
responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato
metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano
nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel
Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism).
Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in
Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione
non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio estero, ricerca ed energia. In Italia
continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la
pace"]
Ciao,
vi scrivo per chiedervi di firmare al piu' presto la petizione per il
conferimento del Sydney Peace Prize ad Hanan Ashrawi, come riconoscimento
alla sua dedizione per la promozione dei diritti umani e per il processo di
pace in Medioriente, per il coraggio dimostrato nel condannare l'oppressione
e la corruzione, e per la sua costante difesa della giustizia.
La dottoressa Ashrawi, professoressa all'Universita' di Bir Zeit, ha fondato
e diretto per anni la Bir Zeit University Legal Aid Committee and Human
Rights Action Project, tra il 1991 ed il 1993 e' stata portavoce ufficiale
della delegazione palestinese nel processo di pace in Medioriente; e' ora
segretaria generale di Miftah, Palestinian Initiative for the Promotion of
Global Dialogue and Democracy, oltre che membro dell'Independent
International Commission on Kosovo, del Council on Foreign Relations, del
World Bank Middle East and North Africa Region, del United Nations Research
Institute for Social Development.
Su questo sito trovate il testo completo della petizione, oltre che alcune
dichiarazioni di Hanan Ashrawi: www.thepetitionsite.com/takeaction/439042231
Un abbraccio a tutte,
Luisa Morgantini
5. INIZIATIVE. L'8 NOVEMBRE A VERONA CON LIDIA MENAPACE
Si svolgera' l'8 novembre a Verona, su invito di autorevoli personalita'
come Lidia Menapace, Mao Valpiana e Giovanni Benzoni, un incontro per dare
una piu' precisa definizione alla proposta promossa da Lidia Menapace e
dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre "per un'Europa
neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" e
tradurla in un appello e un'iniziativa, la cui necessita' e urgenza e' a
tutti evidente.
Il luogo dell'incontro dell'8 novembre a Verona e' la Casa per la
nonviolenza, in via Spagna 8 (vicino alla Basilica di San Zeno); l'orario
dell'incontro e' dalle ore 11 alle ore 16. Lidia Menapace sara' li' fin
dalle ore 10, per poterci parlare insieme anche di altro. Per arrivare alla
Casa per la nonviolenza: dalla stazione ferroviaria prendere l'autobus n.
61, direzione centro, scendere alla fermata di via Da Vico, subito dopo il
Ponte Risorgimento; chi arriva in macchina deve uscire al casello di Verona
Sud, seguire la direzione centro fino a Porta Nuova, poi a sinistra lungo la
circonvallazione interna fino a Porta San Zeno.
Per informazioni e contatti: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it
6. RIFLESSIONE. FRANCA BIMBI: DOPO OFENA, IN DIALOGO
[Ringraziamo Franca Bimbi (per contatti: franca.bimbi@unipd.it) per averci
inviato questo suo intervento uscito su "Il Mattino di Padova" del 2
novembre 2003. Franca Bimbi e' docente universitaria e parlamentare, tra le
sue pubblicazioni recenti: (a cura di, con Alisa Del Re), Genere e
democrazia. La cittadinanza delle donne a cinquant'anni dal voto, Rosenberg
& Sellier, Torino 1997; (a cura di, con M. Carmen Belloni, presentazione di
Massimo Cacciari), Microfisica della cittadinanza. Citta', genere, politiche
dei tempi, Angeli, Milano 1997; (a cura di, con Rita D'Amico), Sguardi
differenti. Prospettive psicologiche e sociologiche della soggettivita'
femminile, Angeli, Milano 1998; "L'Italie. Concertation sans representation"
(con Vincent Della Sala), in Jane Jenson, Mariette Sineau (sous la direction
de), Qui doit garder le jeune enfant? Modes d'accueil et travail des meres
dans l'Europe en crise, L. G. D. J., Paris 1998; "Measurement, Quality, and
Social Change in Reproduction Time. The Twofold Presence of Women and the
Gift Economy", in Olwen Hufton, Yota Kravaritou (eds.), Gender and the Use
of Time / Gender and Emploi du Temps, European University Institute, Centre
for Advanced Studies, Firenze, Kluwer Law International, 1999; "The Family
paradigm in the Italian Welfare State", in Gonzalez Maria Jose', Jurado
Teresa, Naldini Manuela (eds.), Gender Inequalities in Southern Europe.
Women, Work and Welfare in the 1990s, South European Society & Politics,
4/2, Autumn 1999; (a cura di) Madri sole. Metafore della famiglia ed
esclusione sociale, Carocci, Roma 2000; (a cura di, con Cristina Adami,
Alberta Basaglia, Vittoria Tola), Liberta' femminile e violenza sulle donne,
Angeli, Milano 2000; (a cura di, con Ruspini Elisabetta) "Poverta' delle
donne e trasformazione dei rapporti di genere", in Inchiesta, 128,
aprile-giugno 2000; (a cura di), Sex Worker. Reti sociali, progetti e
servizi per uscire dalla prostituzione, Aesse, Roma 2000; "Prostituzione,
migrazioni e relazioni di genere", in Polis, 1, 2001; "Violenza di genere,
spazio pubblico, pratiche sociali", in C. Adami, A. Basaglia, V. Tola (a
cura di), Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi, Angeli,
Milano 2002; (a cura di), Differenze e diseguaglianze, Il Mulino, Bologna
2003]
Il parroco di Ofena, in nome dei bambini da tutelare e da rispettare, non
scende in strada brandendo la croce. Anzi, chiede un po' di silenzio "su
questa storia" e affronta da profeta disarmato, con il suo quasi eroico
tacere, una triplice violenza simbolica, scatenata in nome di Dio.
