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La nonviolenza e' in cammino. 559



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 559 del 7 aprile 2003

Sommario di questo numero:
1. Esseri umani
2. Lidia Menapace: per un'Europa della pace e della difesa popolare
nonviolenta
3. Raffaele Mastrolonardo intervista Barbara Ehrenreich
4. Fausto Cerulli: un esposto denuncia
5. Margaret Atwood: America, non so piu' chi sei
6. Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti: per lo sciopero
generale
7. Amelia Alberti: in qualche isola sperduta del Pacifico
8. Marc Auge': sotto le macerie anche le parole
9. Nicola Licciardello presenta "Recinti e  finestre" di Naomi Klein
10. Questo mondo non e' in vendita
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ESSERI UMANI
[Si e' svolta ieri a Viterbo una manifestazione "contro la violenza" (e
quindi non solo contro la guerra: ma per la pace e la nonviolenza, per i
diritti e la dignita' umana) promossa dal Centro sociale occupato
autogestito "Valle Faul". Riportiamo qui - ricostruita a memoria - una
sintesi dell'intervento del responsabile del Centro di ricerca per la pace
che ha cercato di cogliere ed esprimere il sentimento e il messaggio che dai
tanti partecipanti al'liniziativa proveniva]
Siamo qui come persone, siamo qui perche' siamo persone: persone diverse
l'una dall'altra, e questa diversita' e la nostra forza, la nostra
ricchezza, la nostra bellezza. Siamo persone diverse ma ci unisce una
convinzione: che noi diamo valore alla vita umana. Che noi ci sentiamo
esseri umani, e vogliamo vivere. Che noi ci sentiamo esseri umani e ad ogni
essere umano vogliamo che sia riconosciuto il diritto a vivere, il diritto
alla vita, e a una vita dignitosa, il diritto alla dignita', la dignita'
umana.
*
Per questo motivo, prima di ogni altra analisi economica o sociologica o
politica o filosofica, noi siamo contro la guerra.
Siamo contro le uccisioni di esseri umani. Perche' noi siamo esseri umani.
Siamo contro la guerra che e' sempre uccisione di di esseri umani. E noi
siamo esseri umani.
E siamo contro le armi, che servono a uccidere esseri umani. E noi siamo
esseri umani.
E siamo contro gli eserciti, che servono a uccidere esseri umani. E noi
siamo esseri umani.
E pensiamo quindi che si puo' essere limpidamente e concretamente contro la
guerra solo se si e' anche contro le armi e gli eserciti, per il disarmo e
la smilitarizzazione, per la difesa popolare nonviolenta. Perche' siamo
esseri umani.
*
Ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, siamo quindi
contro ogni regime ed ogni azione che quella vita e quella dignita'
calpesta.
E poiche' siamo contro tutte le dittature, a maggior ragione siamo contro la
guerra, che e' la peggiore di tutte le dittature, che tutto e tutti
annienta.
Si', ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, siamo quindi
contro ogni potere criminale ed ogni terrorismo, che quella vita e quella
dignita' calpesta.
E poiche' siamo contro tutti i poteri criminali e tutti i terrorismi, a
maggior ragione siamo contro la guerra, che e' il peggiore di tutti i
crimini, il piu' grande dei terrorismi, che tutto e tutti annienta.
Gia', ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, e
dell'umanita' intera: e poiche' nell'epoca aperta da Auschwitz e da
Hiroshima sappiamo che la violenza e' in grado di distruggere l'intera
umanita', noi siamo contro la violenza che l'intera umanita' minaccia di
distruzione. Noi siamo amici della nonviolenza.
E poiche' siamo contro la violenza che puo' distruggere l'umanita', a
maggior ragione siamo contro la guerra, che e' la violenza sulla scala piu'
grande, che e' il primo e il piu' grande e il piu' feroce nemico
dell'umanita', che l'intera umanita' minaccia di annientamento.
*
Noi siamo qui per opporci alla guerra. Noi siamo qui perche' vogliamo
fermare la guerra. Noi siamo qui perche' e' necessario fermare la guerra. E'
anche possibile? Possiamo noi fermare la guerra?
Se rispondessimo di no, che fermare la guerra e' impossibile, sarebbe
inutile che oggi fossimo qui. Ma noi crediamo che la guerra puo' esere
fermata, che noi, qui, in Italia, adesso, possiamo contribuire con la nostra
azione a fermare la guerra.
Ma come?
- Con l'azione diretta nonviolenta che blocchi l'operativita' di tutte le
basi militari americane e Nato dislocate nel territorio italiano: dobbiamo
assediarle e paralizzarle, dobbiamo invaderne lo spazio aereo per impedire i
decolli degli aerei assassini, dobbiamo fermare ogni trasporto di armi,
delle armi assassine. E dobbiamo anche fermare ogni produzione, commercio e
uso di armi; dobbiamo opporci alle armi e agli eserciti tutti.
- Con lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra: fino alla caduta
del governo italiano che della guerra ha reso complice il nostro paese.
- Con la denuncia penale del governo, della maggioranza del parlamento e del
presidente della Repubblica che avallando la guerra e cooperando con essa
hanno tradito la Costituzione itaiana cui pure avevano giurato fedelta'.
Dobbiamo denunciarli all'autorita' giudiziaria affinche' siano arrestati,
processati e condannati per violazione della Costituzione e complicita' in
crimini di guerra e crimini contro l'umanita'; perche' golpisti e
favoreggiatori della guerra illegale e criminale, terrorista e stragista.
*
Io trovo macabro che ci sia chi discute se sia meglio una guerra lunga o una
guerra corta: noi siamo cotnro la guerra e basta, noi siamo contro la guerra
sempre: poiche' la guerra e' sempre e solo cumulo di stragi e seminagione di
nuovo odio, disumanita' e generazione di nuova disumanita'.
Io trovo ignobile che ci sia chi si schiera e pretenderebbe di arruolarci
con un esercito contro un altro. Noi siamo contro la guerra e basta, noi
siamo contro la guerra sempre. Noi siamo contro tutte le armi, noi siamo
contro tutti gli eserciti, noi siamo contro tutte le uccisioni.
Noi siamo contro la guerra e basta, noi siamo contro la guerra sempre: alla
violenza della guerra, delle dittature, del terrore, delle ingiustizie,
della disumanita', noi opponiamo la forza della nonviolenza, la forza
dell'umanita', della dignita' umana, dell'umana solidarieta'.
*
Noi siamo contro la guerra, noi diamo valore alla vita umana, alla nostra
vita, alla vita di tuti; noi lottiamo con la forza della nonviolenza contro
tutte le guerre e contro tutte le violenze, contro tutte le armi e contro
tutti gli eserciti; noi lottiamo per il diritto a esistere di ogni essere
umano, per il diritto di ogni essere umano a una vita degna di essere
vissuta.
Siamo esseri umani.
Vogliamo vivere.

2. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: PER UN'EUROPA DELLA PACE E DELLA DIFESA
POPOLARE NONVIOLENTA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Naturalmente sono stata molto contenta che Francia e Germania col peso
poltico che hanno abbiano detto no alla guerra promossa dall'amministrazione
statunitense e abbiano giocato cosi' bene le carte che avevano in mano da
aver saputo mettere Bush nell'impossibilita' di passare al Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite nonostante che il Consiglio di sicurezza sia
uno dei punti neri delle Nazioni Unite stesse, cioe' non uno dei segni della
pace e del pacifico governo del mondo, bensi' uno degli stigmi della seconda
guerra mondiale.
E' curioso come il Consiglio di sicurezza con i suoi membri permanenti e
dotati di diritto di veto, che sono i cinque vincitori della seconda guerrra
mondiale, abbia messo fuori gioco uno tra loro senza bisogno di usare il
diritto di veto: e' un segno molto importante, vuol dire infatti che la pace
e' piu' forte della guerra e dei suoi esiti, e puo' trovare forza nella
ragionevolezza delle relazioni internazionali e che persino l'indegno
calciomercato che gli Usa hanno tentato  verso paesi poveri non e' bastato a
dar loro il  numero di voti sufficiente. Sicche' hanno dovuto abbandonare il
terreno del diritto per poter scatenare la guerra.
Tutto cio' premesso, so benissimo che ne' Chirac ne' Schroeder sono
pacifisti, e quindi non sarebbe buona decisione affidarsi alle loro pretese:
bisogna ogni volta giudicare cio' che propongono: ad esempio l'opposizione
di Francia e Germania e Russia a che gli Usa gestiscano la "ricostruzione "
dell'Iraq, gli aiuti e il governo del paese, va ancora bene, anche se
naturalmente e' fatta in nome di interessi, il che non mi scandalizza: gli
interessi leciti fanno a buona ragione parte della politica. Siccome anche
Blair vede poco di buon occhio che gli Usa facciano da asso pigliatutto,
questo pezzo di politica puo' anche venire a favore di un riequilibiro tra
gli stati europei. Se si aggiunge la notizia che anche il governo italiano,
per bocca del  ministro degli esteri dichiara che le Nazioni Unite sono
preferite per la gestione del dopoguerra, e che Ciampi ha subito dato fiato
a questa decisione, e il ministro degli esteri francese ha dichiarato che in
questo caso la Francia appoggera' la presidenza del semestre italiano, anche
fino a qui ancora tutto bene: Berlusconi deve aver capito che trovarsi
isolato in Europa nel corso del suo semestre di presidenza non gli conviene,
e un patto stabilito con lui sulla base dei suoi interessi come sappiamo e'
solidissimo.
Il dissenso nasce di nuovo sulla futura  politica militare d'Europa: poiche'
tra le varie proposte riprende fiato la vecchia tesi dell'esercito europeo
appoggiata da Chirac, Schreoder e inopinatamente da Prodi che ha perso una
buona occasione per stare zitto.
La proposta di un esercito europeo di difesa circola gia' tra i parlamentari
dello schieramento di centrosinistra  in Europa e persino le deputate sono
d'accordo come ho potuto constatare in un dibatitto tenutosi da poco a
Reggio Emilia al quale era presente la Ghilardotti appunto dei ds, che si e'
dichiarata favorevole all'esercito europeo.
Questo forse spiega perche' la proposta di un articolo della Costituzione
europea che fondi l'Europa sulla pace non ha avuto tra le deputate alle
quali pure era stato inviato nessuna risposta da nessuna tranne una verde.
Ma a parte le cortesie epistolari tra noi e le onorevoli europee, il fatto
e' che se ci si mette su questa strada l'antagonismo tra Europa e Usa che e'
oggettivo e ormai anche politicamente visibile, si incammina su un binario
pericolosissimo, nefando: come gia' accennavo l'Europa puo' diventare parte
di un molteplice patto tra popoli e territori che vogliono la pace: dichiari
la sua neutralita', metta risorse sottratte alle spese militari a
disposizione di un progetto di protezione civile preventiva, di un servizio
civile per ragazzi e ragazze, e di un diffuso addestramento di difesa
popolare nonviolenta, la cui efficacia contro Hitler e' storicamente
provata, e ospiti sul suo territorio le istituzioni fondate sul diritto
internazionale e non sulle vittorie militari, e sviluppi una pacifica
alternativa agli Usa e a chiunque sia fomentatore di guerre o anche solo
consideri le guerre uno strumento politico ammissibile sia pure come ultima
istanza.
Qui si apre un terreno di confronto serrato perche' se l'Europa imbocca la
strada dell'antagonismo militare con gli Usa si ripete la storia della
guerra fredda e alla fine il crollo europea e' sicuro: gia' l'Unione
sovietica per essersi costruita sul modello militare invece che sui diritti
del proletariato mondiale ha perso la gara internazionale con gli Usa, e
l'Europa dovrebbe per tenere il passo sviluppare ricerca militare,
progettazione, fabbricazione e vendita di armi sempre piu' sofisticate e
tremende; per ottenere le quali sono inevitabili restrizioni di liberta' (il
segreto in molti luoghi produttivi e della ricerca), sperperi di risorse
(soldi a palate trasferiti nelle spese militari), e lo stato sociale che va
a farsi benedire.
Abbiamo dovuto sentire i Prodi dire che le fabbriche di armi sono da
sviluppare. Propongo che cominciamo seriamente a raccogliere dati e a fare
proposte per la riconversione dell'economia da economia di guerra a economia
di pace.

3. RIFLESSIONE. RAFFAELE MASTROLONARDO INTERVISTA BARBARA EHRENREICH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003. In una scheda annessa
all'intervista cosi' il giornale presenta la studiosa americana: "Per il suo
ultimo libro, Una paga da fame. Come non si arriva alla fin del mese nel
paese piu' ricco del mondo (Feltrinelli 2002), ha girato l'America per un
anno fingendosi cameriera e donna delle pulizie nella speranza di capire
come si vive con un salario di sei dollari all'ora senza la protezione
sindacale. E per scoprire che, semplicemente, non si puo' ambire a niente di
meglio che sopravvivere a stento. La sua peculiarita' e' l'eclettismo,
articolato in una laurea in chimica, nonostante la sua professione sia
diventata quella della sociologa, e la sua fama sia dovuta alla sua pratica
di scrittrice e di saggista. Docente all'universita' di Berkeley, i suoi
articoli appaiono su Time, Harper's, New York Time's Magazine e su riviste
radicali come Z Magazine, The Progressive, The Nation e Mother Jones"]
Qualche anno fa Barbara Ehrenreich, una delle intellettuali piu' lucide
della sinistra americana, decise di mettere a frutto dieci anni di ricerche
e la sua formazione scientifica in un libro straordinariamente ambizioso:
Riti di sangue. All'origine della passione per la guerra (Feltrinelli 1998).
