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La nonviolenza e' in cammino. 555
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 555
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Wed, 2 Apr 2003 23:43:06 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 555 del 3 aprile 2003
Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti: appello all'obiezione di coscienza, a tutti compresi i
militari angloamericani
2. Orsola Casagrande: militari obiettori americani e inglesi
3. Il 12 aprile a Roma per il "cessate il fuoco"
4. Il senato trasformato in bivacco dei mercanti di armi
5. Massimiliano Pilati, Pasquale Pugliese: il 10 maggio giornata di
boicottaggio del trasporto automobilistico
6. Rossana Rossanda: l'ipocrisia e la vergogna
7. Michael Dummett: il sentiero che ha portato alla guerra
8. Renato Solmi: lettera ai deputati dell'opposizione sulla legge sul
conflitto d'interessi
9. Laura Boella: l'empatia in Edith Stein
10. Emily Bronte: lei si asciugo' le lacrime
11. Domenico Jervolino: per Amina Lawal
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: APPELLO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA, A TUTTI
COMPRESI I MILITARI ANGLOAMERICANI
[Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999]
Obiettate!
Meditate in coscienza e obiettate!
- Obbedite alla vostra coscienza libera, sensibile all'umanita' delle
vittime che ucciderete e renderete profughi disperati, e obiettate!
- Rispettate la vostra umanita', con cui dovrete convivere giorno e notte,
per tutto il resto della vostra vita, quando nessun comandante vi
controllera' e nessun interesse e propaganda vi confondera' la mente, e
obiettate!
- Pensate all'odio che vi manovra e a quello che provocherete nelle
popolazioni a cui farete male, e obiettate!
- Pensate al futuro del vostro paese e del vostri figli: il terrorismo va
battuto con i mezzi della giustizia, non con la vendetta senza prove
giuridiche serie, metodo che lo moltiplichera', e obiettate!
- Le dittature vanno battute col dialogo e l'amicizia tra i popoli, che
fanno crescere la cultura e la liberta', non con la guerra, che e' dominio,
dittatura e terrorismo, tutti insieme, e obiettate!
- Salvate l'onore del vostro paese che sta commettendo una ingiustizia e una
stoltezza indegna della democrazia e condannata da tutto il mondo, e
obiettate!
- Non collaborate all'ingiustizia di una potenza isolata ma prevaricante, e
obiettate!
- Salvate l'istituzione della legge internazionale giusta e obbligante,
l'Organizzazione delle Nazioni Unite, che non sara' annullata dalla guerra
insubordinata degli Usa ribelli, ma sara' il criterio della condanna storica
e giuridica di questa guerra e dell'Amministrazione che la vuole
testardamente, e obiettate!
- Ascoltate la voce che ci fa umani perche' ci comanda "non uccidere, ma
risolvi ogni problema nel rispetto della vita, con l'intelligenza e la
parola umana, non con la furia bestiale delle armi", e obiettate!
- Salvate la vostra bandiera, che amate, dalla vergogna e dalla condanna, e
obiettate!
Obbedite all'umanita' e disobbedite alla guerra!
2. OBIEZIONE. ORSOLA CASAGRANDE: MILITARI OBIETTORI AMERICANI E INGLESI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2003]
Di alcuni non si conoscono neppure i nomi.
Si sa invece che Stephen Fank, marine di stanza in California, e' il primo
soldato americano a rifiutarsi di combattere in Iraq. Verra' processato in
questi giorni: "E' una guerra immorale e ingiusta", ha dichiarato ad un
giornale della sua citta'.
Dei due giovani militari di stanza nella caserma della sedicesima brigata
d'assalto aerea a Colchester, in Essex, Gran Bretagna, invece non sono stati
fatti i nomi. Sappiamo che si trovano in caserma in questo momento. Sono
tornati da dove erano partiti a febbraio. Il viaggio che avevano affrontato
allora li aveva portati nel Golfo, in Kuwait. Il ritorno e' stato piu'
rapido del previsto. I due giovani militari infatti hanno deciso che non
avrebbero combattuto la guerra che i loro superiori gli stavano raccontando.
Una decisione difficile, resa ancora piu' complessa dalla natura dei
rapporti e dalla struttura gerarchica dell'esercito. Rapporti in cui sono le
regole e la disciplina a vincere e in cui la solitudine e' spesso la
condizione piu' frequente. Dove a disobbedire si paga un prezzo altissimo. E
dove la solidarieta' (intesa come comprensione dei dubbi e delle paure) e'
spesso considerata sinonimo di debolezza e quindi estranea all'immagine di
forza che deve essere proiettata all'esterno. In questo contesto e' maturata
la decisione dei due militari, che sappiamo essere un tecnico areonautico e
un soldato semplice. La sedicesima brigata d'assalto e' un'unita' di prima
linea e dall'inizio della guerra e' impegnata in pesanti combattimenti nel
sud dell'Iraq. La notizia del rimpatrio dei due soldati obiettori e' stata
tenuta segreta per settimane e quando finalmente e' riuscita a sfondare le
maglie fittissime degli ambienti militari e' stata liquidata dal ministero
della difesa come "un caso di rientro" per motivi non meglio identificati.
Del resto il governo new Labour e' attentissimo a non lasciar trapelare il
minimo segnale di disagio tra le forze armate. Sforzi che non gli stanno
riuscendo molto bene.
Le dichiarazioni rese alla stampa dai giovani militari scampati
miracolosamente al "fuoco amico" statunitense hanno creato non pochi
imbarazzi sia all'establishment militare che a quello politico. "Un cowboy
senza scrupoli e senza il minimo rispetto per la vita umana", e' stato
definito il pilota Usa che ha sparato sul convoglio di tank britannici
uccidendo un militare e ferendone diversi altri.
A gettare benzina sul fuoco ci si e' messo poi l'ex ministro degli esteri
Robin Cook che ha lasciato il governo e domenica scorsa ha chiesto a Blair
di ritirare i soldati prima che sia troppo tardi. Dichiarazioni che l'ex
ministro ha poi cercato di mitigare ma il cui effetto e' stato "dinamite
pura", come suggerisce l'avvocato dei due militari rispediti nell'Essex,
Gilbert Blades.
Delle biografie dei due giovani refuseniks che difende non dice molto
("perche' per il momento e' meglio cosi'"). Racconta pero' che i due, una
volta nel Golfo, hanno espresso seri dubbi sulla legittimita' di una guerra
che non ha avuto il sostegno delle Nazioni Unite. Hanno detto di non voler
partecipare ad operazioni che chiaramente avrebbero provocato la morte di
civili e hanno espresso riserve sulla moralita' stessa di questo conflitto.
"Non appena hanno esposto questi loro dubbi - ci dice l'avvocato Blades - i
due sono stati riportati in Gran Bretagna. E' evidente che il ministero
della difesa vuole sopprimere questo genere di commenti e scelte per
impedire che trovino sostegno presso altri militari. Anche prima che
cominciasse la guerra, dichiarazioni di deputati e ministri contro la
guerra, l'opposizione in parlamento e presso l'opinione pubblica, sono state
viste con preoccupazione dal ministero della difesa che vorrebbe rimuovere
qualunque giudizio e commento che potrebbe influenzare le truppe". Il
problema ora e' stabilire che cosa succedera' ai due militari che hanno
disobbedito agli ordini. "Siamo in una societa' civilizzata - dice con una
punta di ironia l'avvocato - e quindi sono certo che nessuno pensa
all'esecuzione dei dissidenti. Al momento si trovano al loro posto e il
ministero della difesa non li ha ne' accusati formalmente di nulla, ne'
arrestati. Ma non e' ancora chiaro che cosa ne sara' di loro".
