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Cosa si dice in senato sul commercio delle armi



Fonte: www.senato.it

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SENATO DELLA REPUBBLICA
Seduta antimeridiana n. 344 del 27 febbraio 2003
Bozze non corrette

Discussione del disegno di legge:

(1547) Ratifica ed esecuzione dell’Accordo quadro tra la Repubblica 
francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il 
Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e 
dell’Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la 
ristrutturazione e le attivita' dell’industria europea per la difesa, con 
allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonche' modifiche alla 
legge 9 luglio 1990, n. 185 (Approvato dalla Camera dei deputati)


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 
1547, gia' approvato dalla Camera dei deputati.

Hanno facolta' di parlare i Presidenti della 4a e della 3a Commissione 
permanente, rispettivamente i senatori Contestabile e Provera, per riferire 
sui lavori delle Commissioni riunite.


BEDIN (Mar-DL-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, vorrei chiedere a lei e all’Assemblea 
di non procedere con l’esame di questo argomento all’ordine del giorno, 
prima ancora che venga incardinato - ho chiesto infatti di intervenire 
subito - perche'...


PRESIDENTE. Senatore Bedin, dobbiamo ascoltare prima i due Presidenti di 
Commissione.


BEDIN (Mar-DL-U). Presidente, vorrei avanzare una questione sospensiva.


PRESIDENTE. Lo fara' dopo, senatore Bedin.


BEDIN (Mar-DL-U). Presidente, intendo chiedere che il provvedimento venga 
rinviato in Commissione.


PRESIDENTE. Senatore Bedin, devono prima intervenire i Presidenti della 3a 
e 4a Commissione, e poi le daro' la parola.

Ha facolta' di parlare il senatore Contestabile, presidente della 4a 
Commissione.


CONTESTABILE (FI). Signor Presidente, cari ed illustri colleghi, il 
provvedimento al nostro esame ha avuto un iter particolarmente travagliato. 
L’esame in Commissione presso la Camera dei deputati e' durato otto mesi, 
con un'opposizione che anche in quella sede si e' manifestata, nell’ultima 
fase, in termini duri.

In Senato, l’opposizione ha legittimamente ritenuto di ricorrere 
all’ostruzionismo, tant’e' che il provvedimento e' passato in Aula, ai 
sensi dell’articolo 44, terzo comma, del nostro Regolamento, senza 
approvazione in sede di Commissione e quindi senza relatore. Pertanto, chi 
vi parla non illustra una relazione, ma riferisce sommariamente sui lavori 
della Commissione in ordine al provvedimento in esame.

Tale provvedimento riguarda il commercio e il transito di armamenti. Gia' 
nella scorsa legislatura si era valutata l’opportunita' di modifiche anche 
sostanziali da apportare alla vecchia legge n. 185 del 1990. Cio' perche', 
insieme all’analoga legge del Regno di Svezia, era la piu' severa e la piu' 
restrittiva d’Europa e poneva, come pone tuttora, in condizioni di grande 
svantaggio l’industria nazionale degli armamenti.

Pertanto, si e' ritenuto doveroso ed utile, anche da parte del Governo di 
centro-sinistra nella scorsa legislatura, apportare un mutamento 
sostanziale alla vecchia legge n. 185 del 1990 con un corposo disegno di 
legge, che reca come prima firma quella dell’allora presidente del 
Consiglio, onorevole D’Alema.

Per la verita', l’attuale disegno di legge in molti punti ricalca il 
disegno di legge dell’onorevole D’Alema, sebbene non sia ne' uguale ne' 
simile e forse nemmeno analogo. Tuttavia, non c’e' alcun dubbio che ne 
ricalca - lo ripeto - alcuni aspetti.

Successivamente e' intervenuto l’Accordo multilaterale di Farnborough, 
sottoscritto dai Paesi dell’Unione Europea, contenente alcune direttive per 
una legislazione nazionale di tutti i Paesi dell’Unione a proposito del 
commercio, della produzione e del transito delle armi.

L'attuale disegno di legge approvato alla Camera dei deputati concerne la 
ratifica dell'accordo sottoscritto, per la verita' da altro Governo e da 
altra maggioranza, a Farnborough.

Il provvedimento - su cui riferisco sommariamente in quanto l'articolo 44 
del Regolamento consente che un disegno di legge sia discusso in Aula anche 
senza relazione - prevede un puntuale sistema di controllo sull'industria 
militare. Come se non bastasse, verra' presentato a firma dei Capigruppo 
della maggioranza e dei Presidenti delle Commissioni esteri e difesa un 
ordine del giorno, che potremmo definire di interpretazione autentica, che 
specifica la rigorosita' dei controlli sull'industria militare.

La normativa di cui alla legge n. 185 del 1990 e' inadeguata ai tempi 
nuovi; questo disegno di legge pertanto non solo la rende attuale, ma la 
omologa anche alle altre normative esistenti nei Paesi dell'Unione Europea, 
con un'unica eccezione, quella del Regno di Svezia, che mantiene una 
normativa piu' rigida, piu' rigorosa e piu' restrittiva rispetto al resto 
dell'Europa in materia di produzione, di commercio e di trasporto degli 
armamenti.

Se si stilasse un quadro sinottico di tutte le normative europee, ci si 
accorgerebbe che l'attuale proposta di legge in realta' e' in linea con la 
media delle normative europee.

Il disegno di legge si compone di quattordici articoli, il primo e il 
secondo dei quali non porranno problemi perche' accolti anche 
dall'opposizione, che riguardano la ratifica, sic et simpliciter, del 
Trattato di Farnborough, una ovvia ratifica di un Trattato multinazionale.

Gli altri articoli dal 3 al 14 prevedono invece interventi correttivi, 
adeguativi e migliorativi della legge n. 185 del 1990.

L'articolo 3 stabilisce il divieto dell'esportazione e del transito di 
materiali verso i Paesi nei confronti dei quali e' stato dichiarato 
l'embargo, non solo - e questo e' importante - dalle Nazioni Unite, ma 
anche dall'Unione Europea.

L'articolo 4 adegua ai nuovi cambiamenti l'opportuno istituto del controllo 
parlamentare.

L'articolo 5 muta il termine UEO (Unione dell'Europa Occidentale) con il 
termine UE (Unione Europea).

L'Unione dell'Europa Occidentale e' un organismo che perde ogni giorno di 
piu' la propria valenza, sopravvivendo a se stesso; l'ho ridefinito in 
termini ironici "Unione Escursionisti Organizzati", nel senso che, non 
avendo piu' alcuna funzione reale e concreta, tale istituzione serve ad un 
turismo parlamentare, che personalmente non apprezzo, e a mantenere in 
piedi una struttura amministrativa. Una volta erano 165 le persone 
impiegate, che facevano ben poco; non so adesso quale sia il numero 
complessivo di impiegati e funzionari, ma si tratta di un organismo 
internazionale che sopravvive perche' fa comodo e perche' qualche Paese 
vuole utilizzarlo in termini polemici nei confronti del Parlamento europeo. 
Esiste infatti una contesa fra l'UEO e il Parlamento europeo a proposito 
della competenza in materia di difesa.

La delegazione italiana, allora da me presieduta, si schiero' 
coraggiosamente per l'abolizione dell'UEO in una celebre riunione tenutasi 
a Lisbona, ma rimase pressoche' sola; si e' ritenuto di prolungare 
l’esistenza di uno dei tanti organismi internazionali - a mio avviso - 
assolutamente inutile che, tutto sommato, non viene soppresso in parte per 
pigrizia e in parte per comodita'.

Ora questa norma trasferisce opportunamente le competenze dalla 
praticamente inesistente Unione dell'Europa Occidentale alla esistente 
Unione Europea.

L'articolo 6 prevede la procedura per il rilascio della licenza globale di 
progetto. Onorevoli colleghi, e' questa la vera novita' della normativa 
rispetto alla legge n. 185 del 1990, per il modo come e' stata formulata e 
per il tipo di procedure adottate per il rilascio della suddetta licenza.

L'articolo 7 prevede, attraverso la licenza globale di progetto, una forma 
particolare di autorizzazione da concedere all'impresa che partecipa a un 
programma congiunto con aziende localizzate in Paesi appartenenti 
all'Unione Europea o all'Alleanza Atlantica.

Con il passare del tempo, accade sempre piu' frequentemente che gli 
armamenti complessi siano in realta' di fabbricazione multinazionale. 
Soltanto gli armamenti semplici in Europa sono prodotti da una sola 
nazione; nella stragrande maggioranza gli armamenti hanno raggiunto un tale 
livello di complessita' da richiedere esperienze, finanziamenti e strutture 
produttive multinazionali.

Questa previsione adegua dunque la realta' normativa alla realta' effettiva 
delle cose, prevedendo un'unica disciplina applicabile a programmi 
intergovernativi con i Paesi della NATO, anche quando non siano membri 
dell'Unione Europea, lasciando sottoposta all'attuale procedura 
l'esportazione da parte di imprese italiane verso Nazioni terze.

Gli articoli da 8 a 11 stabiliscono nuove disposizioni relative ai termini 
per le operazioni, ai destinatari delle comunicazioni concernenti le 
consegne, all'utilizzo dell'autorizzazione, alle norme sull'attivita' 
bancaria, allo scopo di rendere la procedura compatibile con il nuovo 
istituto fondamentale della licenza globale di progetto.

L’articolo 13 prevede l’emanazione di un apposito decreto del Presidente 
del Consiglio dei ministri per l’applicazione delle norme relative al 
segreto di Stato e alle notizie da non divulgare.

L’articolo 14, infine, concerne la disciplina degli oneri finanziari.

Signor Presidente, signori colleghi, questa per sommi capi e' la normativa 
proposta al nostro esame. Da parte dei Presidenti delle Commissioni esteri 
e difesa vi e' un invito all’approvazione. (Applausi dal Gruppo FI).


PROVERA (LP). Signor Presidente, mi associo totalmente a quanto ha appena 
relazionato il collega Contestabile. Quindi, non ho nulla da aggiungere. 
(Applausi del senatore Calderoli).


PRESIDENTE. Colleghi, gia' conoscete il contenuto di quanto mi accingo a 
comunicarvi, perche' lo ha esplicitato il senatore Contestabile; ma lo 
debbo fare per una questione formale.

Onorevoli senatori, in relazione a quanto riferito dai senatori Provera e 
Contestabile, il disegno di legge n. 1547, non essendosi concluso l’esame 
in Commissione, sara' discusso nel testo del proponente senza relazione, 
neppure orale, ai sensi dell’articolo 44, comma 3, del Regolamento. Cio' 
conformemente alle determinazioni assunte dalla Conferenza dei Presidenti 
dei Gruppi parlamentari.

