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PACE AL FEMMINILE PLURALE, A VARESE



PACE AL FEMMINILE  PLURALE, A VARESE

"La guerra e' anche il piede, di un soldato iracheno morto steso a terra, 
che in una fotografia ci viene mostrato, vestito di una calza bucata; e, 
accanto a lui, un soldato anglo-americano nella sua impeccabile e 
costosissima uniforme! La guerra noi non l'abbiamo voluta! Noi, con le 
nostre manifestazioni, le nostre bandiere affacciate alle nostre finestre; 
noi che abbiamo tentato di fermare treni e navi; noi non abbiamo impedito 
ai B 52 di bombardare, distruggere e uccidere!  Noi, con le nostre 
manifestazioni, le nostre bandiere affacciate alle nostre finestre; noi che 
abbiamo tentato di fermare treni e navi; noi abbiamo impedito che crescesse 
ancor di piu' l'odio verso l'Occidente da parte del mondo arabo; noi 
abbiamo impedito che aumentasse ancor di piu' la separazione fra due mondi 
diversi."  Con queste parole Luisa Morgantini (coordinatrice nazionale 
delle Donne in Nero ed europarlamentare), ci restituisce gioia e speranza e 
fiducia e complicita' che riescono a placare, per un momento almeno, 
l'angoscia, la sofferenza ed il dolore che accompagnano le nostre giornate 
di guerra.
A Varese sabato 5 aprile, la', dove la domenica sera sono solita andare a 
vedere film che, lontani dai grandi produttori statunitensi, sanno ancora 
parlare al cuore; ben piu' delle cento solite persone che la sala dovrebbe 
ospitare sono pronte per partire per una riflessione al femminile dal 
titolo: Donne e Guerra.  E' con immensa gioia che Gabriella, portavoce 
delle Donne in Nero di Varese, ci saluta e orgogliosa ribadisce che le 
donne devono imparare ad osare sempre di piu'... in questo caso, avrebbero 
dovuto osare organizzare, la giornata di riflessione, in un locale che 
avrebbe potuto ospitare piu' persone!  Ma va bene anche cosi', le ragazze 
si siedono per terra, come gia' sono abituate a fare nelle manifestazioni, 
e lasciano il posto a quelle piu' grandi di loro. E allora Gabriella 
ricorda brevemente che sono state le donne israeliane nel 1987 le prime a 
vestirsi di nero ed a manifestare in silenzio, perche' il dolore non ha 
voce, contro il loro stesso governo che occupava (ed occupa) i territori 
palestinesi; poi si sono aggiunte a loro le donne palestinesi; poi altre 
donne in altri luoghi del mondo hanno seguito il loro esempio con un 
messaggio ben chiaro: fuori la guerra dalla storia.
Ma "fuori la guerra dalla storia" ci spiega piu' tardi Lidia Menapace, con 
una saggezza ed una dolcezza che incantano, non e' solo uno slogan, ma e' 
un processo culturale molto piu' complesso; per il movimento femminile che 
ha messo insieme queste parole, esse sono come una targa stradale, 
un'indicazione di cammino. La guerra non e' un evento naturale; percio', 
come e' entrata nella storia, dalla storia deve uscire! Ci sono stati, 
nell'Europa neolitica, mille anni di pace. Pace non vuol dire assenza di 
conflitti. Pace vuol dire imparare a riconoscere, nominare e gestire i 
conflitti; non con la guerra, ma con molteplici altre soluzioni.  Le donne 
ogni giorno imparano a gestire i loro piccoli e grandi conflitti 
quotidiani; le donne ogni giorno imparano a far fronte agli imprevisti. La 
guerra recita sempre lo stesso copione; la pace si costruisce e si mantiene 
cercando ogni volta nuove soluzioni.  L'Europa - continua a spiegarci Lidia 
- ha scritto la sua storia con le aggressioni ed il colonialismo; ma, 
all'interno dell'Europa, sono nati anche quei due movimenti, quello operaio 
sindacale e quello delle donne, capaci di organizzarsi, manifestare, 
scioperare, sabotare, boicottare per rivendicare i propri diritti. Oggi 
l'Europa dovrebbe dichiarasi neutrale, uscire dalla NATO, e diventare non 
l'antagonista degli USA, bensi' l'alternativa agli USA, per costruire 
appunto quell'altro mondo possibile.

Quasi tutte donne ad ascoltare altre donne parlare, narrare, spiegare... 
una suora, una psichiatra, una volontaria di Emergency, un'insegnante e le 
sue alunne. Tutte donne. Tutte con la consapevolezza che siamo appunto noi 
donne, che facciamo continuare il mondo. Le donne palestinesi, le donne 
irachene le donne del Sudan e tutte quelle dei tanti paesi in guerra, hanno 
il coraggio di passare oltre la guerra, di guardare al futuro e offrire al 
futuro nuovi bambini. Le donne, che quasi mai, sono sedute la', dove le 
guerre vengono decise; le donne che mai scelgono la guerra, ma sempre la 
subiscono, sanno di dover essere tessitrici di pace, nel senso che sanno 
perfettamente che tocchera' a loro ristabilire tutti i rapporti e le 
relazioni che ogni guerra interrompe in modo brutale.
Nella cultura degli uomini la guerra e' vista come un modo per poter andare 
contro la morte; un eroe verra' ricordato oltre la sua morte. Per noi donne 
la morte e' sconfitta dalla vita; la vita cresce in noi, e continua dopo di 
noi, attraverso i figli.
Mentre la mente umana progetta e costruisce armi in grado di distruggere 
l'umanita' stessa; mentre il governo degli USA programma e lancia le sue 
guerre stellari; mentre nessuna donna che lascia a casa il proprio figlio e 
parte a combattere in nome del petrolio, potra' mai essere considerata un 
eroina al femminile; gli occhi e il cuore della maggior parte delle donne, 
fra uccidere e morire scelgono di vivere. Perche' gli occhi e il cuore 
continuano ad avere ragioni che la ragione non conosce. Solo il punto di 
vista femminile potra' tutelare un mondo nuovo. Quell'altro mondo 
indispensabile. Dunque ne' con Bush, ne' con Saddam, lontane dalle loro 
macabre danze, lontane dalle loro culture di morte; per riaffermare 
l'illegalita' di ogni guerra affinche' la guerra sia fuori dalla storia e 
percio' fuori dalla vita di ogni singolo essere umano.
elisabetta caravati