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Perché si fa una guerra?





Perché si fa una guerra?
<http://www.adaptive.it/ps/warnowar.htm>http://www.adaptive.it/ps/warnowar.htm

Ho ricevuto da più parti lo spot Power Point 
"<http://www.adaptive.it/ps/Perchè si fa una guerra.pps>Perchè si fa una 
guerra.pps", che vorrebbe spiegarcelo facendo un ragionamento sui costi 
della prima guerra del Golfo per farci aderire all'appello di 
<http://www.emergency.it>http://www.emergency.it. Ve lo inoltro con 
commenti critici. Prego di inoltrarlo con questi commenti critici.

Non ho controllato i conti dell'allegato. Presumo siano corretti. Ma non 
sono rilevanti. La posta in gioco nelle guerre che si minacciano o si fanno 
nell'area del Golfo Persico è molto più grande di un affaruccio da 40 
miliardi di dollari, come vorrebbe dimostrare lo spot 
"<http://www.adaptive.it/ps/Perchè si fa una guerra.pps>Perchè si fa una 
guerra.pps".

40 miliardi di dollari sono equivalenti al valore di meno di 20 giorni di 
consumo mondiale di petrolio a 30$/barile, oppure equivalenti grossomodo al 
valore di 2 giorni del Prodotto Nazionale Lordo degli Stati Uniti.

La vera ricchezza è poter bruciare petrolio per ottenere lavoro meccanico e 
calore con cui mantenere gli ozi che ci scegliamo. Senza energia, niente 
agricoltura occidentale (sovvenzionata, 5% degli occupati), niente 
industria occidentale (semi-sovvenzionata e con produzione delegata al di 
fuori dei confini ormai, 30% degli occupati), niente terziario occidentale 
(65% degli occupati, per lo più superfluo): di conseguenza niente 
occupazione occidentale e soprattutto niente welfare occidentale, con 
corredo di aiuti allo sviluppo, umanitari, no profit ed elemosine varie. 
Senza una adeguata fornitura di energia quella articolazione della società 
e dell'economia occidentali cascano come una pera cotta. Ciascuno di noi in 
occidente ha attualmente a disposizione l'equivalente del lavoro di circa 
25-30 schiavi ottenuti per circa un 85% dal bruciare petrolio. Le altre 
considerazioni sono scritture contabili espresse con quell'unità di misura 
elastica che sono le unità monetarie.

Quello che conta per un occidentale medio è assicurare che il petrolio 
arrivi senza restrizioni alle economie occidentali e senza che esso sia 
ipoteticamente controllato da una eventuale teocrazia islamica unitaria (o 
altro gruppo politico estraneo o distante dai benefici del bruciare 
petrolio), che a quel punto potrebbe fare dell'occidente quello che vuole. 
Almeno fino a quando in occidente non si riuscisse a convertire la nostra 
dipendenza da petrolio in dipendenza da energia nucleare (oppure per un po' 
di tempo, in dipendenza da carbone e gas, ma gli inconvenienti del carbone 
forse non valgono il lavoro di fare la transizione petrolio->carbone). Come 
si intuisce i 40 miliardi di dollari non sono niente rispetto alla posta in 
gioco.

Non tentare di praticare un controllo politico-militare sul flusso di 
petrolio equivale a consegnare la sovranità dei nostri comportamenti ad una 
possibile teocrazia islamica riunificata (disegno politico apertamente 
rivendicato da Bin Laden). Praticarlo può comunque aiutare disegni politici 
ispirati a quello di Bin Laden. Il temuto "scontro di civiltà" è un 
esercizio letterario. Le questioni, credo, siano meno eteree. In questo 
senso, Bin Laden ci ha dato scacco. Se poi il progetto di un grande 
califfato unito sarà realizzato, non si può sapere ora. Date le divisioni 
interne al mondo islamico di quei posti, la cosa non sembra molto 
probabile. Ma non ho nessuna competenza per valutarlo. E' comunque certo 
che noi occidentali faremo di tutto per seminare zizzania.

