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La nonviolenza e' in cammino. 557
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 557
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Fri, 4 Apr 2003 23:18:36 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 557 del 5 aprile 2003
Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: cessate il fuoco
2. Enrico Peyretti: la guerra
3. Unione delle comunita' e delle organizzazioni islamiche in Italia:
mozione approvata il 23 marzo 2003 a Bologna
4. Ancora un appello ai Comuni per delibere che vietino il transito di armi
5. Joy Harjo: no
6. Ida Dominijanni presenta "Power inferno" di Jean Baudrillard
7. Un ponte per... e Ics: fermare la guerra, aprire subito i corridoi
umanitari
8. Fabio Alberti: una lettera aperta ai deputati italiani
9. I popoli europei vogliono la pace
10. Luisa Morgantini, le violazioni dei diritti umani in Birmania
11. Gianfranco Bettin presenta "Quando sei nato non puoi piu' nasconderti"
di Maria Pace Ottieri
12. Beati i costruttori di pace: una notizia e una proposta
13. Ettore Masina: salviamo Amina Lawal
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CESSATE IL FUOCO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento che riteniamo di fondamentale importanza. Lidia Menapace
e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel
movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria,
fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della
cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza
in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia
Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di
autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di
liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana,
Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina,
Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa
ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le
donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il
dito e la luna, Milano 2001]
La Convenzione permanente di donne contro le guerre chiede un immediato
"cessate il fuoco" dall'assemblea delle Nazioni Unite, perche' la politica
torni ad occupare lo spazio della ragione e la guerra - come follia
collettiva - sia respinta dalle nostre coscienze in tutte le sue
implicazioni culturali, prima fra tutte quella di attribuire ad essa guerra
una qualsiasi legittimita', utilita', giustificazione da tutte le parti.
La guerra e' solo un massacro al quale ci si deve opporre in ogni modo non
bellico. Noi non amiamo ne' eroismi ne' eroi e non chiediamo a nessun popolo
di essere eroico e di coltivare dissennati disegni di "onore militare", due
parole nefaste che si sorreggono a vicenda.
Lo sventurato popolo iracheno deve essere convinto a non resistere alla
violenza militare a difesa di un regime indifendibile e ad organizzarsi per
resistere in forma nonviolenta all'occupazione, e a poter dichiarare le sue
ragioni anche contro il regime interno: ogni popolo ha diritto di esistere
come meglio puo' e nessuno puo' essere chiamato da nessuno a fare la parte
dell'eroe di turno.
Noi siamo del tutto contrarie a qualsiasi esaltazione della bella morte in
guerra per i vari nobili principi che di volta in volta ci vengono
sbandierati in faccia. Da tempo sappiamo che semmai la strada e' quella di
addestrarsi per tempo per fermare le "resistibili ascese" dei vari "Arturo
Ui" come diceva Bert Brecht, e con lui ancora diciamo "beato il popolo che
non ha bisogno di eroi".
*
Noi chiediamo che si riunisca al piu' presto l'assemblea delle Nazioni Unite
per il cessate il fuoco e l'inizio di una trattativa politica e diplomatica,
e che il Consiglio d'Europa sostenga la volonta' di pace dei popoli europei:
tutti e tutte insieme contrastiamo l'inquinamento culturale che chiama a
nuove crociate religiose o politiche e nuovi massacri e nuovi delitti
collettivi e nuove legittimazioni della violenza.
Non uno dei movimenti di resistenza armata e di guerriglia, mosso pur da
grandi ragioni ideali e da grandi ragioni poltiche per sottrarsi agli
imperialismi, ha avuto buon esito: anche chi ha vinto, come l'"eroico"
Vietnam ha poi ceduto a forme di destra economica e politica. Non si
combatte l'ingiustizia con mezzi ingiusti: l'ingiustizia della guerra ti si
attacca addosso cone un contagio e distrugge le ragioni che avevi. Che cosa
abbiamo detto a Firenze? non c'e' pace senza giustizia raggiunta con mezzi
pacifici: il machiavellismo dovrebbe essere dichiarato defunto.
*
Noi ci sottraiamo al coro consueto e inascoltabile, alle stonate fanfare
sugli eroi ed eroismi: di solito chi ne parla non ha dovuto misurarsi di
persona con guerre, bombardamenti, deportazioni, miseria, fame, paura, e
crede che la Resistenza italiana sia stata soprattutto un movimento
militare, una guerra risorgimentale: fu un grande movimento di presa di
coscienza politica e quando anche fu armato non fu mai militare e in ogni
modo non volle mai eroismi: il resistente fugge, si mette in salvo e mette
in salvo per quanto pu' vite altrui. E alla fine dichiara solennemente: "mai
piu'".
Noi vogliamo che la guerra esca dalla storia: e' piu' infettiva della peste
e piu' dannosa dell'aids.
Con la guerra nessuna connivenza culturale: noi pensiamo e operiamo su
un'altra lunghezza d'onda, noi vogliamo un'Europa neutrale e disarmista
fornita di un addestramento diffuso di difesa popolare nonviolenta, che
rappresenti non l'antagonista militare degli Usa, bensi' l'alternativa
politica e morale all'impero, appunto l'altro mondo possibile.
2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: LA GUERRA
[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999]
La pace e' un diritto indistruttibile, che la guerra non sopprime ma esalta.
Il diritto sopravvive all'offesa.
Vincera' Maramaldo. L'orrendo onore del misurarsi nella capacita' di
uccidere, in relativa parita', non c'e' piu'. Le maggiori guerre recenti o
sono plotoni d'esecuzione o forza suprema che mira sul piu' debole. Alla
guerra serve la vilta': per uccidere e sottomettere bisogna ingannare.
L'informazione di guerra e' falsa perche' e' un'arma. Gandhi insegno' a
lottare con la "forza dell'attenersi alla verita'" (satyagraha) e del "dire
la verita' al potere". Per Capitini, la nonmenzogna e parte della forza
nonviolenta.
La strapotenza esercitata nella conquista bellica, si disonora. La
responsabilita' del piu' forte verso il mondo e' tutta l'opposto. La
superbia e' stolta: semina dolori e rovina che le ricadono addosso. Ogni
vittoria e' rovina, perche' partorisce la vendetta. Gli Usa, per farsi
impero, rovinano la propria democrazia. La potenza non ha altro destino che
declino e crollo, con rovine attorno, se non si risolve nella condivisione
del potere e nell'eguaglianza dei diritti.
La guerra e' orrenda, il dominio e' peggiore. E' lo scopo della guerra.
Questa e' violenza diretta, vistosa, ripugnante. Il dominio e' violenza
strutturale, piu' profonda, piu' subita, meno respinta. Fa scorrere sangue
meno visibile, ma piu' abbondante: ogni giorno muoiono per violenze
strutturali sei volte le vittime dell'11 settembre. Hanno lo stesso identico
valore di quelle. Il crimine e' piu' grande, ma piu' accettato. L'11
settembre parve agli Usa lesa maesta', ma era lesa umanita', come mille
altri crimini, in gran parte compiuti dall'Occidente, da noi. Con la guerra,
gli Usa confermano negli offesi la regola della vendetta.