Con la spregiudicatezza di una non-specialista di talento, Ehrenreich si e'
avventurata nei territori di paleontologia, antropologia, psicologia e
storia alla ricerca di un'ipotesi su quel che rende i maschi inclini a una
forma di violenza specifica, altamente organizzata e complessa come la
guerra. Come risultato della ricerca, che per la prima volta in termini
espliciti analizzava la guerra quale caratteristica prevalentemente
maschile, emergeva il fatto che, dopo centinaia di migliaia di anni passati
a fare da preda, gli esseri umani sono riusciti a diventare a loro volta
predatori e hanno sentito la necessita' di celebrare quel passaggio con riti
appropriati. La guerra e' figlia dunque di questi riti primordiali;
trasforma il nemico nella bestia predatrice da abbattere, e noi in un gruppo
compatto che si esalta di fronte al pericolo.
Intellettuale atipica per gli Stati Uniti, Barbara Ehrenreich ha unito il
lavoro di giornalista all'insegnamento. E come reporter ha compiuto
un'inchiesta tra la underclass statunitense: ossia quei lavoratori e
lavoratrici (la maggioranza) che vivono con salari al di sotto degli
standard della poverta'. Ed e' stata tra le prime firmatarie dell'appello
Not in our name, sottoscritto da migliaia di intellettuali, attori,
giornalisti contro la guerra all'Iraq.
- Raffaele Mastrolonardo: Se la guerra e', come lei afferma, un parassita
culturale che si espande nel tempo e nello spazio, possiamo dire che ha
trovato in George W. Bush un corpo molto adatto in cui sopravvivere?
- Barbara Ehrenreich: Potremmo anche metterla cosi', in effetti. Ma il punto
piu' rilevante, secondo me, e' che la possibilita' che il virus uscisse
dall'incubazione era li' da un bel po'. Gli Stati Uniti hanno un potere
militare senza precedenti storici e il fatto che arrivasse qualcuno e lo
utilizzasse in questo modo sconsiderato era solo una questione di tempo.
Storicamente, quando un popolo e' preparato per la guerra, quando ha un
esercito specializzato, quando e' armato fino ai denti, prima o poi queste
risorse vengono utilizzate. In una situazione come questa il pericolo che un
simile potenziale distruttivo trovi qualcuno che non ha nessuno scrupolo ad
utilizzarlo e' consistente. La guerra ha la capacita' di unire gli esseri
umani facendoli sentire parte di un tutto piu' grande. E infatti il 70 per
cento degli americani appoggia il conflitto. I sociologi hanno coniato
l'espressione "rally event", per  indicare un evento che ha la capacita' di
stringere le persone insieme. La guerra e' uno di questi eventi. Fino allo
scoppio del conflitto, la maggior parte delle persone era indecisa. Ma da
quel momento in poi la gente ha deciso di sostenere i nostri soldati e di
schierarsi dietro al presidente, e gia' si vedono nastri gialli sugli alberi
in solidarieta' con i nostri prigionieri di guerra, cosi' come accadde nel
1979 in occasione della vicenda degli ostaggi americani a Teheran. D'altra
parte, la propaganda in favore del conflitto e' inesorabile: la Cnn e' un
continuo non stop, una grancassa che non tratta i soldati come dei normali
adulti, ma come degli esseri trasfigurati, dei guerrieri. Dopo tutto, non e'
mai stato facile mandare degli uomini a farsi ammazzare: si sono dovuti
inventare riti di iniziazione appositi che, appunto, li trasfigurassero e li
facessero entrare in un'altra identita', nello stato di guerrieri.
- R. M.: Eppure, nel mezzo dello sciovinismo che lei descrive, in America
c'e' anche chi si oppone al conflitto. Possiamo considerare il pacifismo
come un antidoto al virus-guerra?
- B. E. : Quello che vediamo in America e' un movimento composito, superiore
in grandezza a qualsiasi altra cosa io ricordi, anche se non raggiunge le
dimensioni europee. E' un antidoto che utilizza la stessa passione. In una
dimostrazione per la pace - io l'ho provato durante le proteste per il
Vietnam - si puo' esperire quella sensazione di unita', solidarieta',
cameratismo e comunita' di intenti che e' alla base della guerra. Solo che
in quei casi e' utilizzata contro di essa. Ma e' un antidoto che ha bisogno
di tempo per svilupparsi e radicarsi nella societa'. In Europa sembra piu'
diffuso, forse grazie a tutti i secoli di guerra vissuti. Noi americani
siamo stati relativamente immuni da uccisioni di civili di massa sul nostro
territorio. Eccetto che per l'11 settembre, ovviamente. Che e' poco,
comunque, al confronto di quello che hanno provato gli europei durante la
seconda guerra mondiale. Il fatto e' che qui siamo stati sempre risparmiati
dal diretto gusto della guerra, che per molti e' solo quella che si vede
sulla Cnn.
- R. M.: Questa e' probabilmente la guerra piu' avversata della storia. Che
cosa ha spinto Bush a procedere egualmente?
- B. E.: Non lo so. Non ho nessuna conoscenza speciale di quello che accade
nella Casa Bianca e nel Pentagono. Quando e' stato eletto, Bush non si e'
presentato come un presidente belligerante, anzi; ha mantenuto un profilo
molto basso al proposito. L'11 settembre e' stato un punto di svolta, anche
se come si sia passati dall'attentato alle torri gemelle alla guerra
all'Iraq rimane per me un mistero. E lascio ad altri il compito di
investigare le vere ragioni o non ragioni di questa guerra. A me preoccupa
il fatto che, sebbene nessuno sia stato in grado di fornire prove
convincenti, piu' della meta' degli americani pensa che ci sia un legame tra
Saddam e gli attentati dell'11 settembre.
- R. M.: Come ha reagito la sinistra americana a questa guerra?
- B. E.: Ci sono meno defezioni rispetto al 1991 quando molte piu' persone,
considerate di sinistra, erano pronte, lancia in resta, a dare una lezione a
Saddam che aveva invaso il Kuwait. Direi che questa volta il fronte
progressista ha reagito in modo compatto.
- R. M.: C'e' chi sostiene che qualcosa di buono puo' sempre uscire da
questa guerra, l'indipendenza curda, ad esempio.
- B. E.: Il fatto e' che non spetta a noi decidere che centinaia o migliaia
di civili iracheni devono morire per sbattere via Saddam Hussein. Dovremmo,
semmai, sostenere gli sforzi di liberazione del popolo iracheno cosa che non
stiamo facendo e non abbiamo fatto nel 1991.
- R. M.: Ora che l'attacco e' iniziato, secondo molti, tutto quello che i
pacifisti dovrebbero fare e' sperare in una rapida vittoria americana.
- B. E.: Sinceramente non vedo alcuna ragione perche' il movimento pacifista
rallenti i suoi sforzi proprio adesso che la guerra e' cominciata. Anzi,
credo che dovrebbero essere moltiplicati. Onestamente non capisco perche'
non dovremmo continuare semplicemente a dire: cessate il fuoco, fermate le
bombe.

