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Intervista ad Adriano Sofri



[Nota: pur essendo in ovvio disaccordo con le posizioni interventiste 
espresse in varie occasioni dall'intervistato, riteniamo interessante 
questa intervista in quanto realizzata da una giornalista indipendente al 
di fuori dei circuiti dell'informazione commerciale. CG]

Da: www.articolo21.com

Gli embedded? Un'opportunita' da non sottovalutare di questi tempi. Cioe', 
quelli della principessa Sissi

Intervista ad ADRIANO SOFRI di Daniela Binello

Pisa, Carcere Don Bosco _ Mi presento puntualissima. Lui no. Stava finendo 
di giocare a pallone. Arriva, infatti, tutto sudato, con la camicia ancora 
fradicia. E' piccolo, magretto, agile. Non dimostra i suoi 61 anni, 
compiuti da pochi giorni (e' nato a Trieste il 1° agosto del 1942). Ha un 
viso rigato, direi, piu' per linee verticali che orizzontali, ma e' uguale 
a quello che tante volte ho visto pubblicato sui giornali. Un volto un po' 
incolore, a causa di lineamenti lievi. Uno sconosciuto che, se tu 
incontrassi per la strada, non ricorderesti di avere sfiorato. Mentre, se 
hai letto i suoi articoli o i suoi libri, non ne dimenticherai pensieri e 
parole, il che non significa essere sempre d'accordo con lui. E che diamine.

Inizio l'intervista "come si conviene", illustrando gli argomenti di cui 
vorrei che parlasse. Cecenia innanzitutto (vi e' stato due volte, fra la 
prima e la seconda guerra), Bosnia (ha vissuto insieme ai sarajevesi 
l'assedio e gli orrori), la sua visione della politica estera attuale, il 
giornalismo "embedded" e i giornalisti uccisi dall'esercito americano in 
Iraq, il rischio per la liberta' d'informazione e, infine, che vorrei 
parlasse "delle cose che lo riguardano...". La sua risposta mi gela, ma ero 
gia' preparata: "Di questo parleremo molto poco".

Tossisce, sembra nervoso, forse nevrotico? Mi fa a bruciapelo: "Pensi che 
sia matto?". No, credo che ami stupire le persone, pero' non glielo dico. 
Percepisco invece il suo sguardo acuto, che mi studia. Muove gli occhi 
(piccoli e un po' spenti) sulla mia persona. Che cavolo ci faccio di questa 
sconosciuta, stara' pensando. Io, che sono timida, cerco tuttavia di 
mantenere alta la direttivita' del mio sguardo e continuo a sorridergli. 
Gli sembrero' un'ebete. In un attimo ha gia' decifrato tutto quello che ho 
appoggiato sulla lurida scrivania, di quelle da Monsu' Travet, in metallo 
arrugginito. Il libro sulla Cecenia, Il Foglio di oggi, delle Ansa su di 
lui. Mi propone di passare al tu e io di cominciare a dar fuoco alle pompe 
(del registratore).

Vuole sapere se nel sito di Articolo 21 l'intervista sara' solo scritta o 
se manderemo online anche l'audio. Gli indico il mio registratore, un 
vecchio modello Sony inadatto a trasferire l'audio in MP3, come si fa 
adesso su Internet o alla radio (scopro in seguito che non e' vero, ma solo 
un po' piu' complicato).

Si schermisce: "Tieni conto che non ho mai visto un euro...". Non gli piace 
essere colto impreparato, penso.

Ma non usi Internet?

"No, assolutamente. Nella mia cella non ho neanche l'interruttore della 
luce... Tutti i martedi' viene qui un volontario, a cui consegno i miei 
articoli. Ho un computer portatile. Internet...mah, forse avrei dovuto far 
richiesta".

Come fai allora, senza euro, a comprare le cose che ti servono?

"In galera si fa la spesa. C'e' un libretto e si segnano le cose comprate, 
per un massimo di 800mila lire al mese. Io le spendo tutte".

Cosa compri? Libri?