La guerra di Bush non e' contro una dittatura, perche' ogni guerra e'
dittatura, offende la prima liberta' di vivere. Non e' anzitutto per il
petrolio o contro l'euro. Non e' contro il terrorismo, perche' gli da' nuovi
pretesti, e perche' ogni guerra e' terrorismo. Non e' di liberazione, ma di
dominio, come dichiarato fin dagli anni '90 nel Project for New American
Century (www.newamericancentury.org), i cui autori sono oggi tutti nello
staff di Bush. Nel documento Rebuilding America's Defense, settembre 2000,
si legge: "Inoltre, il processo di trasformazione, anche se implica un
cambiamento rivoluzionario, probabilmente sara' lungo, in mancanza di un
evento catastrofico e catalizzatore - come un nuovo Pearl Harbour" (p. 63)
["Further, the processe of transformation, even if it brings revolutionary
change, is likely to be a long one, absent some catastrophic and catalyzing
event - like a new Pearl Harbour"]. L'evento e' venuto l'11 settembre ed e'
stato l'occasione per la guerra.
Questa denuncia ormai corrente non e' anti-Usa. L'accusa di antiamericanismo
e' disonesta, perche' assolve la volonta' di dominio di quel governo, e
offende il popolo statunitense, che ha cittadini come Rachel Corrie,
identificandolo in quella politica.
Tutte le chiese cristiane, non solo il papa, hanno condannato come minaccia
alla fede comune il messianismo fondamentalista e apocalittico di Bush, ben
documentato, speculare al fondamentalismo violento islamista. La chiara
risposta delle chiese ha un bel valore ecumenico, sia intracristiano, sia
verso l'Islam autentico, e costruisce pace tra civilta' e religioni.
Il nuovo popolo della pace, cresciuto dentro questa tragedia, e' motivo di
forte speranza. Il rifiuto dell'uccidere come uno dei mezzi della politica,
non e' mai stato cosi' vasto, spinto anche dalla eccezionale oscenita' di
questa guerra. Esso supera la sinistra tradizionale, compromessa con le
guerre, fino al Kossovo. Ma il movimento deve guardarsi dalle provocazioni
tese a squalificarlo e da infiltrazioni di protesta violenta. Proseguendo il
movimento new global, dovra' ripudiare anche la guerra economica, che usa la
fame come arma. La pace positiva esige che cambiamo e riduciamo i nostri
consumi-rapina.
Non e' la pace che deve giustificarsi, ma la guerra. E' rozza illusione che
le armi oggi sradichino le dittature. Solo la giustizia e la comunicazione
tra i popoli, oggi molto piu' possibile, possono liberare gli oppressi
liberando in loro la coscienza della propria dignita'. Non il pacifismo
attivo rafforza i dittatori, ma la violenza simile alla loro. Eletto o
impostosi, un violento e' sempre violento.
Il vizio delle armi va sradicato. "Mai piu' eserciti e guerre" e' il motto
della Perugia-Assisi nonviolenta (ben piu' che pacifista) e, nel prossimo
settembre, della Assisi-Gubbio, con Francesco incontro al lupo. Come la
tratta degli schiavi, la schiavitu' legale (per Aristotele era naturale) e
la faida, la guerra e i suoi mezzi vanno espulsi dalla civilta'. Tappa
intermedia e' il transarmo, riduzione di ogni armamento a mezzi puramente
difensivi (anche per l'Europa), i soli leciti per la Carta dell'Onu e la
nostra Costituzione. L'Onu, legge di pace, e' oggi piu' forte, perche' non
ha ceduto agli Usa, costretti ad aggirarla, ridotti a fuorilegge. Il diritto
internazionale vigente, fondato nel 1945 contro la guerra, prevede una forza
di polizia (che riduce la violenza) e vieta la guerra (che la moltiplica).
Inoltre, le capacita' civili di difesa e liberazione senz'armi sono oggi
piu' sperimentate (posso inviare bibliografia storica:
peyretti@tiscalinet.it).
La resistenza e' anzitutto interiore: la guerra ci contamina, trascinandoci
a parteggiare con una violenza o a disperare con le vittime. Questa
maledetta tentazione va superata nel piu' profondo e nel piu' alto dello
spirito.
3. DOCUMENTAZIONE. UNIONE DELLE COMUNITA' E DELLE ORGANIZZAZIONI ISLAMICHE
IN ITALIA: MOZIONE APPROVATA IL 23 MARZO 2003 A BOLOGNA
[Riceviamo e diffondiamo la mozione approvata il 23 marzo 2003 a Bologna
dall'assemblea delle associazioni islamiche in Italia. Per informazioni e
contatti: tel. 3397222393 (Hamza Piccardo)]
L'assemblea delle associazioni islamiche in Italia, promossa dall'Ucoii
(Unione delle comunita' e delle organizzazioni islamiche in Italia) riunita
a Bologna il 23 marzo 2003, ha approvato la seguente mozione:
Gli avvenimenti che si susseguono in Iraq colpiscono con inusitata violenza
la nostra coscienze di credenti e di uomini e donne amanti della giustizia e
della liberta'.
La violenta aggressione che il popolo iracheno sta subendo, da parte di
preponderanti forze armate appartenenti alla coalizione anglo-americana e'
una ulteriore tappa del progressivo deterioramento della situazione politica
internazionale.
La dittatura che ha oppresso il popolo iracheno, come del resto la maggior
parte delle dittature che opprimono i popoli nel mondo, e' stata a lungo
sostenuta da quelli stessi che oggi hanno scatenato una guerra spaventosa
per eliminarla.
Questa tuttavia e' solo la ragione ufficiale e insistentemente comunicata
della guerra contro l'Iraq, che si configura invece come guerra
d'aggressione per motivi di sordidi interessi petroliferi e per imporre un
unico modello politico e culturale a tutto il mondo.
Il mondo arabo e islamico si trova in questa fase sulla prima linea che
subisce l'impatto della volonta' degli Usa e ad essere l'ostacolo al
progetto di ridisegnare a loro piacere la cartina del Medio Oriente.
Il movimento pacifista e di solidarieta' che si e' sviluppato in tutto il
mondo e' segno evidente che l'opinione pubblica ha ben capito il valore
della posta in gioco, ha ben percepito l'accelerazione che questa guerra
potra' dare ad un processo di involuzione della democrazia gia' in atto in
molti paesi.
Siamo certi che la guerra non sia contro l'Islam nella sua dimensione
rituale o consuetudinaria, ma contro i principi di liberta' degli individui
e dei popoli che l'Islam ha insegnato e propugna nelle coscienze e nella sua
pratica di educazione degli individui e di partecipazione al governo delle
nazioni.
In questa situazione, tanto carica di preoccupazione per la condizione dei
nostri fratelli e delle nostre sorelle in Iraq siamo del tutto convinti che
l'appello allo sforzo obbligatorio contro la guerra emesso da alti consessi
di giureconsulti islamici, debba essere recepito in pieno dalla nostra
comunita' in Italia.
Va da se' che debba essere attentamente considerato il contesto sociale e
politico in cui il musulmano e la musulmana si trovano a dover dare risposta
a questa chiamata in difesa del fratello popolo dell'Iraq, della giustizia,
della pace mondiale e di quei principi del diritto internazionale che se
fossero stati rispettati avrebbero portato la crisi a ben altre e non
cruente soluzioni.