Nonostante la pesante censura sui media, prima che il conflitto cominciasse,
qualcosa del mood, dello stato d'animo delle truppe era emerso. Erano stati
in molti i soldati che avevano espresso preoccupazione per il fatto che nel
paese non ci fosse tutto questo sostegno per la guerra. "Sarei sorpreso -
dice l'avvocato Blades - se i refuseniks fossero soltanto questi due
soldati. Penso che ci siano molti militari che hanno le stesse opinioni, gli
stessi dubbi, ma che ancora non l'hanno detto pubblicamente. I militari
rappresentano una fetta non marginale dell'opinione pubblica di questo paese
e, ci dicono i sondaggi, la maggioranza della gente non e' d'accordo con
questa guerra".
3. INIZIATIVE. IL 12 APRILE A ROMA PER IL "CESSATE IL FUOCO"
[Dall'ufficio stampa del Comitato "Fermiamo la guerra" (per contatti:
e-mail: ufficiostampa@fermiamolaguerra.it, tel. Andreina Albano 3483419402,
Claudio Jampaglia 3488958602, sito: www.fermiamolaguerra.it) riceviamo e
diffondiamo]
Roma, sabato 12 aprile, ore 14, manifestazione nazionale.
Il Comitato "Fermiamo la guerra", di fronte ad una guerra che di giorno in
giorno diventa piu' drammatica e devastante, e di fronte al crescente
coinvolgimento del governo italiano, invita le cittadine e i cittadini,
l'opposizione politica, parlamentare e sociale a partecipare alla
manifestazione nazionale che si terra' a Roma, sabato 12 aprile - giornata
di mobilitazione mondiale contro la guerra - alle ore 14, sulla base di
questi contenuti:
- Cessate il fuoco;
- Fermare le stragi e la tragedia umanitaria;
- In Iraq, come nel resto del mondo, la guerra non porta democrazia;
- La guerra uccide persone, natura, civilta', diritti e democrazia;
- Fuori l'Italia dalla guerra nel rispetto dell'art.11 della Costituzione;
- L'Europa ripudi la guerra e agisca per la pace;
- L'Onu imponga il rispetto del diritto internazionale e della sua Carta che
rifiuta "il flagello della guerra".
Nella stessa giornata a Brescia, contro Exa, la produzione delle armi e le
modifiche peggiorative alla legge 185, si terra' un presidio di protesta.
Infine, il Comitato "Fermiamo la guerra" ringrazia il Comitato promotore
della manifestazione per la scuola pubblica, gia' prevista per sabato 12
aprile, per aver accolto la richiesta di rinviare l'iniziativa per
consentire lo svolgimento della manifestazione contro la guerra.
4. BARBARIE. IL SENATO TRASFORMATO IN BIVACCO DEI MERCANTI DI ARMI
[Riceviamo tramite Riccardo Troisi (per contatti:
riccardo.troisi@tiscali.it) e diffondiamo questo comunicato della campagna
"Fermiamo i mercanti di armi - in difesa della 185". Mentre ci associamo
ancora una volta alla campagna e alle iniziative che intraprendera' in
futuro, vogliamo ancora una volta ricordare che l'unica legge buona sulle
armi e' quella che ne proibisce in modo assoluto sia l'uso, che il
commercio, che la produzione; che l'unica scelta politica e legislativa
ragionevole e' quella del disarmo; che le armi servono sempre e solo per
uccidere e quindi produrle e commerciarle e' gia' complicita' con
l'uccidere. Un parlamento in cui sedessero persone che avessero a cuore la
vita umana non dovrebbe avere esitazioni a deliberare il disarmo
unilaterale, la proibizione totale della produzione e del commercio degli
strumenti di morte, e la sostituzione delle forze armate con la difesa
popolare nonviolenta]
Roma, 27 marzo 2003. Con 134 voti a favore e' passato, al Senato, il disegno
di legge 1547 di modifica della legge 185/90. "Il Parlamento italiano si e'
assunto la responsabilita' di distruggere una delle leggi piu' avanzate in
materia di commercio delle armi", afferma Nicoletta Dentico (direttore
generale di "Medici senza frontiere"), uno dei portavoce della campagna
"Fermiamo i mercanti di armi - in difesa della 185".
Con le modifiche della legge 185, approvate oggi in Senato, non verra' piu'
reso noto il certificato finale di destinazione d'uso e sara' consentito
intrattenere rapporti con Paesi che commettono violazioni dei diritti umani
definite "non gravi".
"E' scandaloso che l'Italia, in un momento cosi' delicato come quello che
stiamo vivendo, abbia deciso di procedere all'eliminazione di quelle
importanti forme di garanzia e controllo che hanno regolamentato il
commercio di armi fino ad oggi", aggiunge Tonio Dell'Olio (coordinatore
nazionale di Pax Christi), altro portavoce della campagna.
Su 232 senatori presenti in aula, 134 hanno votato a favore (componenti
della maggioranza), 94 contro (tutto il centrosinistra) e due si sono
astenuti.
La campagna "Fermiamo i mercanti di armi", non intende fermarsi. Tra i
prossimi obiettivi le organizzazioni nazionali che hanno promosso la
campagna lavoreranno per avviare un network permanente sul monitoraggio del
commercio di armi e chiederanno al governo italiano, durante il semestre di
presidenza europea, di rendere vincolante, da un punto di vista giuridico,
il codice di condotta europeo sul commercio di armi.
Per informazioni: Rete Lilliput, tel. 3355769531; Archivio Disarmo, tel.
3284785416.
5. INIZIATIVE. MASSIMILIANO PILATI, PASQUALE PUGLIESE: IL 10 MAGGIO GIORNATA
DI BOICOTTAGGIO DEL TRASPORTO AUTOMOBILISTICO
[Dal gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza della Rete di Lilliput (per
contatti: glt-nonviolenza@retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo.
Massimiliano Pilati e Pasquale Pugliese sono attivissimi ed assai apprezzati
amici della nonviolenza impegnati nel Movimento Nonviolento, nella Rete di
Lilliput e in altre esperienze e iniziative ancora]
Il gruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza della Rete di Lilliput ha
deciso, durante il suo ultimo incontro a Firenze, che Rete Lilliput
promuovera' per il 10 maggio la giornata nazionale dell'auto-boicottaggio
con biciclettate nonviolente contemporanee in tutta Italia.
La preparazione dell'iniziativa si presenta laboriosa e celere allo stesso
tempo.
Tutti coloro che sono interessati a curare l'organizzazione dell'iniziativa
sono invitati a mettersi in contatto con il gruppo di lavoro tematico
lillipuziano sulla nonviolenza (e-mail: glt-nonviolenza@retelilliput.org).
L'insieme delle risposte andra' a formare l'indirizzario di coloro che
vogliono impegnarsi attivamente per la riuscita dell'auto-boicottaggio.
6. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: L'IPOCRISIA E LA VERGOGNA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2003. Rossana Rossanda e' nata a
Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
L'ennesima giornata di stragi, ma la sinistra moderata e' nervosa perche'
l'aggressione all'Iraq non si e' conclusa in 72 ore con fiori e
festeggiamenti delle popolazioni. Siamo al tredicesimo giorno: ne' Baghdad
ne' Bassora ne' Nassiriya sono state prese dagli angloamericani e una
guerriglia insidia le loro truppe che le circondano dal sud e dal centro.
Non c'e' previsione di Washington che si sia realizzata, notizia da Londra
che regga 24 ore: Bush dice ´"siamo nei tempi" ma per il generale Franks si
potrebbe andare all'estate, Blair ha annunciato una rivolta a Bassora che
non c'e' stata, una bomba chimica e' vissuta il tempo di un tg, le armi di
sterminio non si sono viste, per Myers occorrono centomila soldati in piu',
Rumsfeld nega, Wallace parla di una tregua fino al 10 aprile, Franks lo
smentisce, i militari litigano pare con la difesa e questa con Colin Powell.