"Libri ne ho anche troppi rispetto allo spazio di cui dispongo. 
Piccolissimo. Due metri per tre. Se io e te stessimo insieme nella mia 
cella staremmo troppo stretti. In quello spazio c'e' anche il cesso, il 
bidet, un fornellino. Tutto. Una vita schifosa".

Purtroppo, mi viene da dire solo "immagino". In questo caso, non e' onesto, 
perche' uno non puo' immaginare un bel niente di quello che significhi 
stare rinchiuso, se non quel poco che ci arriva dagli stereotipi.

Sai Adriano, mi sento a disagio. Mi fa una certa impressione...trovarmi 
qui. Questi rumori sordi di portoni che vengono sbattuti e poi chiusi con 
tante mandate. Il rumore delle chiavi, enormi, che si portano appese alla 
cintola gli agenti...Tutte queste sbarre. Mi viene voglia di scappare.

"E questo, dove ti trovi, non e' ancora il carcere. E' il pre_carcere. Ma 
e' giusto che ti faccia impressione. Guai se non ti emozionasse, vorrebbe 
dire che...".

Che sono davvero una giornalista superprofessionale? Lo faccio ridere. Si 
e' rotto il ghiaccio, ma si distrae subito.

"C'e' una zanzara che gira sulla tua testa. E' una zanzara tigre. Sono 
pericolose, pungono anche attraverso i vestiti".

Penso: sara' un'intervista difficile, vuole guidare il gioco lui e mettermi 
in difficolta'....

"Si', si', e' una zanzara tigre".

Arridagli.

Cecenia

Perche' hai fatto adesso l'appello per la Cecenia (luglio 2003)?

"Perche' e' uno scandalo che non ci si sdegni. La situazione cecena e' a un 
punto di svolta. Non c'e' nessuna soluzione militare. Putin con la seconda 
guerra di Cecenia ha ridato forza al desiderio di rivalsa dei russi, 
mortificati per gli esiti della prima guerra. Il presidente russo ha detto 
frasi madornali come "li staneremo anche nei cessi...". Ma non ce l'ha 
fatta. E anche la Russia sta pagando un prezzo altissimo. La resistenza 
cecena e', pero', di due tipi: regolare ed estremistica. Anche i ceceni, 
peraltro, sono a un punto morto: o continuano a compiere queste imprese di 
terrorismo disperato, odioso, arrivato al punto da usare donne velate di 
nero, come nel teatro Dubrovka di Mosca (ottobre 2002) o al concerto rock 
(luglio 2003). Ma non esiste alcuna prospettiva per nessuno, compresa la 
Russia".

Cosa si potrebbe fare?

"L'unica cosa in cui sperare, a questo punto, e' nell'opposizione interna 
russa e anche di far leva sui civili ceceni. Sono loro l'ostaggio e le 
vittime principali di questa guerra, costretti dentro questa morsa di 
solidarieta' passiva verso i guerrieri ceceni. Occorre invertire le parti. 
Far leva sui ceceni come persone dotate di una voce propria e non piu' 
costretti a schierarsi semplicemente con qualcuno".

Ma come?

"Ci fu un episodio straordinario, caduto nella disattenzione per la 
stupidita' di chi si occupa di queste cose. Durante l'Assemblea allargata 
afghana in cui per la prima volta entrarono delle donne, alcuni esponenti 
di associazioni "strane" come i vietnamiti, etc., aderirono a un digiuno di 
protesta avvenuto dentro un campo di profughi ceceni. Digiunarono. Questo 
e' un esempio di cosa potrebbero fare i civili".

Il tuo appello e' indirizzato all'Unione europea?

"A mio parere e' l'Europa che dovrebbe fare qualcosa per la Cecenia. Ma 
l'Europa e' un'istituzione molto vigliacca". (il 3 luglio del 2003 l'Ue ha 
sottoscritto una Risoluzione contro le violazioni dei diritti umani in 
Cecenia da parte dei russi, ma per ora non se ne conoscono le conseguenze)

Tutto cade nell'indifferenza?