4. INIZIATIVE. FAUSTO CERULLI: UN ESPOSTO DENUNCIA
[Ringraziamo Fausto Cerulli (per contatti: faustocerulli@libero.it) per
averci trasmesso copia di questo esposto presentato alla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Orvieto]
Il sottoscritto Fausto Cerulli, (...) avvocato, espone:
in occasione dell'intervento militare delle forze angloamericane in Iraq, il
governo italiano, formalmente non coinvolto nelle operazioni belliche,
dichiarava comunque di comprenderne le motivazioni, augurandosi che il
governo legittimo dell'Iraq fosse defenestrato attraverso le suddette
operazioni belliche. Il tutto mentre i rapporti diplomatici tra Italia ed
Iraq vengono mantenuti, con la permanenza di regolare rappresentanza
diplomatica dell'Iraq nel nostro Paese.
Successivamente, essendosi diffusa la notizia che aerei statunitensi erano
decollati da una base americana situata in territorio italiano, trasportando
truppe che sarebbero state paracadutate in territorio iracheno, il
Presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi chiariva che l'autorizzazione
alla missione Usa era stata concessa in quanto le truppe aviotrasportate
risultavano destinate a missioni umanitarie.
La dichiarazione del Presidente del Consiglio veniva immediatamente smentita
dal comandante delle operazioni angloamericane in Iraq, che affermava che le
truppe in questione erano destinate ad azioni belliche: il che risulta
confermato da recenti informazioni diffuse dalla stampa internazionale,
secondo le quali le truppe trasportate dagli  aerei Usa decollati dal
territorio italiano stanno invadendo in armi il fronte occidentale dell'Iraq
in appoggio a forze paramilitari curde.
D'altra parte il Presidente del Consiglio dei Ministri on. Berlusconi ha
mostrato di essere al corrente delle possibili conseguenze
dell'atteggiamento assunto dal Governo da lui presieduto, proclamando lo
stato di emergenza nel territorio italiano.
Da quanto sopra esposto emerge che il Presidente del Consiglio si e' reso
responsabile del reato previsto e punito dall'art. 244 del codice penale.
- Sotto il profilo oggettivo in quanto l'atteggiamento assunto dal Governo
non puo' non inquadrarsi nella fattispecie prevista dall'articolo sopra
citato, avendo il Governo stesso posto in essere atti ostili allo Stato
estero Iraq; sia con l'autorizzazione al decollo dal territorio italiano di
aerei destinati ad operazioni militari contro l'Iraq, sia con i ridicoli
tentativi di coprire con inesistenti finalita' umanitarie la destinazione ad
operazioni belliche delle truppe trasportate da quegli aerei, sia con un
complesso di pubbliche dichiarazioni tese a delegittimare il governo
iracheno.
Il tutto in una situazione di conclamata assenza di stato di belligeranza
nei confronti dell' Iraq.
E' evidente che un tale comportamento ha posto e pone il territorio italiano
in situazione tale da essere oggetto di eventuali ritorsioni o rappresaglie
da parte dello Stato estero in questione. Il che conferma la sussistenza del
reato previsto e punito dall'art. 244 del codice penale.
- Per quanto attiene all'elemento soggettivo, dal quale si potrebbe comunque
prescindere in sede di configurazione della ipotesi criminosa in questione,
si fa rilevare che il Presidente del Consiglio, nel dichiarare lo stato di
emergenza sul territorio italiano, ha dimostrato di essere perfettamente
consapevole della fattispecie criminosa posta in essere: al punto da
predisporre le misure opportune a prevenire le preventivabili conseguenze
della fattispecie criminis.
*
Per quanto esposto, il sottoscritto sporge formale denuncia nei confronti
dell'on. Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei Ministri,
chiedendo  l'apertura di un procedimento nei suoi confronti per violazione
dell'art. 244 del codice penale o per qualsiasi altra fattispecie criminosa
da ravvisare nel sopradescritto comportamento del Governo presieduto dal
suddetto Silvio Berlusconi.
Chiede la condanna dello stesso alle pene di legge.
Intende essere avvisato ai sensi di legge di una eventuale richiesta di
archiviazione al fine di proporre opposizione.

5. RIFLESSIONE. MARGARET ATWOOD: AMERICA, NON SO PIU' CHI SEI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2003. Cosi' il giornale presenta
l'autrice: "Scrittrice canadese di lingua inglese, e' l'autrice piu'
interessante del suo paese, di cui ha restituito l'identita' culturale in
molte delle sue quindici raccolte poetiche, alcune tradotte da Bulzoni con
il titolo Poesie. Tra le altre, Il gioco del cerchio, Procedure per il
sotterraneo, I diari di Susannah Moodie, Storie vere, Interlunare. Autrice
di circa dieci romanzi, e cinque libri di racconti, quattro libri per
bambini e quattro saggi ha fatto attraversare la sua fiction da uno sguardo
orientato alla questione femminile, seminandovi spesso una feroce ironia.
Con L'assassino cieco, tradotto da Ponte alle Grazie, ha vinto un Booker
Prize che ne indicava lo stile "lungimirante e drammatico". Sorprendente e'
la gamma emotiva in cui la Atwood si esprime, capace com'e' di indagare i
meandri della umana psiche. Tra gli altri libri disponibili in italiano,
Fantasie di stupro, La tartaruga; La donna che rubava i mariti, L'altra
Grace, Le uova di Barbablu', Tornare a galla e Vera spazzatura, da Baldini e
Castoldi; La donna da mangiare, per il Corbaccio; Lady Oracolo da Giunti; Il
racconto dell'ancella, Occhio di gatto, La principessa Prunella, editi da
Mondadori; Negoziando con le ombre, Ponte alle Grazie"]
Cara America: e' difficile scriverti questa lettera, perche' non so piu' per
certo chi tu sia. E anche qualcuno dei tuoi potrebbe avere lo stesso
problema. Credevo di conoscerti: siamo state bene insieme negli ultimi
cinquantacinque anni. Eri i giornalini di Topolino e Paperino che leggevo
alla fine degli anni quaranta. Eri le trasmissioni radiofoniche - Jack
Benny, la nostra Miss Brooks. Eri la musica che cantavo e che mi faceva
ballare: le Andrews Sisters, Ella Fitzgerald, i Platters, Elvis. Eri proprio
divertente.
Hai scritto alcuni dei miei libri preferiti. Hai creato Huckleberry Finn, e
Occhiodifalco, e Beth e Jo in Piccole donne, tutti coraggiosi, ognuno a suo
modo. Piu' tardi sei stata il mio amato Thoreau, il padre degli
ambientalisti, testimone della coscienza individuale; e Walt Whitman,
cantore della grande Repubblica; e Emily Dickinson, custode dell'anima
privata. Sei stata Hammett e Chandler, gli eroi delle mean streets; e anche
dopo, sei stata quel trio straordinario, Hemingway, Fitzgerald, e Faulkner,
che hanno percorso gli oscuri labirinti del tuo cuore nascosto. Sei stata
Sinclair Lewis e Arthur Miller, che, con il loro idealismo americano,
andavano a caccia delle tue ipocrisie, perche' pensavano che tu potessi
migliorarti.
