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Amnesty International alla Tunisia: mettere fine al ciclodell'ingiustizia



Gent.mi tutti,

vi trasmettiamo il comunicato stampa della Sezione Italiana di
Amnesty International:



Amnesty International alla Tunisia:
mettere fine al ciclo dell'ingiustizia




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Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:
Ufficio Stampa
Amnesty International
Tel. 06 44.90.224
cell. 348-6974361
e-mail: press@amnesty.it








COMUNICATO STAMPA
CS85-2003

AMNESTY INTERNATIONAL ALLA TUNISIA:
METTERE FINE AL CICLO DELL'INGIUSTIZIA

In un rapporto reso noto oggi, Amnesty International ha chiesto alle
autorità della Tunisia di porre fine alle diffuse violazioni dei diritti
umani e di agire in linea con quanto previsto dalle leggi nazionali e dai
trattati internazionali ratificati dal governo.

"Siamo preoccupati per le continue violazioni dei diritti umani e per il
fatto che il governo tunisino non ha mantenuto la promessa di introdurre
migliori standard in materia di diritti umani" - ha dichiarato Concetta
Tuccillo, coordinatrice Tunisia della Sezione Italiana di Amnesty
International. "Anche se alcune nuove leggi hanno apportato maggiori
garanzie per i diritti umani, le forze di sicurezza continuano ad agire
violando queste stesse leggi e gli standard del diritto internazionale".

Il rapporto Tunisia: Il ciclo dell'ingiustizia è il primo ampio rapporto
sul paese dal 1998. Nelle sue pagine, Amnesty International descrive come
il ciclo dell'ingiustizia inizi con l'arresto arbitrario e illegale di
reali o presunti oppositori, spesso seguito da periodi di detenzione
incommunicado (senza possibilità di accesso a parenti o avvocati) che di
norma superano il massimo consentito dalla legge tunisina.

I detenuti si vedono regolarmente negati controlli medici e rimangono a
rischio di tortura, talora per settimane. Viene inoltre loro impedito di
contattare i familiari e spesso non sono neanche informati del loro diritto
all'assistenza legale. Gli standard fondamentali previsti dai trattati
internazionali, compreso il diritto a un giusto processo, vengono
deliberatamente ignorati. Le confessioni estorte mediante tortura sono
normalmente utilizzate come prove nel corso dei processi.

"Nessuna confessione o altra prova ottenute sotto tortura dovranno essere
accettate in tribunale. L'indipendenza del potere giudiziario
dall'intervento o dalle pressioni dell'esecutivo dovrà essere resa
assoluta, non solo nelle leggi ma anche nella pratica" - ha aggiunto
Tuccillo. "Le autorità dovranno porre fine all'abitudine di processare i
civili di fronte a tribunali militari, le cui procedure non rispettano le
norme internazionali sul giusto processo. Tutti i prigionieri sottoposti a
processo iniquo dovranno essere nuovamente processati".

Le organizzazioni e i difensori dei diritti umani del paese vanno incontro
a minacce e intimidazioni. I fascicoli relativi agli imputati vengono
confiscati o manomessi. "Gli avvocati non dovranno essere in alcuna maniera
minacciati o intimiditi e dovranno essere liberi da interferenze indebite
nell'esercizio della loro professione, compreso l'accesso ai loro clienti"
- ha sottolineato Tuccillo.

Il ciclo dell'ingiustizia continua in prigione, dove nelle celle
sovraffollate le malattie si propagano velocemente. I detenuti politici, in
particolar modo, vengono frequentemente sottoposti a maltrattamenti,
torture e forme di discriminazione. Molti sono tenuti in isolamento da anni
e vengono loro negate cure mediche, educazione e lavoro. La lontananza
delle prigioni rende difficili le visite dei parenti. Tra i prigionieri
segnalati nel rapporto di Amnesty, ve ne sono 103 condannati al termine di
giudizi irregolari oltre dieci anni fa, nei processi di massa di Bouchoucha
e Bab Saadoun del 1992.