*
La prima violenza viene da coloro che non hanno consentito alla scuola di
accogliere in pace anche un segno religioso islamico, nella maniera ritenuta
dagli insegnanti piu' opportuna, per sostenere sia la fiducia degli allievi
di ogni religione verso i loro educatori che l'amicizia tra i ragazzi
allevati in religioni differenti.
Il Ministero, che ha rinnovellato con la sua circolare sui crocifissi i regi
regolamenti dell'era fascista, ha cosi' incrementato una guerra di religione
simbolica, interferendo per via amministrativa nella delicata relazione
pedagogica tra insegnanti e alunni, nella sfera piu' profonda della liberta'
d'insegnamento, e nel clima stesso della comunita' educativa. Ne aveva
diritto? Sul piano formale sembra di si'. Tuttavia dubito che l'esercizio di
questo diritto abbia garantito prima di tutto "l'interesse superiore dei
minori", cui richiama anche una Convenzione internazionale.
Alla fine, ad Ofena, si sono resi conto del danno derivante ai bambini dal
conflitto tra gli adulti: dunque si e' prolungato il ponte scolastico di
Ognissanti.
*
La seconda violenza simbolica e' derivata dalla presunzione di un credente
(Adel Smith) di fare giustizia al suo credo, e ai suoi figli, imponendo la
rimozione del segno di un'altra religione con la forza della legge. Ma
questo tipo di violenza accomuna anche tutti coloro, compresi diversi
genitori, che ritenendosi tutori del crocifisso (e persino del Cristo li'
appeso), strepitano per imporre, con la legge o con la forza della
maggioranza, non si sa se un arredo scolastico o un segno di Colui che di
fronte alla morte rinuncio' alle legioni del Padre Suo (in questo caso
rappresentate dall'ufficiale giudiziario).
Smith, come altri genitori, non si chiede affatto se questa prova di forza
in nome di Dio faccia bene ai bambini. Anzi, ognuno dei due gruppi sembra
impegnato a proiettare il danno inflitto ai piu' piccoli sulla "cattiveria"
del nemico: siamo o non siamo in una vera guerra?
Tuttavia, in questo secondo tipo di violenza, la posizione di Smith e quella
dei genitori "cristiani" e' molto diversa. Infatti il primo - per quanto
soggettivamente intollerante - fa parte di una minoranza che, di fronte alla
negazione di un riconoscimento, ricorre al diritto per garantire a se' e ai
propri figli una pari opportunita'. Al contrario, i secondi utilizzano il
criterio della maggioranza per negare alla minoranza quello stesso tipo di
liberta' di fede (indicato dall'esposizione di un simbolo) che ritengono per
se stessi un diritto inalienabile. Del resto, lasciando da parte il clamore
di Ofena, non e' un caso che un'analoga dinamica si stia svolgendo in
Veneto, a partire dal ricorso di una mitissima madre finlandese non
credente.
Davvero - se il problema viene sollevato da una minoranza - si puo' imporre,
nello spazio pubblico istituzionale, un simbolo del sentimento religioso, in
base al criterio di maggioranza? Quest'ultimo puo' esser utilizzato, nel
campo dell'espressione religiosa, in analogia con il meccanismo elettorale:
governa chi ha la forza dei numeri? Se cosi' fosse, verrebbe meno, allo
stesso tempo, sia la differenza tra assolutismo e democrazia (la democrazia
e' garanzia per le minoranze) che la definizione della liberta' religiosa
cosi' come si e' formata nella storia della civilta' occidentale: diritto
inalienabile dei singoli, e delle associazioni cultuali cui essi
partecipano, eguale per ognuno e per qualsiasi fede, indipendentemente dai
rapporti di forza, comunque espressi.
Sarebbe curioso se, in nome del sentimento religioso della maggioranza,
ritornassimo al "cuius regio, eius religio", nascondendo con la tirannia del
numero un processo strisciante di discriminazione religiosa. Non bisogna
dimenticare che il conflitto in atto riguarda la capacita' delle democrazie
occidentali di elaborare i nuovi-vecchi conflitti culturali, garantendo alle
minoranze, vecchie e nuove, linguistiche, etniche, religiose, i diritti di
tutti, nello stesso grado.
Per quanto si consideri un grave errore, dal punto di vista della
costruzione di una societa' multiculturale e aperta, il ricorso alla forza
della legge per garantire i diritti religiosi di chiunque (questa e' la mia
posizione), tuttavia non si puo' assimilare la rimozione del crocifisso, e
la sua rimessa in loco, a cio' che e' accaduto, ad esempio, durante i regimi
comunisti ed alla loro caduta. Li' chi vietava la croce utilizzava la
coercizione dello stato contro la societa' civile e dava per acquisita la
volonta' popolare: dunque stato versus societa' e maggioranza presunta
versus minoranze attive. Alla caduta dei regimi, chi ha riportato le croci
nello spazio pubblico ha espresso la liberta' della societa' contro lo stato
autoritario e ha difeso il sentimento religioso (non importa se di molti o
di pochi) contro la negazione della sua espressione pubblica. Ad Ofena e in
Veneto la dinamica e' rovesciata. Chi chiede la rimozione del crocifisso e'
un pezzo minoritario di societa' che si appella alla giurisdizione dello
stato di diritto, esprimendo verso una maggioranza ben garantita una domanda
di uguaglianza tra i culti; e' minoranza attiva che, in nome di diritti
ritenuti non abbastanza garantiti, si scontra con una maggioranza (spesso
silenziosa, e in parte presunta), difesa direttamente dall'avvocatura dello
stato.