"C'e' piu' che indifferenza. C'e' una forte complicita' per ragioni di 
realpolitik, perche' su Putin si fa affidamento, ed effettivamente non si 
vedono alternative. Ma lui e' un prodotto dei servizi segreti russi su cui 
fare affidamento per un periodo, una stagione della potenza russa. Putin si 
e' presentato al popolo russo come quello che avrebbe sanato il problema 
della Cecenia. Pero' e' anche quello che ha speso la sua immagine contro il 
problema del terrorismo internazionale di matrice islamica. Bisognerebbe 
almeno chiedergli in cambio, pero', di evitare le infamie piu' clamorose 
del suo regime".

Berlusconi e il ritorno ai tempi della principessa Sissi

Quindi e' perche' l'Europa ha puntato su Putin per le sue vacanze in 
Sardegna che ci sono al suo seguito tre incrociatori della Marina militare 
russa?

"Io penso che sia tornata l'epoca delle dinastie, come nei film sulla 
principessa Sissi. Penso che ci sia un clamoroso, spettacolare ritorno alla 
politica dinastica. E Berlusconi ne e' un artefice non cosi' 
macchiettistico come si tende a descriverlo. Lui ha capito per primo che al 
giorno d'oggi sono tornate le feste da ballo fra figlie di presidenti a 
vita, le nozze degli Aznar o quelle da mille e una notte degli Erdogan. 
Dinastie vere o di fatto".

Del resto, pero', e' anche l'unico ruolo che Berlusconi si e' ritagliato 
nello scenario dei giochi della politica internazionale.

"Si', pero' non so se sia cosi' fortuito e singolare. Mi pare che ci sia 
una specie di coincidenza in queste pagliacciate da ancien re'gime. E poi 
son tutti parvenus, per cui il tutto risulta ancora piu' grottesco".

Ma lo scopo sara' soprattutto di tipo mediatico? Poiche' questi grandi 
matrimoni e vacanze con navi da guerra parcheggiate offshore, sono scene 
spettacolari per la tv, o no?

"No, no. Segnalano che c'e' una formidabile, grande crisi della democrazia 
internazionale. La Russia e' un Paese a mezza strada fra il dispotismo 
orientale che continua e l'accettazione delle forche caudine di elezione, 
scarsissimamente corrette. Poi c'e' un "mondo terzo" in cui le monarchie di 
fatto continuano a imperversare, a volte su basi ereditarie vere, a volte 
no. Un mondo in cui esiste, come nel caso della Corea del Nord, un 
imbarazzo universale. Un mondo dove, a mio parere, esistono episodi 
dinastici araldici, Bush senior, Bush junior e le dinastie di petrolieri".

I problemi dell'informazione "embedded"

Adriano, cosa hai pensato degli inviati embedded, la nuova frontiera del 
giornalismo di guerra che abbiamo visto al varo con la guerra 
angloamericana contro Saddam?

"Ma perche' hai sempre quest'aria...Non so se sei cosi' o ci fai".

Lasciami perdere e fammi lavorare. I giornalisti, secondo te, devono avere 
tutto il coraggio che hai avuto tu a Sarajevo o a Groznj? Devono accettare 
questi contratti pur di potere andare li' a raccontare la guerra?

"Hai l'aria di quella che vuole suggerire, magari con un po' di 
circospezione, qualche idea su eventuali malizie del mondo...".

E se la ride.

E' un tentativo, forse un po' ingenuo da parte mia, di non far trasparire 
troppo quello che penso. Pero', adesso torniamo agli embedded e ad Articolo 
21... Lo sai che ci occupiamo di liberta' d'informazione. Tu che ne pensi?

"Non penso cose diverse da quelle che pensate voi, salvo l'eventuale dubbio 
maggiore che ho su alcuni di questi problemi. Intanto, io non sono un 
modello di coraggio da contrapporre a qualsiasi altra cosa. Io sono 
semplicemente un'altra cosa, cioe' uno che non fa il giornalista, ma uno 
che va in un posto per conto suo e fa le cose che ha voglia di fare, che si 
mette a campare fuori da qualsiasi portata di strumenti per comunicare. Io 
sono assolutamente libero. A Sarajevo sono stato pochissime notti 
all'Holiday Inn, albergo peraltro bombardatissimo, e poi sono andato a 
cercarmi una casa con i sarajevesi perche' era funzionale a quello che 
volevo fare io: cioe', campare con gli abitanti di una citta' assediata e 
vedere come si fa".