Noi non sappiamo molto dell'Iraq, ma certo piu' di Donald Rumsfeld e
Condoleeza Rice e dei loro servizi di intelligence, convinti che le truppe
americane sarebbero state benvenute per gli sciiti al sud, per i kurdi al
nord, e per chiunque non fosse la guardia nazionale al centro. Si
sbagliavano, perche' se e' certo che Saddam Hussein ha represso crudelmente
gli sciiti e i kurdi, e' anche certo che queste popolazioni odiano gli
americani piu' che non odino lui.
Qualcosa li unisce, e non e' la religione, e' l'identita' araba umiliata,
l'essere una nazione secolarmente oggetto dei disegni altrui, essere stati
dall'Occidente usati, armati e traditi, da dieci anni privati di cibo e
medicinali, con la piu' alta mortalita' infantile nel continente, e infine
ora aggrediti. Preferiscono battersi che essere liberati dal generale
Franks, diventando un protettorato americano. Che cosa si aspetta per capire
che l'operazione, oltre che illegale, e' stato un colossale errore, e
chiedere che l'Onu gli metta subito un alt?
Invece il nostro governo e parte dell'opposizione vorrebbero che Bush
facesse piu' in fretta, magari sganciando piu' bombe invece che affrontare
la guerriglia per le strade in citta', e si pensi al dopo, come rimodellare
l'Iraq e dividersi gli appalti della ricostruzione. Poche volte c'e' stato
un tale sbandieramento di ipocrisia, accompagnato dalla campagna contro i
pacifisti: allora volete una guerra piu' lunga, piu' sangue, piu' macerie?
Siete amici di Saddam Hussein e nemici dell'America e della liberta'.
Sarebbe da ridere se non fossimo in una tragedia. Questa guerra non ci
doveva essere, non ha uno straccio di legittimita' politica ne' morale. Si
poteva fermare. E' bastato che Francia Cina e Russia, ma anche Germania,
dicessero di no perche' Colin Powell non riuscisse a comprare i paesi minori
del Consiglio di sicurezza, pur tutti in difficolta' e ricattati dal fondo
monetario. E non per amore per l'Iraq, ma perche' la new strategy americana
si e' data il diritto di far guerra preventiva dovunque veda lesi gli
interessi degli States mandando a spasso Onu e diritto internazionale. Bush
ha gia' indicato i prossimi obiettivi: Siria, Iran, forse Corea del nord.
Quella che doveva essere una operazione di polizia contro al Qaeda, e'
diventata licenza di aggressione a un pacchetto di stati. Prodi, che ha
detto parole giuste sul modo di trattare i popoli, si duole che l'Europa non
abbia avuto una voce sola. Appunto, che dira' l'Europa, se "liquidato
l'Iraq" Bush e Blair procederanno contro "l'asse del male"? Assistera' per
dovere transatlantico e poi distribuira' ai sopravvissuti scatole di latte e
biscotti?
Bush e il suo staff dell'American Enterprise Institute sono il pericolo
maggiore per il mondo. E a nostra vergogna oggi soltanto i corpi degli
irakeni, dei quali vediamo alcune costernanti immagini, lo tengono in
scacco. Non riusciranno a metterlo in fuga come dal Vietnam, l'Iraq non ha
alle spalle la Cina e l'Unione sovietica, Saddam non e' Ho-Chi-Min, e gli
Usa non hanno ancora sganciato tutto il loro potenziale di bombe.
Politicamente Bush ha gia' perduto, ma ancora detiene la piu' possente
macchina militare e finanziaria del pianeta. Deve essere isolato da ogni
democrazia che si rispetti prima che lo caccino i tre quarti degli americani
che non lo hanno votato. Egli sta all'America come Berlusconi sta
all'Italia, frutto della nostra parte peggiore. Noi siamo con l'altra
America e questa e' con noi.
7. DOCUMENTAZIONE. MICHAEL DUMMETT: IL SENTIERO CHE HA PORTATO ALLA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 marzo 2003 riportiamo questo articolo
del noto studioso di logica; ci pare opportuno segnalare come l'analisi in
esso condotta sia fin troppo semplificata e superficiale: ma questo -
bisogna pur dirlo - e' difetto comune a grandissima parte della
pubblicistica pacifista. All'articolo (tradotto da una studiosa della
competenza e del prestigio di Franca D'Agostini) il quotidiano affianca la
seguente scheda sull'autore: "Feroce critico della politica anglo-americana,
Dummett - tra i piu' importanti filosofi viventi - ricostruisce e commenta i
passaggi che hanno portato alla guerra, sottolineando tra l'altro come gli
Stati Uniti, unica potenza al mondo capace di muovere Israele a un "giusto
passo verso la pace con i palestinesi", abbiano evitato di impegnarsi in un
processo, che senza rendere piu' legittima la guerra, ne avrebbe mitigato le
piu' nefaste conseguenze. Nato nel 1925, Michael Dummett e' stato professore
di logica all'universita' di Oxford dal 1979, per poi ritirarsi
dall'insegnamento nel 1992. Si e' occupato, oltre che di logica, di
filosofia del linguaggio e di filosofia della matematica; e non ha esitato a
misurarsi con temi cruciali della politica e della cultura contemporanea.
Negli anni Sessanta, con la moglie Ann, e' stato impegnato a fondo nella
lotta contro il razzismo. Ha scritto testi che sono considerati dei classici
della filosofia contemporanea. Il suo primo libro, Frege: Philosophy of
Language, pubblicato nel 1973 e parzialmente tradotto con il titolo
Filosofia del linguaggio (Marietti), e' stato definito uno spartiacque negli
studi su Frege, e ha promosso la riscoperta del grande filosofo e matematico
tedesco. Dal Saggiatore e' pubblicata una scelta della sua raccolta di saggi
del 1978, La verita' e altri enigmi (1996), e dal Mulino sono state tradotte
le lezioni su La base logica della metafisica (1996) e il famosissimo
volumetto sulle Origini della filosofia analitica (1990, poi ripubblicato da
Einaudi nel 2001, con una intervista di Joachim Schulte). L'excursus su La
natura e lo scopo della filosofia, scritto espressamente per l'edizione
italiana, e' stato pubblicato dal Melangolo nel 2001 a cura di Eva Picardi.
Non tradotti sono Elements of Intuitionism (1977), Frege and Other
Philosophers (1991), Frege: Philosophy of Mathematics (1991), e i saggi di
The Seas of Language (1993)"]
Il sentiero che ha portato alla guerra contro l'Iraq, come e' evidente, e'
stato aperto dagli Stati Uniti. L'Inghilterra li ha affiancati, lungo il
cammino, ma nessun governo di nessun'altra nazione ha mai sostenuto
autonomamente che l'Iraq fosse una minaccia da sopprimere con la forza
armata. Ed e' stato un sentiero tortuoso.
All'indomani del terribile assalto alle due torri di New York, il presidente
americano ha provveduto a concentrare ogni rancore e desiderio di vendetta
su Osama bin Laden. Il popolo di una nazione puo' effettivamente essere
indotto a coltivare un odio appassionato per qualche altro popolo o nazione,
e spesso tale livore viene diretto ad arte contro quello o quell'altro
individuo particolare, considerato rappresentativo di quel popolo.