*
Il terzo tipo di violenza simbolica riguarda tutti coloro che utilizzano il
manufatto della croce per tirare dalla loro parte, politica o religiosa,
l'Uomo Crocifisso.
In due direzioni. L'una interpreta i segni del cristianesimo nello spazio
pubblico istituzionale come altrettanti simboli dell'identita' specifica di
un popolo, l'altra li considera simboli di valori obiettivamente universali.
Nel primo caso, se il Cristo crocifisso fosse interpretabile nel senso di
una specifica identita' nazionale (italiana, o croata, o francese...) o di
un qualsiasi o continente (europeo piuttosto che africano), cosa ne sarebbe
della predicazione di Paolo ("non piu' ebrei, ne' gentili..."), che fonda la
tensione universalista del messaggio cristiano? Il significato salvifico
della morte di Cristo, puo' offrirsi come universale proprio perche' non
sovrapponibile alle specifiche forme storiche del suo riconoscimento,
superando ogni pretesa di identificazione/fissazione in una forma culturale.
Dunque il Crocifisso puo' apparire segno universale perche' si offre ad ogni
cultura, ma sembra del tutto improprio, rispetto al significato religioso
del Segno, farne simbolo di un'identita' in base alla volonta' di una
maggioranza, che intende usarlo per far dipendere i diritti di espressione
religiosa delle minoranze dall'estensione prevalente dei propri.
D'altra parte l'interpretazione universalista del messaggio religioso
cristiano, e dei suoi simboli, tra cui per eccellenza il crocifisso, non
puo' essere intesa come fattuale, oggettiva e incontrovertibile, ovvero come
riconoscibile da tutti sul piano della costruzione della sfera pubblica.
Essa, nelle sue differenze e divisioni interne, resta una costruzione
culturale del "noi", cristiano e, in gran parte, occidentale.
Sul piano religioso, l'universalismo del messaggio cristiano non e' un
fatto, bensi' una Parola, che viene offerta dalla testimonianza di chi crede
allo sguardo e all'ascolto di chi non crede: intesa dal credente come valida
per tutti, perche' considerata disponibile al senso profondo dell'esperienza
umana di ognuno, in ogni cultura. Tuttavia, proprio chi crede, dovrebbe
essere consapevole che, nel corso del processo storico e persino all'interno
di ognuno dei paesi piu' debitori al patrimonio culturale del cristianesimo,
il crocifisso e' stato anche brandito come segno di negazione del sentimento
religioso altrui e di coartazione della liberta' religiosa di altri: non e'
molto che un Papa ha cominciato a chiedere perdono per questo.
*
Quasi ogni religione tende a considerare la propria interpretazione del
mondo come la verita' assoluta: in maniera ancora piu' intensa, se essa
intende accogliere tutto il genere umano. Ma non si puo' trasferire
l'intenzione universalista del messaggio, e il suo significato universale
per i credenti, nella pretesa di riconoscimento pubblico del valore
universale di una specifica religione, da far valere erga ommes sotto
l'imperio della legge e della volonta' della maggioranza. Cio' sarebbe
semplicemente inconciliabile con la democrazia.
Il signor Adel Smith, nella sua rozzezza culturale e nella sua furbizia
mediatico-politica, ha messo a nudo anche i nostri limiti: le tentazioni
egemoniche del cristianesimo strumentalizzato dalla politica, la difficolta'
dei credenti a tener conto dell'eloquenza silenziosa del Crocifisso nudo, le
confusioni tra l'idolatria verso un arredo (oggi comprato all'ingrosso!) e
la fedelta' a un Segno (che si vorrebbe ancora garantita dalla legge
penale).
In mezzo al conflitto restano i bambini, cui non dovremmo dare scandalo.
7. RIFLESSIONE. COMITATO TORINESE PER LA LAICITA' DELLA SCUOLA: DOPO OFENA,
IN DIALOGO
[Dal Comitato torinese per la laicita' della scuola (per contatti:
laisc@arpnet.it) riceviamo e diffondiamo]
Il Comitato torinese per la laicita' della scuola ritiene di grande valore
civile la sentenza del Tribunale dell'Aquila che impone la rimozione del
simbolo religioso cattolico nella scuola.
In ogni caso e indipendentemente dalle motivazioni particolari del
ricorrente sig. Adel Smith, la sentenza ribadisce il principio che lo Stato
laico non debba esporre nelle sedi pubbliche alcun simbolo religioso, con
cio' rispettando le convinzioni di tutti i cittadini, credenti in varie
religioni oppure non credenti.
La laicita' come "principio supremo" del nostro ordinamento e' stata
sostenuta in numerose sentenze della Corte Costituzionale (cfr. sentenza
203/1989) ed e' stata ampiamente richiamata nella sentenza della Cassazione
che assolse definitivamente il prof. Marcello Montagnana perche' si era
rifiutato di assolvere i compiti di scrutatore in presenza di simboli
religiosi nei seggi elettorali (Sezione IV penale, sentenza n. 439, 1 marzo
2000). In particolare la sentenza della Cassazione dichiarava insostenibile
il "parere" del Consiglio di Stato 63/1988 che aveva considerato ancora in
vigore l'obbligo di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche.
La presenza del crocifisso nei luoghi pubblici e' dunque oggetto di
dibattito culturale e di contenzioso giuridico da lunga data e sbagliano i
difensori del simbolo cattolico che pongono la questione nei termini di
conflitto tra Cattolicesimo e Islam, alimentando un clima di guerra tra
religioni e in ultima analisi di intolleranza verso le minoranze religiose.