Che pensi del "giornalismo di guerra nei grandi alberghi", allora?

"I giornalisti italiani in Bosnia erano i piu' bravi. Era anche in funzione 
del disinteresse dei direttori che hanno sguinzagliato allo sbaraglio 
giovani (e non i vecchi inviati) col pelo piu' fresco. Io andavo nei posti 
senza una lira, per cui avevo altre ragioni per cui dovevo campare 
diversamente. Qualcuno mi dava dei soldi, oppure me li guadagnavo dopo. 
Cioe', non ho mai avuto il problema di trasmettere la notizia come hanno 
gli inviati dei telegiornali o dei quotidiani. I miei servizi per i 
quotidiani erano appunto un sottoprodotto in virtu' del fatto che stavo 
li'. Io non faccio il giornalista, non vale niente dal punto di vista 
giornalistico la mia esperienza. Non sono nemmeno pubblicista e, fra 
l'altro, era una cosa che all'epoca rifiutavo, cioe' l'iscrizione all'Ordine".

Torniamo agli embeds. Mi pare di capire che sei favorevole.

"Io sono molto perplesso sulla storia degli embedded. Ci sono situazioni in 
cui, per tuo conto, tu non puoi andare a fare niente. La situazione 
irachena era tipicamente questa, cosi' come la prima guerra del Golfo 
(1991, ma e' la seconda per i puristi). In Iraq, il fatto che ci fossero 
queste possibilita' di giornalismo embedded a me sembrava una cosa 
straordinariamente promettente. Dopo di che, l'esecuzione della cosa, 
poteva essere assolutamente miserabile. Il fatto e' che persino in "loro" 
(intende "negli americani") inizialmente c'era un'ambiguita'. Cioe', non 
c'era semplicemente il desiderio di prendere persone disponibili a cui fare 
raccontare le balle che gli convenivano, ma una specie di tentazione 
vanesia d'avere una rappresentazione dell'epopea alla quale credevano. 
Cioe', un investimento nella propria propaganda, ma non cosi' servile da 
condizionare fin dall'inizio le voci di chi avesse partecipato".

Ma "loro" hanno gia' la Cnn per quello... E non e' che poi quattro, 
cinquecento reporter da portare in giro con la dissenteria, che devono fare 
la telefonata alla mamma a una data ora o altre cose di questo genere, 
siano un gran piacere per una milizia...

"Tutte le eventualita' in cui in una situazione assolutamente di corpi 
separati, per esempio questa galera, abbia una persona che entra dentro, 
sia pure con l'autorizzazione del ministero, come tu che sei qui oggi a 
chiacchierare con me, sono eccellenti. Dopo di che, chiunque entri in una 
galera, nell'esercito americano, nei pompieri di Viggiu', e' sottoposto a 
un rischio enorme. Ma rispetto a una condizione in cui c'e' scritto "Zona 
militare. Vietato l'accesso agli estranei" io considero qualunque spiraglio 
una cosa promettente. Dopo di che, appunto, andiamo a vedere come funziona. 
Io, per esempio, sarei andato immediatamente a farmi portare in giro per 
l'Iraq come embeds ".

Pero', se accetti quelle clausole, poi non puoi dire di aver fatto 
dell'informazione indipendente.

