[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Portare testimonianza/6 - Baghdad, 18 dicembre 2002



18 dicembre 2002

COME PASSIAMO LE NOSTRE GIORNATE

Quasi ogni giorno corre voce di un imminente attacco da parte degli Stati 
Uniti. Ancora una volta una larga porzione di giornalisti sono stati 
invitati a lasciare il paese. Il direttore del nostro albergo ha acquistato 
un generatore di corrente; cominciamo a far scorta di alimenti secchi e 
acqua. Abbiamo perfino acquistato una bicicletta! Ieri il dinaro iracheno è 
sceso di un altro 20%. Nel darci la notizia, il nostro amico iracheno, 
Sitar, aveva gli occhi velati di lacrime. Nelle attuali circostanze, non ce 
la fa più a mantenere la famiglia, malgrado i suoi tre lavori. Il movimento 
di militari nel paese ha scoraggiato le uscite fuori Baghdad. La stampa 
internazionale sembra ritenere che non ci sarà alcun attacco, perlomeno per 
un mese o due, e due persone con cui ho parlato speravano che ci fosse 
ancora un modo per scongiurare la guerra o rimandarla fino al prossimo 
inverno. Dal nostro osservatorio, non c¹è modo di sapere. Qualcun altro lo sa?
A volte vedo noi tutti come voci che gridano nel deserto, letteralmente. E 
io sono solo una Cassandra, di vedetta a un remoto avamposto del movimento 
contro la guerra (ricorderete che Cassandra aveva ricevuto il dono di 
predire il futuro e la condanna a non essere creduta: un¹impotente 
profetessa di sventura).
Mentre i tamburi di guerra si fanno sentire più forte, è facile dimenticare 
che in realtà stiamo facendo qualcosa di buono qui. Abbiamo aperto un 
dialogo con il mondo dell¹informazione in Iraq. Forniamo ai giornalisti 
storie di casi umani significativi, li presentiamo alle famiglie e 
organizziamo conferenze stampa presso impianti idrici, centrali elettriche 
e ospedali oncologici. È importante rilevare che otteniamo molta più 
risonanza dalla stampa europea che non dai nostri fratelli americani.
Le nostre fila si vanno ingrossando, con l¹arrivo di altre delegazioni a 
breve termine, ogni dieci giorni circa. Le vacanze hanno concesso un po¹ di 
tempo libero agli americani. Ci sono anche delegazioni dal Canada, 
dall¹Italia e dal Giappone, sempre a breve termine, che collaborano con noi 
nell¹organizzare speciali cerimonie interreligiose, veglie a lume di 
candela, manifestazioni e altre azioni creative per far presente i costi 
umani della guerra.
La nostra presenza a lungo termine rende più efficace la presenza di queste 
altre delegazioni. Speriamo anche di dare un contributo significativo agli 
sforzi dei pacifisti nel nostro paese, a cui inviamo articoli, storie e 
messaggi di posta elettronica. Ma, come dicevo, siamo solo voci nel deserto?
Ogni giorno preghiamo che sempre più persone si rendano conto dei pericoli 
di un attacco all¹Iraq per il mondo intero: più terrorismo, più violenza in 
Israele/Palestina, indebolimento delle Nazioni Unite, crescita dei 
fondamentalismi di ogni tipo, più alto rischio di una guerra biologica o 
nucleare, depressione su scala mondiale, crescita dell¹arroganza e delle 
teorie imperialistiche negli USA e, naturalmente, i contraccolpi imprevisti 
per tutti e la perdita di tempo nel cercare di arginare i danni che non 
abbiamo saputo prevenire. E che dire delle ripercussioni sul nostro 
spirito? Be¹, conoscete già ³la litania di Rabia²; prendetela come un 
promemoria dei punti che potete citare per persuadere i vostri politici e 
pezzi grossi dell¹economia a dire NO alla guerra.
Le nostre giornate in questo avamposto sono occupate da visite alle 
famiglie, alle scuole e a piccole botteghe. Facciamo più riunioni di quante 
vorremmo. Però, visto che cresciamo di numero, sono necessarie per darci 
sostegno reciproco ed evitare errori che potrebbero compromettere la 
missione o la nostra sicurezza. (...)
Mentre scrivo, le ultime indiscrezioni danno gli Stati Uniti pronti a 
dichiarare l¹Iraq ³in aperta violazione² della risoluzione ONU 1441. 
L¹orizzonte si rannuvola e io sono senza parole. Non è questo il mondo che 
sogniamo.

In fede e umiltà,
Rabia (Elizabeth Roberts)