Abbiamo avuto la misericordia divina di trovarci in un paese in cui la
stragrande maggioranza della popolazione si e' schierata contro la guerra e
in cui, nonostante le posizioni assunte dal governo, milioni di cittadini
sono impegnati quotidianamente in una testimonianza attiva della loro
disapprovazione e della loro opposizione.
Noi musulmani e musulmane dobbiamo essere insieme a questi uomini e donne,
religiosi e laici, di molte, se non di tutte le tendenze ideologiche,
insieme a tutti coloro che hanno sinceramente a cuore i valori della pace,
della giustizia e della solidarieta'.
Questi credenti, cattolici e protestanti, stimolati dai loro valori etici e
dalle inequivocabili posizioni del Papa e delle loro rispettive gerarchie
stanno dimostrando, impegno e continuita' ammirevoli.
Anche a livello politico istituzionale una parte importante di governi
europei, guidati dalle posizioni franco-tedesche si muovono in
controtendenza agli Usa, arricchendo il progetto dell'Unione Europea di
autonomia e fierezza morale.
Noi che crediamo fermamente che l'ingiusta uccisione di un solo uomo
equivale ad uccidere tutta l'umanita' e che salvarne uno solo equivale a
salvarla tutta intera, non possiamo essere assenti o timidi in questo
momento.
Sfuggendo ad ogni tentazione all'isolamento e alla paura dobbiamo essere
parte attiva e resistente di questo grande fenomeno di coscienza mondiale
che sta dicendo con tutto il fiato che ha in corpo che la violenza non e'
una scelta possibile, che, come dice la Costituzione della Repubblica
bisogna ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali.
Dobbiamo essere presenti, insistendo pacificamente nella richiesta di pace
contro chi insiste nella sua scelta di guerra.
Dobbiamo essere attivi e coraggiosi nella testimonianza solidale a coloro
che in Iraq, in Palestina e in ogni altro paese del mondo soffrono
l'oppressione politica, l'occupazione militare, la miseria e l'ingiustizia
sociale.
Siamo credenti e troveremo nella relazione con Colui Che e' il piu' Alto,
con il Signore dei mondi, nella preghiera, nell'invocazione e nel digiuno la
forza e la pazienza di superare questo momento difficile e crescere nella
nostra presenza e compartecipazione alla societa' civile di questo nostro
paese.
Siamo sottomessi alla volonta' di Colui Cui nessuno si puo' sottrarre e Lo
invocheremo con tutto il cuore e con tutta l'anima affinche' faccia cessare
questo atroce massacro.
Siamo parte cosciente e coerente di questa societa', saremo impegnati con
coloro che s'impegnano, con coloro che manifestano, utilizzando ogni mezzo
lecito e legalmente utilizzabile per rendere noto a chi ci governa la nostra
avversione e la nostra contrarieta' ad ogni passiva acquiescenza verso ogni
forma di violenza degli Stati, delle organizzazioni e dei singoli.
Per quanto riguarda le iniziative concrete che, autonomamente o in relazione
con altre associazioni proponiamo alle nostre realta' territoriali,
l'assemblea raccomanda quanto segue:
1. veglie di preghiera;
2. digiuno nel giorno di lunedi' 31;
3. venerdi' 4 aprile, dedicare la khutba alle tematiche della pace e
dell'impegno per essa;
4. partecipare e promuovere attivita' comuni di riflessione, manifestazioni,
mostre, ecc.;
5. esporre ovunque possibile la bandiera della pace come segno esterno della
nostra volonta' e determinazione;
6. promozione del boicottaggio dei prodotti made in Usa e delle societa'
petrolifere che partecipano all'impresa militare;
7. impegno nelle attivita' di solidarieta' con il popolo iracheno e con gli
eventuali profughi.
Ricordiamo ai fratelli e alle sorelle l'importanza dell'invocazione, essa e'
lo scudo del credente.
Erano presenti e hanno sottoscritto il documento i delegati delle
associazioni islamiche delle localita' sottoelencate (altre adesioni saranno
trasmesse nei prossimi giorni): Nizza Monferrato, Anzola Emilia, Rovigo,
Sesto S. Giovanni, Bologna, Firenze, Pisa, Colle Val d'Elsa, Verona, Arcole
(VR), Reggio Emilia, Imola, Poggetto (BO), Sassuolo (MO), Carpi (MO),
Albenga (SV) Imperia, Sanremo (IM) Savona, Genova, Voltri-Pre' (GE), La
Spezia, Cremona, Torino, Catania, Roma Centocelle, Foggia, Bari, Perugia,
Milano Centro Islamico, Milano Casa della Cultura, Milano Istituto Islamico,
Parma, Citta' di Castello (PG), Perugia, Rubicone, Ancona, Iesi, Pesaro,
Fossombrone (PS), Fano, Osimo, Porto San Giorgio, Campiglione, Padova,
Comunita' Trentino Alto Adige, Bolzano, Udine, Comunita' del Vicentino,
Teramo, Comunita' di Brescia e provincia (Vobarno, Castrezzato, Paratico,
Vestone, Gavardo, Calcinato, Costa Volpino), Rovereto, Carrara-Avenza,
Alessandria, Bassano, Modena, Ravenna, Cesena, Com. Islamica del Sud
(Napoli), Admi (Ass. Donne Musulmane d'Italia), Gmi (Giovani Musulmani
d'Italia), Islamic Forum in Europe (comunita' bengalese), Milli Gorus
(comunita' turca), Unione dei Medici Arabi in Europa (Italia).
Per informazioni: tel. 3397222393 (Hamza Piccardo).
Bologna, 23 marzo 2003
4. INIZIATIVE. ANCORA UN APPELLO AI COMUNI PER DELIBERE CHE VIETINO IL
TRANSITO DI ARMI
[Dal sito di Unimondo (www.unimondo.org) riprendiamo questo comunicato,
diffuso dall'agenzia di stampa "Redattore sociale" il primo aprile
(www.redattoresociale.it)]
Generalizzare le delibere delle amministrazioni comunali e provinciali per
evitare "i trasporti della morte", ovvero che mezzi carichi di armi
destinate all'Iraq attraversino le strade italiane. A lanciare la campagna,
in tutta Italia, sono il settore pace del Prc, Arci, Legambiente, Cobas
toscani, e anche don Luigi Ciotti, che in un comunicato ha espresso la sua
adesione all'iniziativa. In Toscana sono infatti gia' sei i Comuni che hanno
adottato delibere di divieto di transito ai convogli carichi di armi dirette
in Iraq. "Mi auguro - ha sottolineato Alfio Nicotra, responsabile nazionale
del settore pace del Prc e rappresentante del partito nel comitato "Fermiamo
la Guerra" - che in particolare i Comuni e le Province interessati dai
traffici della base Usa di Camp Darby adottino analoghe deliberazioni".