Sei stata Marlon Brando in Fronte del porto, sei stata Humphrey Bogart
nell'Isola di corallo, sei stata Lilian Gish in La morte corre sul fiume.
Hai lottato per la liberta', l'onesta' e la giustizia; hai protetto gli
innocenti. E io ho creduto a quasi tutto. E penso che ci credessi anche tu.
A quel tempo sembrava tutto vero.
Tuttavia anche allora mettevi Dio sulle banconote. Secondo il tuo modo di
pensare quello che e' di Cesare si identificava con quello che e' di Dio: e
questo ti dava sicurezza. Hai sempre voluto essere citta' sul monte, luce di
tutte le nazioni, e per un po' lo sei stata. Datemi i vostri derelitti, i
vostri poveri, cantavi, e per un po' ne sei stata convinta anche tu.
Siamo sempre state buone amiche, tu e io. La storia, quella vecchia
intrigante, ci ha intrecciate insieme sin dagli inizi del '600. Qualcuno di
noi era te; qualcuno di noi voleva essere te; qualcuno dei tuoi era noi. Tu
non sei soltanto la nostra vicina: in molti casi - il mio, per esempio - sei
anche i nostri parenti, i colleghi, e i nostri amici personali. Ma anche se
abbiamo un posto in prima fila, non ti abbiamo mai capito del tutto, quassu'
a nord del quarantanovesimo parallelo.
Noi siamo come i galli romanizzati - sembriamo romani, vestiamo come i
romani, ma non siamo romani - dall'alto delle mura diamo occhiate curiose ai
veri romani. Che fanno? Perche' lo fanno? E che fanno adesso? Perche' mai
quell'aruspice scruta con tanta attenzione il fegato della pecora? Perche'
l'indovino distribuisce all'ingrosso i suoi "state attenti!"?
Forse e' questo il motivo per cui mi e' difficile scriverti questa lettera:
non sono sicura di quello che sta succedendo. E poi, tu hai un'intera
legione di esperti indagatori di interiora che non fanno altro che
analizzarti in ogni tua piccola parte. Cosa posso dirti di te stessa che tu
non sai gia'?
Forse e' questo il motivo della mia esitazione: imbarazzo, prodotto da un
comprensibile pudore. Ma e' piu' probabile che si tratti di un imbarazzo di
altro tipo. Quando mia nonna - che era originaria del New England - si
trovava di fronte un argomento sgradito, cambiava discorso e guardava fuori
dalla finestra. Ed e' anche la mia prima reazione: farmi gli affari miei.
Ma faro' uno sforzo, perche' i tuoi affari non sono piu' soltanto affari
tuoi. Per parafrasare lo spettro di Marley, il socio di Scrooge nel Cantico
di Natale di Dickens, che lo aveva capito troppo tardi, i tuoi affari sono
il genere umano. E viceversa: quando il Jolly Green Giant della leggenda va
su tutte le furie, molte piante e piccoli animali vengono calpestati. Quanto
a noi, tu sei il nostro maggiore partner commerciale: sappiamo perfettamente
che se tu vai a rotoli, anche noi subiamo la stessa sorte. Abbiamo tutte le
ragioni per augurarti ogni bene.
Non approfondiro' i motivi per cui credo che le tue recenti avventure
irachene siano state - a lungo termine - uno sconsiderato errore tattico.
Quando leggerai questa mia, Baghdad potrebbe gia' essere un paesaggio
lunare, crateri compresi, e nel frattempo molte altre interiora saranno
state esaminate. Non parliamo, quindi, di quello che stai facendo alle altre
persone, ma piuttosto di quello che stai facendo a te stessa.
Stai sventrando la Costituzione. Gia' adesso si puo' entrare nelle tue case
senza preavviso o permesso, puoi essere portato via e incarcerato senza una
ragione, la tua posta puo' essere spiata, le tue tracce private possono
essere esaminate. Non e' forse tutto questo la strada verso un generalizzato
latrocinio commerciale, per l'intimidazione politica, e per la frode? Lo so
che ti hanno detto che tutto questo e' per la tua sicurezza, per la tua
protezione, ma pensaci solo un momento. E poi, da quando hai tutti questi
timori? Non eri tu che non avevi paura di nessuno?
Il tuo debito pubblico e' a livelli da primato. Continua a spendere a questo
ritmo e ben presto non ti potrai piu' permettere nessuna grande campagna
militare. Oppure farai la fine dell'Unione Sovietica: tanti carri armati e
nessun condizionatore d'aria. La gente si arrabbiera' per questo. Saranno
tutti ancora piu' arrabbiati quando non potranno farsi la doccia perche' i
miopi bulldozer della protezione ambientale avranno inquinato molte falde e
prosciugato le altre. Allora la situazione sara' davvero calda e sporca.
Stai incenerendo l'economia americana. Non tardera' il momento in cui la
risposta a questo sara' azzerare la produzione e prendere la roba prodotta
da altri popoli, al prezzo di una diplomazia da nave da guerra. Il mondo
finira' per essere composto da pochi ultraricchi re mida, e tutto gli altri
saranno servi, dentro e fuori i tuoi confini? Il settore economico piu'
florido negli Stati Uniti non finira' per essere il sistema carcerario?
Speriamo di no.
Se continuerai a percorrere questa china sdrucciolevole, i popoli del mondo
smetteranno di ammirare le qualita' che hai. Decideranno che la citta' sul
monte non e' che un lurido quartiere degradato e che la tua democrazia e' un
inganno, e percio' non riuscirai piu' a imporre a tutti il tuo punto di
vista cosi' sporco. Penseranno che il ruolo di legge non spetta piu' a te.
Penseranno che avrai insozzato il tuo stesso nido.
I Britannici avevano un mito riguardo a re Artu'. Che non era morto, ma si
era addormentato in una grotta - dicevano - e che nell'ora del piu' grave
pericolo della nazione sarebbe tornato.
Anche tu hai grandi spiriti del passato a cui rivolgerti: uomini e donne
ardimentosi, coscienti, preveggenti. Richiamali a te, e chiedi loro di stare
al tuo fianco, di ispirarti, di difendere le tue migliori qualita'. Ne hai
davvero bisogno.

6. PROPOSTE. RETE CONTRO G8 PER LA GLOBALIZZAZIONE DEI DIRITTI: PER LO
SCIOPERO GENERALE
[Sabato 5 aprile a Genova sono stati ricordati gli scioperi del 1943. La
"rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" ha distribuito il
seguente volantino. Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti:
norma.b@libero.it) per avercelo trasmesso]
Lettera aperta alle organizzazioni sindacali
Siamo in piazza con voi a ricordare gli scioperi del '43 con tutta
l'angoscia e l'indignazione che provocano le notizie provenienti dall'Iraq.