In conformita' a quanto avvenuto in analoghe circostanze, non esiste, nel 
caso in questione, un relatore all’Assemblea, tali non potendosi 
considerare i relatori alla 3a e 4a Commissione permanente. Queste ultime, 
infatti, non avendo concluso i propri lavori, non hanno conferito specifico 
mandato di fiducia.

Pertanto, non avranno luogo ne' la replica del relatore al termine della 
discussione generale, ne' l’espressione del parere da parte del relatore su 
emendamenti e ordini del giorno.


BEDIN (Mar-DL-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, ai sensi dell’articolo 93 del 
Regolamento, pongo una questione sospensiva dell’esame di questo disegno di 
legge e chiedo il rinvio dello stesso alle Commissioni riunite esteri e difesa.

La motivazione nasce dal procedimento che lei ha indicato, cioe' dal fatto 
che questo provvedimento arriva in Aula senza un voto delle Commissioni 
riunite non - come ha detto l’esimio presidente Contestabile - per 
attivita' ostruzionistica dell’opposizione, ma perche' c’e' stato un 
continuo ostruzionismo della maggioranza nei confronti di questo disegno di 
legge, che ha fatto sempre mancare il numero legale nel momento in cui si 
doveva votare. Un ostruzionismo cosi' pesante, anche dopo che era stato 
deciso di non procedere ulteriormente all’esame in Commissione, che due 
settimane fa ha indotto il sottosegretario Berselli a dire in una pubblica 
assemblea che il Governo avrebbe posto la questione di fiducia su questo 
provvedimento. Siccome con la "tagliola" dei tempi contingentati il voto di 
fiducia non sarebbe certamente contro l’ostruzionismo dell’opposizione, che 
ha le mani legate dal contingentamento stesso, evidentemente il Governo 
stava e sta pensando ad un voto di fiducia contro la sua stessa maggioranza 
per porre fine all’ostruzionismo che questa ha applicato fino ad oggi.

Del resto, e' inevitabile che questo succeda. Infatti, mentre la 
maggioranza del Senato ha lasciato languire il disegno di legge dal luglio 
dell’anno scorso fino ad oggi, e anche questa mattina la discussione 
avviene in maniera residuale, dato che ne discutiamo solo perche' qualcuno 
ha chiesto l’inversione dell’ordine del giorno - altrimenti nemmeno oggi 
avremo cominciato a discutere un testo che prevede la ratifica di un 
accordo internazionale per il quale tutto l’Ulivo era disponibile a votare 
immediatamente nel luglio scorso per consentire al Governo di recarsi il 23 
luglio 2000 a Farnborough insieme agli altri Paesi sottoscrittori 
dell’accordo -, in tutto il Paese altre parti della Repubblica - consigli 
regionali, provinciali e municipali - hanno posto attenzione a questo 
provvedimento e chiesto al Senato di procedere in modo tale da non 
danneggiare una buona legge quale la n. 185 del 1990.

E che ci sia bisogno, signor Presidente, di un ritorno in Commissione lo ha 
detto anche il Presidente del Senato, il nostro amato presidente Pera, 
incontrando un'altra parte della societa' italiana, quelle delle 
organizzazioni non governative, alle quali ha manifestato l'opinione che la 
discussione dovesse procedere nelle Commissioni riunite.

C'e' pero', Presidente - ed e' la ragione ultima della richiesta di rinvio 
in Commissione - un fatto nuovo, e cioe' che il 3 di febbraio di quest'anno 
uno dei partiti della maggioranza ha dichiarato, per bocca del suo 
Capogruppo, che intendeva approfondire questo disegno di legge per evitare 
di doversi pentire un domani di averlo votato. Noi abbiamo colto 
positivamente questo segnale, segno che nella maggioranza finiva 
l'ostruzionismo e cominciava l'approfondimento.

Adesso il presidente Contestabile ha annunciato all'Aula che questo 
ripensamento ha prodotto, o starebbe per produrre, un documento della 
maggioranza. Noi riteniamo, poiche' crediamo nell'Accordo di Farnborough, e 
crediamo nella legge n. 185 del 1990, che il risultato a cui la maggioranza 
e' arrivata possa essere oggetto di un breve e rapido approfondimento in 
Commissione, (breve, rapido, sui punti fondamentali) in modo tale che in 
quest'Aula possa svolgersi un dibattito vero che, utilizzando i tempi 
estremamente ristretti che per un provvedimento come questo sono stati 
concessi, li possa sfruttare al meglio per parlare non solo al Senato, ma 
alle centinaia di migliaia di persone che in questi mesi stanno con noi 
sostenendo la legge n. 185 del 1990. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e 
Verdi-U).


PRESIDENTE. Sulla proposta di rinvio in Commissione puo' prendere la parola 
un rappresentante per ogni Gruppo per non piu' di 10 minuti.


MALABARBA (Misto-RC). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, intervengo per appoggiare la 
richiesta del senatore Bedin di rinvio in Commissione. Non concordo con 
tutte le motivazioni esposte dal senatore Bedin, e neanche con 
l'osservazione del senatore Contestabile che tutte le opposizioni siano 
favorevoli ad una ratifica sic et simpliciter dell'Accordo di Farnborough. 
Noi non siamo stati d'accordo con quella impostazione perche' la riteniamo 
comunque una riduzione delle tutele garantite dalla legge n. 185 del 1990.

Tuttavia, prendiamo atto che nella stessa maggioranza ci sono delle 
riflessioni importanti, che sono state sollecitate da molte associazioni, 
soprattutto del mondo cattolico, che hanno incontrato parlamentari della 
maggioranza e dell'opposizione nelle scorse settimane, chiedendo di 
riflettere sulle implicazioni che potrebbero avere alcune delle modifiche 
che, introdotte per ragioni di carattere tecnico, in realta' incidono sulla 
possibilita' effettiva che vi sia trasparenza sul commercio delle armi, 
soprattutto in una situazione di guerre che si stanno estendendo su scala 
planetaria, e che non riguardano semplicemente i grandi bombardamenti o le 
grandi missioni, come quella contro l'Iraq , ma il commercio, ad esempio, 
delle armi leggere, di cui si occupa proprio l'Accordo di Farnborough.

Credo che sia particolarmente opportuno per la dialettica effettiva, reale, 
che si e' aperta nel corso della discussione in Commissione, e anche fra 
senatori della maggioranza e dell'opposizione, rinviare il provvedimento in 
Commissione per avere una formulazione piu' precisa, terminare l'esame 
degli emendamenti e svolgere una discussione piu' chiara e definita in Aula 
nelle prossime settimane.

Per tali motivi appoggio la richiesta di rinvio in Commissione di questo 
provvedimento.


Presidenza del presidente PERA


CONTESTABILE. Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


CONTESTABILE. Signor Presidente, al senatore Malabarba voglio dire che 
rispetto ovviamente molto la sua argomentazione, ma io mi riferivo 
all'opposizione in sede di Commissione difesa. Il suo Gruppo - purtroppo, 
dal mio punto di vista - in quella Commissione non e' rappresentato.

Ai senatori Bedin e Malabarba vorrei poi rivolgere una domanda: mi 
dovrebbero spiegare che cosa li scandalizza in questo disegno di legge che 
sia in piu' rispetto al disegno di legge firmato dall'onorevole D'Alema.


MARITATI (DS-U). Lo diciamo dopo.


CONTESTABILE. Vorrei che si comparassero, anche in questo caso 
sinotticamente, il disegno di legge D'Alema e questo disegno di legge, e mi 
si dicesse che cosa questo disegno di legge ha in piu' di scandaloso 
rispetto al disegno di legge D'Alema. Infatti, in una discussione 
approfondita in Commissione (si era gia' passati alla votazione, ragion per 
cui la discussione era stata ampia ed approfondita) io non ho mai sentito 
un accenno - dico un accenno - alle differenze fra questo disegno di legge 
e quello presentato dall'allora maggioranza, attuale minoranza, tali da 
giustificare questa opposizione cosi' rigida.

Per quanto riguarda il rinvio in Commissione del provvedimento, diciamo 
ovviamente no: non c'e' nessun motivo che la Commissione esamini di nuovo 
un provvedimento il cui iter non e' riuscita a portare a compimento, anche 
perche' il nostro Regolamento, purtroppo, prevede degli strumenti per 
limitare il pur legittimo ostruzionismo in Aula, mentre non prevede 
strumenti per limitare il pur legittimo ostruzionismo in Commissione.

Allora, non c'e' nessun motivo perche' il provvedimento torni in 
Commissione, se non quello di un ulteriore, pur legittimo, ostruzionismo, 
sul quale noi ovviamente non siamo d'accordo.

Senatore Bedin, ella ha parlato di ostruzionismo della maggioranza. Certo, 
nell'ambito della maggioranza ci sono problemi riguardo ad una legge 
relativa ad una materia cosi' delicata come quella degli armamenti; questi 
problemi pero' vengono risolti con un dibattito franco. Noi riteniamo che 
quello risultante da questa discussione sia un buon prodotto, che sara' 
ulteriormente migliorato con l'ordine del giorno che verra' presentato a 
nome dei Capigruppo e dei Presidenti delle Commissioni incaricate.

Non vi e' percio' nessun motivo - ripeto - per il ritorno in Commissione 
del provvedimento, e noi voteremo contro tale proposta.


MARTONE (Verdi-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


MARTONE (Verdi-U). Signor Presidente, intervengo per dichiarare il nostro 
voto favorevole alla proposta di rinvio in Commissione, che vorrei motivare 
con due ulteriori questioni.

La prima riguarda la ferma presa di posizione dei lavoratori e dei 
sindacati del settore, quelli che poi, tra l'altro, verrebbero coinvolti 
direttamente nella produzione di armi. Cio' dimostra anche una grande 
preoccupazione dei lavoratori e dei sindacati di quel settore 
dell'industria riguardo all'indebolimento che la proposta del Governo 
attuerebbe nei confronti della legge n. 185 del 1990.

La seconda riguarda l’elevato livello di mobilitazione popolare concernente 
questo provvedimento, proprio in un momento in cui il Paese sta vivendo una 
stagione importante di riattivazione delle attivita' della societa' civile 
e non soltanto da parte di settori tradizionalmente conosciuti per le loro 
posizioni pacifiste e antimilitariste.

Vorrei ricordare che lo stesso Vaticano, attraverso la CEI, si e' espresso 
in maniera molto determinata circa preoccupazioni logiche e fondate che 
purtroppo, a nostro avviso, non trovano adeguata risposta nell’ordine del 
giorno della maggioranza.