Si tratta di ben altro e cioe' del semplice fatto che la Costituzione della
Repubblica italiana non riconosce una religione di Stato e sancisce
l'eguaglianza di tutti i cittadini, "senza distinzione (...) di religione"
(art. 3). Voler imporre il crocifisso in base a regi decreti degli anni
Venti, come ha ancora dichiarato in questi giorni di voler fare il ministro
Moratti, dimostra solo la volonta' pervicace di non voler prendere atto dei
principi basilari della Costituzione repubblicana.
Attilio Tempestini (presidente), Cesare Pianciola (vicepresidente), Carlo
Ottino (direttore di "Laicita'").
8. RIFLESSIONE. COMUNITA' CRISTIANA DI BASE DI PINEROLO: DOPO OFENA, IN
DIALOGO
[Dagli amici della Comunita' cristiana di base di Pinerolo (e-mail:
info@viottoli.it, sito: www.viottoli.it) riceviamo e diffondiamo]
Alcune reazioni al provvedimento del giudice dell'Aquila di rimuovere il
crocefisso da un'aula di una scuola elementare hanno suscitato nella nostra
comunita' di base molte perplessita' e ci hanno fatto riflettere sul loro
significato.
Anzitutto occorre sgombrare il campo da un grosso equivoco. Il provvedimento
del magistrato non va interpretato come una mancanza di rispetto verso la
religione cattolica ma semplicemente come l'applicazione del principio della
laicita' dello stato: non devono dunque esserci interferenze tra la sua
funzione e quella della chiesa cattolica o di altre chiese o confessioni
religiose.
Questo e' un principio di tutela delle scelte e delle convinzioni del
singolo cittadino/a. Piu' volte in questi giorni abbiamo sentito
affermazioni del tipo: "nei paesi islamici non e' permesso edificare chiese
o celebrare culti cristiani...", e l'invocazione di un "principio di
reciprocita'" per il nostro paese nei confronti dei/delle credenti islamici
presenti in Italia.
C'e' da dire che anche in occidente il principio della laicita' dello stato
ha faticato a penetrare nelle coscienze ed e' stato accettato solo dopo aver
visto gli effetti catastrofici dell'intolleranza religiosa, le persecuzioni,
i pogrom contro le comunita' ebraiche, i tentativi di genocidio verso
minoranze che non praticavano "la religione del reggente di turno". Viste le
reazioni di questi giorni, tuttavia, si e' portati a concludere che in
Italia il pricipio della laicita' dello stato non sia stato poi cosi'
compreso a fondo, e questo ci rende simili a quei paesi di cui tanto si
criticano intolleranza e integralismo.
Riguardo al caso specifico del crocefisso, nessuno/a nega la possibilita' di
esporlo in locali non statali se questa e' una scelta di chi frequenta tali
ambienti; quello che non e' accettabile e' che lo stato ne imponga o
proponga la presenza in locali statali.
L'idea ricorrente in questi giorni (espressa anche dal Presidente della
Repubblica), che il crocefisso possa essere esposto "a cura" dello Stato
perche' e' dentro tradizioni radicate del popolo italiano e ispira valori
fondamentali, e' poi molto opinabile. Senza coinvolgere l'Islam che, fino a
qualche anno fa, non ha fatto parte della storia e della cultura italiana se
non come simbolo di atavica inimicizia, rammentiamo che ci sono molti/e
italiani/e che hanno tradizioni religiose diverse da quella cattolica: i/le
credenti ebrei presenti ancora prima che si affermasse il cristianesimo;
i/le cristiani/e valdesi presenti fin dal XII secolo in varie parti della
penisola; le altre confessioni cristiane come i metodisti, battisti,
avventisti, i testimoni di Geova, ecc. ecc.
Molti e molte di loro in passato hanno dovuto "fare i conti con il
crocefisso", usato nei loro confronti non certo nella veste di un messaggio
di pace e di fratellanza. A molti/e fu imposto con il terrore e la forza; ad
altri/e non fu data neanche la possibilita' di scegliere. Non deve dunque
stupire che il crocifisso non ispiri a tutti/e i/le credenti medesimi
sentimenti, ne' tantomeno gli stessi "valori fondanti".
Ci sono poi differenze teologiche importanti: ne' il crocefisso ne' la croce
fanno parte della tradizione di fede ebraica. Per i protestanti vi e' una
fondamentale differenza tra crocefisso e croce senza Gesu' inchiodato. Il
Cristo e' risorto, non e' piu' appeso al legno della croce. Resta solo una
croce ricordo del nostro limite e della nostra finitezza, non certo segno
della presenza dell'Eterno. C'e' poi chi non e' credente: a questi il
crocefisso non richiama alcuna esperienza di fede, tantomeno esposto in
un'aula scolatica statale o in quella di un tribunale della Repubblica.
Dalle dichiarazioni di molte persone di cultura, giornalisti, politici, si
ha l'impressione che costoro si siano sentiti privati di un simbolo della
propria fede. Ognuno/a puo' scegliere i simboli che vuole e far vivere la
propria fede attraverso quei simboli. Ci sembra pero' che in questi giorni
si sia manifestato un attaccamento quasi feticistico al crocefisso, come
simbolo di identita', luogo e segno di riconoscimento per la propria fede.