Secondo Nicotra anche "l'impiego del porto di Talamone per il carico e il
trasporto di armi ed esplosivi destinati alle truppe americane in Iraq e'
illegittimo, perche' rappresenta una palese violazione dello stesso
deliberato del Consiglio Supremo di Difesa che ha dichiarato l'Italia paese
non belligerante". Intanto in questi giorni, come hanno sottolineato Arci,
Legambiente e Cobas, camion scortati e diretti verso "destinazioni ignote"
continuano ad uscire da Camp Darby. Per questo, ribadiscono, esiste il
rischio concreto che la Toscana diventi la prima regione italiana per
impegno bellico, "in contrapposizione al volere espresso dalla maggioranza
della popolazione". E proprio per ribadire il no alla guerra in Iraq, un no
concreto, anche don Luigi Ciotti ha aderito all'iniziativa: "la scelta di
fermare per un preciso numero di giorni il transito dei mezzi finalizzati al
trasporto di armi ed equipaggiamenti militari sul proprio territorio
comunale e provinciale - ha sottolineato - assume il valore di un gesto
simbolico (e allo stesso tempo concreto) per esprimere la propria
contrarieta' alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie
internazionali, nel rispetto dell'art. 11 della Costituzione italiana". "La
distanza geografica dal conflitto - ha aggiunto Ciotti - non puo' renderci
passivi, indifferenti o complici di scelte che ci chiedono di coinvolgerci
direttamente. Nell'esprimere vicinanza per le realta' locali che deliberano
in questa direzione credo sia necessario evidenziare che quando le parole
non riescono piu' a comunicare la concreta volonta' di giustizia e pace,
diventa indispensabile inventare forme di linguaggio nonviolente in grado di
far sentire la propria intonazione e voce".
5. POESIA E VERITA'. JOY HARJO: NO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2003, che cosi' presenta il
testo e l'autrice: "Scritta nei giorni scorsi, la poesia che pubblichiamo si
indirizza contro tutte le guerre. Joy Harjo e' la piu' importante poetessa
indiana-americana contemporanea, e' nata a Tulsa, Oklahoma, nel 1951 e
appartiene alla tribu' dei Creek. Ha insegnato in numerose universita' corsi
di letteratura e diretto seminari di "creative writing". Attualmente insegna
presso l'Universita' della California a Los Angeles e abita a Honolulu,
Hawaii. In questi ultimi anni si e' anche dedicata allo studio del sassofono
e insieme al suo gruppo, "Poetic Justice", ha recentemente inciso un Cd, in
cui blues, ritmi tribali, versi delle sue poesie si fondono creando una
musica di grande forza e suggestione. I suoi libri sono stati piu' volte
gratificati da importanti premi letterari internazionali - tra cui il
"William Carlos Williams", il "Delmore Schwartz", 1'"American Indian
Distinguished Achievement in the Arts". Recentissimo e' un altro prestigioso
riconoscimento, il Penn Award, ricevuto a New York. Tutte le sue raccolte
tradotte in italiano sono a cura di Laura Coltelli: Secrets from the Center
of the World, Segreti dal centro del mondo, Urbino 1992; In Mad Love and
War, Con furia d'amore e in guerra, Quattroventi, Urbino 1996; She Had Some
Horses, Lei aveva dei cavalli, Sciascia, Roma 2001"]
Si', ero proprio io a tremare di coraggio,
con un fucile del governo alla schiena. Scusa
se non ti ho salutato come meritavi,
tu che sei mio parente.
Non erano mie le lacrime. Io ho un serbatoio interno.
Saranno poi versate dai miei figli, dalle mie figlie
se non imparo a trasformarle in pietre.
Si', ero io quella in piedi alla porta sul retro, nel vicolo,
con una bracciata di grano per i vicini.
Il diluvio di sangue non l'avevo previsto.
Non pensavo che loro, dimenticata l'amicizia,
sarebbero tornati ad ammazzare me e i bambini.
Si', ero io quella che volteggiava sulla pista da ballo.
Che chiasso abbiamo fatto e che felicita'.
Ho amato tutto il mondo in quella musica sciocca.
Non ho capito la danza terribile in mezzo al ritmo secco dei proiettili.
Si'. L'ho sentito l'odore di grasso bruciato dei cadaveri.
E come una scema ho sperato che le nostre parole
si sollevassero a inceppare l'artiglieria
in mano ai dittatori.
Dovevamo andare avanti. Cantavamo il nostro dolore
per depurare l'aria dagli spiriti nemici.
Si', certo che le ho viste quelle terribili nuvole nere
mentre cucinavo. E i messaggi che i moribondi
scandivano nel tramonto cinereo.
Tutti quanti dicevano: "madre".
Non c'era niente di questo nei notiziari.
C'erano sempre le stesse cose.
La disoccupazione che saliva. Un'altra regina
incoronata coi fiori.
Poi c'erano i risultati sportivi.
Si', la distanza era grande tra il tuo paese e il mio.
Pero' i nostri bambini giocavano insieme nel viottolo
tra le nostre case.
No. Non litigavamo mai.
6. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "POWER INFERNO" DI JEAN BAUDRILLARD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini@ilmanifesto.it) e' una prestigiosa giornalista e
saggista. Jean Baudrilland (autore tra l'altro dell'assai noto Lo scambio
simbolico e la morte, ristampato recentemente da Feltrinelli) e' uno dei
piu' noti filosofi francesi viventi]
In territorio iracheno compaiono i kamikaze, e in libreria e' pronto un
nuovo intervento di Jean Baudrillard sul terrorismo suicida, Power Inferno
(Cortina), il seguito del precedente pamphlet su Lo spirito del terrorismo
uscito pochi mesi dopo l'11 settembre.
E nell'orgia di anatemi contro il martirio fondamentalista che
inevitabilmente si scatena nelle laiche democrazie in armi, e' un buon
esercizio leggere le scarne pagine del filosofo francese, sopportandone
tortuosita' retoriche e toni apocalittici, e scontando lo scarto fra il suo
evento di partenza - ancora una volta, gli attentati dell'11 settembre - e
lo scenario della guerra irachena, dove il ritorno del "martirio" acquista
significati almeno in parte diversi. L'esercizio e' buono, perche'
Baudrillard ostinatamente insiste nel suo obiettivo di rovesciare come un
guanto le affermazioni del senso comune democratico sullo "scandalo"
terrorista, pur senza ridurre di un centimetro la portata destabilizzante
del suo impatto sulla coscienza dell'epoca globale. E anzi, contestando
radicalmente tutte le interpretazioni del fenomeno volte a questa riduzione:
sia quella che vede nei kamikaze dei pazzi suicidi manipolati da poteri
esterni, sia quella che li erige a espressione reale della disperazione dei
popoli oppressi, l'una e l'altra tentando, da sponde opposte, di riportarli
in qualche modo alla nostra grammatica politica.
L'ipotesi di Baudrillard, gia' avanzata nel testo precedente, e' un'altra:
l'impatto simbolico del terrorismo suicida e' enorme e innegabile -cosi'
come resta per lui innegabile e irriducibile la portata di "evento" dell'11
settembre -, perche' e' al cuore del nostro sistema simbolico che esso punta
a colpire e colpisce, opponendo il vuoto di una morte che non si scambia con
niente a un'organizzazione sociale basata sulla conservazione a ogni costo
della vita e sul pieno dello scambio di merci. Una morte scelta contro il
progressivo estinguersi e annientarsi dei valori della cultura occidentale:
gioco del piu' uno, sfida simbolica che punta al rialzo come tutte le sfide
simboliche che si rispettino, che cioe' non tendono a risultati "concreti" -
l'11 settembre non ha fermato la globalizzazione, e i martiri di Saddam non
fermeranno l'invasione angloamericana - ma allo spiazzamento dell'ordine
simbolico "nemico".