Tali preoccupazioni sono principalmente quattro. La prima concerne 
l’inserimento di un aggettivo semplice, "gravi", circa la condizionalita' 
alle esportazioni in Paesi in cui vengono violati i diritti umani. Le 
stesse associazioni internazionali per i diritti umani ritengono che 
l’inserimento di tale aggettivo serva soltanto ad aprire un’ipotesi 
interpretativa che indebolirebbe tale vincolo.

La seconda preoccupazione riguarda il problema della licenza globale di 
progetto e del controllo parlamentare. La terza concerne un’altra questione 
che non viene assolutamente risolta nell’ordine del giorno proposto dalla 
maggioranza, relativa al controllo e alla trasparenza sulle transazioni 
bancarie, che oggi, grazie alla legge n. 185 del 1990, permette a tutti i 
consumatori, a tutti i risparmiatori e al Parlamento stesso di conoscere 
meglio i contributi degli istituti di credito e finanziari al commercio di 
armi.

Risulta estremamente problematico comprendere l’attuale posizione del 
Governo al riguardo. Vorrei ricordare che la citata legge fu il frutto 
anche di uno scandalo concernente l’esportazione di armi in Iraq e il 
coinvolgimento di una banca italiana: la BNL. Proprio in seguito a quello 
scandalo si ritenne opportuno da parte del Parlamento di allora inserire 
delle modalita' di controllo e trasparenza.

Il fatto che oggi ci si preoccupi molto del terrorismo internazionale, del 
commercio di armi, dell’esportazione illegale di armi in determinati Paesi 
o verso cellule terroristiche, rende per noi ancor piu' incomprensibile la 
posizione del Governo, proprio perche' una parte della normativa proposta 
agevolerebbe triangolazioni illegali.

L’ultimo punto riguardo un aspetto importante della legge n. 185 del 1990, 
su cui avremo occasione di tornare in sede di discussione generale, 
concernente il vincolo al commercio di armi e alle priorita' di politica 
estera del nostro Paese. Le proposte messe in campo dal Governo sulla 
citata legge n. 185 di fatto vorrebbero declassare il livello di autorita' 
governativa o ministeriale preposta all’autorizzazione alle esportazioni. 
Oggi sono i direttori generali dei Ministeri competenti che devono 
concedere le autorizzazioni, domani sarebbero semplici funzionari. E questo 
e' un fatto essenziale non soltanto in termini formali ma anche in termini 
politici. Infatti a nostro avviso e' opportuno un vincolo ed un controllo 
di livello politico e non esclusivamente amministrativo.

Riteniamo quindi che vi siano ragioni chiare ed evidenti per un ritorno in 
Commissione, anche per interpellare il settore produttivo, i sindacati, la 
societa' civile e per comprendere se questa legge sia effettivamente in 
contrasto con le normative internazionali, con il codice di condotta 
europeo. Ricordo che quest’ultimo non impedisce ai Paesi membri di avere 
l’uno una normativa piu' stringente rispetto agli altri. In tal senso mi 
sento anche di respingere una delle sollecitazioni del Presidente della 
Commissione, poiche' c’e' un Paese membro, un Paese aderente all’Accordo di 
Farnborough, la Svezia, che continua a mantenere controlli parlamentari 
estremamente stringenti. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U e 
Misto-RC e del senatore Occhetto).


NIEDDU (DS-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


NIEDDU (DS-U). Signor Presidente, alle considerazioni gia' svolte dai 
colleghi a sostegno della proposta del senatore Bedin, vorrei aggiungerne 
altre molto brevi. Anzitutto desidero ricordare al presidente Contestabile 
che il disegno di legge n. 4431, presentato dal centro-sinistra nella 
scorsa legislatura, era alquanto diverso dal testo al nostro esame.

Per far capire ai colleghi di cosa si tratta, voglio ad esempio ricordare 
che i sistemi d’arma, ora inclusi nella licenza globale di progetto, erano 
da quel disegno di legge esclusi da quest’ultima. Inoltre il provvedimento 
di cui sto parlando, firmato dal presidente D’Alema, non era abbinato ad 
alcuna ratifica di Trattato internazionale come invece avviene ora. Si 
trattava di una proposta che il Parlamento poteva discutere, modificare o 
respingere, senza alcun raccordo o rapporto con la ratifica di trattati 
sottoscritti a livello internazionale dal nostro Paese. È questa un’altra 
ragione alquanto singolare che ci viene chiesto di condividere.

Per la prima volta in assoluto, io credo, nella storia parlamentare siamo 
di fronte ad un abbinamento che ha un risultato assolutamente negativo.

La legge n. 185 del 1990 fu varata dopo una lunga meditazione nelle Aule 
parlamentari, a seguito di un vasto ed esteso movimento di opinione. La sua 
approvazione e' un punto di riferimento non solo nel nostro Paese ma a 
livello internazionale, e ha posto l’Italia all’avanguardia nel settore del 
controllo democratico del commercio delle armi.

C’e' da chiedersi perche' un quadro di norme come quello della legge n. 185 
del 1990 non meriti, nel momento in cui ne viene proposta la revisione, 
altrettanto meditata attenzione anziche' un frettoloso e controverso esame. 
Tanto piu' che tale scelta, quella di separare la revisione della legge n. 
185 dalla ratifica dell'Accordo non confliggerebbe affatto con il fatto 
piu' rilevante e importante che e' appunto la ratifica dell'Accordo 
internazionale che noi abbiamo sottoscritto con gli altri quattro Paesi 
europei.

Per queste ragioni, il nostro Gruppo sostiene la proposta del collega 
Bedin. (Applausi dai Gruppi DS-U e Verdi-U e del senatore Bedin).


MARINO (Misto-Com). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


MARINO (Misto-Com). Signor Presidente, i Comunisti Italiani sosterranno la 
proposta del senatore Bedin. Noi riteniamo che l’Accordo quadro vada 
senz’altro ratificato, ma riteniamo altresi' che non si possa fare un uso 
strumentale della ratifica di tale Accordo per depotenziare l’impianto 
della legge n. 185 del 1990 rendendola meno rigorosa, soprattutto per 
quanto riguarda la trasparenza delle transazioni finanziarie e dell’uso 
finale delle armi.

Questo uso strumentale del momento della ratifica non ha nulla a che 
vedere, a nostro avviso, con quella che deve essere una politica comune 
europea nel campo della difesa.

Dopo i tanti sacrifici fatti per raggiungere il traguardo dell’Europa 
monetaria, noi Comunisti Italiani scegliamo come opzione strategica 
fondamentale per il nostro Paese la costruzione di un’Europa politica, di 
un’Europa che abbia una sua politica estera e di difesa comune.

Tutto questo, pero', non ha nulla a che vedere con il depotenziamento della 
legge n. 185 del 1990, che fa del nostro un Paese all’avanguardia per 
quanto riguarda il controllo e il commercio delle armi. Infatti, il 
commercio delle armi, senza un controllo rigoroso, non fa altro che 
generare nuovi conflitti e alimentare i conflitti in atto. Noi ci battiamo 
contro tutto questo, per cui appoggeremo la proposta del senatore Bedin. 
Siamo per la ratifica dell'Accordo, ma non per depotenziare la legge n. 
185. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e del senatore Bedin).


PRESIDENTE. Passiamo dunque alla votazione della proposta sospensiva, 
avanzata dal senatore Bedin.


Verifica del numero legale


BEDIN (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta 
risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento 
elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante 
procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


Il Senato non e' in numero legale.

Sospendo la seduta per venti minuti.


(La seduta, sospesa alle ore 11,39, e' ripresa alle ore 12,03).


Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1547

PRESIDENTE. Passiamo nuovamente alla votazione della questione sospensiva, 
avanzata dal senatore Bedin.




Verifica del numero legale


BEDIN (Mar-DL-U). Chiediamo la verifica del numero legale.


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta 
risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento 
elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante 
procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


(Alcuni senatori del centro-sinistra segnalano la presenza di luci accese 
fra i banchi della maggioranza a cui non corrispondere la presenza di alcun 
senatore. Proteste del senatore Garraffa).


Senatore Garraffa, per cortesia, le ho gia' rivolto un invito!

Il Senato e' in numero legale.



Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1547


PRESIDENTE. Metto ai voti la questione sospensiva, avanzata dal senatore 
Bedin, nel senso di un rinvio in Commissione del disegno di legge.

Non e' approvata.


TOIA (Mar-DL-U). Chiediamo la controprova.


PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova 
mediante procedimento elettronico.

Non e' approvata.


Dichiaro aperta la discussione generale.

Onorevoli colleghi, ricordo - si tratta, peraltro, di circostanza nota - 
che su questo disegno di legge non c’e' un relatore (tali non sono, 
infatti, ne' il Presidente della 3a, ne' il Presidente della 4a 
Commissione); quindi, non avranno luogo le repliche alla discussione 
generale, ne' si avra' l’espressione del parere sugli emendamenti.

È iscritto a parlare il senatore Malabarba, il quale, nel corso del suo 
intervento, illustrera' anche l’ordine del giorno G4. Ne ha facolta'.


MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, il 14 luglio 1990, nel corso della 
X legislatura, il Parlamento italiano ratifico' una legge, la n. 185, 
recante norme sull’industria e il traffico degli armamenti. Legge esemplare 
per l’Europa (cosi' venne definita dagli esperti), che stabiliva con 
precisione e rigore le condizioni per la produzione ed il commercio in un 
ambito delicato e pericoloso come quello della produzione militare e bellica.

Esattamente dieci anni dopo, il 27 luglio 2000, l’allora capo del Governo, 
Massimo D’Alema, sottoscrisse a Farnborough, con i Capi di Governo di altri 
cinque Paesi europei, un accordo finalizzato a facilitare l’import-export 
di armi all’interno dell’area oggetto dell’intesa intergovernativa. Di 
fatto, si trattava di un insieme di deroghe alla citata legge n. 185, che 
rendevano meno restrittivi i criteri e i controlli sul traffico di armi, 
purche' questo avvenisse fra i Paesi sottoscrittori dell’Accordo stesso.

In pratica, si trattava di un sistema per sostenere la produzione 
dell'industria degli armamenti e al tempo stesso per costruire degli 
escamotage alla restrizione della legge.

I vincoli della legge n. 185 del 1990 venivano cosi' aggirati dalla 
creazione di una sorta di area di libero scambio delle armi e degli 
armamenti tra Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia.

Ora, il Governo Berlusconi mette le mani sul gia' pessimo Accordo di 
Farnborough, facendo di tutto per peggiorarlo ulteriormente attraverso 
questo disegno di legge, che in sostanza concede mano libera alle imprese 
di guerra, ai commercianti di morte e ai Governi che li sostengono 
sottraendosi ad ogni limitazione.