"E tu infatti non lo devi dire! Devi dire la verita'. Infatti, secondo me, 
"loro" (gli americani) si sono pentiti, si sono seccati, si son rotti i 
coglioni. Da qui a dire che lo sparargli addosso (ai giornalisti) sia 
predeterminato...io non sono cosi' favorevole nell'esagerare. Che il 
risentimento rancoroso e brutale contro i giornalisti e in particolare 
contro tutti quelli che maneggiano le immagini, non contro quelli che 
scrivono, ma contro quelli che hanno una macchina fotografica, una 
telecamera che potrebbe sembrare un bazooka, un lanciarazzi, per avere il 
pretesto di tirargli, e' veramente fortissimo in qualsiasi militare. Di 
qualsiasi Paese, di qualsiasi democrazia. Di fronte alla cosa che mi ha 
meravigliato di questa impresa irachena e il giornalismo embedded, io mi 
facevo una domanda, nel momento in cui tu avevi gia' risposto. Credo tu 
abbia una posizione pregiudiziale".

E' perche' ho una visione romantica di questo lavoro, in cui il giornalista 
non dovrebbe accettare nessun contratto che imponga regole e limitazioni.

"Ah no, io li firmo e li trasgredisco tutti! Sono andato in Polonia per 
seguire l'inizio dei casini degli operai e in nessun consolato in Italia mi 
concedevano il visto "stampa" per la Polonia. Allora, sono andato al 
consolato polacco a Parigi e li', a un certo punto, invece di darmi il 
visto normalmente han bloccato tutto e un funzionario mi ha detto di 
tornare il giorno dopo. Il giorno dopo mi ha presentato un foglio in cui io 
firmavo che andavo effettivamente per turismo e che non avrei scritto una 
riga sulla Polonia. Ho firmato immediatamente. E poi ho scritto 500 pagine 
su quel viaggio".

Probabilmente gli interessi fra le parti non coincidono. Per un giornalista 
un divieto, un "alt, di qui non si passa" e' come un invito a trasgredire, 
perche' significa che piu' in la' c'e' qualcosa che non si vuole fargli 
vedere, mentre per un militare un ordine e' indiscutibile, soprattutto da 
un civile, sempre un po' idiota, secondo lui, rispetto a un militare. E 
talvolta non hanno tutti i torti, noi commettiamo molti errori di 
valutazione nelle situazioni a rischio. Pero' spararci addosso per tutte 
queste ragioni non sembra un po' troppo?

"Capisco che c'e' una specie di coincidenza in un atteggiamento brutale 
delle autorita', tale da autorizzare una devianza e una specie di 
spontaneismo della brutalita' nei confronti dei giornalisti che e', 
naturalmente e' molto di piu' nei regimi tirannici, di qualunque 
disgraziato che stia li' a tirare la carretta, spaventato, col suo fucile 
in mano. E gli compare davanti uno che sta proprio li' in mezzo, con la sua 
macchina fotografica. Io sono un ammiratore dei fotografi e dei 
telecineoperatori. Ne ho visti anche di straordinari pronti a buttare via 
la telecamera per andare a soccorrere uno sotto i tiri dei cecchini, cosa 
che ha fatto anche un operatore italiano che e' noto per questo (Miran 
Hrovatin, l'operatore triestino della Rai assassinato in Somalia insieme a 
Ilaria Alpi). Per esempio, conosci due iraniani, trasferiti a Parigi, che 
si chiamano Reza e Manooucher Deghati? Hanno messo su un'agenzia 
fotografica molto importante. Sono fotografi di guerra, feriti piu' volte. 
Manoocher in Palestina e' stato quasi ammazzato".

"Sono persone che capisci che nessun schieramento di soldati, apparati 
militari oppure guerriglieri, possa sopportare. La regola soprattutto che 
non coincide e' che il militare ha bisogno di oscuramento, di omerta'. Deve 
poter agire a mano libera. Che non si veda quello che fa".

Allora, in definitiva, ti sono piaciuti i servizi per la televisione degli 
embedded dall'Iraq?

"Mi sono annoiato abbastanza. Soprattutto quell'inviata che si lavava i 
denti sotto la tenda da campo, per far vedere le difficolta' del suo 
viaggio nelle retrovie...".

Aaah, quindi vedi che... Pero' il giornalismo in Vietnam fu diverso.

"Certo che fu diverso!".