Nell'annuncio evangelico Gesu' non ci ha lasciato alcun segno materiale
attraverso il quale poter affermare di essere suoi discepoli/e. Ci ha
lasciato un programma, un impegno: "Da questo conosceranno tutti che siete
miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 35). Solo in
base a questo crediamo di poter essere riconosciuti suoi discepoli e
discepole. Per questo ci lasciano perplessi/e certe affermazioni secondo cui
togliere (gli eventuali) crocefissi dalle aule sarebbe un attacco alla
cultura occidentale della quale il cristianesimo fa parte integrante. Se ci
fossero meno crocefissi e piu' accoglienza ed amore reciproco probabilmente
molti problemi si affronterebbero diversamente; probabilmente non
prevarrebbero le logiche del mercato ma quelle della solidarieta' e della
condivisione: questo e' il cuore dell'annuncio di Gesu' e la manifestazione
del regno di Dio.
Quante levate di scudi ci sono state quando ha prevalso la logica del non
amore, quando in modo blasfemo la croce e' stata fatta marciare a fianco
delle armi? Quanti e quante si sono sentiti offesi e oltraggiati nella
propria fede e nella propria cultura cristiana occidentale quando l'invito
di Gesu' all'amore reciproco e' stato disatteso, quando ha prevalso il non
amore (che non e' ancora odio ma e' il terreno dove l'odio puo' attecchire),
quando il segno dell'amore e' stato sostituito dai dogmi?
Come cittadini/e auspichiamo che l'idea di laicita' possa farsi strada nelle
coscienze di tutti e tutte perche' fondata sul rispetto e sulla
"convivialita' delle differenze". Auspichiamo che nelle aule scolastiche si
eserciti l'arte del dialogo e della convivenza armoniosa delle diversita'
perche' i/le giovani imparino a essere cittadini/e sovrani; per questo
crediamo che lo Stato non debba privilegiare alcuna confessione religiosa,
pena il venir meno al proprio impegno di educazione alla pluralita'.
Come credenti che cercano di mettersi alla sequela di Gesu' cerchiamo uno
stile di vita che metta in pratica il "comandamento dell'amore" nella
sobrieta' e solidarieta'. Non riconosciamo nel crocefisso un valore
essenziale per la nostra vita: puo' essere appeso in casa, al collo, nelle
chiese; puo' essere un'opera d'arte di inestimabile valore, o una semplice
croce di legno: se non c'e' l'amore non significa nulla. Auspichiamo che le
comunita' cristiane si radunino non solo attorno al crocefisso e che non si
reggano appoggiate ad una croce, ma che camminino giorno dopo giorno sulla
strada di Gesu'.
9. RIFLESSIONE. RICCARDO DI SEGNI: DOPO OFENA, IN DIALOGO
[Dall'allegato al numero di novembre 2003 di "Uomini in cammino" a cura
della comunita' cristiana di base di Pinerolo (per richieste e contatti:
e-mail: info@viottoli.it, sito: www.viottoli.it) estraiamo questa come
sempre equanime, nitida e autorevole dichiarazione di Riccardo Di Segni.
Riccardo Di Segni e' rabbino capo di Roma, direttore del Collegio rabbinico
italiano, primario di radiologia all'ospedale S. Giovanni di Roma]
Gli antichi testi rabbinici raccontano una storia su Rabban Gamliel
(Gamaliele), l'autorevole rabbino che difese nel Sinedrio i primi fedeli di
Gesu' e di cui l'apostolo Paolo si vantava di essere stato discepolo.
Gamliel frequentava le terme di Afrodite di Acco, un luogo pieno di statue
dedicate agli dei; ed era molto strano che lo facesse il rappresentante
tanto importante di una religione che rifiutava l'idolatria.
Gamliel si giustificava in questo modo: "non sono stato io ad andare nel
territorio di Afrodite, ma e' stata Afrodite a venire nel mio territorio".
In altri termini, bisogna distinguere tra il territorio di Afrodite, cioe'
il tempio che le e' dedicato e nel quale chi rifiuta l'idolatria non deve
entrare, e la casa di tutti, come le terme pubbliche, dove qualcuno puo'
anche averci introdotto immagini proibite, ma non per questo diventa
proibita ai frequentatori. La posizione di Gamliel era quella del
rappresentante di una religione allora senza potere politico, che non poteva
permettersi, anche se l'avesse voluto, l'abolizione forzata delle immagini
idolatriche.
Cominciarono a farlo e ci riuscirono, tre secoli dopo questa storia, i
rappresentanti del cristianesimo trionfante sugli "dei falsi e bugiardi". Da
allora fu il cristianesimo a riempire gli spazi pubblici dei segni della sua
fede. Non fu un processo senza ostacoli, perche' anche nel cristianesimo
l'uso delle immagini nella pratica religiosa fu sempre causa di discussioni
e divisioni; non tanto per il cattolicesimo: e noi in Italia, dove la
realta' cristiana e' in gran parte cattolica, dobbiamo confrontarci con le
scelte di questa parte del mondo cristiano cosi' fedele alle sue immagini di
culto.
Per Gamliel, che era lo spettatore passivo dell'irruzione nel luogo pubblico
di immagini che lo disturbavano, ma contro le quali non poteva fare nulla,
si trattava di decidere se era lecito frequentare il luogo pubblico. Per la
societa' moderna, nella quale ogni cittadino partecipa democraticamente alla
decisione collettiva, il problema va oltre: si tratta di decidere se sia
lecita l'introduzione di un segno privato in un luogo pubblico. La questione
che oggi si pone del crocifisso nelle scuole, forse con un'enfasi esagerata,
e' quella dei limiti da porre al desiderio di una fondamentale componente
della societa' a porre e imporre il segno della sua fede nella casa di
tutti, nella quale coabitano tutte le altre parti della societa'.