Nel '43 lo sciopero era vietato, e chi si asteneva dal lavoro lo faceva
consapevole di correre un grave rischio personale. Eppure i lavoratori
incrociarono le braccia. Gli storici  attribuiscono agli scioperi del '43
grande importanza per il crollo del regime fascista.
Oggi il nostro paese e' pesantemente e direttamente coinvolto in una guerra
che neppure gli aggettivi illegale e criminale sono sufficienti a definire.
L'art. 11 della Costituzione ed il diritto internazionale sono calpestati: e
basta visitare canali e siti non di regime per indignarsi di fronte ad
immagini disumane.
Le organizzazioni sindacali italiane hanno in mano uno strumento potente per
far sentire alto e forte il proprio no: lo sciopero generale.
Di tutte le categorie, di tutti i sindacati, di tutti i lavoratori.
Che davvero fermi l'Italia per tutto il tempo necessario perche' il governo
si renda conto che i lavoratori italiani non vogliono questa strage.
Che sostenga quanti non hanno voluto e non vogliono collaborarvi, ne'
direttamente, ne' indirettamente.
I segnali della volonta' dei lavoratori (italiani ed europei) di fermare la
guerra con ogni mezzo a loro disposizione sono gia' stati numerosi:
dall'adesione massiccia alle fermate del giorno successivo all'attacco; al
rifiuto di lavoratori di prestare la propria opera in caso di collaborazione
anche indiretta alla guerra, allo sciopero dei sindacati di base.
Ma tutto questo non e' stato sufficiente.
Crediamo che il nostro governo comprendera' l'irriducibilita' della nostra
opposizione alla guerra solo se tutti i sindacati e tutte le categorie
proclameranno, come minimo, un'intera giornata di sciopero generale che
fermi l'Italia.
Non bastera' a fermare la guerra? Forse no. Ma se non altro dara' ai
lavoratori ed alle loro organizzazioni la coscienza di averci almeno
provato.
Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti

7. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: IN QUALCHE ISOLA SPERDUTA DEL PACIFICO
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient@tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di
Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica,
collaboratrice di questo foglio, e' da sempre impegnata in iniziative di
pace e di solidarieta']
Gli Amerikani hanno gia' organizzato, punto per punto, il dopo-Saddam. Gia'
stilato l'elenco del governo provvisorio (una specie di protettorato
militare), e quello del governo vero e proprio, costituito da fuoriusciti
traditori di Saddam (gli Amerikani hanno una passione per i traditori, che
nessuna delusione potra' mai affievolire). Gia' stilato pure l'elenco delle
aziende amerikane e alleate (ci sara' posto per quelle italiane in questo
elenco?), che ricostruiranno l'Irak appena distrutto. Oggi, forse per
l'ultima volta, possiamo provare a scommettere sulla fine di Saddam. Vivo o
morto? Troppo pericoloso in entrambi i casi. Sembra riproponibile e vincente
invece la fine di Osama Bin Laden, ne' vivo ne' morto, e quindi utilizzabile
in quanto vivo come spauracchio, quando occorre rinfocolare la memoria del
terrorismo, ma non abbastanza vivo da lasciargli delle chances. Forse verra'
creato un limbo per i dittatori fanatici inventati e poi traditi dagli
Amerikani, in qualche isola sperduta nel Pacifico, sorvegliata da pescicani
affamati.

8. RIFLESSIONE. MARC AUGE': SOTTO LE MACERIE ANCHE LE PAROLE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003. Cosi' il giornale presenta
Auge': "Africanista di formazione, poi approdato allo studio antropologico
delle societa' complesse, Auge' ne e' diventato uno dei piu' interessanti
analisti. All'Ecole des Hautes Etudes di Parigi insegna logica simbolica e
ideologica. Da anni i suoi libri seguono le manifestazioni piu' eclatanti
delle societa' contemporeanee - da Dysneyland e altri nonluoghi all'ultimo
diario sull'11 settembre (entrambi pubblicati da Bollati Boringhieri). La
sua fama e' da sempre associata a un neologismo - nonluogo - nato per
descrivere spazi deputati alla circolazione veloce, negati agli incontri:
svincoli, dunque, piuttosto che incroci, autostrade, aeroporti, gli stessi
mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi dove si
addensano i rifugiati. Dai nonluoghi sono esiliati i depositi della memoria,
non si da' possibilita' di rapporti ne' di identita', sebbene una sorta di
relazione contrattuale accomuni i passeggeri, la clientela di un grande
magazzino, i guidatori che per ottenere l'accesso ai luoghi di transito
devono esibire i propri connotati, e con cio' certificare la propria
innocenza: di tutto questo Auge' parla nel suo libro Nonluoghi. Introduzione
a una antropologia della surmodernita', pubblicato da Eleuthera, cui si deve
la scoperta italiana di questo autore. Tra gli altri suoi titoli: Le forme
dell'oblio (Il Saggiatore), La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction
(Eleuthera)"]
Apro il giornale, accendo la tv: sulle cartine geografiche (stiamo imparando
nuovi nomi di citta'), frecce guerriere si estendono a sud, aggirano i
grandi agglomerati, risalgono, scavalcano i fiumi e si perdono da qualche
parte, prima di Baghdad. Le citta' bombardate sono decorate da stelle
colorate, simbolo delle esplosioni, che sugli schermi televisivi
lampeggiano: forse per rendere il simbolo piu' realista. In questi ultimi
giorni, dai primi di aprile, sembrava che le frecce si fossero piantate
nella sabbia in attesa di rinforzi.
Notte a Baghdad. L'obiettivo fisso registra vampe di fuoco in cielo. Le luci
della citta': qualche macchina, alcuni camion, qualcosa che assomiglia alla
vita di tutti i giorni.
Gli inviati speciali, da qualche parte nel sud - non possono precisare dove
si trovano - riferiscono alcune voci, che il giorno dopo saranno smentite
dagli uni e riprese dagli altri.
La carcassa di un blindato carbonizzata, alcuni civili lungo una strada.
Qualche immagine girata da Al Jezeera (una strada commerciale di Baghdad, i
feriti in un ospedale). Alcuni reporter, impassibili, ci ripetono cio' che
gia' sappiamo, cioe' non molto. Usano i loro videofoni perche' fa piu'
"diretta", piu' "live". La trasmissione ne risente, non c'e' sincronia tra
la voce e il movimento delle labbra, ma poco importa: non li ascoltiamo,
turbati dalle reiterate deformazioni delle loro facce. Non appena si riesce
a distinguerle si decompongono in quadratini bianchi e blu, prima di
ricomparire per un attimo, troncate e come divorate da una piaga tecnologica
che avrebbe certamente affascinato Bacon.