Si puo' vedere anche da lontano

Spiegami una cosa: come fai tu, da qui dentro, ad avere una visione cosi' 
completa degli scenari politici internazionali? Se non hai nemmeno le 
agenzie, come fai a decifrare gli avvenimenti?

"Non ho le agenzie. Fidati, io non ci capisco niente. Non ho nessuna 
capacita' di analisi. E da molto tempo ho rinunciato a decifrare gli 
avvenimenti. Nella polemica contro questo modo di offrire una falsa 
trasparenza, l'idea che ci possa essere veramente un posto da cui si 
capisce cosa sia successo durante l'avanzata in Iraq, mentre non e' 
successo niente di comprensibile, e' fallace. Ognuno in quel casino ha 
visto il suo pezzetto e questi pezzetti combinati rompono ogni disegno 
strategico, per giunta in questa circostanza. Gli americani dopo il 
Vietnam, da quando hanno cominciato a occuparsi del resto del mondo a suon 
di bombe, hanno supplito al fatto che nessuna strategia funziona con un 
rincaro quantitativo dei mezzi impiegati. Cioe', se c'e' un piano, ma tu 
capisci che non funziona, tu butti tante di quelle bombe in piu' che la 
cosa per forza deve riuscire".

Terrorismo internazionale

Insomma, ben vengano americani, i gendarmi del mondo. Ma la loro non sara' 
un'idea quanto meno un po' particolare della democrazia?

"Un altro dei luoghi comuni e' che noi la sappiamo piu' lunga di loro sul 
mondo e siamo piu' saggi. Questi son dei farabutti, pero' sanno di 
rischiare enormemente. Sanno che c'e' il problema degli sciiti, gliel'hanno 
detto, sono bene informati. Il successo strepitoso e inconcepibile di 
questi neoconservatori sta nel fatto che improvvisamente si e' scoperto che 
li' ci sono dei signori che giocano col mappamondo come giocavano all'epoca 
delle guerre napoleoniche in Europa, e noi siamo molto piu' ignoranti di 
loro sul quadro completo di questa situazione. Al di la' del fatto che Bush 
pensava che i Taliban fossero un gruppo rock, abbiamo sottovalutato il 
fatto che li' ci sono una quantita' di persone che giocano col mappamondo, 
dopo di che giocano anche a farlo saltare. Pero' non sono cosi' scemi (gli 
americani). Sanno chi sono gli sciiti. Hanno avuto l'ambasciata americana a 
Teheran occupata per tanto tempo e gli e' andata com'e' andata (dal 
novembre del 1979 alcuni ostaggi sono stati tenuti sequestrati per ben 444 
giorni). Cioe', e' gente che sa queste cose. Dopo di che, fanno delle 
cazzate inconcepibili. E si sono messi in una situazione dalla quale non 
vedo come riusciranno a uscire".

Polizia internazionale prima della guerra

Allora, c'e' o non c'e' una via d'uscita?

"Penso che il mondo sia spacciatissimo. Ma che l'unica alternativa alle 
guerre condotte come guerre, che ormai non sono neanche piu' guerre _ 
perche' sono una dissipazione, ostentazione di potenza unilaterale, tranne 
le guerre tribali o locali, che sono anche peggio _, l'unica alternativa 
sia un esercizio regolato e proporzionato della forza, cioe' quello di cui 
dovrebbe occuparsi una vera polizia internazionale. La chiamo cosi' per una 
ragione vera: nessuno si sognerebbe di negare la necessita' dell'esistenza 
di una polizia internazionale. Tu sei disposta a telefonare alla polizia se 
davanti a te si aggredisce una vecchietta e tu non ce la fai da sola? 
Quindi, trovo inconcepibile _ compresa gran parte dei pacifisti che non si 
pongono questo problema come un loro problema e non di altri _ che non si 
ammetta che quando si aggredisce una vecchietta sul piano internazionale 
non ci sia un numero di telefono da chiamare".

