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editoriale G&P n. 98 (aprile)



invio l'editoriale che apparirà sul n. 98 di G&P. Nel nostro sito
(www.mercatiesplosivi.com/guerrepace) si trovano già altri pezzi sull'Iraq
(n. 97) e fra alcuni giorni saranno disponibili il sommario completo e altri
pezzi del n. 98.

Walter Peruzzi

Mondo-Italia/mese
"Liberazione" dell'Iraq

Il grande movimento per la pace - il piu' grande, plurale e globale mai 
visto - ha gia' ottenuto risultati importanti, fino a pochi mesi fa 
inimmaginabili. È cresciuto impetuosamente e ha esteso i consensi senza 
perdere, anzi aumentando, in radicalita'. In Italia e' riuscito ad unire la 
litigiosa opposizione portandola in piazza di peso e ha costretto il 
governo a sgattaiolare all'italiana ("solidali" ma "non belligeranti") nel 
tentativo di evitare l'ira di Bush e quella degli elettori. Nel mondo ha 
contribuito a isolare gli aggressori, costringendoli a rinviare per mesi la 
guerra, a intraprenderla senza e contro la comunita' internazionale, 
perfino a cambiarne la "ragione sociale".
Bandita pudicamente come "disarmo forzoso" di Saddam voluto dall'Onu e 
iniziata con il dichiarato proposito di rovesciare un regime e stabilire un 
protettorato militare (come l'Onu espressamente vieta), l'invasione e' 
stata riclassificata in corso d'opera "guerra di liberazione" dell'Iraq e 
dei kurdi - o meglio di quanto ne restera' dopo aver raso al suolo un 
intero paese.
Guardati a vista da un'opinione pubblica ostile, gli strateghi Usa hanno 
dovuto fare inoltre (o fingere) bombardamenti "mirati" con missili zigzanti 
attraverso Baghdad in modo da colpire solo il dittatore e schivare i civili.

"LIBERATORI" E MERCENARI
Bollettini, veline e mercenari dell'informazione hanno cercato naturalmente 
di accreditare la favoletta dei "liberatori" accolti da folle festanti e da 
iracheni con la bandiera bianca. Salvo poi lamentare che almeno in alcuni 
casi si trattasse di un "trucco" per mascherare un agguato. Dal 20 al 23 
marzo ci hanno dato e smentito a ripetizione la notizia di citta' irachene 
"liberate" mentre soldati iracheni (sempre gli stessi) continuavano a 
sfilare arrendendosi davanti alle telecamere. Salvo gridare alla ferocia di 
Saddam quando ha mandato in Tv i prigionieri Usa e invocare per loro quelle 
Convenzioni di Ginevra che Bush ha negato ai 3.000 prigioneri afghani 
assassinati a freddo a Dasht Leili o a quelli mostrati (e torturati) nelle 
gabbie di Guantanamo.
Incredibili personaggi come Belpietro e Guzzanti, Ferrara e Feltri per non 
dir di Schifani ci hanno "venduto" l'aggressione all'Iraq come una 
riedizione dello sbarco in Sicilia del 1943 e, dopo aver tuonato fino a 
ieri perche' la sinistra italiana aveva ospitato il "terrorista" Ocalan, si 
sono scoperti fans della causa kurda. Altri si sono levati a condannare la 
"sfacciata indipendenza" della Francia, dimentica che solo gli Usa ci 
difendono "da Stati folli e criminali" (Sofri) e allargano con le bombe "il 
perimetro delle nostre liberta'" (Berlusconi).
Tutti ci hanno avvertito, come Biancheri su "La Stampa", che se poteva 
essere lecito dissentire dalla guerra "prima", a guerra ormai cominciata e' 
doveroso marciare uniti dietro il democratico (anche se criminale) Bush 
contro il sanguinario, anche se "tecnicamentre aggredito", dittatore iracheno.

IL RUOLO STRATEGICO DELLE BASI
Ma il movimento non ha abboccato. Ha continuato e continua a scendere 
testardamente in piazza. Negli Usa sfida gli arresti di massa praticati 
dalla "piu' grande democrazia del mondo". In Italia chiede a governo e capo 
dello stato di rispettare non in modo tartufesco ma reale l'art. 11 della 
Costituzione, condannando la guerra di Bush e negandogli le basi.
Questa richiesta e' fondamentale perche' puo' contribuire non solo a 
"fermare" il conflitto in corso ma a rimettere in discussione la presenza 
sul nostro territorio di uno strumento cruciale per la politica di guerra e 
di dominio globale degli Stati uniti.
Le basi, come ha scritto Zoltan Grossman (v. "G&P", n. 92), non sono 
soltanto il mezzo di cui gli Stati uniti si servono nelle loro guerre. Sono 
prima ancora lo scopo di esse. In altre parole gli obiettivi strategici 
delle guerre condotte dagli Usa nell'ultimo decennio e di quella attuale - 
cioe' il controllo delle risorse energetiche, il riassetto di intere 
regioni in senso funzionale ai loro interessi e l'imposizione di una 
egemonia globale - non potrebbero essere perseguiti se, a conclusione di 
ogni conflitto, gli Usa non lasciassero sul terreno i soldati e le basi (la 
cosiddetta "presenza militare avanzata") necessari per controllare regioni 
"dove non hanno appoggi politici o in cui possono dover contrastare una 
concorrenza economica". Le basi, disseminate insieme ad accordi militari e 
a governi fantoccio dall'Europa occidentale ai Balcani, dal Golfo alle 
repubbliche asiatiche ex-sovietiche e all'Afghanistan, sono le "pistole 
fumanti" puntate contro i popoli e gli "stati canaglia" per governare la 
globalizzazione. Prodotto delle guerre passate, sono premessa-promessa di 
quelle future.