Non bisogna dimenticare che ogni stato moderno, per quanto laico possa
dichiararsi, ha stabilito dei patti con le religioni, maggioritarie e
minoritarie, derogando piu' o meno dal principio dell'assoluta separazione
tra stato e religioni. Cio' che e' avvenuto in Italia e' il prodotto di una
storia lunga e travagliata, e cio' che non e' stato ancora definito con
precisione, e che sta ai limiti delle decisioni consolidate, come il caso
del crocifisso, solleva di tanto in tanto delle polemiche, banco di prova e
di scontro tra almeno due concezioni diverse.
In questo dibattito puo' avere qualche importanza conoscere gli stati
d'animo e le domande di molti ebrei italiani. Si dice che il crocifisso sia
un segno culturale, e che non bisogna rinunciare alla propria cultura e alle
proprie tradizioni per un malinteso senso di rispetto delle minoranze. E'
vero che il crocifisso e' anche un segno culturale, ma non e' per questo che
lo si vuole nelle scuole; lo si vuole perche' e' prima di tutto un segno
religioso, e il problema e' essenzialmente religioso. I cattolici
rivendicano con giusto orgoglio che questo e' per loro un segno di amore e
di speranza, e non si capisce allora perche' non debba essere presente
ovunque. Ma visto da altre parti, come quella ebraica, il senso di quel
segno e' differente. Per noi e' prima di tutto l'immagine di un figlio del
nostro popolo che viene messo a morte atrocemente; ma e' anche il terribile
ricordo di una religione che in nome di quel simbolo, brandito come un'arma,
ha perseguitato, emarginato, umiliato il nostro ed altri popoli, cercando di
imporgli quel simbolo come l'unica fede possibile e legittima.
La storia passata della Chiesa ha trasformato quel simbolo, che dovrebbe
essere di amore, in un segno di oppressione e intolleranza. L'ultimo
Concilio ha cambiato nettamente la direzione, ma la richiesta ripetuta di
occupare il luogo pubblico con quel segno ripropone alla nostra memoria il
tema dell'intolleranza. La domanda che allora si pone a quella parte del
mondo cattolico che si batte tanto per il crocefisso e' se siano tornati, o
non siano mai finiti, i tempi in cui la religione cattolica ha pensato di
imporsi e diffondersi non con la testimonianza e la pratica esemplare delle
sue virtu', ma con l'invasione, la forza, l'occupazione. Il problema che ci
preoccupa e' quale modello di religione sia dietro alle richieste dei
difensori del crocifisso. Come membri minoritari di una societa'
pluralistica continuiamo a ragionare con Gamliel, e a non rinunciare agli
spazi pubblici, subendone, se inevitabile, l'occupazione con segni privati;
come cittadini partecipiamo al dibattito civile per definire i limiti e i
diritti di ogni religione nella societa' laica; come fratelli, rivolgiamo ai
fratelli cattolici una domanda preoccupata sulla loro identita', sul loro
modo di vivere e proporre la loro fede al mondo circostante.
10. RIFLESSIONE: PAOLO NASO: DOPO OFENA, IN DIALOGO
[Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo intervento.
Paolo Naso e' autorevole figura della cultura evangelica, costruttore di
pace, promotore del dialogo interculturale e interreligioso, direttore di
"Confronti" e di "Protestantesimo", autore di molte pubblicazioni]
Scoppia il caso della sentenza di un magistrato dell'Aquila che impone la
rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche. La sentenza ha suscitato
vivacissime reazioni, quasi tutte negative. Per molti la "rimozione" del
crocefisso costituisce un affronto alla fede cristiana e cattolica; per
qualcuno equivale a tagliare le radici della storia culturale e religiosa
del nostro paese. Vista cosi', la sentenza ha il sapore dell'imposizione
laicista.
Ma noi siamo convinti che si possa leggere quella sentenza anche in un altro
modo: la rimozione di un simbolo religioso non e' contro una tradizione
religiosa, ma per un principio di compiuto pluralismo religioso e di vera
laicita'. Che non e' laicismo anticlericale, ma riconoscimento che la scuola
e' la casa di tutti, a prescindere dalla propria appartenenza religiosa e da
quella della maggioranza degli italiani.
Certo, sarebbe stato mille volte meglio se il crocefisso non fosse stato
rimosso d'autorita' - se mai accadra' - e tanto piu' sull'onda della
denuncia di un musulmano cosi' poco autorevole e cosi' scarsamente
rappresentativo dell'islam in Italia; avremmo preferito mille volte che
insieme, cattolici e laici, cattolici e credenti di altre fedi, arrivassero
a concludere che la rimozione di un simbolo particolare non e'
un'amputazione ma un arricchimento sulla strada del pluralismo e della
convivenza, anche nella scuola, di diverse sensibilita' religiose e
filosofiche. Oggi quel crocefisso viene rimosso per ordine di un magistrato:
altri ordini di giudizio valuteranno se il provvedimento e' giuridicamente
fondato.
Comunque vada a finire, il problema restera' di fronte a noi. In un'Italia
in cui, dal 1984, il cattolicesimo non e' piu' religione "di stato", qual e'
il fondamento dell'esposizione istituzionale di un simbolo religioso
cattolico? In un'Italia sempre piu' pluralista sotto il profilo religioso,
perche' privilegiare solo un simbolo religioso? Ed infine, come si puo'
pensare che la storia culturale e civile del paese - in cui, certo, il
cattolicesimo ed il cristianesimo hanno svolto un ruolo molto importante -
stia o cada con l'esposizione di un simbolo?
Oportet ut scandala eveniant, e chissa' che questo "scandalo" non possa
aiutarci ad andare oltre antichi steccati: un arido laicismo da una parte e
un antistorico confessionalismo dall'altra.
11. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DOPO OFENA, IN DIALOGO
[Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo intervento.
Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscali.it) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al
di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella
rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui
abbiamo pubblicato il piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di
questo foglio, ricerca una cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
appunto successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca
sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001,
Asterios, Trieste 2001. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti
di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15 gennaio 2003 di questo notiziario]
Il crocifisso sui muri
Il crocifisso simbolo dell'identita' nazionale italiana? Nazionale e' solo
questo misero ritornello, cantato in questi giorni da una certa categoria di
italiani di vasto peso e di orizzonti stretti.
Ridurlo a simbolo nazionale: e' questa la vera offesa al Crocifisso (con la
maiuscola: una persona, non un oggetto appeso a un chiodo), offesa ben piu'
grave che rimuoverne l'immagine da un muro.
Quella persona e la sua immagine, semmai, sono simbolo universale della
sofferenza dei giusti, simbolo riconosciuto anche da miriadi di non
cristiani sensibili alle realta' profonde. In quanto tale, la croce con
l'Uomo inchiodato a morirvi e' uno dei simboli piu' noti di tutte le
infinite vittime innocenti, di tutti i giusti colpiti e uccisi. Ogni cuore
umano puo' comprenderlo e accettarlo come tale, anche senza farsi inquadrare
nelle falangi "cristiane".
Del resto, tanti cristiani usano si' il segno della croce, ma senza la
figura del Cristo Crocifisso. La croce era la sedia elettrica di allora, lo
strumento della tortura mortale, patibolo riservato agli schiavi. Se Gesu'
di Nazareth fu ucciso cosi', l'unico vanto che possono farsene i credenti in
lui, e' di stare vicini alle vittime del mondo, di compromettersi con gli
schiavizzati dai potenti, con gli esclusi dalla vita. Per i cristiani di
fede sincera, non di appartenenza sociologica o politica, quel segno e'
motivo, dopo tutto l'impegno di liberazione nel tempo, di piena speranza per
le vittime, perche' il cuore della fede cristiana e' la convinzione intima
che in quella morte del Giusto la vita si affermo' sulla morte. Percio' la
croce e' vista vuota, come il sepolcro di Gesu'.
Il fatto che anche eminenti esponenti cattolici si sbraccino nel difendere
l'oggetto-crocifisso e lo vogliano appeso per una vecchia legge nei luoghi
pubblici, indica una triste decadenza della loro fede, ridotta a
competizione tra partiti religiosi-ideologici-culturali per il possesso
animale del territorio.
Ne' il crocifisso e' cosa italiana, ne' la tradizione italiana si identifica
davvero nel crocifisso. Si identifica anche nei crocifissori.
Pensino piuttosto, come dobbiamo noi tutti, anche i capi religiosi, gli
scribi e i custodi del tempio, a rimeditare il Crocifisso, appeso al legno
fuori dalle mura, allora come talora oggi per un connubio di poteri politici
e religiosi. Pensino che la croce e' stata usata come elsa della spada, come
stemma principesco sulle bandiere di guerra (lo denunciava Erasmo, grande
cristiano e uomo di pace nella prima modernita', emarginato dalle chiese),
ed e' stata piantata in terra come segno di conquista.
Con l'oggetto furiosamente appeso in ogni aula, il Crocifisso e' sempre piu'
sconosciuto. Mi hanno riferito un fatto che, se non e' vero, e'
terribilmente verosimile: una ragazza cerca in una gioielleria una crocetta
da portare, come si usa, appesa al collo. Dopo averne esaminate alcune,
dice: "No, vorrei quella con l'omino sopra". Contento, signor cardinale?
*
Crocifissi di legno e di carne
Questa storia dei crocifissi - oggetti di legno - e' una storia stupida.
Dico proprio stupida, nel senso preciso illustrato da Bonhoeffer nel 1943 in
Dieci anni dopo: la stupidita' "non e' un difetto intellettuale ma un
difetto umano". Una storia stupida sia in chi odia quel simbolo sia in chi
lo difende con argomenti non validi.
Non sono intolleranti di quel simbolo i musulmani rappresentativi del comune
sentire dell'Islam, che si sono espressi con pubbliche dichiarazioni di
grande rispetto per il crocifisso, ma un singolo musulmano integralista.
A quanto ho potuto cogliere, i media si sono affrettati a fare da
amplificatori di questo e da silenziatori di quelli.
Hanno difeso il crocifisso autorita' sia civili che religiose associate nel
definirlo un simbolo di italianita', da esporre per questo motivo nelle aule
scolastiche.
Chi ha il dono immeritato della fede in Cristo, alla cui passione e morte
quell'oggetto si riferisce, non puo' ammettere che esso sia usato come
bandiera nazionale di un singolo paese. I cristiani per primi dovrebbero
volere che sia abolito l'obbligo di esporre il crocifisso nelle aule: non
perche' offende, ma perche' viene offeso da chi lo difende.
Ma neppure dovrebbe essere proibito. Come non dovrebbe essere proibito alcun
altro simbolo religioso, insieme ai molti simboli di ogni genere, etnici,
artistici, sportivi, politici, che i ragazzi appendono nelle aule, con buon
diritto.
"Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge",
art. 8 della Costituzione, quindi anche a scuola. Dovrebbero soltanto essere
vietate, dove la legge deve supplire alla mancanza di buon senso e di
rispetto degli altri, forme competitive o predominanti per esibizione,
dimensioni, o simili caratteri aggressivi.