Il peggioramento della legge n. 185 del 1990 e' palese, signor Presidente. 
Ad esempio, all'articolo 7 si parla di autorizzazioni e vengono fissate 
modalita' e regole per ottenerle dai Ministeri competenti, quelli della 
difesa e degli affari esteri.

Il Governo vuole che l'autorizzazione possa assumere anche la forma di 
licenza globale di progetto, rilasciata al singolo operatore quando 
riguardi esportazioni, importazioni o transiti di materiale di armamento, 
da effettuare nel quadro di programmi congiunti intergovernativi o 
industriali, di ricerca, sviluppo, produzione di materiali di armamento 
svolti con imprese di Paesi membri dell'Unione europea o della NATO con i 
quali l'Italia ha sottoscritto specifici accordi.

Come se non bastasse, il Governo sta tentando di far passare un inquietante 
articolo 13 in cui, tra l’altro, si legge: "Entro sessanta giorni dalla 
data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente 
del Consiglio dei ministri, sono determinate le condizioni per 
l'applicazione delle norme relative al segreto di Stato e alle notizie di 
cui e' vietata la divulgazione".

Significa, per essere chiari, che non solo si vogliono le mani libere, ma 
si tenta anche di far passare sotto silenzio coatto i traffici di morte che 
partono, arrivano e transitano entro i nostri confini nazionali.

Con l'approvazione di questo testo si rinuncia a talune clausole 
fondamentali della legge n. 185 del 1990, come la conoscenza del valore del 
progetto di difesa, il certificato di uso finale del sistema d'arma, le 
informazioni sulle transazioni bancarie: quanto basta per ritenere con 
fondatezza che le modifiche alla citata legge n. 185 comportano gravi 
effetti sulle misure di trasparenza e sui controlli all'esportazione di 
armi italiane, in particolare per quanto attiene all'esportazione verso 
Paesi in stato di conflitto, ovvero in zone a rischio in materia di 
violazione dei diritti umani.

La contrarieta' a questo disegno di legge si fonda su un'altra 
considerazione: la proposta di legge italiana non limita l'introduzione di 
criteri di facilitazione e ristrutturazione dell'industria bellica 
esclusivamente alle coproduzioni con i partner privilegiati dell'Accordo 
quadro di Farnborough (ossia Francia, Germania, Svezia e Regno Unito), piu' 
affidabili dal punto di vista delle politiche di controllo 
sull'esportazione di armi, ma estende i princi'pi dell'accordo quadro a 
tutti i programmi di coproduzione intergovernativi e interindustriali di 
produzione, ricerca e sviluppo di materiale di armamento condotti con 
imprese di Paesi dell'Unione Europea e della NATO.

Alcuni di questi hanno legislazioni oltremodo permissive e controlli poco 
rigorosi. Il rilascio della licenza globale di progetto nei confronti di 
questi partner equivarrebbe ad un'abdicazione di sovranita' e 
responsabilita' da parte dell'Italia, in profondo contrasto con la 
normativa vigente, che pone il nostro Paese in una posizione di avanguardia 
per la costruzione di una potenziale regolamentazione europea di 
trasparenza e controllo nel commercio di armi.

L'esigenza di uno sforzo politico in questa direzione risulta tanto piu' 
importante nella contingenza seguita all'attacco terroristico dell'11 
settembre 2001 negli Stati Uniti.

Sarebbe, infatti, una paradossale contraddizione se l'Italia, mentre figura 
come uno degli attori piu' convinti dell'alleanza contro il terrorismo 
internazionale, consentisse, per altro verso, una cornice normativa tale da 
favorire la produzione e il trasferimento di sistemi d'arma al di fuori di 
un'ottica di necessario coordinamento con le priorita' della sua politica 
estera.


Presidenza del vice presidente CALDEROLI


(Segue MALABARBA). Le conseguenze sulla legge n. 185 del 1990 sono le 
seguenti: scompaiono, nella domanda di autorizzazione all'esportazione, i 
riferimential numero dei pezzi, al valore, al destinatario finale, alle 
intermediazioni finanziarie sia per i pezzi e i componenti esportati, sia 
per il prodotto finito; non si applica, inoltre, il sistema di controllo 
previsto dalla vigente legge per le normali esportazioni.

Tali esportazioni sono esenti dai controlli bancari e non vengono richiesti 
ne' certificato di arrivo a destinazione, ne' il certificato di uso finale. 
Informazioni, procedure e controlli sono drasticamente ridotti non solo per 
i singoli pezzi e componenti esportati, ma anche per il prodotto finito. Le 
esportazioni non riguardano soltanto gli scambi tra i Paesi della NATO e 
l'Unione europea, ma anche la destinazione del materiale coprodotto 
dall'Italia e assemblato in un Paese partner a Paesi terzi o privati.

Il Governo chiede di essere informato solo sulla destinazione intermedia e 
non anche su quella finale del materiale coprodotto; in altre parole, il 
rilascio della licenza equivale a una delega in bianco sulla scelta dei 
Paesi di destinazione finale - anche extraeuropei o extra-NATO, anche 
repressivi o aggressivi, ovvero privati inaffidabili - alle autorita' del 
Paese con cui si coproduce, senza che le nostre autorita' possano 
controllare alcunche'.

Nel caso di autorizzazione globale di progetto, vengono drasticamente 
limitati il grado di trasparenza e il potere di indirizzo e di controllo 
parlamentare. Per cio' che concerne le esportazioni che godono di 
autorizzazione globale, scompariranno dalla relazione informazioni circa 
valore, destinatario finale e controlli bancari; non sara' nemmeno piu' 
possibile desumere dalla relazione - come negli anni passati - un quadro 
completo e corretto del valore delle nostre esportazioni e avere un quadro 
chiaro delle esportazioni per Paese e per valore.

Il disegno di legge reca un'ulteriore modifica con riferimento al divieto 
di esportare in Paesi i cui Governi siano responsabili di accertate 
violazione dei diritti umani. Il nuovo testo precisa che le violazioni 
delle convenzioni devono essere gravi e accertate dai competenti organi 
dell'Unione europea e dell'ONU. L'aggiunta dell'aggettivo "gravi", che 
restringe la cerchia dei Paesi che ricadono all'interno del divieto, viene 
motivata con la necessita' di adeguarsi al criterio 2 del Codice di 
condotta europeo in materia di esportazione di armi, che prevede la 
specificita' delle gravi violazioni dei diritti dell'uomo. Merita precisare 
che tale Codice di condotta, approvato nel 1998 e non vincolante 
giuridicamente, e' stato inteso come base di partenza, come minimo comune 
denominatore rispetto al quale costruire una regolamentazione piu' rigorosa 
e vincolante.

Rifondazione Comunista, nel dichiarare la propria contrarieta' a questo 
disegno di legge, ha presentato una serie di controproposte e di 
emendamenti per cercare di contenere le bordate del centro-destra. In 
particolare, chiediamo che in nessun caso le previsioni dell'accordo 
possano essere intese per aggirare, eludere o diminuire l'efficacia delle 
prescrizioni della legge n. 185 del 1990; chiediamo inoltre che il Governo 
riferisca entro trenta giorni alle Camere sugli esiti degli eventuali 
ricorsi alle procedure di consultazione e decisione per i programmi ai 
quali l'Italia partecipi a qualsiasi titolo.

Chiediamo che la relazione di cui all’articolo 4 contenga indicazioni 
analitiche sui programmi in corso, realizzati o previsti in base 
all'accordo quadro. Dovranno, in particolare, essere indicati gli accordi 
intergovernativi o interaziendali conclusi, lo stato di attuazione degli 
stessi, i materiali di armamento prodotti in termini di valore e di 
quantita', la partecipazione di aziende site sul territorio nazionale.

E' evidente che tutto cio' costituisce un ingombrante apparato di vincoli 
che limita la liberta' di azione delle lobby dei produttori di armi ed e' 
del tutto naturale che da queste lobby venga la richiesta di alleggerire - 
e possibilmente di cancellare del tutto - i lacci e lacciuoli che limitano 
la liberta' di produzione e di commercio delle armi.

Vorrei qui sottolineare, per quel che vale, che in questo caso non si 
tratta di una qualsiasi liberta' di mercato nella logica della liberta' del 
mercato cosi' cara ai sostenitori del neoliberismo, che abbondano in 
Parlamento; in questo caso si tratta di una liberta' di mercato tutta 
speciale, che determina liberta' di fare la guerra perche' le due cose, 
come sempre, stanno insieme: produrre le armi e tentare la guerra, 
favorirla, alimentarla.

Il testo che stiamo discutendo ha suscitato, come credo sia ampiamente noto 
ai colleghi e alle colleghe che in questi giorni si sono visti recapitare 
centinaia di lettere e appelli, critiche molto aspre e proteste da parte 
del mondo pacifista e delle associazioni che operano per la difesa dei 
diritti umani, nonche' dalla Conferenza episcopale italiana. Credo che di 
queste proteste si debba parlare, ponendole al centro del dibattito 
anziche' tentare di renderle funzionali ad un ragionamento sulle armi che 
svuota, in realta', le proteste stesse della loro istanza piu' feconda: 
l'aspirazione ad un mondo in pace.

Si e' verificata una vera e propria mobilitazione, con una iniziativa 
diffusa e determinata, che ancora una volta ha rimesso in movimento in 
Italia - vi e' un ricorrente mettersi in movimento sul tema del controllo 
delle armi - quel grande popolo pacifista che, con straordinaria passione 
civile e impegno politico, ha occupato spesso in tutti questi mesi la scena 
politica del nostro Paese per ribadire il valore dell'articolo 11 della 
Costituzione italiana, per contrastare quella nuova cultura di guerra che 
rende legittima e possibile la politica della guerra, per di piu' nella 
nuova dimensione di guerra infinita e indefinita.

Questi sono i motivi che spingono il Gruppo di Rifondazione Comunista, gia' 
da ora, a dichiarare il proprio voto contrario su questo disegno di legge.

Per quel che riguarda l’ordine del giorno G4, formulero' il sostegno al 
medesimo intervenendo per dichiarazione di voto.


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Nieddu. Ne ha facolta'.


NIEDDU (DS-U). Signor Presidente, diro' subito che il nostro Gruppo e' 
favorevole alla ratifica dell'Accordo di Farnborough cosi' come richiamata 
negli articoli 1 e 2 del provvedimento in esame.