Ricordiamo le clamorose incitazioni a impiccare il kaiser in Inghilterra
durante la prima guerra mondiale, l'odio isterico degli americani contro i
comunisti nel secondo dopoguerra, la letterale demonizzazione degli Stati
Uniti (il "Grande Satana") da parte dell'Ayatollah Khomeini. Il pubblico
americano e' particolarmente sensibile ai richiami ad odiare questo o
quell'altro supposto nemico dell'America, e ha risposto senza esitazioni
all'appello contro Osama bin Laden. Dopodiche' la guerra ha potuto prendere
inizio: il regime dei Talibani ha subito una pronta disfatta, ma bin Laden
non e' stato catturato ne' ucciso.
Un gran numero di prigionieri sono stati presi in Afghanistan e deportati
nella baia di Guantanamo, che e' sotto il controllo degli Stati Uniti, anche
se ufficialmente al di fuori della giurisdizione americana. Non sono stati
dichiarati prigionieri di guerra: qualunque cosa si fosse fatta loro, nessun
tribunale al mondo avrebbe potuto intervenire. E nonostante cio', costoro
non potevano certo rimpiazzare Osama bin Laden, occorreva un sostituto,
qualche capro espiatorio andava trovato alla svelta per tener vivo l'odio
degli americani e utilizzare al meglio il loro desiderio di vendetta. La
scelta, come sappiamo, e' caduta su Saddam Hussein.
*
Deboli tentativi sono stati fatti in principio per legare il regime iracheno
ad Al Qaeda, ma nessuno ci ha creduto. Nessun problema: come Bush aveva ben
calcolato, l'odio popolare americano e' sempre pronto a spostarsi da una
figura demonizzata a un'altra. Molti musulmani credono che la guerra in Iraq
sia una parte, o una fase preparatoria, di una nuova guerra dell'Occidente
contro l'Islam; senza dubbio ne' il presidente Bush ne' Tony Blair si
concepiscono come iniziatori di una guerra contro l'islam, ma c'e' qualche
verita' nella sensazione che stiano facendo esattamente questo. Il motivo e'
semplice: Bush non avrebbe mai scelto un rimpiazzo di Osama che non fosse
musulmano; se avesse tentato di farlo, l'opinione pubblica non l'avrebbe
seguito. Gli autori dell'atrocita' dell'11 settembre erano musulmani; tutti
i musulmani sono sospettati dalla polizia americana e dalle autorita' di
immigrazione di essere terroristi. In generale, dunque, il popolo americano
odia i musulmani, e in generale i musulmani odiano gli Stati Uniti. La
vendetta potra' essere consumata solo sui musulmani.
Gli Stati Uniti sono l'unica potenza al mondo capace di far fare a Israele
un giusto passo verso la pace con i Palestinesi. Se tale passo fosse stato
fatto prima di iniziare la campagna contro l'Iraq, cio' non avrebbe reso
questa campagna piu' legittima, ma certamente avrebbe mitigato le sue
conseguenze nefaste. In tal caso, i musulmani non avrebbero visto gli Stati
Uniti come nemici diretti dell'Islam, e avrebbero avuto un atteggiamento
meno ostile. Purtroppo non c'e' da sperare che gli Stati Uniti facciano
pressioni su Israele per promuovere una giusta pace con i palestinesi, ne'
dopo la guerra con l'Iraq ne' in qualsiasi altro momento. E' inverosimile
che i preziosi voti degli ebrei e della cosiddetta Destra Cristiana vengano
sprecati da un politico americano a tale scopo.
Come prima mossa il presidente degli Stati Uniti ha chiesto quindi a gran
voce un "cambio di regime" in Iraq: l'obiettivo doveva essere spodestare -
preferibilmente uccidendolo - Saddam Hussein. Ma qualche consigliere di Bush
deve avergli fatto balenare l'idea che muovere guerra a un altro paese allo
scopo di rovesciarne il governo e' un gesto privo di qualsiasi legittimita'
in base alle leggi internazionali. Cosi' si e' cercata una nuova
giustificazione, e la si e' trovata nell'accusa di possedere "armi di
distruzione di massa" - armi chimiche, nucleari, biologiche; l'obiettivo e'
diventato la loro eliminazione. E' stata diffusa l'idea ridicola che l'Iraq
costituisse una minaccia immediata per gli Stati Uniti, segnatamente che
Saddam Hussein potesse in qualsiasi momento usare le sue armi di distruzione
globale per lanciare un attacco contro gli Stati Uniti. Tale storia risibile
e' stata concepita evidentemente per due ragioni: spaventare il pubblico
americano; provvedere di un fondamento, benche' ancora incerto, la guerra in
Iraq.
Le ripetute dichiarazioni di Bush circa la necessita' di disarmare Saddam
Hussein hanno trovato una pronta eco, con toni di profonda convinzione, nel
primo ministro inglese Tony Blair. Non c'e' dubbio che, al tempo della
guerra in Iran, e anche dopo, il governo iracheno fosse in possesso di armi
chimiche e biologiche, ma Saddam Hussein ha negato di averne ancora, e ha
dichiarato di averle distrutte nel 1991. Di fronte alle insistenze di Bush e
Blair, Saddam ha ribadito di non averne, e a questo punto gli ispettori
dell'Onu sono stati inviati per accertamenti. L'accertamento pero' non ha
accertato molto, gli ispettori non sono riusciti a provare che il governo
iracheno ancora possedesse tali armi. Il governo Bush ha obiettato di avere
"prove" a suo vantaggio, ma quando tali prove sono state prodotte si sono
rivelate inconsistenti. D'altro canto, Saddam non e' riuscito a provare la
sua versione dei fatti.
Cosi' stavano le cose, alla vigilia della guerra: i governi inglese e
americano sostenevano che Saddam aveva armi chimiche e biologiche, ma non
c'erano prove della loro asserzione; Saddam negava di averle, ma non aveva
prove del suo diniego. Quale avrebbe dovuto essere la cosa ovvia da fare?
Evidentemente, proseguire con il processo di ispezione, finche' non fosse
chiara la verita'. Il presidente iracheno, in principio piuttosto evasivo,
cominciava ora a collaborare con gli ispettori. Quando si seppe che stava
distruggendo missili di ampia portata, i sostenitori della guerra
giudicarono la cosa irrilevante, dicendo che si trattava di armi del tutto
convenzionali. La mossa evidentemente aveva l'unico scopo di mostrare la
buona volonta' collaborativa di Saddam, alla quale senza dubbio era stato
indotto soltanto dalla minaccia della guerra, una minaccia il cui compimento
era disperatamente ansioso di evitare. Resta pero' il fatto che stava
collaborando. Con tutta probabilita', se il processo di ispezione avesse
potuto completarsi, le armi chimiche e biologiche sarebbero state scoperte e
distrutte, oppure si sarebbero fornite prove convincenti della loro gia'
avvenuta distruzione.
Ma l'America e l'Inghilterra non hanno permesso che l'ispezione fosse
completata. Si e' dichiarato che comunque Saddam rifiutava di collaborare,
ed era ancora ostinatamente contrario al disarmo. Addirittura, Tony Blair ha
suggerito che il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovesse
obbligarlo a dichiarare apertamente in televisione di possedere armi
chimiche e biologiche, e a promettere di distruggerle. Peraltro, la sua
mancata adesione alla richiesta di disarmo giustificava senz'altro una
guerra contro di lui. In realta' non esisteva a quel punto la benche' minima
ragione di invadere l'Iraq; comunque, l'unica ragione per l'Inghilterra era
che il presidente Bush lo stava gia' facendo, e non si doveva permettere che
fosse il solo a farlo.
*
Infine, il Vaticano ha fatto grandi sforzi per evitare la guerra. Il papa ha
fatto pressioni su Saddam perche' acconsentisse alle richieste dell'Onu, ha
fatto pressioni sul governo americano perche' desistesse, e desse una
possibilita' di sbocco diplomatico alla controversia. Si noti che e' stato
il presidente di fede musulmana ad accogliere il consiglio, e il leader
cristiano a disattenderlo. Che cosa e' accaduto? Il papato, che un tempo
esortava la cristianita' occidentale a combattere i musulmani per il
controllo della Terra Santa, diventava pacifista?