Dove e da dove nasce questa sfida mortale? Inutile cercare antecedenti e
precedenti nell'anarchia, nel nichilismo, nel fanatismo; inutile consolarsi
con la riduzione del fondamentalismo a "residuo" arcaico o premoderno
destinato a scomparire nelle magnifiche sorti e progressive della democrazia
globale.
Il terrorismo suicida e' un prodotto specifico della globalizzazione,
argomenta Baudrillard invitandoci pero' a rovesciare il cannocchiale di
alcune interpretazioni contigue alla sua: il movente del terrorismo "non e'
l'odio di coloro cui e' stato tolto tutto e nulla reso, bensi' quello di
coloro cui si e' dato tutto senza che possano restituirlo. Non e' l'odio
dello spossessamento e dello sfruttamento, bensi' quello dell'umiliazione.
Ed e' a quest'ultima che il terrorismo vuole rispondere: umiliazione per
umiliazione".
Umiliante e' stata infatti per gli Stati Uniti la "disfatta simbolica"
dell'attacco alla potenza delle Torri, e per giunta senza ritorsione
possibile: "La guerra risponde all'aggressione, ma non alla sfida". Anzi, la
alimenta. Se e' dalla saturazione del desiderio tramite merci che le
periferie del mondo globale si sentono umiliate; se e' dalla vocazione
assimilatrice di un universalismo democratico ormai ridotto a macchina
omologante che si sentono minacciate, una guerra fatta in nome della
democrazia e del benessere non potra' che rilanciare la sfida mortale della
"resistenza" terrorista alla globalizzazione.
7. APPELLI. UN PONTE PER ... E ICS: FERMARE LA GUERRA, APRIRE SUBITO I
CORRIDOI UMANITARI
[Dalle associazioni umanitarie Un Ponte per... e Ics (Consorzio italiano di
solidarieta') riceviamo e diffondiamo. Per informazioni e contatti:
Catherine Dickehage, tel. 3485814954; Lello Rienzi, tel. 066780808 -
3389110373, fax 066793968]
In Iraq da 13 giorni la guerra ha prodotto solamente morti e sofferenze tra
le popolazioni civili e un'emergenza umanitaria che puo' rapidamente
diventare generalizzata e drammatica. Molte citta' sono da giorni senza
acqua e senza rifornimenti alimentari, molte case sono state distrutte e un
crescente numero di sfollati ha bisogno di aiuti e di assistenza. Con il
procedere della guerra centinaia di migliaia di persone possono essere a
rischio di vita - oltre che per i bombardamenti e per i combattimenti - per
fame, sete, malattie. La guerra colpisce anche gli operatori umanitari e di
pace che si adoperano per fermare la guerra e portare aiuto alle
popolazioni.
"La guerra va fermata prima che produca irreparabili conseguenze - ha
dichiarato il presidente dell'Ics, Giulio Marcon - sia umanitarie che
politiche. Come organizzazioni umanitarie il nostro primo compito e' di
fermare la guerra, la prima e principale causa delle emergenze umanitarie".
Di fronte alla catastrofe umanitaria che cresce ogni giorni di piu' in
Iraq, l'unica opzione possibile che bisogna percorrere e' un immediato e
incondizionato "cessate il fuoco". Solo l'interruzione della guerra puo'
permettere di arginare l'emergenza umanitaria e dare protezione alle
popolazioni.
"E' compito di ogni paese democratico e della comunita' internazionale - ha
dichiarato Fabio Alberti, presidente di Un Ponte per... - adoperarsi per
proteggere le popolazioni civili dagli attori bellici. Il silenzio dei
governi e degli organismi internazionali di fronte a questa catastrofe
rischia di essere una passiva complicita' con la deriva bellica cui stiamo
assistendo".
Per questo - invitando i parlamentari a mettere in campo le dovute azioni -
chiediamo al governo italiano di:
a) attivarsi per l'immediata convocazione del Consiglio di Sicurezza e
dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per richiedere ai belligeranti
un "immediato cessate il fuoco";
b) attivarsi presso le Nazioni Unite per richiedere l'immediata apertura di
corridoi umanitari, controllati da osservatori e personale delle Nazioni
Unite che permettano alle agenzie umanitarie e alle Ong di far arrivare
aiuti ed assistenza in condizioni di sicurezza;
c) fare pressione sui governi dei paesi coinvolti negli attuali eventi
bellici per rispettare le Convenzioni di Ginevra per quanto riguarda la
protezione delle popolazioni civili e il trattamento dei prigionieri di
guerra;
d) di fare pressione sulla coalizione anglo-americana per impedire che -
come a Bassora e nelle altre citta' assediate - si interrompa l'erogazione
di acqua potabile o di energia elettrica con lo scopo di condurre alla
disperazione la popolazione civile; ogni azione militare deve cessare per
permettere il ripristino di acqua ed energia elettrica;
e) di riconoscere per tutta la durata della guerra e del dopoguerra ai
cittadini iracheni e curdi che giungano in Italia un permesso di soggiorno
per protezione temporaneo come disposto dall'art. 20 del Dl 25/07/98 n. 286.
8. APPELLI. FABIO ALBERTI: UNA LETTERA APERTA AI DEPUTATI ITALIANI
[Da: "un ponte per ..." (per contatti: posta@unponteper.it) abbiamo ricevuto
e diffondiamo questo appello del 3 aprile. Fabio Alberti è presidente di "Un
ponte per..." e del recentemente costituito Tavolo di solidarieta' con le
popolazioni dell'Iraq (sito: www.tavoloiraq.org). I nostri lettori gia'
conoscono il tenore e gli esiti del dibattito parlamentare: povero nostro
paese, in cui oggi le piu' alte cariche e alcuni decisivi poteri, alcune
fondamentali istituzioni e funzioni dello stato, sono nelle mani di barbari
golpisti complici della guerra terrorista e stragista]
Cari amici,
mentre la Camera affronta il problema delle conseguenze umanitarie della
guerra i nostri volontari e cooperanti, in Iraq, ad Amman, in Iran per
l'intervento di soccorso alle popolazioni colpite, le possono osservare in
diretta. In questi pochi giorni abbiamo gia' assistito, e non in
televisione, a corpi martoriati, famiglie in fuga, bambini senz'acqua.
Ieri il coordinatore iracheno di una delle ong aderenti al "Tavolo di
solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq" e' rimasto ferito, insieme a
molti altri, all'interno degli uffici della Mezzaluna Rossa. Anche la vita
degli operatori umanitari e' a rischio.
E' con questi fatti nella mente che vi scriviamo: fermate questo massacro.
Fermate questa guerra illegale. Impedite che su una popolazione gia' provata
da 12 anni di embargo e 35 di dittatura si abbattano altre sciagure.
L'Italia e' un paese che conta: unisca la sua voce a quella di decine di
paesi che chiedono che l'attacco si fermi.
E nel frattempo si pretenda che siano almeno rispettate le Convenzioni di
Ginevra sulla protezione dei civili.