Reporter inseriti ("embedded") nelle unita' militari; reporter in Kuwait, a
Baghdad; dichiarazioni dello stato maggiore; discorsi di Saddam, riprodotti
dai canali arabi. La "strategia della comunicazione" ha cambiato anche il
paesaggio audiovisivo, ma in una situazione di guerra l'immagine appare per
cio' che e': un miraggio, un nonluogo per eccellenza. Le immagini non
possono illustrare una situazione della quale non sappiamo granche' - e
certo non possiamo aspettarci di saperne molto prima che sia giunto il
momento, prima che tutto sia finito. Dunque, se le fanno vedere, e' per
tenerci li' ad aspettare il seguito per tutto il tempo che ci vorra',
facendo finta di dirci qualcosa.
Alcuni giorni fa mi trovavo a Londra, e nella mia camera d'albergo guardavo
"Skynews": in Iraq, nei pressi del confine del Kuwait, un reporter inglese
si e' trovato in mezzo a un gruppo di adolescenti chiassosi, e scambiando le
loro grida per segni di entusiasmo ha commesso l'errore di porgere il
microfono a uno di loro. Il ragazzo ha approfittato dell'occasione per
esprimere cio' che pensava di Bush con un gesto significativo, mentre i suoi
compagni scandivano: "Saddam! Saddam!". Il povero reporter, per un attimo
travolto dagli eventi, e' stato costretto a dire ai telespettatori che i
sentimenti degli iracheni erano "misti". Se non avesse avuto l'infelice idea
di dare la parola a quei ragazzi, la loro vivacita' avrebbe potuto essere
interpretata in tutt'altro modo.
Luogo, nonluogo: coloro che hanno coscienza di essere aggrediti, invasi,
scoprono improvvisamente il proprio attaccamento allo spazio nel quale
vivono. E ne fanno un luogo, accettano di legarlo a un passato comune, di
esprimere solidarieta' che ancora poco prima non erano affatto scontate. In
altri termini, prendono coscienza della loro identita'. La lezione non e'
nuova. Neppure i principi europei che dovettero entrare in azione a due
riprese per liberare la Francia dal suo dittatore imperiale pretendevano di
farsi anche amare dai francesi. Il nonluogo della guerra e' quello dei
turisti con tanto di casco e armi blindate, missili e aiuti alimentari, che
si stupiscono, fuori da casa loro, di non essere piu' a casa loro; fuori dal
linguaggio, di non riuscire a farsi capire; fuori dal diritto, di incontrare
la violenza.
L'errore del governo americano ha origine dal suo disprezzo per i valori che
erano - comunque li si valutasse - quelli della democrazia americana. Certo,
sappiamo da tempo che la storia degli uomini spesso si fa anche con le
parole, ma raramente ne abbiamo avuto una dimostrazione piu' cinica, o
peggio ancora, piu' allucinata. Oggi, ci sarebbe solo da sperare che gli
attuali dirigenti americani siano davvero interessati solo al petrolio e al
dominio, e non credano molto in cio' che dicono. Ma purtroppo e' ben piu'
probabile che ci credano, cosi' come credono in Dio: con la fede sanguinaria
dei convinti, che peraltro non esclude, come dimostra la storia, il
perseguimento di interessi materiali.
L'aspetto piu' terrificante delle immagini e dicerie con cui si pretende di
informarci e' che le parole, lungi dal dare un senso alle immagini, hanno
perso il loro significato. La democrazia, i diritti umani, la liberta', i
fini umanitari: tutte nozioni massacrate dai bombardamenti di una retorica
arrogante, tracotante, ingarbugliata e cialtrona. Come le citta' in rovina,
le macerie semantiche testimoniano il trionfo della farneticazione. Basta
parlare! Vedremo quello che ci sara' da vedere.
Prova di forza. Ed ecco che si formulano alternative impossibili in guisa di
ultimatum. Ci si ingiunge di scegliere: il dittatore di Baghdad o i nostri
liberatori, i terroristi o i democratici, il tradimento o la guerra, e tra
poco l'islam o il vangelo. Tutte le parole nascondono tranelli, tutti i
ragionamenti sono insidiosi, tutti i dibattiti falsati. Questo vicolo cieco,
questo nonluogo semantico dove nessuno riesce piu' a ritrovare le strada non
e' meno temibile delle immagini tuttofare della tv.
La guerra e' dappertutto e da nessuna parte. Le immagini la mostrano, le
immagini la mascherano. Le parole fuggono, le parole mancano. Quando le
parole torneranno, sara' per dirci quel che le immagini non riuscivano a
tacere. Che questa guerra non si doveva fare.

9. LIBRI. NICOLA LICCIARDELLO PRESENTA "RECINTI E FINESTRE" DI NAOMI KLEIN
[Ringraziamo Nicola Licciardello (per contatti: nliccia@tin.it) per averci
messo a disposizione questa sua appassionata recensione gia' apparsa su "Il
mattino di Padova" del 16 marzo 2003. Naomi Klein e' l'autrice di No logo
(un libro giornalistico-saggistico che ha avuto una circolazione e
un'influenza assai ampia), ed e' vivace militante, testimone e studiosa del
"movimento dei movimenti" che si batte contro guerra e ingiustizie globali]
Navigare e' necessario piu' che vivere: al motto di Colombo, che riemerge
rovesciato nel "domandare camminando" (o Zapatour) nel Chapas di Marcos,
pare ispirarsi anche la nuova azione-narrazione del mondo di Naomi Klein
(Recinti e finestre, Baldini & Castoldi, Milano 2003, pp. 248, euro 15,80) -
figlia di hippies contro la guerra in Vietnam emigrati in Canada, e ora
stella della navigazione in rete del movimento dei movimenti.
La giornalista del "New York Times" e di "The Nation" parla poco di se', se
lo fa e' per dire che proprio al fuoco degli eventi collettivi e dei suoi
reportage sul "Globe & Mail" si e' globalizzata lei stessa e la domanda di
senso del nostro tempo. I giorni in cui usci' No-Logo, riflessione sul
McGoverno del mondo, esplose infatti la battaglia di Seattle (1999), cosi'
il tour promozionale di quel libro si trasformo' in un'avventura di due anni
e mezzo, che "mi ha portata in ventidue paesi, nelle strade dense di
lacrimogeni di Quebec City e Praga, nelle assemblee di quartiere di Buenos
Aires, con gli attivisti antinucleari nel deserto del Sud Australia, e in
discussioni formali con capi di Stato europei". Anche in Italia: subito dopo
la Genova di Carlo Giuliani, al festival dell'Unita' di Reggio Emilia,
denuncia la prevedibile repressione governativa, poi saluta i centri sociali
fra le poche "belle finestre" per l'impegno a un altro modo di vivere.
All'interrogativo piu' urgente, quali valori governeranno l'era globale, i
dispacci della Klein rispondono pragmatici, imitando la forma delle reti
organiche, dei processi non lineari in corso, come quella "a mozzi e raggi"
del movimento stesso, fisico e virtuale, che continuamente supera i recinti
eretti intorno ad "alcune cose che malgrado tutti gli sforzi di
privatizzazione non vogliono essere possedute: musica, acqua, semi,
elettricita', idee: hanno una resistenza naturale alla chiusura, una
tendenza alla fuga, all'impollinazione incrociata, ad attraversare i recinti
e uscire dalle finestre".