Portare tutta la popolazione del pianeta a dipendere da fonte nucleare per 
un ammontare di energia pro-capite comparabile alla disponibilità di 
energia pro-capite che consente il modello di vita occidentale di oggi 
vorrebbe dire moltiplicare per almeno 40-50 volte (forse di più) l'attuale 
produzione mondiale di energia da fonte nucleare. Questo comporta una 
conseguente diffusione della tecnologia nucleare e soprattutto la 
conseguente diffusione ovunque della disponibilità di materiale fissile e/o 
radioativo per eventuali armi nucleari (proprie o sporche). Questa 
diffusione di tecnologia nucleare sarebbe potenzialmente devastante in 
assenza di un controllo militare ferreo della tecnologia e del ciclo del 
combustibile nucleare da parte di una casta politicamente compatta presente 
in ogni angolo della terra e con facoltà e forza di repressione assoluta 
per migliaia di anni. Dato che è difficile ottenere la costituzione, 
l'integrità e la durata di una simile casta per varie ragioni, non so dire 
quanto una conversione alla fonte nucleare sia davvero auspicabile, anche 
se sarà prima o poi praticata, perché l'alternativa sarebbe morire di 
stenti in misura molto maggiore di quanto già accade oggi nel mondo.

Se perciò si tralascia di prendere in considerazione l'opzione nucleare (la 
cui praticabilità avrebbe comunque tempo di attuazione almeno 40-ennale), 
si ha a che fare con una condizione di limiti stretti di risorse 
disponibili e con la relativa lotta per la sopravvivenza che ne deriva. Con 
un modello di consumo mondiale come quello attuale, di combustibili fossili 
(non considerando il carbone) possiamo ancora campare per circa 30-40 anni 
(probabilmente meno: <http://www.dieoff.org/page140.htm>The End of Cheap 
Oil [http://www.dieoff.org/page140.htm] ), e possiamo farlo per questo 
tempo solo se si mantengono le attuali diseguaglianze riguardo all'accesso 
alle risorse, o se si accentuano tali diseguaglianze.

E' in questo quadro, a mio parere, che vanno valutate le strategie 
geo-politiche che portano noi occidentali a tentare di controllare 
politicamente (o militarmente, che è lo stesso) l'area del Golfo Persico, 
che contiene in prospettiva 2010 oltre il 50% del petrolio residuo nel 
mondo. Se questo riuscirà non lo sa nessuno. In una partita importante non 
si sa prima chi vince.

Se non riuscirà, è molto probabile un rapido e drastico cambiamento del 
nostro complessivo stile di vita (dall'attuale modello di produzione e 
disponibilità del cibo, alla possibilità di mantenere gli attuali standard 
sanitari, alla praticabilità del nostro welfare, alla tenuta delle libertà 
democratiche che diciamo di amare), combinata con una affannosa conversione 
all'uso di energia nucleare e da carbone.

L'aumento di efficienza energetica del nostro stile di vita (meno energia, 
stessi benefici) non è, a mio parere, praticabile nelle dimensioni che si 
renderebbero necessarie da una rapidamente diminuita disponibilità di 
petrolio a prezzi relativamente bassi (inferiori a 30$/barile), come quella 
che potrebbe facilmente generarsi in assenza di controllo politico-militare 
ferreo delle aree di produzione da parte dell'occidente. Infatti il flusso 
di petrolio potrebbe prendere la direzione di economie emergenti (che ora 
producono su licenza e istruzione occidentale) al di fuori del controllo 
dell'occidente, ed essere diretto da chi controlla il petrolio, con 
conseguente possibile rapida perdita di valore delle monete occidentali. La 
praticabilità di questo aumento di efficienza che sfocia in diminuzione del 
fabbisogno energetico non si è storicamente verificata dal 1973 (primo 
shock petrolifero) ad oggi, pur avendola cercata (cfr. 
<http://www.adaptive.it/oldw/nazisoc.pdf>questo documento). La rigidità del 
frazionamento dei prodotti petroliferi (frazionamento del greggio in 
benzine, kerosene, gasolio, ecc.) non aiuta a fare risparmio energetico. 
Probabilmente il modo più efficace di fare risparmio energetico è quello di 
sfoltire e ridurre le attività economiche, che comporta un ridisegno 
profondo dello stile di vita. Il che appare difficilmente praticabile su 
base volontaristica.