Si chieda la restituzione dell'energia elettrica e dell'acqua alle citta'.
Si chieda che gli armamenti proibiti, come le bombe a grappolo, siano
bandite.
Si pretenda la istituzione di corridoi umanitari e che sia consentito alle
agenzie dell'Onu, alle ong, alla Croce Rossa, di operare in sicurezza.
Si chiarisca che l'intervento umanitario non compete allo stesso esercito
che bombarda o ai paesi che lo appoggiano.
Nei mesi scorsi ci siamo mobilitati insieme alla grande parte della societa'
civile italiana per impedire che la guerra scoppiasse. Oggi il nostro
compito e' sul campo per cercare di soccorrere le popolazioni. Il vostro e'
quello di fermare la guerra.
Cordiali saluti
Fabio Alberti, residente del Tavolo di solidarieta' con le popolazioni
dell'Iraq
Roma, 3 marzo 2003
9. APPELLI. I POPOLI EUROPEI VOGLIONO LA PACE
[Dalla segreteria nazionale di Pax Christi (per contatti: e-mail:
paxchristi@tiscali.it, sito: www.paxchristi.it) riceviamo e diffondiamo]
In questi mesi le nostre organizzazioni hanno combattuto con i mezzi
pacifici di cui dispongono, a cominciare dalla preghiera, per scongiurare
una guerra inutile e ingiustificata.
Stiamo proseguendo e proseguiremo nel nostro impegno, ma dinanzi alla
tragedia sanguinosa e senza senso che si sta consumando in Iraq, chiediamo
con forza ai responsabili politici europei, al governo italiano, ai
parlamentari di ogni schieramento, di assumere tutte le iniziative, secondo
le proprie possibilita' e responsabilita':
- per un cessate il fuoco che ponga termine all'inutile strage in Iraq;
- per la convocazione dell'Assemblea generale dell'Onu, al fine di
bloccare - in base alla risoluzione n. 377 - qualsiasi azione che preveda
l'uso della forza al di fuori delle regole fondamentali stabilite dalla
Carta delle Nazioni Unite e per ristabilire la pace;
- perche' il ritorno alla pace, il ristabilimento della democrazia e la
ricostruzione dell'Iraq avvengano sotto l'egida delle Nazioni Unite, uniche
garanti della legalita' internazionale;
- perche' l'Unione europea assuma un'iniziativa politica per porre fine alla
violenza in Terrasanta e promuova una Conferenza di pace per l'intero
Medioriente.
I popoli europei vogliono la pace.
Noi siamo convinti che l'Italia debba assumere subito un ruolo attivo per
fermare una guerra, che oltre ad aver gia' deteriorato fortemente le
relazioni internazionali, alimentera' il terrorismo e destabilizzera'
ulteriormente il Medioriente.
Aderiscono all'iniziativa: Paola Bignardi (Aci - Azione Cattolica Italiana),
Luigi Bobba (Acli - Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), Grazia
Bellini (Agesci - Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani), Mario
Marazziti (Comunita' di Sant'Egidio), Leonardo Becchetti (C. V. X. -
Comunita' di Vita Cristiana Italiana), Edio Costantini (Csi - Centro
Sportivo Italiano), Edo Patriarca (Forum Permanente del Terzo Settore),
Marco Acquini (Giovani per un mondo unito - Movimento dei Focolari), Carlo
Costalli (Mcl - Movimento Cristiani Lavoratori), Gianmarco Proietti (Mgs -
Movimento giovanile salesiano), don Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Marco
Bersani (Societa' San Vincenzo De Paoli), Sergio Marelli (Volontari nel
mondo - Focsiv), Alberto Ferrari (Ctg - Centro Turistico Giovanile), Argia
Passoni (Ordine Francescano Secolari Minori), Marco Calvetto (Gioc -
Gioventu' Operaia Cristiana). Con l'adesione e il sostegno della Tavola
della pace.
10. DOCUMENTAZIONE. LUISA MORGANTINI: LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN
BIRMANIA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento di Luisa Morgantini, parlamentare europea da sempre impegnata per
la pace e i diritti umani, sullo stato dei diritti umani in Birmania
pronunciato davanti all'assemblea plenaria del Parlamento europeo del 13
marzo 2003]
Sono ormai troppi anni che in Birmania viene perpetrata una sistematica
violazione dei diritti umani da parte del regime militare - il parlamento
dovrebbe vivere e non c'e' - anche se miglioramenti, non c'e' dubbio, sono
intervenuti nei settori della vita politica e sociale, cosi' come passi
positivi sono stati fatti nell'espressione delle liberta' individuali, tra
tutti la liberazione di una straordinaria donna che, con fermezza e
dignita', conduce una resistenza democratica e nonviolenta - parlo di Aung
San Suu Kyi - che pero' ancora non e' libera e non puo' muoversi
liberamente.
Ma in realta' la Birmania e' ancora oggi caratterizzata da repressioni sulle
minoranze etniche, stupri e violenze sulle donne; le eliminazioni di
dissidenti politici e le esecuzioni sommarie non sono terminate; le torture,
le carceri e i lavori forzati sono all'ordine del giorno. Malgrado le
smentite del governo, credo che continui l'arruolamento forzato dei bambini
nell'esercito e anche, purtroppo, nelle forze militari ribelli.
Vi sono migliaia di persone sofferenti, non conosciute attraverso i mezzi di
informazione come, per fortuna, lo sono stati i tredici anni di arresti
domiciliari imposti al Nobel per la pace. Basti pensare, ad esempio, al
tragico regime dei bambini-soldato: "Arruolare un bambino conviene perche'
fa lo stesso lavoro di un adulto, ma non viene notato dall'esercito nemico",
ha avuto il coraggio di dire un ufficiale.
E' ancora pratica ordinaria il lavoro forzato: da recenti sondaggi di
Amnesty International e' emerso che circa il 90 per cento della popolazione
dello Stato Shan e' soggetto al lavoro forzato. Queste persone non hanno
scelta: o il lavoro forzato o la prigione. Il loro lavoro, per il quale non
ricevono alcuna paga, consiste nella costruzione di infrastrutture militari,
strade, edifici, campi militari e anche nell'eseguire prestazioni militari.
Lavorano senza sosta da mattina a sera, senza ricevere cibo, ad eccezione di
una piccola quantita' di riso tostato.
Nonostante il codice penale birmano abbia bandito il lavoro forzato, la
situazione non e' mutata, cosi' come non e' mutata nonostante la presenza
dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Anche gli ultimi sforzi portati avanti dal governo thailandese sono
risultati vani, a causa del netto rifiuto opposto dalle autorita' birmane,
che non hanno dato agli oppositori politici neppure il permesso di lasciare
il paese per parlare dei problemi economici che lo affliggono. Soprattutto,
continuano i soprusi dell'esercito birmano, dei servizi segreti, della
polizia e di altre forze dell'ordine.