Con tale Accordo non siamo ancora pervenuti alla definizione di una 
politica e di un sistema dell’intera Unione in materia di industria della 
difesa, piuttosto esso da' corpo alla volonta' dei sei Paesi sottoscrittori 
di avviare la cooperazione nel delicato e strategico settore dell’industria 
della difesa, questione rilevante per l’economia europea e per un futuro, 
piu' equilibrato rapporto transatlantico oggi segnato dal crescente divario 
delle capacita' militari tra Stati Uniti e alleati europei.

L’Accordo dara' un importante contributo per porre le basi al necessario 
processo di integrazione europea nel settore dell’industria militare e 
anche - a mio parere - un contributo per la trasparenza nella 
progettazione, realizzazione, commercializzazione dei sistemi e 
concorrera', grazie alla disciplina comunemente condivisa dai Paesi 
sottoscrittori, a ridurre gli spazi del mercato clandestino delle armi.

La rilevanza dell’Accordo e' evidente anche sotto altri profili. In primo 
luogo, l’industria della difesa e' strategicamente essenziale alla politica 
estera di sicurezza e difesa di livello europeo. In secondo luogo, e' 
chiara l’urgenza di massimizzare il ritorno degli investimenti in settori 
tecnologicamente tra i piu' avanzati e spesso dual use creando la massa 
critica sufficiente a competere e/o collaborare con l’analoga industria 
d’oltre Atlantico. In terzo luogo, l’industria della difesa e' materia 
tuttora esclusa da quelle richiamate nel Trattato dell’Unione, anche 
riguardo alle cooperazioni rafforzate tra i Paesi membri.

L’Accordo apre la strada alla necessita' di superare questi limiti per 
sviluppare in Europa sinergie su dimensione sovranazionale in tutte le 
materie connesse alle problematiche della PESD. Ci sono illustri 
precedenti, rilevanti intese su altre materie connesse alla sicurezza 
assunte in un primo momento solo da alcuni Stati membri, come quelli 
relativi agli Accordi di Schengen stipulati nel 1985 e nel 1990, 
successivamente codificati in un sistema di regole comuni a tutti i Paesi 
e, infine, ricompresi nei Trattati dell’Unione in occasione della revisione 
dei medesimi operata ad Amsterdam nel 1997.

Attualmente i Paesi europei che cooperano in termini di industria della 
difesa nel quadro dell’OCCAR e della LOI rappresentano il 90 per cento 
della produzione europea del settore. Dunque, la valenza operativa e 
politica di questa cooperazione derivante dall'Accordo di Farnborough si 
pone in una coerente logica evolutiva dell’interesse a concretare la 
dimensione europea dell’identita' di difesa e sicurezza; identita' 
indispensabile a superare i limiti delle singole politiche di sicurezza 
nazionali, per quella piu' adeguata responsabilita' dell’Europa nel 
contribuire alla propria sicurezza e a quella globale del pianeta 
conformemente ai princi'pi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto 
internazionale. Ma la realizzazione, non la velleitaria declamazione di 
tale funzione dell’Europa attraverso una effettiva ed efficace politica 
estera comune puo' esservi solo se accompagnata da una credibile dimensione 
militare.

In questi giorni, dalla crisi irachena, a mio parere viene una lezione. Da 
piu' parti si lamenta criticamente l’imporsi di una linea unilaterale 
dell’amministrazione statunitense, unico Paese egemone sulla scena 
internazionale in assenza di contrappesi da parte di altri soggetti.

Risaltano, dunque, i limiti dell'Europa; risalta l'importanza di avere 
effettivamente una politica estera europea. Tuttavia, non vi e' chi non 
veda quanto siano strettamente connesse le questioni di politica estera con 
quelle relative alla capacita' di disporre di adeguati potenziali negli 
strumenti di difesa e sicurezza. E qualsiasi credibile dimensione di tali 
strumenti sarebbe insussistente senza un'industria europea capace di 
fornire autonomamente la tecnologia militare piu' avanzata, che si tratti 
di apparati di controllo e comunicazioni satellitari, o dei piu' avanzati 
sistemi d'arma.

Chi, come noi, crede nell'Europa politica, oltre che nella dimensione 
monetaria ed economica, sa che PESD e PESC sono fattori essenziali di 
questo processo, che risulta decisivo ai fini della pace e della sicurezza 
globali e di un effettivo multilateralismo nella gestione delle tensioni e 
dei conflitti. Per questo insieme di ragioni diamo un convinto consenso 
alla ratifica. Le ho sommariamente ma necessariamente richiamate per 
evitare equivoci e chiarire che stiamo ratificando un Accordo che va ben 
oltre le mere finalita' commerciali in materia di armamenti.

Tuttavia, signor Presidente e onorevoli colleghi, in parti rilevanti 
dell'opinione pubblica, delle associazioni socialmente e politicamente 
impegnate sui temi dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi piu' 
poveri, vittime principali del mercato clandestino delle armi, ed anche in 
alcuni consigli regionali e in tanti Comuni, si e' insinuato l'atroce 
dubbio che il provvedimento al nostro esame, poiche' non si limita alla 
ratifica dell'Accordo, sia l'occasione per scardinare i principi e la 
normativa della legge n. 185 del 1990. È una preoccupazione a nostro parere 
oggettivamente fondata, che non puo' essere rimossa con fastidio, o 
ambiguamente ignorata. È infatti quanto meno un errore non aver distinto, 
anzi avere unito la ratifica alla modifica della legge n. 185 del 1990. Ma 
e' un errore che puo' ancora essere rimediato approvando gli articoli 1 e 2 
e stralciando gli articoli seguenti del provvedimento, rinviandoli nelle 
Commissioni, che non hanno potuto concluderne l'esame. Ci sembra una 
proposta ragionevole, che consentirebbe un esame sereno e libero da 
ingiustificate urgenze di revisione della legge n. 185 del 1990.

Si darebbe cosi', anche attraverso eventuali audizioni delle organizzazioni 
non governative cattoliche e laiche, una risposta positiva a quelle 
sollecitazioni tese ad ottenere una migliore capacita' di ascolto del 
Parlamento, sollecitazioni, peraltro, formalizzate con la consegna al 
presidente Pera di circa 80.000 firme di nostri concittadini. Del resto, il 
varo della legge n. 185 fu lungamente mediato e la sua approvazione e' 
stata un segnale di grande avanzamento democratico per il nostro Paese. 
Perche', dunque, andare ad una versione frettolosa e controversa?

Dopo 12 anni io penso non vi debba essere alcuna rigidita' ne' cecita' 
mentale riguardo alla revisione, sia per correggere i limiti della legge n. 
185, che alla luce dell'esperienza evidenziano casi di aggiramento delle 
sue norme, sia adeguandola al nuovo quadro di cooperazione internazionale, 
vale a dire a strumenti quali la licenza globale di progetto da essa 
derivanti, ma in ogni caso preservandone i princi'pi e le finalita' e un 
quadro di norme efficaci nel contrastare abusi e spregiudicate operazioni 
in un ambito sensibile, quale quello del commercio degli armamenti. 
Esigenza, direi, oggi ancora piu' stringente del passato, per le evidenti 
connessioni che tale controllo ha nella prevenzione dei conflitti in 
generale e dei nuovi drammatici rischi alla sicurezza derivanti dalle nuove 
minacce rappresentate dal terrorismo internazionale.

Il sottosegretario Berselli, qui presente, a nome del Governo, alle 
richieste di stralcio avanzate dall'opposizione in Commissione, ha 
amabilmente risposto ricordando che nella scorsa legislatura il 
centro-sinistra ha presentato al Senato il disegno di legge n. 4431 di 
modifica della legge n. 185 del 1990, ben sei mesi prima della firma 
dell'Accordo di Farnborough.

Indubitabilmente cio' dimostra che al Parlamento si era chiesto di valutare 
l'eventuale modifica della legge n. 185 del 1990: esso era chiamato a 
pronunciarsi accogliendo, modificando o respingendo quel disegno di legge; 
ma dimostra anche che quella riflessione non era abbinata, inusualmente, 
come invece avviene oggi, alla ratifica di alcun trattato internazionale.

Va altresi' detto che il testo proposto in quel disegno di legge del 
Governo D'Alema era molto diverso nei contenuti da quello al nostro esame 
oggi. Infatti, i sistemi d'arma, che rappresentano il tema di maggiore 
polemica, ora inclusi nella licenza globale di progetto, li', in quel 
disegno di legge viceversa erano esclusi.

Il sistema delle proroghe e quello delle transazioni bancarie vengono 
trattati, in questo disegno di legge del Governo, in maniera piuttosto 
difforme dalla proposta del Governo D'Alema.

In ogni caso, ritengo piu' costruttivo, per l'interesse generale che qui 
dovremmo rappresentare, un approccio che consenta al Senato di sviluppare 
un confronto aperto tra maggioranza ed opposizione su temi cosi' rilevanti 
per la sicurezza comune e cosi' tanto sentiti dall'opinione pubblica.

Noi vogliamo dare un contributo in tal senso. Ho gia' detto che la legge n. 
185 del 1990 e' stata una legge che complessivamente ha ben funzionato, 
anche se non ha impedito del tutto abusi e pratiche non trasparenti. È 
evidente che l'introduzione di strumenti come la licenza globale di 
progetto pongono il tema dell'aggiornamento. La nostra posizione e' la 
seguente: siamo chiari nel difendere i princi'pi e l'impianto e le 
finalita' della legge n. 185 del 1990 e, proprio perche' vogliamo che le 
finalita' siano preservate, riteniamo necessario valutare adeguatamente 
l'impianto normativo con estrema serieta' e ponderatezza. Vorremmo fare 
questo con il tempo necessario.

Non condividete questa posizione? Non va bene? (Richiami del Presidente). 
Ma allora non irrigiditevi sulla emendabilita' del testo. La ragione di 
urgenza che avete addotto in Commissione, quella di approvare il testo 
senza modifiche, per consentire al Ministro della difesa di arrivare 
all'appuntamento di Farnborough con la ratifica del Parlamento in tasca, e' 
ormai alle nostre spalle. Se aveste accettato allora lo stralcio, il 
Ministro (Richiami del Presidente) sarebbe arrivato a Farnborough con la 
ratifica approvata dal Parlamento. Signor Presidente, un secondo e ho 
finito. Cosi' non e' stato e dispiace che l'Italia sia l'unico Paese, tra i 
sei firmatari, a non aver ancora ratificato l'accordo.

Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, non vi e' alcuna 
ragione plausibile perche' il testo sia blindato. Il nostro voto sul 
provvedimento, fatto salvo quello favorevole agli articoli 1 e 2, sara' 
conseguente alla disponibilita', da parte del Governo e della maggioranza, 
all'accoglimento di pochi, limitati ma significativi emendamenti che 
abbiamo presentato. Tra questi, rilevanti consideriamo quelli relativi: al 
certificato di uso finale, per impedire il noto meccanismo delle 
triangolazioni; alla prorogabilita' della licenza globale di progetto, 
certamente fattibile ma senza acritici automatismi; alla necessita' di 
individuare con precisione i soggetti giuridici nell'ambito della pubblica 
amministrazione ai quali competono le responsabilita' del controllo sulla 
movimentazione e sulla consegna del materiale militare; infine, alla 
necessita', anche in presenza della licenza globale di progetto, di 
preservare le prerogative di trasparenza e controllo sui flussi di denaro 
da parte del Governo e di quest'ultimo nei confronti del Parlamento 
sull'attivita' degli istituti di credito che operano in materia di 
armamenti. (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Bedin e Peterlini).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Martone. Ne ha facolta'.


MARTONE (Verdi-U). Signor Presidente, vorrei svolgere nel mio intervento 
anzitutto una serie di osservazioni politiche generali, che riguardano, 
come gia' evidenziato dal senatore Nieddu, la relazione che intercorre tra 
l'industria europea della difesa e la necessita' di avere una politica 
estera coerente da parte dell'Unione, per poi aggiungere, alle 
preoccupazioni gia' espresse dai miei colleghi, ulteriori valutazioni.

La prima osservazione riguarda la relazione che esiste tra il processo di 
definizione della riforma dell'industria militare europea e quello di 
definizione della politica estera comune, non soltanto quella vincolata o 
limitata al settore della PESC. Va infatti notato che la prima anticipa il 
processo di integrazione tra i Paesi dell'Unione europea e la definizione 
delle scelte di politica estera. Il rischio quindi e' quello di trovarci di 
fronte a una situazione di "scollatura", dove il processo sembra essere 
improntato prioritariamente al riassetto dell'industria militare e 
secondariamente alla definizione del ruolo dell'Europa nella politica 
internazionale.

Noi riteniamo che invece debba essere il contrario.

Per comprendere le ragioni e i fondamenti di questa nostra preoccupazione, 
vorrei fare un salto indietro nel tempo e cercare di comprendere come si e' 
arrivati all’Accordo di Farnborough. Nel 1992 la UEO istituisce il WEAG 
(Western European Armament Group), al fine di stimolare la cooperazione tra 
gli Stati membri nel settore degli armamenti, che avrebbe poi portato alla 
razionalizzazione del mercato europeo e all’istituzione di un’Agenzia 
europea degli armamenti.

Nella comunicazione del dicembre del 1997 la WEAG riafferma che 
l’elaborazione di una politica europea degli armamenti e' condizione 
essenziale per lo sviluppo di una identita' europea di difesa nell’ambito 
della PESC.

Viste le difficolta' di procedere a livello comunitario, alcuni Paesi 
membri decisero poi di prendere l’iniziativa. Nasce nel 1996 l’OCCAR 
(Agenzia per la gestione dei programmi di coproduzione, promossi da due o 
piu' Stati membri). L’OCCAR di fatto si e' insediata come strumento di 
pressione, di lobby, degli Stati nazionali verso il contesto istituzionale 
dell’Unione europea.

Nell’aprile del 1998 Germania, Francia, Spagna, Inghilterra e Italia, e 
successivamente Svezia, hanno adottato una dichiarazione congiunta 
sull’armonizzazione degli apparati produttivi dell’industria militare e nel 
luglio del 1998 una lettera di intenti per la ristrutturazione del settore 
della difesa. Nel settembre del 1998 venne poi sottoscritto un accordo per 
dotare l’OCCAR di personalita' giuridica a stipulare direttamente contratti 
con le industrie. Nel luglio del 2000 il processo si concluse con la firma 
dell’Accordo di Farnborough, oggetto della nostra discussione.

Risulta evidente, alla luce di questa breve ricostruzione storica, il 
livello di subalternita' della politica estera alla politica di difesa e 
degli interessi dell’apparato industriale militare: il segnale politico che 
ne deriva non e' certamente incoraggiante, seppure va ammesso che nel 
quadro della logica dominante la solidita' della politica estera viene 
tuttora e purtroppo commisurata alla forza delle armi.

In linea teorica possiamo anche condividere la necessita' di contrapporre 
al dominio statunitense su scala globale un secondo polo, e questo polo 
altri non puo' essere se non l’Unione Europea. Resta pero' un interrogativo 
che riguarda il tipo di Europa che vogliamo, quale Europa di pace e di 
diritti si puo' costruire sulla base della discrasia qui illustrata e quali 
garanzie esistono affinche' la elaborazione della politica estera comune 
non venga influenzata o dettata dagli interessi dell'industria militare.

In questo senso ancor piu' importanza riveste il processo verso la 
Costituzione europea ed in questo senso riteniamo urgente un chiarimento da 
parte del Governo. Ora, la posizione della forza politica alla quale 
appartengo riconosce legittimita' e centralita' alla elaborazione di una 
politica di difesa comune, quindi noi certamente ratificheremo l’Accordo di 
Farnborough, tuttavia, aggiungo io, questo percorso deve necessariamente 
passare attraverso un processo improntato in maniera diversa da quella alla 
quale assistiamo, nel quale il settore degli armamenti e della difesa 
militare non puo' e non deve avere supremazia rispetto all'elaborazione di 
pratiche di prevenzione non violenta dei conflitti, di disarmo e di 
rafforzamento della diplomazia di pace. Questo per quanto riguarda gli 
aspetti piu' prettamente politici della discussione in atto.

Esistono poi altre gravi preoccupazioni, relative all'uso singolare che il 
Governo fa di questa legge di ratifica, quale una sorta di cavallo di Troia 
per operare modifiche all'impianto della legge n. 185 sul controllo e la 
trasparenza del traffico di armi. Alcune di queste preoccupazioni sono gia' 
state espresse dai miei colleghi. Vorrei aggiungere che, a nostro avviso, 
esiste un errore concettuale nell’intendere l'Accordo di Farnborough come 
un accordo sulla commercializzazione di armi piuttosto che nel suo 
obiettivo fondante ovvero la cooperazione e la ristrutturazione 
dell'industria europea della difesa.

Riteniamo, e condivido l’osservazione del senatore Malabarba, che 
introdurre un ammorbidimento dei controlli pubblici sull'industria in 
oggetto risponde ad una logica culturale ed ideologica di chiara 
ispirazione neoliberista, secondo la quale il mercato per poter crescere 
deve liberarsi di ogni laccio e lacciuolo rappresentato dalle normative di 
controllo e restrittive dei Governi.

Vorrei cercare di analizzare alcuni dei punti a nostro avviso piu' 
preoccupanti concernenti questa legge. Il primo concerne la 
discrezionalita' dell'Esecutivo in quanto al divieto di esportare verso 
Paesi dove vengono compiute violazioni dei diritti umani.

La legge n. 185 del 1990 afferma il principio imprescindibile che vincola 
l’esportazione alle priorita' di politica estera ed ai princi'pi 
costituzionali e di diritto internazionale. La proposta di revisione 
contempla l'introduzione del concetto di "gravi" violazioni dei diritti 
umani, come sanzionate dall'ONU, Consiglio d'Europa e Unione Europea.

Riteniamo che l’introduzione di questo aggettivo apra un livello di 
discrezionalita' e di valutazione che di fatto indebolisce questo vincolo. 
Inoltre, la giustificazione che viene addotta dal Governo per tale 
emendamento non sembra essere fondata, poiche' si fa riferimento appunto al 
necessario adattamento al Codice di condotta europeo (criterio 2), ma tale 
Codice di condotta anzitutto non e' vincolante e, in secondo luogo, non 
ostacola il diritto degli Stati membri ad operare politiche nazionali piu' 
restrittive.

Inoltre, la legge n. 185 prevedeva il divieto di esportare verso Paesi che 
si fossero resi responsabili di violazioni di diritti umani o che fossero 
in conflitto.

Dalla data dell’approvazione della legge n. 185, pero', e' emersa una nuova 
fattispecie, importante, che sottende anche alla necessita' di garantire 
una maggiore coerenza di questa legge nei confronti delle priorita' di 
politica estera del nostro Paese. Faccio riferimento, soprattutto, alla 
lotta alla poverta' e alla cancellazione del debito.

Giova infatti rammentare che almeno un terzo del debito estero dei Paesi 
poveri, circa 2.400 milioni di dollari, e' correlato all’acquisto di armi 
da imprese dei Paesi che a quei Paesi avevano concesso crediti.

Va anche ricordato che il G8 piu' volte ha affermato l’urgenza di 
condizionare l’accesso ai programmi di riduzione e cancellazione del debito 
all’impegno da parte di quei Governi di non utilizzare i fondi cosi' 
liberati per l’acquisto di armi, ovverosia spese non produttive. Anzi, i G7 
hanno anche sostenuto un regolamento OCSE per il divieto della concessione 
di crediti all’export per l’esportazione di beni non produttivi quali armi 
verso i Paesi poveri maggiormente indebitati. E la stessa iniziativa 
europea di liberalizzazione, tranne le armi, "Everything but Arms" va verso 
la stessa direzione. Mi sembra opportuno ricordare la necessita' che 
Governo e Parlamento reiterino questo divieto considerando che, secondo la 
relazione annuale del 2001, riguardante appunto la legge n. 185 e il 
commercio, l’esportazione e il transito di armi, nonostante le commesse per 
l’Africa siano diminuite, sono continuate le forniture a Paesi poveri ed 
indebitati quali Nigeria, Mauritania, Kenya, Ghana, Zambia e Honduras. Lo 
stesso Peru', che oggi e' sottoposto ad un programma di riconversione del 
debito per programmi di sviluppo sociale e lotta alla poverta' avrebbe 
negoziato con l’Italia l’acquisto di alcune corvette militari.

Inoltre, nel suo rapporto del 2002, relativo al commercio e 
all’esportazione di armi da parte dei Paesi del G8, Amnesty International 
nel capitolo relativo all’Italia, oltre ad esprimere preoccupazione 
riguardo al progetto di modifica della legge n. 185, riporta casi di gravi 
violazioni di diritti umani in Nigeria e Kenya. Solo nel 2001, in Kenya, 
sono state uccise almeno 18 persone in situazioni assimilabili ad 
esecuzioni extragiudiziarie e continuano tortura e brutalita' della polizia.