Va detto che l'atteggiamento di Roma, e dei cattolici in generale, nei
confronti dei temi della guerra, della pena di morte, delle religioni non
cristiane, ha subito un cambiamento enorme. L'enfasi sulla santita' della
vita umana che fa da supporto alla condanna dell'aborto e' difficile da
sostenere con una visione compiacente nei confronti delle esecuzioni
capitali e dell'assassinio, ancorche' visto come esito involontario di una
guerra giusta. D'altra parte, l'orribile natura delle armi moderne ha reso
virtualmente impossibile una guerra senza sacrificio di vite innocenti; e
certamente anche l'azione dell'Inghilterra e degli Stati Uniti, al termine
della seconda guerra mondiale, ha dimostrato che questi illuminati paesi non
indietreggiano di fronte all'eventualita' di massacrare i civili. Questo
significa che anche se i principi che possono legittimare una guerra giusta
rimangono intatti, la loro applicazione in ogni caso richiede una
riflessione piu' rigorosa sulle condizioni restrittive, una riflessione la
cui responsabilita' in una democrazia non puo' essere riservata ai soli
governanti.
Guidati dall'attuale pontefice, i cattolici non vedono piu' gli aderenti ad
altre religioni come una massa di dannati, ma si trovano ad essere loro
alleati in un mondo ateo; vedono le loro religioni come veicoli parziali
verso la verita' di Dio, e sperano in una salvezza condivisa. In
particolare, questa condivisione coinvolge gli ebrei e i musulmani: gli
ebrei rimangono il popolo eletto, e i musulmani sono i figli di Abramo come
Gesu'. A dispetto del rifiuto della trinita', e della divinita' di Gesu'
Cristo, da parte del Corano, i cattolici plaudono al rispetto dei musulmani
nei confronti di Gesu' e della Madonna - in particolare, nei confronti di
quest'ultima, il rispetto e' maggiore di quello mostrato dai protestanti.
Impossibile dunque concepire i musulmani come nemici, e del tutto insensato
in questo caso l'appello alla guerra santa. Ogni cattolico fedele al mandato
del Papa deve oggi risolutamente opporsi all'intervento in cui gli Stati
Uniti, con l'aiuto dell'Inghilterra, si sono impegnati.
8. RIFLESSIONE. RENATO SOLMI: LETTERA AI DEPUTATI DELL'OPPOSIZIONE SULLA
LEGGE SUL CONFLITTO DI INTERESSI
[Siamo assai grati a Renato Solmi (per contatti: rsolmi@tin.it) per averci
messo a disposizione il testo di questa lettera ai deputati dell'opposizione
scritto otto mesi fa, quando la nuova versione della legge Frattini sul
conflitto di interessi e' stata sottoposta all'approvazione del Senato. La
lettera ha gia' circolato fra amici, studiosi, ed alcuni deputati e senatori
della sinistra; lo stesso autore ne ha dato lettura, o ne ho riassunto
brevemente il contenuto, in un'assemblea tenuta a Torino di "Giustizia e
Liberta'" e poi ancora all'assemblea nazionale di "Opposizione Civile" (a
cui anche "Giustizia e Liberta'" fa capo) che si e' tenuta a Roma or non e'
guari. Oggi, ad otto mesi dalla sua stesura, questo intervento nulla ha
perso della sua attualita', del suo nitore. Renato Solmi e' stato tra i
pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere
fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico
contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di
persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i
suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria
strumentazione intellettuale]
Ci rivolgiamo ai deputati delle forze di opposizione con la preghiera di
tenere, nei confronti della legge sul conflitto di interessi che sara'
ripresentata fra poco alla Camera, un atteggiamento completamente diverso da
quello che e' stato tenuto dai loro colleghi al Senato.
Questi ultimi, infatti, di fronte a una legge palesemente incostituzionale,
che avrebbe dovuto dar luogo a un rifiuto incondizionato, non solo di
approvarla, ma anche semplicemente di discuterla, se non appunto per
denunciarne l'incostituzionalita', e che avrebbe dovuto essere oggetto di un
ostruzionismo ad oltranza, che era il solo atteggiamento che avrebbe potuto
attirare l'attenzione di tutto il paese su questa caratteristica
fondamentale del progetto, e porre le basi di un futuro appello al
Presidente della Repubblica perche' si rifiutasse di sottoscriverla, hanno
assunto un atteggiamento ambiguo e contraddittorio, incerto ed eclettico,
che e' culminato nella partecipazione finale al voto, che equivaleva a un
avallo indiretto della liceita' della legge stessa, accompagnato da una
manifestazione tutta esteriore di protesta, che aveva il solo scopo di
suscitare l'interesse superficiale e momentaneo degli spettatori della
trasmissione radiotelevisiva in diretta.
Che, al di sotto di questa sceneggiata, si sia trattato in realta' di un
cedimento inammissibile e di un compromesso con la parte avversa, e' provato
in modo irrefutabile dal fatto che, nella votazione finale, la legge e'
stata approvata con 143 voti favorevoli, 110 contrari e due astenuti, cio'
da cui risulta che, se i 110 rappresentanti dell'opposizione si fossero
allontanati dall'aula, che era la sola cosa seria e coerente che avrebbero
dovuto fare, non sarebbe stato raggiunto il numero legale (che al Senato, se
non andiamo errati, e' di 162), e l'approvazione della legge avrebbe dovuto
essere rinviata a data da destinarsi. E questo era l'obbiettivo che i
senatori dell'opposizione avrebbero dovuto porsi, se fossero stati realmente
convinti della sua fondamentale incostituzionalita'.
Come si spiega questo atteggiamento inconsulto e, in ultima istanza, suicida
dell'opposizione costituzionale al regime berlusconiano di cui si vengono
gettando, una dopo l'altra, le assise fondamentali? Forse con le ragioni che
sono gia' state alla base dell'inerzia legislativa di tutto il periodo del
governo di centro-sinistra, e che fanno tutt'uno con uno stato d'animo di
sostanziale accettazione e rassegnazione di fronte all'illegalita'
trionfante, all'anomalia che diventa regola, e a cui ci si finisce per
assuefare al punto da considerare quasi come un peccato, come una mancanza
di buona educazione, ogni tentativo di opporsi alla sua marcia vittoriosa,
che viene cosi' ad acquistare i crismi di una fatalita' storica
ineluttabile, di fronte alla quale non resta che abbassare gli occhi e
chinare la testa.
Oppure si deve pensare (ma, in fondo, non sono che due facce di una stessa
realta') che, di fronte alla prospettiva di prolungare indefinitamente la
lotta in attesa di una sconfitta ritenuta comunque inevitabile, abbia finito
per prevalere, in una sindrome di fondamentale leggerezza, l'interesse
edonistico a concludere la cosa al piu' presto e ad accelerare nella misura
del possibile la data delle future vacanze.
Questa incoerenza logica e questa confusione mentale, questa incertezza di
propositi e questo abbandono all'impulso sensibile immediato, questa
divisione interna a uno schieramento complessivo, che passa poi anche
attraverso la coscienza dei suoi singoli membri, sono caratteristiche
tipiche della mancanza di coraggio, che e' piuttosto la risultante di tutti
questi diversi fattori che non una causa primaria e irriducibile di fronte
alla quale non sia possibile far nulla per sottrarsi agli effetti che ne
derivano.