Fra le pieghe di questi brevi ma ricchissimi riferimenti incrociati, torna
utile innanzitutto la diagnosi storica del media system: il marchio e il
copyright (la fonte piu' alta di profitto delle multinazionali) non
corrispondono alla realta' del prodotto, il promesso villaggio globale si e'
rivelato una rete di fortezze, collegate da corridoi commerciali altamente
militarizzati, dove circolano le merci ma non le persone, che per passare vi
si nascondono dentro a rischio di asfissia. "Comprare e' essere. E' amore.
E' votare": questa fede-etica del fondamentalismo consumista inizia a
vacillare, secondo Klein, con il crollo del Muro nell''89 - perche' i nostri
centri commerciali rappresentavano la liberta' e la democrazia, e gli
scaffali vuoti dei paesi dell'est erano metafore del controllo e della
repressione.  Ma poi si e' visto "cosa ha significato l'ossessione del
mercato per i Sem Terra del Brasile, i lavoratori dei fast food in Italia, i
coltivatori di caffe' in Messico, gli abitanti delle baraccopoli in
Sudafrica, i televenditori in Francia, gli immigrati raccoglitori di
pomodori in Florida, i sindacalisti nelle Filippine, i ragazzi senza casa a
Toronto" - e il conteggio dei morti: un americano vale almeno 2 europei, 10
yugoslavi, 50 arabi, 200 africani...
Allora "sappiamo troppo e non possiamo tacere: le vere munizioni del potere
sono il nostro silenzio". Sempre meno ingannera' la nuova pubblicita' non
piu' di prodotti ma di miti: l'amichevole invito a "prendersi cura di se'"
tradisce il fatto che non ci sono piu' servizi sociali, essendo cadute le
(sole utili) frontiere che proteggevano il pubblico dall'assalto del
privato. Ma paradossalmente, proprio l'inefficienza dei servizi essenziali,
come le poste, i trasporti, gli ospedali, le stesse stazioni di polizia,
hanno rivelato l'impotenza e l'insicurezza del modello neoliberista contro
il terrorismo.
Le alternative?  "Le menti si cambiano costruendo organizzazioni ed eventi
che siano esempio vivente di cio' che si vuole": critica sul penultimo Porto
Alegre per le difficolta' di coordinamento, Naomi Klein ribadisce pero' che
e' possibile cambiare il mondo senza prendere il potere, anzi
distruggendolo, proprio perche' il movimento non parte da utopie e da
leader, ma dalla gente comune, spontaneamente impegnata a difendere,
promuovere e  gestire spazi di diversita'. E quasi contraddicendosi, poi
illustra un solo esempio, in cui spiega perche' Marcos si chiama
"subcomandante": canale per esprimere la volonta' dei consigli di villaggio
indios, "non-io" il cui volto si nasconde per essere visto, uomo-rete i cui
paradossi, parole e silenzi contano piu' delle armi, laboratorio di lotte
dove si e' formato un nucleo del Social Forum mondiale, poeta erede di
Zapata, Luther King, Malcolm X, Che Guevara - di una rivoluzione sognante da
svegli.

10. APPELLI. QUESTO MONDO NON E' IN VENDITA
[Dall'ufficio stampa della Rete di Lilliput (tel. 3396675294, e-mail:
ufficiostampa@retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo]
Anche in Italia, come in molti altri paesi europei ed extra-europei, e' nata
ufficialmente, il 30 gennaio scorso, la campagna "Questo mondo non e' in
vendita" nel tentativo di fermare, come a Seattle, l'espansione del Wto.
A Cancun (Messico), nel settembre prossimo, l'Organizzazione mondiale del
commercio (Wto) intende cominciare a trasformare in tutto il mondo in merci
i servizi essenziali (come istruzione, sanita', fornitura d'acqua,
trasporti, telecomunicazioni, poste, energia, servizi finanziari), e a
sottomettere definitivamente alle regole dello scambio e del profitto
agricoltura, brevetti, accesso ai farmaci, investimenti, appalti pubblici,
nel Nord come nel Sud del mondo.
Come associazioni, movimenti, organizzazioni della societa' civile e ong, ma
anche come semplici cittadini, tutto questo ci interessa e ci riguarda da
vicino.
Molte di queste tematiche toccano dei diritti fondamentali di ogni essere
umano, e non possono essere degradate al ruolo di semplici beni commerciali
e valutate unicamente in base alla loro capacita' di generare profitti. Per
questo, e per la mancanza di trasparenza e di democrazia che caratterizza i
negoziati e l'operato del Wto, e' necessario che ci attiviamo tutti, per
invertire la rotta e riaffermare che i diritti ambientali, sociali e di
sviluppo locale devono essere le priorita' di qualunque politica o accordo
commerciale.
*
Cosa puoi fare:
a) Aderisci alla piattaforma politica della campagna: www.campagnawto.org
b) Il 17 e il 18 maggio prossimi in tutte le citta' italiane vogliamo
promuovere le giornate dei beni comuni:
- per impedire che i diritti umani, ambientali, sociali e di sviluppo locale
diventino merci da comprare e vendere solo a chi se li puo' permettere;
- perche' con banchetti, incontri, volantinaggi e azioni simboliche vogliamo
spiegare cosa vuole fare il Wto a Cancun e i rischi che corriamo se dovesse
vincere il profitto riguardo a beni comuni come scuola, sanita', acqua e
agricoltura.
Se siete interessati ad organizzare insieme banchetti e incontri potete
contattare Andrea Baranes, uno dei coordinatori della campagna,
all'indirizzo: info@campagnawto.org
*
La campagna "Questo mondo non e' In vendita" e' promossa da: Arci, Attac,
Azione Aiuto, Banca Etica, Campagna Riforma Banca Mondiale, Centro
Internazionale Crocevia, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Chiama l'Africa,
Cipsi, Dea - Donne e Ambiente, Focsiv, Greenpeace, Lila Cedius, Lunaria,
Mani Tese, Rete Lilliput, Roba Dell'Altro Mondo, Terra Madre, Terra Nuova -
Gruppo di appoggio al movimento contadino africano, Unione degli studenti,
Unione degli universitari.
Prime adesioni alla campagna: Associazione delle Botteghe del Mondo,
Ctm-Altromercato, Wwf, Un altro mondo Onlus, Un mondo senza guerre, Forum
per la democrazia costituzionale europea, Territorio scuola, Tatavasco,
Coordinamento milanese la pace in comune, Acli Milano, Sinistra ecologista
Terviso, Civilta' contadina, associazione Il seme, ed altre ancora.
Per qualunque informazione, e se volete comunicarci i nomi di persone o
associazioni che potrebbero essere interessate a ricevere nostre notizie, vi
preghiamo di scriverci all'indirizzo: info@campagnawto.org

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 559 del 7 aprile 2003