Questo per quanto riguarda, quindi, la necessita' di vincolare il commercio 
di armi e la normativa di controllo e di indirizzo riguardo 
all’esportazione di armi a linee di politica estera che siano cogenti e 
improntate effettivamente verso il rispetto di priorita' quali quelle della 
lotta alla poverta', cancellazione del debito, prevenzione dei conflitti e 
rispetto dei diritti umani.

Passiamo ora invece alla fattispecie specifica di cui discutiamo.

Per quanto riguarda la licenza globale di progetto, la cosa che a noi 
preoccupa e' che tale licenza autorizzi l’export-import di armi non solo 
per programmi intergovernativi degli Stati parte dell’Accordo, ma anche di 
coproduzioni industriali con Paesi dell’Unione Europea e/o della NATO.

Le proposte riforme eliminano le informazioni sui valori dei contratti, sul 
numero dei pezzi da esportare, nonche' controlli bancari, certificato di 
uso finale, destinazione finale sia di singoli pezzi che del prodotto 
intero. Se dovesse passare la proposta del Governo e della maggioranza, 
tali informazioni scompariranno dalla relazione annuale al Parlamento. E io 
mi appello a tutti i parlamentari, in quanto tali, perche' ritengo che sia 
un nostro diritto fondamentale quello di avere accesso a queste 
informazioni e poter quindi vigilare affinche' il nostro Paese non 
contribuisca, direttamente o indirettamente, a situazioni gravi di 
conflitto, di violazioni di diritti umani. Riguarda proprio il nostro ruolo 
come parlamentari, a prescindere dagli schieramenti politici o di appartenenza.

Inoltre, cosa ancora piu' grave, sia il Governo che noi parlamentari non 
verremo informati sulla destinazione finale del materiale, se questo viene 
assemblato in un Paese partner ed esportato in un Paese terzo. La legge n. 
185, invece, prevede l’obbligo, da parte di chi volesse riesportare quel 
prodotto o quell’arma, di chiedere l’autorizzazione al Governo italiano. 
Quindi quel Governo puo' entrare in collaborazione con il Governo italiano 
e questo strumento risulta essere estremamente utile e importante per 
garantire maggiore cooperazione a livello internazionale e per prevenire 
traffici o triangolazioni illeciti.

Il Governo, infatti, con l’introduzione della certificazione di 
destinazione intermedia abolirebbe del tutto la certificazione d’uso 
finale. Il Gruppo politico al quale appartengo non ritiene che le soluzioni 
indicate nell’ordine del giorno preannunciato dal presidente Contestabile e 
messe nell’agenda della maggioranza vengano incontro al 100 per cento a 
queste preoccupazioni.

Inoltre, la proposta "lista bianca" che i sei Paesi firmatari possono 
redigere a loro discrezione non sembra certamente essere uno strumento 
affidabile. Tale lista contiene le destinazioni accettabili verso le quali 
potranno essere esportate le armi, ma le stesse non verranno rese pubbliche 
per ragioni di riservatezza commerciale.

Cio' significherebbe dire che almeno il 30 per cento delle vendite di armi 
italiane verrebbe escluso da ogni controllo trasparente e vincolante, visto 
che questa, oggi, e' la percentuale delle vendite per le coproduzioni 
governative; una percentuale che, pero', negli anni e' destinata a crescere 
e quindi potrebbe aumentare anche il rischio di minor trasparenza e minor 
controllo parlamentare sull’intera produzione bellica italiana.

La legge n. 185 del 1990, invece, prevede un sistema di controllo con 
chiare procedure di rilascio delle autorizzazioni e meccanismi di controllo 
successivi, al fine di ridurre sempre piu' il commercio illecito di armi. 
Inoltre, la modifica alla legge n. 185 proposta dal Governo renderebbe non 
obbligatoria la pubblicazione delle intermediazioni finanziarie, mentre le 
autorizzazioni a licenze globali di progetto verrebbero esentate da 
controlli bancari. Questo mi risulta non rientrare nei prerequisiti 
fondamentali internazionalmente riconosciuti di "due diligence" e di 
trasparenza del settore bancario.

La legge n. 185, invece, consente ad ogni cittadino di poter esercitare il 
suo sacrosanto diritto di scelta, in quanto risparmiatore, ovvero di 
decidere se permettere o meno che i suoi risparmi vengano usati per scopi 
contrari alla propria etica o ai propri convincimenti morali, ed inoltre 
mantiene un necessario meccanismo di trasparenza e scrutinio pubblico sul 
settore bancario.

Un ultimo punto riguarda un aspetto che il disegno di legge in oggetto non 
puo' toccare, ma che e' strettamente collegato al traffico illegale di armi 
leggere e alla mancanza di trasparenza del mercato. A tale proposito vorrei 
aprire un inciso. La nostra posizione riguardo alla legge n. 185 del 1990 
non sta nel dire che essa e' scolpita nella pietra. Esistono in quel 
provvedimento delle lacune, riguardanti soprattutto le armi leggere e le 
armi dichiarate sportive, che dovrebbero essere colmate con un intervento 
del Parlamento.

Mi riferisco, in particolare, alle ipotesi in cui i proventi derivanti dal 
commercio illegale di risorse naturali vengono utilizzati per l’acquisto di 
armi leggere. Un caso che coinvolge direttamente il nostro Paese riguarda 
l’importazione illegale di legname dalla Liberia da parte di imprese 
italiane del settore. I proventi di queste esportazioni servono al Governo 
liberiano per acquistare armi ed alimentare la guerra civile. Lo stesso 
dicasi per lo stretto nesso esistente fra diamanti ed armi nei conflitti in 
Sierra Leone e Angola.

Insomma, secondo noi si dovrebbe aprire un nuovo capitolo sulle 
intersezioni tra commercio di armi (armi leggere in particolare), nuove 
guerre e sfruttamento delle risorse naturali, che certamente non compete a 
questa sede, ma che comunque dovrebbe essere oggetto di un dibattito piu' 
ampio e concreto in Parlamento.

Vale pero' la pena di rammentare che ogni tentativo di ammorbidimento dei 
controlli sul commercio di armi da parte del nostro Paese si inserisce in 
un quadro generale nel quale l’allargamento, se pur inconsapevole, di 
possibili zone d’ombra nella legalita' internazionale riguardo al commercio 
e al traffico di armi rischia di dare maggiori opportunita' all’espandersi 
di nuovi conflitti, soprattutto in Africa. È una contraddizione che, a 
nostro avviso, un Paese con una politica estera seria non si puo' 
permettere. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, Mar-DL-U e Misto-RC).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Maritati. Ne ha facolta'.


MARITATI (DS-U). Signor Presidente, il disegno di legge in esame parte 
dall’indiscutibile esigenza di ratificare e rendere esecutivo l’Accordo 
quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la 
Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno 
Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord relativo alle misure per 
facilitare la ristrutturazione e le attivita' dell’industria europea per la 
difesa, stipulato a Farnborough il 27 luglio 2000. Esso, pero', 
inopinatamente contiene anche modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185.

Nel campo della cooperazione dell’industria per la difesa europea, 
Farnborough 2000 rappresenta la conclusione di un lungo percorso iniziato 
dal settembre del 1998, quando fu sottoscritto il Trattato OCCAR, base 
della cooperazione tra quattro grandi Paesi europei: Francia, Germania, 
Regno Unito ed Italia. Con l’Accordo di Farnborough, questa importante 
collaborazione si estende anche a Svezia e Spagna.

Le finalita', quindi, dell’Accordo sottoscritto a Farnborough consistono 
nell’impegno di realizzare una politica comune nel campo della 
ristrutturazione e dello sviluppo dell’industria per la difesa europea. 
Sottolineiamo la parola "difesa".

Pertanto, e' necessario prima di ogni altro chiarire le ragioni per le 
quali il disegno di legge di ratifica voglia introdurre una modifica alla 
legge n. 185, incidendo in questo modo sull’aspetto delle esportazioni di 
materiali bellici, che rappresenta una materia che non rientra nell’oggetto 
dell’Accordo di Farnborough.

Perche' il Governo coglie l’occasione della ratifica in oggetto per 
procedere ad una modifica della legge n. 185 che fu il portato di una 
importante convergenza di un’ampia maggioranza parlamentare, di un forte 
impegno di pace della societa' civile, del mondo missionario, del pacifismo 
e del volontariato del nostro Paese?

Non va, inoltre, dimenticato che la legge n. 185 fu anche il portato dello 
scandalo che vide coinvolta una delle piu' importanti banche italiane, la 
Banca Nazionale del Lavoro, nella vendita di armi all’Iran e all’Iraq; si', 
proprio a quel Paese che oggi l’America accusa di bellicismo armato e che 
vuole bombardare sulla scorta di un presunto possesso di armi distruttive 
di massa.

Prima dell’emanazione della legge n. 185 vi erano ampie possibilita' di 
tenere nascoste transazioni finanziarie e soprattutto l’identita' del 
destinatario e l’utilizzazione finale delle armi commercializzate. 
Sospendere o neutralizzare i controlli bancari, fatto che accadrebbe - 
amici della maggioranza - con il varo del disegno di legge in esame, 
significherebbe inevitabilmente riprodurre le condizioni favorevoli per il 
reiterarsi di quelle situazioni che furono svelate al tempo della fornitura 
di armi all’Iraq.

Si punta, quindi, a modificare surrettiziamente - come giustamente e' stato 
rilevato anche dal senatore Andreotti - una legge importante che non ha 
affatto bisogno di cambiamenti sostanziali e radicali come quelli che la 
maggioranza sta tentando di introdurre.

Il tentativo in atto di modificare la legge n. 185 e' portato avanti dalla 
maggioranza in maniera quindi scorretta, perche' lo si vuol far passare 
come una necessita' connessa all’attuazione di ratifica dell'Accordo 
internazionale, mentre questa necessita' e' del tutto inesistente. Ripeto 
che l'Accordo, che riteniamo debba essere ratificato, attiene alla 
cooperazione tra i Paesi firmatari per il rafforzamento dell’industria 
europea per la difesa.

Al contrario, le modifiche prospettate alla legge n. 185 aprono una maglia 
assai pericolosa nella rete di controllo e di protezione, prescritte per il 
mercato di morte e violenza, e cio' semmai contrasta vistosamente con le 
esigenze della difesa di tutti i Paesi europei, soprattutto dopo i fatti 
dell’11 settembre 2001, in un quadro internazionale in cui il terrorismo e 
il pericolo di guerre diviene di giorno in giorno piu' attuale.