"E trovo che il fatto che non ci sia un numero di telefono da chiamare, fa 
si' che quando finalmente s'interviene con la vecchietta ormai massacrata, 
s'intervenga con i mezzi della guerra. E cioe', di questa dilapidazione 
mostruosa di potenza unilaterale. In genere, di bombe lanciate da alta 
quota. In Iraq e' andata gia' meglio perche' si e' andati a combattere via 
terra. Hanno rischiato grosso, giocando d'azzardo. E' stata strana questa 
guerra in Iraq ai miei occhi".

A quale modello di polizia internazionale stai pensando?

"La polizia, allora, e' un'organizzazione che tu accetti, pur sapendo che 
e' un'accolita passibile di mille possibili arbitri e sopraffazioni, abusi, 
etc., ma perche' e' fondata sul criterio di proporzione fra la minaccia che 
devi affrontare e la forza che usi. La stessa cosa deve valere sul piano 
internazionale. Questo fa si' che io guardi a tutte queste esperienze 
militari internazionali, cui credo, anche se ne vedo a volte i rischi e 
anche gli abusi, molto forti, delle cosiddette missioni umanitarie di 
peacekeeping, con una fortissima attenzione alla commistione fra 
volontariato civile e volontariato militare. Ci sono militari nel mondo che 
oggi fanno esattamente cio' che fanno i volontari civili, cioe' 
accompagnano i bambini, fan loro attraversare la strada, come gli italiani 
in Kosovo".

Ma questa commistione fra civili e militari non incarna il rischio di una 
qualche corruzione al suo interno? Cioe', "io ti concedo l'appoggio, ma in 
cambio tu"....

"Sono molto diffidente verso i luoghi comuni. Compreso quello sul servizio 
militare. Cioe', ho una grandissima speranza che a un certo punto si riesca 
a immaginare delle persone che sono disposte a un esercizio della forza 
fatto molto a malincuore... Tu mi dirai, e' molto strano che uno vada nei 
corpi speciali perche' vuole aiutare i bambini e le donne... Pero' si', 
bisogna che succeda questo. Cioe' che ci siano volontari civili, pompieri e 
militari, i quali si scambino un poco le esperienze e si somiglino 
progressivamente. Se no, che succede?".

Quello che sta succedendo. Succede quello a cui assistiamo...

"Ammetto che e' difficilissimo credere a questa cosa, ma se non succede e' 
garantito che le cose vadano ancora peggio rispetto a oggi. Cioe', che 
quando tu decidi che non e' proprio piu' possibile non intervenire in un 
posto, anche se non c'e' il petrolio, per esempio dopo Srebrenica 
(1995)....Tu eri a favore o contro l'intervento a Sarajevo (Onu, 1994)?".

A favore. Io sono per l'intervento, pero' facendo di tutto prima che si 
massacrino!

"Beh, a Sarajevo quando sono intervenuti, non han fatto nemmeno un morto. 
Ci hanno messo 48 ore, non potevo credere ai miei occhi su quanto stava 
succedendo".

Pero', scusa, tu hai detto che qui non hai nemmeno l'interrutore della 
luce. Il soldato semplice, permettimi il paragone, e' trattato come te. 
Anche a lui non forniscono l'interruttore, ne' la formazione giusta, la 
cultura giusta, cioe' quella dei diritti umani. Cosi' come in galera e' 
difficile che in queste condizioni possa avvenire un recupero, allo stesso 
modo le truppe devono subire delle grandi pressioni, fino alla brutalita'...

"Il risultato e' che tutti dovrebbero lottare per ottenere l'interruttore!".

Oggi, e' martedi'

Possiamo parlare, adesso, di quello che ti riguarda?

"No".

Non ne vuoi parlare con me?

"No, ne vorrei parlare con Enzo Biagi...".

E ride, ma questa volta ride di una risata mesta, che pero' mi sembra 
cattiva. Cioe', di un riso che colpisce e che fa male.

Cambia argomento.

"Oggi ho scritto tre articoli perche' e' martedi'. Al martedi' consegno i 
miei pezzi per Il Foglio....".

*** la conversazione integrale con Adriano Sofri e' fruibile anche in 
formato audio ***

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