Io credo davvero che, come dicevano anche altri colleghi, l'Unione europea
dovrebbe, da una parte, continuare a esercitare la sua influenza per far si'
che i negoziati tra le forze democratiche, le minoranze etniche e lo Stato
riprendano il prima possibile e, dall'altra, sottoporre le autorita' birmane
a pressioni, mantenendo, quindi, l'attuale politica di restrizioni verso la
Birmania adottando misure ancora piu' incisive soprattutto per frenare la
piaga del lavoro forzato; in questo direzione va il ritiro di imprese
straniere dalla Birmania, nonche' farsi carico di portare avanti una
politica di aiuti economici per i rifugiati, gli sfollati e la popolazione
civile, al di fuori del controllo dei militari, dando spazio e forza alla
societa' civile, alle associazioni dei lavoratori e alle Ong locali.
11. LIBRI. GIANFRANCO BETTIN PRESENTA "QUANDO SEI NATO NON PUOI PIU'
NASCONDERTI" DI MARIA PACE OTTIERI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2003. Gianfranco Bettin e'
una delle voci piu' qualificate dell'impegno degli enti locali contro la
guerra e dei movimenti pacifisti e per la globalizzazione dei diritti]
"Per migliaia di clandestini kossovari, rumeni, pakistani, bengalesi,
cinesi, iraniani, sloveni, croati, serbi, e' Gorizia la soglia dell'Europa,
nei momenti piu' caldi hanno varcato il confine fino a trentamila persone
all'anno, l'equivalente di una nave al giorno, scavalcando la rete o
passando dai buchi segnalati da pezzetti di stoffa": Gorizia, frontiera
estrema del Nordest italiano, in realta' passaggio da e per l'Europa, o
meglio tra un'Europa e l'altra e tra Europa e Oriente, e' un luogo chiave
della mappa delle odissee contemporanee descritte in un libro bellissimo di
Maria Pace Ottieri, Quando sei nato non puoi piu' nasconderti. Viaggio nel
popolo sommerso, pubblicato dalle edizioni Nottetempo (pp. 172, euro 12).
Maria Pace Ottieri, vera scrittrice (come gia' nei suoi altri libri, Amore
nero, Mondadori 1984, e Stranieri. Un atlante di voci, Rizzoli 1997) oltre
che attenta e partecipe cronista di drammi e avventure che danno il senso di
quante peripezie riserbi la sorte a chi entra nel vortice dell'attuale
movimento del mondo, percorre dalla Sicilia all'estremo Nord le piste degli
immigrati, quasi sempre clandestini, nel nostro paese, in particolare dopo
l'avvento della Bossi-Fini.
"In ogni storia e' nascosta una vita che va liberata dalla scorza del
silenzio", ci dice Ottieri: "Senza il racconto, le ultime avventure degne di
questo nome, le inaudite imprese di mare e di terra di uomini del deserto e
delle montagne, resterebbero inenarrate". Le storie che in questo libro ci
vengono restituite sono innumerevoli, letteralmente. Ognuna, poi, si fonde
con le altre, sospesa un giorno, o una notte, continua poi dentro un'altra,
riappare in un altro luogo, s'incarna in altre persone. Maria Pace Ottieri
diventa una Shehrazade di strada, capace di intendere le lingue o, almeno, i
sentimenti e i disegni di vita, la capacita' di immaginare un futuro
diverso, che muovono le persone che incontra (nei loro rifugi di fortuna o
nei luoghi che danno accoglienza malgrado tutto, malgrado l'Italia infame e
razzista che gli cresce intorno: di questo paese davvero dignitoso e civile
Ottieri disegna un profilo puntuale, delle sue fatiche e delle sue generose
attivita', con personaggi spesso straordinari e a volte inattesi, cioe' non
solo tra i preti o i laici delle associazioni antirazziste e di impegno
sociale, ma fra gli stessi addetti ai pattugliamenti delle coste).
Libro dunque che ha uno spessore e una profondita' che vanno ben oltre il
suo valore contingente di documentazione su un brano decisivo della storia
in corso - del "presente come storia", cioe' - Quando sei nato non puoi piu'
nasconderti fa anche un primo bilancio sulla politica della destra, fissando
con fatti e dati velleita' e crudelta' della nuova legge, il degenerare
delle politiche di accoglienza, comprese quelle per i rifugiati. Proprio tra
Trieste e Gorizia questa chiusura progressiva e indiscriminata viene ben
documentata da Ottieri, in parallelo alla crescita del ruolo dei trafficanti
di uomini, che di tali politiche di chiusura si alimentano.
Un libro importante, dunque, per le cose che narra non meno che per il modo
in cui le narra: una scrittura alta che, nella sua qualita' e nella sua
forza, nella sua intensita', rappresenta gia' un atto di giustizia verso le
vite "sommerse" che riporta alla luce.
12. INIZIATIVE. BEATI I COSTRUTTORI DI PACE: UNA NOTIZIA E UNA PROPOSTA
[Da Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino@itaca.coopsoc.it) dei "Beati i
costruttori di pace" - una delle piu' note e apprezzate associazioni
nonviolente in Italia - riceviamo e diffondiamo]
Cari amici,
vi annunciamo che il sito internet dei Beati i costruttori di pace
(www.beati.org) si sta avviando verso una sostanziale riorganizzazione.
Presto uscira' una nuova veste grafica che vuole essere piu' accativante e
fruibile per una agile navigazione.
Il sito vorrebbe essere anche una piattaforma aperta al contributo di tutti
quelli che volessero contribuire con articoli, iniziative o appelli relativi
alle tematiche della pace e della nonviolenza. Lo scopo e' quello di creare
una rete il piu' possibile estesa sul territorio che garantisca attualita' e
molteplicita' di idee al sito stesso, nel tempo.
Per coloro che sono interessati a collaborare si consiglia di spedire un
e-mail a webmaster.beati@libero.it presentandosi e proponendo le proprie
idee o il materiale da pubblicare. Grazie.
Beati i costruttori di pace
13. INIZIATIVE. ETTORE MASINA: SALVIAMO AMINA LAWAL
[Ringraziamo Ettore Masina (per contatti: ettore.mas@libero.it) per questo
appello. Su Ettore Masina riportiamo la seguente scheda biobibliografica
scritta da lui stesso su nostra richiesta e gia' pubblicata sul n. 418 di
questo foglio: "Nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, ho molto viaggiato al
seguito di mio padre ufficiale. Dal 1934 al 1937 abbiamo abitato in
Cirenaica e i ricordi di quel soggiorno (a Bengasi e a Derna) sono in me
ancora vivissimi. Vi rintraccio con evidenza i segni del colonialismo
italiano. Siamo poi finiti a Varese per diversi anni. In quella citta' sono
stato presidente della Fuci e ho pubbllicato i miei primi articoli e
racconti sul quotidiano locale "La Prealpina". Mi sono allontanato da Varese
per Milano perche' vi sono diventato libraio e poi giornalista: prima al
quotidiano cattolico "L'Italia", poi al "Popolo di Milano" e infine a "Il
Giorno" di Baldacci e poi di Pietra. Vi ho fatto prima il vicecapocronista,
poi l'inviato. Quando papa Giovanni annunzio' che avrebbe indetto un
Concilio, Italo Pietra, benche' agnostico, ebbe chiara l'idea che sarebbe
stato un evento rivoluzionario e comincio' a mandarmi periodicamente a Roma,
per raccogliere informazioni e scrivere articoli comprensibili ai lettori.