Si vogliono, quindi, introdurre surrettiziamente modifiche come la 
previsione di un nuovo tipo di autorizzazione per la produzione e il 
commercio di armi, la cosiddetta licenza globale di progetto, che esclude o 
attenua fortemente il controllo parlamentare e della societa' civile su 
tutte le operazioni svolte nell’ambito di programmi concordati tra piu' 
Governi, in modo tale da far subire all’Italia, come conseguenza, le 
normative degli altri Paesi che sono certamente piu' permissive della 
nostra, ossia della legge n. 185, in materia di commercio di armi.

Se venisse approvato il disegno di legge in esame, verrebbero meno - ad 
esempio - i riferimenti al numero dei pezzi di armamenti prodotti, al 
valore degli stessi, al destinatario finale e all’intermediazione bancaria. 
In sostanza, viene a cadere quel complesso di controlli sulla produzione ed 
il commercio del materiale bellico.

Con la nuova disciplina proposta vi e', inoltre, una pericolosa riduzione 
del divieto di commercializzare gli armamenti, limitandolo nei confronti 
dei Paesi sottoposti ad embargo e cio' non puo' essere accettato, 
soprattutto ora che il quadro internazionale e' caratterizzato da una 
diffusione alquanto capillare di focolai di guerra. Si accentuerebbe, 
quindi, il rischio che soggetti o Governi, spinti da volonta' di 
aggressione o prevaricazione, possano senza grossi ostacoli accedere ad 
armamenti prodotti anche nel nostro Paese, contribuendo in tal modo a 
destabilizzare ulteriormente la sicurezza e la pace nel mondo.

Tutto cio' resta estraneo agli obiettivi reali dell'Accordo di ratifica, 
che dovrebbero essere unicamente quelli della cooperazione e della 
ristrutturazione dell’industria europea per la difesa.

Vi e' inoltre un aspetto assai grave del disegno di legge che intendete 
varare, che, a mio giudizio, rivela un pericoloso modo di intendere la 
legalita' e la coerenza rispetto ai princi'pi che da tempo andate 
sostenendo dinanzi al Paese, anche attraverso i mezzi di informazione che 
certo non vi mancano. Se realmente fosse vero quello che sostenete nel 
tentativo di varare la nuova pericolosa riforma, perche' mai nell’articolo 
3 del disegno di legge che modificherebbe la lettera d) del comma 6 
dell’articolo 1 della legge n. 185 viene introdotto il concetto attenuato 
di "gravi violazioni… (Il microfono si disattiva automaticamente).

Presidente, poiche' e' terminato il tempo a mia disposizione, consegno la 
parte finale del mio intervento alla Presidenza perche' venga allegato agli 
atti della seduta.


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bedin, il quale nel corso del 
suo intervento illustrera' anche gli ordini del giorno G1, G2, G3, G5, G6 e 
G7. Ne ha facolta'.


BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, in considerazione del contingentamento 
dei tempi, le chiedo l'autorizzazione ad allegare al Resoconto della seduta 
di oggi il mio discorso, comprensivo anche dell'illustrazione di alcuni 
ordini del giorno, mentre svolgero' in modo riassuntivo alcune osservazioni.


PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.


BEDIN (Mar-DL-U). Il dibattito sul controllo del commercio delle armi e' 
stato tentato in questi mesi, qui al Senato, solo dall'Ulivo. La 
maggioranza ha fatto ostruzionismo, non partecipando quasi mai al 
dibattito, ha fatto sempre mancare il numero legale in Commissione fino a 
che i Presidenti delle Commissioni esteri e difesa hanno ritenuto inutile 
la continuazione delle sedute.

Del resto, il Governo, che si e' messo contro la sua stessa maggioranza che 
lo ha cosi' ripagato con l'astensionismo, non ha contribuito alla 
discussione. Infatti, esponenti importanti della maggioranza avevano 
espresso attenzione alla proposta avanzata in Commissione da me, a nome 
dell'Ulivo, di una ratifica immediata dell'accordo europeo e una successiva 
discussione sull'ammodernamento della legge n. 185 del 1990.

A noi, l'Accordo di Farnborough infatti interessa. Si tratta di un buon 
testo specialmente se strettamente collegato alla legge n. 185 del 1990, i 
cui princi'pi possono entrare nella pratica attuazione dell'Accordo stesso. 
Infatti, quest'ultimo completa la legge italiana in uno dei suoi limiti 
oggettivamente storici, cioe' la sua dimensione esclusivamente nazionale.

Ora, c'e' la ghigliottina del tempo contingentato: essa avrebbe senso se ci 
si fosse confrontati sul merito. Non e' stato possibile, lo avete impedito, 
sara' impossibile confrontarci nel merito anche qui e non darete risposte, 
non solo a noi ma anche alle altre istituzioni repubblicane, ai Consigli 
regionali, ai Consigli provinciali, ai Consigli comunali. Non darete 
risposte alle altre parti della comunita' nazionale, non darete risposte 
nemmeno a voi stessi se si procedera' con il metodo fin qui segui'to. Ne ha 
avuto la consapevolezza all'inizio di febbraio il Presidente dei senatori 
UDC. Cito testualmente quanto egli ha detto: "Vorrei evitare l'approvazione 
di una legge con effetti catastrofici, dovendo dire un giorno che non lo 
sapevo".

Finalmente, la maggioranza ha deciso di cominciare a discutere la nuova 
legge sul commercio delle armi e di non delegare ogni decisione al Governo? 
Se cosi' fosse - e me lo auguro - avremmo fato bene, come Margherita e 
Ulivo, a sostenere da luglio ad oggi la necessita' di discutere sul serio 
la modifica della legge sul commercio delle armi e a bloccare il Governo 
nella sua volonta' di fare in fretta. La fretta del Governo, infatti, era 
solo strumentale.

Il Governo non ha nessun interesse ad applicare l'Accordo di Farnborough. 
Lo ritiene troppo vincolante sotto l'aspetto dei contenuti, sotto l'aspetto 
della politica internazionale dell'Italia. La nostra azione ha smascherato 
questo atteggiamento.

L'accordo e' gia' operativo negli altri cinque Paesi la cui industria della 
difesa sta dunque usufruendo delle procedure semplificate e quindi e' 
avvantaggiata rispetto all'industria italiana. Neppure questo interessa al 
Governo. Per il Governo bisogna superare l'Accordo di Farnborough. 
L'obiettivo non e' l'industria europea della difesa, ma il mercato mondiale 
delle armi.

Evidentemente, il Governo ritiene piu' importanti dell'Accordo europeo le 
modifiche che esso propone per il commercio di armi italiane; 
evidentemente, le ragioni commerciali hanno il sopravvento sulla politica 
europea.

E' in questa inversione di priorita' la modifica piu' sostanziale che si 
vuole introdurre nella legislazione italiana: la subordinazione della 
dimensione politica, e quindi anche della pace e della sicurezza, agli 
interessi economici e industriali.

Eppure proprio l'Europa va in senso opposto. In un documento sulla politica 
europea degli armamenti, che l'allora Presidenza spagnola dell'Unione ha 
presentato il 23 marzo dello scorso anno a Saragozza, si enunciano una 
decina di princi'pi, il primo dei quali e' mettere la politica degli 
armamenti al servizio della politica europea di difesa comune "e non il 
contrario", "come e' successo in alcuni Stati membri dove la politica 
industriale e' determinata dai bisogni o dagli interessi delle loro 
industrie". Il disegno di legge italiano e' pensato proprio "al contrario", 
cioe' prima le imprese, poi le politiche di sicurezza e le politiche 
dell'Unione.

Fanno parte di questa nuova impostazione alcuni punti del disegno di legge 
in discussione al Senato, sui quali si e' particolarmente appuntata la 
nostra critica e la critica della societa', delle associazioni sia 
cattoliche che laiche, che abbiamo sostenuto.

Innanzitutto il divieto di esportazione viene limitato ai soli Paesi in cui 
le violazioni dei diritti umani siano "gravi" e accertate da organismi 
dell'Unione Europea e dell'ONU. Si tratta, tra l'altro, di un rischioso 
trasferimento di sovranita' politica senza possibilita' di controllo da 
parte del Parlamento e senza contropartite.

In secondo luogo, il nuovo strumento della licenza globale di progetto 
viene esteso a tutti i Paesi dell'Unione Europea e della NATO. Non essendo 
questi Paesi vincolati dall'Accordo di Farnborough potranno scegliere la 
destinazione finale di un armamento. Si affossa cosi' uno dei princi'pi 
piu' utili della legge n. 185 che sta funzionando, tanto che l'Italia e' 
risultata uno dei Paesi meno coinvolti nell'armamento di aree e Paesi a 
rischio, come sono la ex Jugoslavia, i Balcani, l'Iraq e l'Afghanistan. 
Piu' corretto sarebbe prevedere norme automatiche di allargamento 
dell'Accordo di Farnborough ad altri Paesi dell'Unione Europea, che cosi' 
sarebbero vincolati dalle stesse clausole.

In terzo luogo, il Governo consente di applicare la licenza globale di 
progetto non solo alle coproduzioni intergovernative di armi, come 
stabilisce l'Accordo europeo di Farnborough, ma anche alle coproduzioni tra 
singole aziende. Per godere di procedure semplificate e non applicare la 
legge n. 185 bastera' che un'azienda italiana faccia un accordo con 
qualsiasi societa' in Paesi dell'Unione europea e della NATO o che magari 
costituisca in uno di questi Paesi una sua societa'.

Applicando male un buon accordo non sara' possibile avere dati certi sul 
valore delle esportazioni di armi effettuate; si ridurranno le informazioni 
sui movimenti bancari relativi alle esportazioni (seguendo i soldi, si 
riesce piu' facilmente a sapere il percorso delle forniture di armi); 
diventera' poco controllabile il certificato di uso finale dell'arma, lo 
strumento che ora consente di sapere non solo chi usa una certa produzione, 
ma perche' la usa.

Forse con questa riduzione di controlli e di garanzie una parte piccola 
dell'Italia potra' avere una buona fetta della torta di guerra, ma sara' un 
grave rischio per l'altra Italia, che e' la gran parte dell'Italia. I 
nostri soldati sono oggi numerosissimi in operazioni militari 
internazionali: senza un controllo accurato del commercio degli armamenti 
crescera' per loro il rischio di essere presi di mira proprio da armi 
italiane. Anche per rispetto dei militari, oltre che per rispetto dei 
pacifisti, e' dunque necessario difendere la legge n. 185.(Applausi dai 
Gruppi Mar-DL-U e Verdi-U e del senatore Peterlini).


PRESIDENTE. Colleghi, per le vie brevi, mi e' stata avanzata richiesta di 
anticipare la chiusura della seduta prevista per le ore 14. Non facendosi 
osservazioni, cosi' resta stabilito.

Rinvio il seguito della discussione del provvedimento in titolo ad altra 
seduta.