Nel Centro Interculturale della Citta' di Torino, c'e' un'aula in cui sono
raccolti i simboli delle religioni piu' presenti in citta', e le scolaresche
vanno a studiarli.
Ogni persona sensibile rispetta, senza imporli a nessuno, i veri crocifissi,
come Gesu' di Nazareth: sono le vittime delle ingiustizie mondiali, delle
guerre, delle malattie, delle sventure. Questi sono i Crocifissi da tenere
sempre davanti agli occhi. Se una scuola li esclude dalla visione del mondo
proposta ai ragazzi, si pone dalla parte dei crocifissori, fosse anche la
scuola piu' "cattolica" e piu' decorata di segni religiosi.
Visitate un ospedale e osservate i malati, leggete sulle riviste di
solidarieta' coi popoli derubati i numeri della violenza economica,
informatevi sulle guerre da chi non spaccia le falsita' necessarie alle
guerre: questo e' venerare il Crocifisso nella carne di tutti i crocifissi
di oggi. Quelli di legno potete anche buttarli: non e' peccato. Ma mettete
al loro posto il volto di una vittima, ricevetene lo sguardo che obbliga a
stare coi carcerati e non coi carcerieri, coi torturati e non con gli
aguzzini, con gli uccisi e non con gli assassini. O il vecchio crocifisso
aiuta a fare questa scelta nel mondo di oggi, oppure, se non fa questo, non
vale piu', e' diventato inutile, abusato in senso contrario, e serve solo a
far litigare le religioni e a far chiacchierare i fracassoni superficiali,
occupatissimi a distrarre il popolo dalle cose importanti, pericolose da far
sapere.
12. RIFLESSIONE. ADRIANA ZARRI: DOPO OFENA, IN DIALOGO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 novembre 2003. Adriana Zarri, nata a S.
Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere
segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella, Assisi; Erba
della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia, Milano; Il figlio
perduto, La Piccola, Celleno]
La Lega - la piu' anticristiana delle formazioni politiche italiane - si da'
un gran daffare per difendere Croci e Crocifissi, "La Padania" di giovedi'
30 ottobre dedica ben quattro pagine ad un'apologia pseudo-religiosa.
L'ultima pagina a colori, squaderna una quantita' di pittori: "Da Cimabue a
Guercino" cosi' commenta "Da Masaccio a Raffaello, da El Greco a Dali' a
Chagall il crocifisso, simbolo di vera fede, ha da sempre ispirato i piu'
grandi artisti occidentali. In questa pagina, alcuni dei piu' famosi. Nella
speranza che, per non urtare certi musulmani, qualcuno non decida che dovrem
o toglierli dai nostri musei...". E' tutto chiaro: la difesa del Crocifisso
in funzione antislamica e razzista. Questo, come gia' detto, giovedi' 30
ottobre. Immagino che non sara' diverso il numero di venerdi' 31; ma non lo
comprero'. Per acquistare La Padania mi sporco le mani solo una volta tanto.
*
Tra le tante possibili soltanto alcune osservazioni. Innanzitutto la
presenza dei Crocifissi negli edifici pubblici pone gravi problemi (laicita'
dello stato, rispetto per il sentire comune e via dicendo) ma, dal punto di
vista religioso, e' un fatto irrilevante quando non addirittura
sconvolgente. Irrilevante perche' non basta l'affissione di una croce per
testimoniare una fede che vuole il Cristo albergato nel profondo del cuore e
non appeso su di una parete. Ed e' anche poco conveniente fare, di un grande
simbolo, un pezzo di arredo obbligatorio. Durante il fascismo il Crocifisso
era collocato tra i ritratti del re e di Mussolini. Era proprio il caso di
dire: Cristo tra i due ladroni; e quale poi, dei due, fosse salvato, resta
un mistero.
Il secondo pensiero che mi viene e' che, per difendere la permanenza del
Crocifisso sopra alle pareti, lo si declassa a simbolo civile e laico:
messaggero di pace e di amore universale, buono per tutti. Un non credente
potra' vedervi tutto questo, che e' pur vero, ma un cristiano ci vede assai
di piu'; e stupisce che il cardinal Ruini affermi che "Il crocifisso e' un
segno di identita' per il popolo italiano". Soltanto questo? E per gli altri
popoli cos'e'?
La terza osservazione e' che probabilmente il Crocifisso, insieme alle altre
insegne religiose, sara' destinata a scomparire dalle pareti di uno stato
laico. Ma forse non e' ancora il momento, e il grande scandalo che accomuna
tutti (o quasi) ne e' una prova. Nel frattempo non si tratta di togliere ma
di aggiungere; accanto al simbolo cristiano mettiamoci quello musulmano,
ebreo, buddista e via dicendo, fin a che le pareti ne siano completamente
ricoperte; ed anche questo sara' un segno che tutto dev'essere rimosso e rim
anere la parete nuda, decorata con altri arredi ma con la fede (anzi le
fedi) fuori dalla porta. E non sara' un'esclusione ma forse un segno di
maggior rispetto.
*
Ha ben ragione la Rossanda ad osservare che e' lecito mettere in dubbio la
religiosita' degli italiani, oggi cosi' "ferventi" nel difendere i
Crocifissi nelle scuole. Sono gli stessi che, stando alle statistiche, vanno
alla messa venti su cento ed anche meno; per non dir poi delle altre
trasgressioni. Cristiani la cui religiosita' e' spesso nutrita da quelli che
sono i cascami della fede; devozionismo, processioni, sagre patronali... la
cosiddetta "fede dei semplici" che e' poi la fede dei sempliciotti.
13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 722 del 4 novembre 2003