Nel 1963 mi trasferi' stabilmente a Roma, dove da allora vivo con la mia
famiglia. Con mia moglie Clotilde (preziosa compagna di ideali e di
speranze: la grazia piu' grande che il Signore mi abbia donato) vivemmo il
Concilio quasi "dal di dentro". Nella nostra casa si radunavano ogni sera
vescovi, teologi, giornalisti, da Helder Camara a padre Rahner, da padre
Chenu a Raniero La Valle, da don Carlo Colombo a Giancarlo Zizola. Fu il
periodo piu' felice della nostra vita, ci diede una tale vitalita' che
desiderammo intensamente di avere un nuovo figlio: cosi' Pietro Paolo si
aggiunse a Emilio e Lucia. Seguii i viaggi di Paolo VI in Palestina, in
India, all'Onu, a Fatima. Ebbi grande stima di questo pontefice pur
vedendone alcuni limiti, anche gravi. "Le Monde" scrisse una volta che io
ero "le journaliste le plus proche a la pensee si non a la personne de Paul
VI". Durante il viaggio in Palestina fui radicalmente scosso dalla visione
della poverta' di grandi masse. Al mio ritorno decisi con mia moglie di dare
vita a un'associazione che si proponesse, mediante un'autotassazione mensile
degli aderenti, di aiutare comunita' di poveri in cerca di liberazione.
Nacque cosi' quella che poi si chiamo' Rete Radie' Resch (dal nome di una
bambina palestinese morta di pomonite in una grotta). La rete si e' espansa
al di la' di ogni previsione. Per trent'anni l'ho coordinata io, finalmente
nel 1994 sono riuscito a far si' che essa assumesse una piena conduzione
collettiva. E io me ne sono andato verso altre avventure. A spingermi a
fondare la rete e' stato l'incontro fra la mia inquietudine (il non poter
piu' vivere come se non avessi visto certe cose) e l'evangelizzazione di
Paul Gauthier. Paul rimane il mio grande maestro spirituale, colui che,
anche precorrendo la teologia delle liberazione, mi ha aperto gli occhi
sull'importanza del magistero dei poveri. Ha dato dunque completezza e
profondita' alla mia sequela di tanti altri uomini e donne "di Dio" che
avevo frequentato sino a quel momento o dei quali avevo letto con amore gli
scritti. Qualche nome? Simone Weil e Suhard, Tolstoj e Dostoevskij,
Dossetti, La Pira e Lazzati, Steinbeck, Mounier, Merton, Voillaume eccetera
eccetera. Nel 1969 l'insistenza di alcuni dirigenti della Rai e il desiderio
di sperimentare il "nuovo" giornalismo mi fecero accettare di entrare in via
Teulada. Dopo un breve periodo di grande felicita' (sotto la direzione di
Fabiani) cominciarono ben presto i miei problemi. Nel 1974 per essere stato
uno degli estensori del manifesto "Ai cattolici democratici" perche'
votassero no al referendum abrogativo del divorzio, fui sospeso dal video
per sette mesi. Appena ebbe vita il TG2, vi passai e godetti nuovamente di
liberta', ma l'estromissione di Andrea Barbato, contro la quale mi ero
battuto, mi fece cadere in disgrazia presso il nuovo direttore, Sergio
Zatterin, il quale mi privo' di ogni ruolo. Ridotto, come si dice, ai minimi
termini, nel 1983 finii per accettare il reiterato invito del Pci di
candidarmi come indipendente nelle sue liste. Fui eletto nel collegio
Brescia-Bergamo e in quello Varese-Como-Sondrio. Optai per il primo e vi fui
rieletto nel 1987. Durante i dieci anni del mio mandato ho rappresentato il
gruppo della Sinistra Indipendente nella Commissione Esteri. Nella mia prima
legislatura sono stato vicepresidente del Comitato per la cooperazione
internazionale; nella seconda, su designazione unanime dei gruppi,
presidente del Comitato Internazionale per i diritti umani. Ho guidato
delegazioni di parlamentari in Tanzania, Zimbabwe, e nei campi profughi
palestinesi. Sono stato "osservatore estero" in Cile, in occasione delle
elezioni del 1989. Ho rappresentato la Camera dei deputati italiani alla
cerimonia dell'investitura della Commissione per la pace nel Salvador. Ho
partecipato a missioni, anche altamente drammatiche, in Somalia, Sudan e
Sud-Sudan, Cina, Croazia, Slovenia e Serbia. Sono stato presidente
dell'Associazione Italia-Vietnam. Molte di queste cose sono state raccontate
in due miei libri autobiografici. Diario di un cattolico errante. Fra santi,
burocrati e guerriglieri (Gamberetti, 1997) e Il prevalente passato.
Un'autobiografia in cammino (Rubbettino, 2000). I miei altri libri: Il
Vangelo secondo gli anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un
passo nella storia (Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi,
tradotto in serbo-croato), El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo
Mondo: Brasile, Corno d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al
Sud: Cile, Vietnam, Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo
deve morire. Monsignor Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della
pace, 1993 col titolo Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni
Gruppo Abele, 1995), Comprare un santo (Camunia, 1994); Il Volo del passero
(San Paolo, tradotto in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il
Vincere (San Paolo, 2002)"]
Care amiche, cari amici,
benche' tutti i nostri sforzi debbano continuare per una immediata
cessazione del massacro iracheno, certamente non possiamo salvare in questo
momento una o l'altra persona travolta dalla guerra. Ma possiamo tuttavia
riaffermare i valori della dignita' e della preziosita' della vita umana,
accorrendo idealmente la' dov'e' possibile farlo.
E' imminente l'uccisione per lapidazione di Amina Lawal, una ragazza
nigeriana, che, cone Safyia, e' stata condannata a questa morte atroce per
avere partorito una bambina senza essere sposata. Salvammo Safyia con una
mobilitazione di milioni e milioni di persone. Adesso questa mobilitazione
non c'e' - o e' enormemente minore.
*
Spero che anche tu e i tuoi parenti ed amici vogliate fare qualcosa.
Potete:
a) andare sul sito italiano di Amnesty International e firmare l'appello
proposto da questa grande organizzazione;
b) firmare l'appello che trovate di seguito e inviarlo per posta
all'indirizzo riportato;
c) firmare l'appello in attach e inviarlo al fax 0023495231032;
d) inviarlo all'Ambasciata nigeriana in Italia, via Orazio 18, 00193 Roma.
So che hai tante cose da fare. Per questo ti prego di farlo subito.
Grazie.
Ettore Masina
*
His Excellency Olusegun Obasanjo, President of Nigeria
The Presidency State House, Aso Rock
Abuja, Federal Capital Territory, Nigeria
fax 0023495231032
Vostra Eccellenza,
ricordando che la Nigeria ha ratificato a suo tempo la Convenzione contro la
tortura e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, chiedo al
Suo governo di impedire l'esecuzione di Amina Lawal (stato di Katsina),
Ahmadu Ibrahim e Fatima Usman (stato di Niger) nonche' Mallam Ado Baranda
(stato di Jigawa), condannati a morte da tribunali della sharia e la cui
esecuzione mediante lapidazione e' imminente.
RingraziandoLa per l'attenzione, Le trasmetto i miei distinti saluti.
Nome e cognome
indirizzo completo
firma
data
14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
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LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
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Numero 557 del 5 aprile 2003