LA ROTTURA DELL'ORDINE INTERNAZIONALE
Semmai il dato rilevante, messo in evidenza dalla crisi e della guerra in 
atto, e' che tali pistole sono puntate anche contro i tradizionali partner 
europei e gli altri alleati. Quel presidio dei territori che poteva essere 
o sembrare esercitato dagli Usa a "comune" vantaggio dei paesi capitalisti 
e imperialisti appare oggi sempre piu' esclusivamente funzionale al loro 
dominio e a quello delle loro multinazionali.
È tale "svolta" - cui da anni lavorano gli attuali consiglieri della Casa 
bianca (come conferma un loro documento diffuso e ritirato nel 1992) e che 
oggi e' stata esplicitata con la teoria e con la pratica della guerra 
unilaterale preventiva - ad aver prodotto la rottura dell'ordine mondiale, 
del diritto internazionale, dell'Onu e la stessa crisi dell'egemonia 
statunitense. Il "veto" della Francia ne e' solo l'effetto, non la causa, 
contrariamente a quanto vorrebbe far credere il lustrascarpe di Arcore.
Che Francia, Germania, Russia, Cina, gli altri paesi che Bush non e' 
riuscito a comprare o la Chiesa abbiano "tenuto", negando alla guerra 
l'ombrello dell'Onu e trascinando con se' la stessa dirigenza moderata 
dell'Ulivo, e' per un verso frutto delle pressioni del popolo della pace, 
per altro verso ne ha favorito l'allargamento. Mostra in ogni caso quanto 
sia profondo, in un momento di crisi economica e di contestazione sociale 
della globalizzazione, il conflitto di interessi fra i diversi agenti 
capitalisti e imperialisti, fra diversi stati e settori delle classi 
dominanti (v. "G&P", n. 97).

IL PACIFISMO DEI POPOLI E QUELLO DEI GOVERNI
Naturalmente i gruppi dirigenti e gli uomini politici europei contrari alla 
guerra (da Chirac a D'Alema o Andreotti) non si sono "convertiti" al 
pacifismo. Ma si trovano a dover convergere temporaneamente coi pacifisti 
nell'invocare il diritto internazionale e nel denunciare l'arrogante 
unilateralismo Usa se vogliono cercare di costruire l'Europa come soggetto 
capitalista autonomo contro il tentativo di ridurla a una insignificante 
congerie di stati-clienti. Al tempo stesso essi stanno gia' cercando di 
utilizzare le difficolta' degli Usa e la stessa spinta pacifista per 
ricontrattare da posizioni di forza nuovi spazi e per "ricucire" l'unita' 
(della Nato e dell'Onu) nella gestione del dopoguerra e delle politiche 
neoliberiste. Indicativo, al riguardo, il comportamento della Germania, che 
dice "no" alla guerra e "si" all'uso delle basi.
Ma la "ricucitura" non andrebbe certo a vantaggio dei popoli e non puo' 
essere quindi l'obiettivo del movimento, che dovra' invece intensificare la 
sua radicale opposizione alla guerra e la sua pressione per un'Europa 
sociale, contribuendo cosi' non a ricomporre ma ad aggravare le divisioni 
in atto e con cio' a indebolire l'egemonia degli Stati uniti e il loro 
ordine mondiale.

GETTIAMO LE BASI, GETTIAMO BERLUSCONI
Elemento specificamente italiano dentro la battaglia per "fermare" la 
guerra e' la richiesta che l'Italia condanni l'aggressione all'Iraq e 
revochi ad essa ogni appoggio, compreso l'uso "passivo" delle basi Usa-Nato.
Questa richiesta non potra' non caratterizzare, come sta gia' avvenendo, 
tutte le manifestazioni per la pace, da cui Berlusconi ha giustamente detto 
di non attendersi "niente di buono" (per lui...), gli scioperi e le fermate 
sul lavoro, i boicottaggi, le occupazioni delle scuole, le piu' diverse 
forme di disobbedienza, ivi compreso il blocco dei luoghi della politica e 
delle istituzioni, fino a costringere il governo (e il "silente" capo dello 
stato) a mutare radicalmente politica o a pagare un prezzo molto alto, in 
termini di consenso popolare e di "governabilita'" del paese. Fino a 
provocarne, se non cambia rotta, la crisi. Questo e' il primo obiettivo.
La mobilitazione contro l'uso delle basi offre pero' anche l'occasione, 
come si e' gia' detto, di far comprendere la necessita' della loro 
definitiva eliminazione dal nostro territorio. Questo obiettivo strategico, 
essenziale per costruire un'Europa "autonoma" dal predominio Usa, e' stato 
lanciato gia' alcuni anni fa dalla campagna "gettiamo le basi" (v. "G&P", 
n. 50). Oggi va ripreso con forza perche' puo' essere condiviso assai piu' 
largamente, sia per il contesto politico favorevole, sia per l'aumentata 
consapevolezza che basi come quelle di Aviano o della Sardegna sono una 
minaccia anche per l'ambiente, la sovranita' e la salute dei cittadini.

Walter Peruzzi