Un ruolo importante nel determinare questa sindrome di cedimento e' stato
svolto certamente dall'idea e dalla prospettiva, fondamentalmente sbagliate,
della possibilita' e della necessita' di ricorrere, in ogni caso, a un
referendum abrogativo della legge stessa. Posto che la sconfitta sarebbe
stata, comunque, inevitabile (ma era poi certo che lo fosse veramente?), e
che il ricorso al referendum sarebbe stato, comunque, possibile, poteva
venire naturale, in apparenza, tirarne la conclusione che si dovesse
accelerare, addirittura, l'approvazione della legge, revocando gli
emendamenti e abbreviando i tempi del dibattito, per assicurare che il
referendum potesse avere luogo entro una certa scadenza (la primavera del
2003) e non slittare ulteriormente fino all'anno successivo.
Cosi' facendo, non ci si e' accorti di concedere all'avversario tutta una
serie di punti decisivi anche agli effetti dell'esito di un eventuale
referendum. Poiche' non si dovrebbe pensare nemmeno a sottoporre a
referendum una legge palesemente incostituzionale, e cioe' incompatibile con
le premesse o coi principi su cui si fonda tutto il sistema di cui essa fa
parte o in cui dovrebbe inserirsi, come nessuno penserebbe di sottoporre a
un referendum una proposizione o una conclusione di matematica sbagliata, il
giudizio sulla quale deve essere pronunciato da un matematico o, meglio
ancora, per evitare eventuali errori o misfatti deliberati, da un consiglio
qualificato di matematici. In altri termini, la legge in questione deve
essere sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale, che ha appunto il
compito di accertare e di stabilire la conformita' delle singole leggi ai
principi generali dell'assetto giuridico di cui fanno parte.
Come gia' in altre occasioni, il solo a far presente questa necessita', fra
i giuristi o i politologi che si sono interessati della cosa, e a
sconsigliare il ricorso immediato al referendum, e' stato il professor
Giovanni Sartori, che ha cercato invano, nel corso di un anno di lezioni e
di interventi, di far entrare questa verita' elementare nella testa dei
deputati e dei senatori dell'opposizione (refrattari a qualsiasi
ragionamento o stornati da altre preoccupazioni, e' una questione che
lasciamo risolvere a chi li conosce piu' davvicino).
E non ci sembra convincente, e tanto meno decisivo, l'argomento secondo il
quale non si potrebbe contare con certezza sulla possibilita' di sollevare
il problema dell'incostituzionalita' di una determinata legge di fronte alla
Corte Costituzionale, poiche' cio' potrebbe avvenire, ai sensi dell'art. 137
della Costituzione, solo ad opera di un giudice nel corso di un processo in
cui una delle parti sostenesse di essere stata danneggiata ingiustamente da
quella legge, dal momento che essa sarebbe in contrasto con uno o piu'
articoli della Costituzione, e il giudice non trovasse "manifestamente
infondata" la sua richiesta di un "controllo costituzionale" di essa.
Di fronte a un mostro giuridico come quello rappresentato dalla legge
Frattini, che privilegia i proprietari rispetto agli esecutori e ai gerenti,
come se questi ultimi non agissero, in ultima istanza, nell'interesse e
secondo le direttive dei primi, ci si puo' attendere, ci sembra, che, nel
giro di breve tempo, i cittadini, i magistrati ordinari e i giudici della
Corte Costituzionale che fossero personalmente interessati, anche se per
motivi diversi, a fare emergere l'incostituzionalita', l'assurdita' logica e
pratica, e la parzialita' fin troppo evidente di norme di questo genere, che
rappresentano una sfida al senso comune e ai concetti piu' elementari di
giustizia, finiscano per trovare il modo di collegarsi fra loro, per una
specie di corto circuito involontario, ma praticamente inevitabile, facendo
sprizzare la scintilla di una richiesta di questo genere e dando cosi' alla
Corte Costituzionale la possibilita' di pronunciarsi sulla materia.
La legge Frattini non deve passare con l'avallo, sia pure indiretto,
dell'opposizione, ma la responsabilita' di averla varata, qualora si dovesse
arrivare a questo punto, deve ricadere interamente ed esclusivamente sulle
spalle dei suoi promotori e dei suoi fautori, che, prima o poi, potrebbero e
dovrebbero essere tenuti a rendere conto di quello che hanno fatto o cercato
di fare sotto il titolo di attentato alla Costituzione e ai suoi principi
fondamentali.
Per quanto ne possano giudicare i profani di scienze giuridiche come noi,
una legge di questo genere dovrebbe prestarsi ad essere attaccata da tutte
le parti: di fronte, da tergo, sui fianchi, dalle fondamenta, in quanto essa
viola i principi generali della Costituzione e offende gli interessi di
tutti, e, per dirla in breve, sostituisce un ordinamento giuridico liberale
con un altro, fondamentalmente illiberale e oligarchico, uno stato
democratico basato sull'uguaglianza civile e politica dei cittadini con una
nuova specie di stato patrimoniale in cui il proprietario (o, addirittura,
il signore) gode di privilegi particolari nei confronti di tutti gli altri.
E' vero che attentati alla Costituzione hanno gia' avuto luogo nel corso
degli anni piu' recenti, per esempio nella rielaborazione della parte della
Costituzione relativa all'ordinamento regionale, e precisamente nella nuova
versione dell'art. 117, laddove il nuovo testo condiziona la validita' delle
leggi emanate dallo Stato e dalle Regioni alla loro conformita' ai trattati
internazionali (senza nemmeno specificare la condizione che essi siano stati
approvati previamente dal Parlamento ed equiparati, a tutti gli effetti,
alle altre leggi dello Stato). Tutto cio' e' vero, e anche queste
innovazioni apportate alla Costituzione senza nemmeno prendersi la briga di
esaminarle in tutte le loro implicazioni dirette e indirette dovrebbero
essere impugnate da parlamentari onesti e coraggiosi e modificate o
soppresse da maggioranze parlamentari consapevoli dei propri doveri.
Sottoporre la legge Frattini a un referendum popolare senza avere prima
esperito fino in fondo tutte le vie che possono condurre molto piu'
rapidamente, e in maniera molto piu' logica e funzionale, alla sua
abrogazione, significa commettere un triplice errore: un errore di carattere
logico, un errore di carattere giuridico e, in definitiva, un errore di
carattere politico, che puo' risultare fatale a chi l'ha compiuto, e
soprattutto a coloro per cui si ritiene o si pretende di doverlo compiere (e
cioe' alla grande maggioranza dei nostri concittadini).
Un errore di carattere logico, a cui abbiamo gia' accennato in precedenza, e
che potrebbe essere esemplificato con la distinzione fra giudizi contrari e
giudizi contraddittori che dovrebbe essere familiare a tutti i conoscitori
della logica classica. I giudizi contrari sono quelli che si distribuiscono
lungo una linea continua, che va da un piu' a un meno, da un massimo a un
minimo, ma in cui si possono individuare innumerevoli punti intermedi, e di
cui si puo' quindi affermare che i due termini estremi di questa catena non
possono essere entrambi veri, ma che possono essere entrambi falsi (perche'
la verita' si puo' trovare in un punto intermedio). I giudizi
contraddittori, invece, non possono essere entrambi veri (come i giudizi
subcontrari, che qui, per semplicita', tralasciamo), e non possono essere
nemmeno entrambi falsi (come i giudizi contrari, di cui abbiamo appena
parlato), ma uno di essi e' necessariamente vero e l'altro falso (anche se
si tratta di stabilire, di volta in volta, in ogni singolo caso, quale dei
due sia vero e quale falso) e non ci puo' essere alcuna terza possibilita'
(tertium non datur). Ebbene, ci sembra di poter dire che il referendum
abrogativo, nelle forme che assume comunemente, abbia a che fare coi giudizi
contrari o subcontrari, e soltanto con essi, e, proprio per questo motivo,
possa essere affidato al giudizio del popolo, di cui si tratta di accertare
i gusti o le preferenze (comunque la possa pensare chi non e' d'accordo con
la maggioranza), mentre i giudizi contraddittori (come quelli di
costituzionalita' e di incostituzionalita') devono essere affidati, almeno
in prima istanza, alle autorita' competenti (il Presidente della Repubblica,
in via provvisoria, e la Corte Costituzionale, in via definitiva), e
sottoposti alla decisione popolare, e cioe' alla decisione della
maggioranza, solo quando le altre istanze abbiano fallito, per ignavia o per
impotenza, per vilta' o per corruzione manifesta, e cioe' come extrema
ratio, e non certo come toccasana o come espediente valevole per tirarsi
fuori d'impaccio in qualsiasi situazione. Abbiamo affacciato l'ipotesi
estrema del fallimento delle istanze costituzionali solo per tenere conto di
tutte le possibilita', ma ci sembra evidente che, in condizioni ordinarie,
la soluzione dovrebbe e potrebbe essere trovata attraverso la consultazione
e il pronunciamento delle autorita' competenti ad emettere questi giudizi.