Praticare una equa distribuzione delle risorse a livello mondiale (cioè: 
ogni persona sul pianeta riceve una dose di risorse uguale), senza 
espandere il fabbisogno di risorse primarie (energia) e senza alterare lo 
sperimentato modo di funzionare della nostra società e modo di produzione, 
comporterebbe per noi occidentali MEDIAMENTE accettare di vivere con 1/4 
delle risorse che ciascuno di noi usa quotidianamente. Cioè, ad esempio: le 
attuali nostre risorse sanitarie dovrebbero bastare per una popolazione 4 
volte superiore, le nostre case dovrebbero ospitare 4 volte la popolazione 
che ospitano (invece che 3 in 4 stanze, 12 in 4 stanze), le scuole 
dovrebbero servire 4 volte gli studenti che hanno, ecc.

Personalmente non so se mi abituerei facilmente ad una simile condizione. 
Forse sì: ci si abitua a tutto, e la maggior parte della popolazione 
mondiale già sta peggio. Però potrei dirlo solo dopo aver provato, e ci 
dovrei essere un po' costretto. Ma la questione non è quello che farei io. 
Noi viviamo in una democrazia che elegge i propri desisderi. La domanda da 
farsi è: con quali voti un politico verrebbe eletto avendo il programma di 
portare i propri elettori da come stanno adesso verso la condizione 
descritta sopra? Come si compete con un programma che invece propone, in 
varie forme, una politica da "fortezza assediata"?

La risposta dei politici americani è secca: lo stile di vita degli 
americani non è negoziabile. Cosa dicono in proposito i politici europei?

Il nostro tentativo di controllo politico-militare dell'area del Golfo 
Persico è un atto politico da "fortezza assediata", a mio parere. Una 
prospettiva politica che vede un 30% della popolazione mondiale cercare di 
mantenere uno stile di vita occidentale, un 30%-40% della popolazione che 
vivacchia rincorendo lo sviluppo e la restante parte che fatica a 
sopravvivere e muore di fame, come ben inquadrato dall'articolo di Lorenzo 
Matteoli 
<http://matteoli.iinet.net.au/html/Articles/Guerra.html>http://matteoli.iinet.net.au/html/Articles/Guerra.html 


Le considerazioni che ho fatto rappresentano i confini dello spazio entro 
cui ci si può muovere. Le cose probabilmente si assesteranno su miscele 
intermedie all'interno di quei confini (un po' di aumento di efficienza, un 
po' di riduzione del nostro tenore di vita, un po' di energia nucleare, 
ecc.). Ma i confini sono quelli.

Il candidato più dotato per raccogliere la disperazione dei diseredati 
della terra sembra l'Islam. Il messaggio è semplice e diretto. Più semplice 
della realtà, ma non importa. Si sa, le religioni raccontano sempre belle 
favole. Per fare giovani adepti servono richiami che incantano, non 
raffinate analisi. Quanto a incanto, un Osama Bin Laden martire batte un 
Bush 100 a 0, nella testa di ragazzi poveri e disperati. Costoro intuiscono 
che il nostro stile di vita non è per tutti. La composizione per età e i 
tassi di fecondità avvantaggiano l'Islam, che non fa mistero di usare 
questo come arma di lotta politica e di espansione. Sarebbe divertente 
vedere come gestiranno sovrappopolazione e miseria, e come gestiranno le 
differenze che si producono comunque, dopo averci fatto estinguere come 
grandi dissipatori. Ma noi non ci saremo già più.

Saluti.
-- 
Bruno CAUDANA
<mailto:b.caudana@ieee.org>b.caudana@ieee.org
http://www.adaptive.it/ps/warnowar.htm