"Le autorità tunisine dovranno porre fine alla pratica del confino
solitario per lunghi periodi di tempo, che può costituire un trattamento
crudele, inumano e degradante o anche una forma di tortura" - ha commentato
Tuccillo. "I responsabili della tortura e di altri abusi dovranno essere
portati di fronte alla giustizia. Solo in questo modo il ciclo
dell'ingiustizia potrà avere fine. Tutti i casi di decesso in carcere e di
maltrattamento o tortura dovranno essere soggetti a indagini immediate,
complete e imparziali i cui risultati dovranno essere resi pubblici".

La legge del 2001 sull'amministrazione delle carceri, unitamente ad altre
misure annunciate nel corso di quest'anno, rappresentano passi positivi.
Tuttavia i diritti di tutti i prigionieri, senza eccezione, necessitano di
essere protetti nella pratica.

Il rapporto di Amnesty International segnala, tra gli altri, il caso di
Abdel-Majid Ben Tahar, 42 anni, condannato nel dicembre 1993 a dodici anni
e nove mesi di carcere per appartenenza a Ennahda ("Rinascita"), un partito
politico non autorizzato. È stato rilasciato con la condizionale
nell'aprile 2002 per un tumore al cervello dopo aver invano lamentato per
un anno di avere forti mal di testa, senza che gli fosse stato mai permesso
di vedere un medico. "Nelle settimane seguenti alla mia scarcerazione, la
polizia si è presentata diverse volte a casa mia. Venivano davanti al mio
letto per vedere se ero morto" - ha dichiarato Ben Tahar ad Amnesty
International.

Il "ciclo dell'ingiustizia" continua anche dopo il rilascio. Gli ex
prigionieri vengono sottoposti a vessazioni e nuovi arresti. Centinaia di
essi sono costretti a presentarsi a scadenze regolari alle forze di
sicurezza e viene loro negato l'accesso a cure mediche, alla ripresa degli
studi e al reinserimento nel mondo del lavoro. Spesso vengono sottoposti a
retate e accusati di aver violato le disposizioni sulla libertà
condizionata, di cui peraltro raramente sono messi a conoscenza.

"Misure arbitrarie di questo genere sono tollerate o condonate ai più alti
livelli dello stato, in un clima generale di impunità" - ha denunciato
Tuccillo. "Le autorità dovranno prevedere forme di indennizzo e
risarcimento per coloro i cui diritti sono stati violati e dovranno
assicurare che la giustizia e il rispetto della legge diventino una realtà
per tutti nel paese".

Da oltre un decennio, le autorità tunisine ricorrono alla "sicurezza" come
pretesto per limitare i diritti civili e politici. Una vaga definizione di
"terrorismo", prevista dal codice penale, viene utilizzata spesso per
ridurre al silenzio coloro che esercitano il proprio diritto alla libertà
di espressione e che non hanno fatto né invocato l'uso della violenza.

Amnesty International riconosce che i governi hanno il dovere di proteggere
i propri cittadini da atti di violenza commessi sul proprio territorio e di
portare di fronte alla giustizia gli autori di tali azioni. Tuttavia le
indagini, i procedimenti legali e i processi devono essere sempre
pienamente in linea con le disposizioni internazionali in materia di
diritti umani.

"La sicurezza per tutti e l'obbligo di rispettare i diritti umani per tutti
possono essere assicurati solo da una equa amministrazione della giustizia"
- ha concluso Tuccillo.

In un discorso pronunciato il 10 dicembre 2002 per celebrare i successi
conseguiti dal governo dal 1987, anno della sua ascesa al potere, il
presidente Ben Ali ha affermato che i diritti umani sono tra i valori
fondamentali del suo governo. Tuttavia, la distanza tra i principi
proclamati dalle autorità e la realtà sperimentata dai cittadini tunisini
si va facendo sempre più grande.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 10 giugno 2003

Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste:
Amnesty International - Ufficio stampa
Tel. 06 44.90.224, cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it