Un errore di carattere giuridico, che consiste appunto nel fatto che, nel
caso in questione, le istanze competenti devono essere consultate nel giusto
ordine, mettendo cosi' ciascuna di esse di fronte alle sue responsabilita',
e che qualunque violazione o inversione di questo ordine, qualunque salto o
precipitazione indebita, non puo' avere che conseguenze nefaste, nel senso
che chi lo commette si priva deliberatamente e inconsultamente di uno
strumento prezioso di accertamento della verita' e di soluzione adeguata del
problema a cui ci si trova di fronte. Anche perche', lo ripetiamo, in questo
caso, non si tratta di accertare una preferenza, per cui sarebbe necessaria
la consultazione del popolo e la verifica della maggioranza, ma di
dimostrare una verita', e cioe' di un compito che un consiglio di competenti
e' o, quanto meno, dovrebbe essere assai meglio in grado di assolvere di una
moltitudine di persone male informate o deliberatamente sviate dal
proprietario di tutti o quasi tutti i mass media (che, guarda caso, e'
proprio quello in cui ci troviamo).
Infine, l'errore di carattere politico commesso, in questo caso, dalla
classe dirigente, o da una parte di essa (che dovrebbe essere, tuttavia,
l'interprete dei bisogni e dei desideri della grande maggioranza del
popolo), e' proprio quello che consiste nello scaricarsi delle proprie
responsabilita', nella rinuncia a fare i conti con la propria coscienza e a
tirarne tutte le conseguenze necessarie, nell'illusione che il ricorso al
verdetto popolare possa essere la panacea di tutti i mali: salvo poi
addossare la responsabilita' di un insuccesso a quello stesso popolo a cui
ci si e' rivolti avventatamente e senza vera necessita', e a cui si e' dato,
fino a questo momento, e si continua a dare, come se niente fosse, il
cattivo esempio di non prendere le distanze dall'avversario disonesto e
prevaricatore, e di continuare a intrallazzare con lui nel tentativo di
ricavarne chissa' quali vantaggi (e cioe', per dir meglio, vantaggi
temporanei e particolari per se stessi o per il proprio partito, che si
trasformano poi, nel corso del tempo, in pesanti motivi di debolezza per chi
si e' illuso di fare il furbo e di poter battere l'avversario sul suo stesso
terreno).
Quale dev'essere, allora, l'atteggiamento che i deputati dell'opposizione
devono assumere di fronte al progetto di legge Frattini che ha ricevuto, a
questo punto, l'approvazione del Senato, e che aveva gia' ricevuto
l'approvazione della Camera, sia pure in una versione diversa, e, a quanto
sembra, ancora peggiore di questa, alla fine del mese di febbraio [2002]?
Continuare ad opporsi con tutte le loro forze ad una legge sovversiva e
incostituzionale che, sopprimendo la distinzione fra potere economico e
politico, che e' alla base di tutti i sistemi politici di stampo liberale e
democratico, e che un testimone non certo sospetto di infedelta' a questo
modello come la grande Hannah Arendt considera come un presupposto per lo
piu' sottinteso, perche' dato come ovvio e scontato, ma assolutamente
indispensabile e del tutto essenziale di ogni regime parlamentare e
rappresentativo, segnerebbe il ritorno allo stato patrimoniale
caratteristico delle monarchie assolute o, tornando ancora piu' indietro,
dei regimi di tipo feudale o signorile, determinando, in prospettiva, uno
svuotamento completo della vita democratica e la progressiva affermazione di
un regime paternalistico e autoritario; abbandonare l'aula al momento del
voto, sempre nell'ipotesi che ci si debba arrivare, rifiutandosi di avallare
anche solo indirettamente l'operato incostituzionale della maggioranza, e
dissociandosi, in tal modo, completamente e irrevocabilmente da essa; e
chiedere al Presidente della Repubblica di rifiutarsi di promulgare la legge
e di rimandarla alle Camere, perche' ne adeguino il testo ai principi della
nostra Costituzione, cio' che provocherebbe, certamente, un conflitto
costituzionale fra governo e potere legislativo da una parte, e Presidenza
della Repubblica, nella sua funzione di garanzia, quanto meno provvisoria,
dell'osservanza delle norme costituzionali, dall'altra; e che renderebbe
necessaria, in ultima istanza, a prescindere dai modi in cui si potrebbe
ottenere questo risultato, una presa di posizione della Corte
Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi sul merito della questione a
favore di una parte o a favore dell'altra. Una crisi gravissima, si dira',
di cui non e' certo facile prevedere lo sbocco, e in cui una parte
importante dovrebbe essere svolta dalla cosiddetta opinione pubblica, che
sarebbe chiamata a pronunciarsi, sia pure in modo del tutto informale, ma
tutt'altro che irrilevante agli effetti dell'esito finale della
controversia, su una questione di gravita' e di importanza senza precedenti
nella vita della nostra Repubblica. Ma eludere questa stretta, come e' stato
proposto da qualche parte, con argomenti, a nostro avviso, del tutto
illusori, non e', a questo punto, ulteriormente possibile, almeno dal nostro
angolo visuale di difensori della legalita' repubblicana, poiche' adottare
un atteggiamento di questo genere, che si potrebbe definire solo come
un'accettazione supina del corso inevitabile delle cose, equivarrebbe a
lasciare il passo all'installazione di un nuovo regime.
9. MAESTRE. LAURA BOELLA: L'EMPATIA IN EDITH STEIN
[Da Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a
partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 74.
Laura Boella, docente di storia della filosofia morale all'Universita' di
Milano, e' tra le massime studiose di Gyorgy Lukacs, Agnes Heller, Ernst
Bloch, Hannah Arendt. E' impegnata nella ricostruzione del pensiero
femminile nel Novecento. Fa parte della redazione della rivista filosofica
"aut-aut". Opere di Laura Boella: Il giovane Lukacs, De Donato, Bari 1977;
Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977; Ernst Bloch.
Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; Dietro il paesaggio. Saggio su
Simmel, Unicopli, Milano 1987; Parole chiave della politica, Mantova 1995;
Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Feltrinelli,
Milano 1995; Morale in atto, Cuem, 1997; Cuori pensanti. Hannah Arendt,
Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; con
Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Cortina, Milano 2000; Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo,
Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva, Tre Lune, Mantova 2000.
Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta
nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl,
pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica,
abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I
nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere
fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo
L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una
ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la
filosofia di san Tommaso d'Aquino; Introduzione alla filosofia, Citta'
Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis,
Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di
conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova. Opere su Edith Stein: per un
sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith
Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un
breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di
riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero
di Edith Stein, Vita e Pensiero; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero
filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova; Angela Ales Bello, Edith Stein. La
passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova. Per la biografia:
Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova; Elio Costantini,
Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita',
Libreria Editrice Vaticana; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di
altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Cortina, Milano 2000]
L'empatia modifica radicalmente la struttura della coscienza, apre alla
relazione con altro. L'empatia e' sicuramente "fondamento" dell'esperienza
della fede e della comprensione del passato, della fruizione di un'opera
d'arte cosi' come dell'orientamento verso i valori morali e spirituali. E
cio' perche' essa prepara e dispone a vivere il mondo come rivelazione e
espressione degli atti attraverso cui gli esseri umani si scambiano emozioni
e significati. Qui sta la portata generale e fondante dell'empatia:
empaticamente non si costituisce l'io, ma si rivela un'apertura amorosa in
cui trovano senso tutti gli atti di un essere umano. Nell'empatia si mostra
che l'esperienza vivente avviene andando verso il luogo in cui l'altra,
l'altro vive, gioisce, soffre.
10. POESIA E VERITA'. EMILY BRONTE: LEI SI ASCIUGO' LE LACRIME
[Da Emily Bronte, Poesie, Mondadori, Milano 1997, p. 171. E' una lirica del
1839. Emily Bronte (1818-1848), sorella di Charlotte e Anne, e' nota
soprattutto per essere l'autrice di Cime tempestose. Chi non ha letto le
opere delle sorelle Bronte lo faccia, vi trovera' molto piu' di quel che
immagina]
Lei si asciugo' le lacrime e gli altri sorrisero
vedendo che il suo viso riprendeva colore
e ignoravano non potevano conoscere
la pena che traboccava dal suo cuore
Con lo sguardo dolce e la voce lieta
ogni giorno con gli occhi ridenti
come potevano indovinare che nella notte solitaria
trascorreva il suo tempo piangendo
11. APPELLI. DOMENICO JERVOLINO: PER AMINA LAWAL
[Ringraziamo Domenico Jervolino (per contatti: djervol@tin.it) per questo
intervento. Domenico Jervolino, nato a Sorrento nel 1946, discepolo di
Pietro Piovani, studioso ed amico di Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer, due
fra i maggiori filosofi del Novecento, insegna filosofia del linguaggio
all'Universita' di Napoli Federico II. Fa parte degli organismi dirigenti
dell'Associazione internazionale per la Filosofia della Liberazione (Afyl)
e della International Gramsci Society (Igs). E' stato recentemente eletto
membro della Consulta filosofica italiana (organismo rappresantivo della
comunita' scientifica nel campo degli studi filosofici). Nell'ambito
dell'impegno politico e nelle istituzioni e' stato consigliere regionale
della Campania dal 1979 al 1987 e membro della presidenza del Consiglio
regionale. E' stato anche nel corso degli anni tra i promotori del movimento
dei Cristiani per il socialismo, dirigente delle Acli e della Cisl
Universita', membro della direzione nazionale della Lega delle Autonomie
Locali e della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria di cui e' stato
a lungo responsabile nazionale cultura e scuola. In Rifondazione Comunista
e' attualmente membro del Comitato politico nazionale e responsabile
nazionale Universita'. Assessore all'educazione del Comune di Napoli dal
marzo 2000 al marzo 2001, e' attualmente rappresentante dell'Associazione
dei Comuni italiani nel Comitato nazionale per l'Educazione degli adulti. E'
autore, nel campo degli studi filosofici, dei volumi: Il cogito e
l'ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, Procaccini, Napoli
1984, Marietti, Genova 1993 (tradotto in inglese presso Kluwer nel 1990);
Pierre Thevenaz e la filosofia senza assoluto, Athena, Napoli 1984; Logica
del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Piovani,
Morano, Napoli 1994; Ricoeur. L'amore difficile, Studium, Roma 1995; Le
parole della prassi. Saggi di ermeneutica, Citta' del sole, Napoli 1996 (in
una collana dell'Istituto italiano per gli studi filosofici). Ha curato e
introdotto l'antologia ricoeuriana Filosofia e linguaggio, Guerini, Milano
1994, e una scelta di scritti di Ricoeur sulla traduzione: La traduzione.
Una scelta etica, Morcelliana, Brescia 2001. Ha curato, inoltre, i volumi:
Filosofia e liberazione, Capone, Lecce 1992 (con G. Cantillo); e
Fenomenologia e filosofia del linguaggio, Loffredo, Napoli 1996 (con R.
Pititto); L'eredita' filosofica di Jan Patocka, Cuen, Napoli 2000. Ha
partecipato ai principali volumi collettivi pubblicati su Ricoeur negli
ultimi anni in Francia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti e continua,
attualmente, i suoi studi, lavorando in particolare sull'opera di Jan
Patocka e sugli sviluppi della fenomenologia di lingua francese nonche' sul
raporto ermeneutica-traduzione. E' in preparazione una Introduzione al
pensiero di Ricoeur presso le edizioni Ellipses di Parigi. Complessivamente
i suoi saggi e articoli di filosofia sono circa ottanta in italiano o
tradotti in sette lingue straniere. Nel campo della saggistica politica e'
autore dei volumi: Questione cattolica e politica di classe, Rosenberg &
Sellier, Torino 1969; Neoconservatorismo e sinistra alternativa, Athena,
Napoli 1985; e di una vasta produzione pubblicistica. Collabora a numerose
riviste italiane e straniere, tra cui "Concordia" di Aachen, "Actuel Marx"
di Parigi, "Filosofia e teologia" e "Studium" di Roma, "Segni e
comprensione" di Lecce; dirige la rivista "Alternative/i" di Roma. E'
condirettore della rivista "Il tetto" di Napoli, di cui fa parte da circa
trent'anni]
Il clima tormentato di questi giorni di guerra rischia di fare altre
vittime: si tratta innanzitutto di Amina Lawal, la donna condannata alla
lapidazione in Nigeria, per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio.
La condanna a morte e' stata ratificata dalla corte d'appello della sharia
dello stato nigeriano del Katsina e per ora solo rinviata di due mesi per
permettere ad Amina di allattare il suo bambino. L'esecuzione e' fissata ai
primi di giugno. Pare che le proteste finora espresse siano poche, molte
meno di quelle che hanno salvato la vita a Safiya, l'altra donna nigeriana
protagonista di un simile episodio. Probabilmente molti pensano che si
tratti di una battaglia gia' vinta, oppure sono distratti dai gravi problemi
della guerra, che peraltro rafforza la spinta dell'integralismo in quegli
stati della federazione nigeriana che hanno introdotto nella loro
legislazione l'interpretazione piu' rigida e patriarcale del diritto
islamico. In effetti sembra impossibile, benche' alcune amputazioni
giudiziarie siano gia' avvenute in quelle regioni, che una donna possa
essere sotterrata e ammazzata a sassate.
Non e' solo Amina ad attendere la lapidazione ma ci sono altre condanne in
Nigeria per le quali si sta mobilitando Amnesty International: Ahmadu
Ibrahim, Fatima Usman e Mallam Ado Baranda. L'esecuzione della condanna
potrebbe essere eseguita in qualsiasi momento. Ma sarebbe drammatico che ce
ne dovessimo accorgere quando ormai e' troppo tardi.
Per questo e' necessaria una grande campagna di mobilitazione.
Un modo semplice per farlo consiste nel contattare uno dei siti:
www.amnesty.it; www. amnesty.it/primopiano/Nigeria/;
www.amnistiapornigeria.org o www.amnistiaporsafiya.org e inviare messaggi
alle autorita' nigeriane.
E' importante che l'opinione pubblica non si distragga e non abbassi la
guardia.
12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 555 del 3 aprile 2003