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22 FEBBRAIO: PARTE L'"ASSALTO" DELLE TV DI QUARTIERE
22 FEBBRAIO: PARTE L'"ASSALTO" DELLE TV DI QUARTIERE
Le tv "fai da te" contro il monopolio dell'etere
A partire dalla nascita di "Orfeo Tv" nel giugno scorso, il fenomeno delle
"tv di quartiere" a corto raggio ha allargato progressivamente il suo
raggio d'azione. Innescato da un piccolo gruppo di attivisti, questo
fenomeno ha progressivamente coinvolto l'informazione "tradizionale", il
parlamento, il ministro Gasparri, gli operai Fiat e (purtroppo) la Polizia
Postale. Ma il bello deve ancora arrivare: il 22 febbraio scatta l'"ora x"
delle "Telestreet", con 25 nuove emittenti che si aggiungono al circuito,
per darsi forza a vicenda in un "outing" collettivo.
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Di Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
Nei manuali di storia della comunicazione il 21 giugno 2002 verrà ricordato
come una data importante per il nostro paese, un punto di svolta segnato da
una "rivoluzione lillipuziana" dell'etere. Tutto comincia a Bologna, in via
Orfeo, dove alle 20,15 del solstizio d'estate un gruppo di temerari decide
di accendere un trasmettitore televisivo a corto raggio che squarcia il
grigiore dell'etere con un "urlo" elettronico. Per la prima volta, dopo
decenni di dittatura dell'insulso, un brivido di terrore percorre la
schiena di nani e ballerine, quizzaroli e velinari, pseudo intellettuali e
giornalisti "di punta", grandi fratelli e telepiazzisti. E' da questo
brivido che nasce Orfeo Tv, la prima "tv di quartiere" dell'era
post-berlusconiana, un'esperienza successivamente replicata da decine di
appassionati sparsi per l'Italia, che creano nuove emittenti con pochi euro
(per l'attrezzatura minima ne bastano meno di mille).
Perfino ad Arcore, nella tana del biscione, gli appassionati di
comunicazione chiamati all'azione da via Orfeo si sono uniti a questo
network fatto di tanti micro-trasmettitori che sperimentano nuove forme di
mediattivismo su scala locale, con una gestione del potere distribuita e
costituzionalmente refrattaria ai centri di controllo e alle "direzioni
centrali". La nascita di Orfeo, infatti, fa parte di un progetto più ampio
chiamato "Telestreet", che oggi può contare su qualche decina di neonate tv
di quartiere e su un sito internet dove chiunque può improvvisarsi editore
e produttore di se stesso procurandosi le istruzioni tecniche e i consigli
legali per installare in casa uno "studio di trasmissione" da 1000 euro,
che permette di destinare ad un uso più sociale i videoregistratori
domestici colonizzati da Blockbuster e le microtelecamere che accumulano
polvere negli scaffali tra un matrimonio e l'altro.
Dopo la prima serie di apparizioni singole, il 22 febbraio un gruppo di
neonate tv di quartiere si unira' al circuito delle emittenti già attive
con una azione collettiva che sarà al tempo stesso un messaggio contro la
guerra in Iraq e contro il monopolio dell'etere. Per l'occasione a Milano
si accenderanno i trasmettitori di "Nomade Tv", guidata dal regista
televisivo Osvaldo Verri, un "reduce" del G8 genovese che ha progettato
questo canale di comunicazione per dare respiro all'anima "sociale" della
videocomunicazione, che mei circuiti televisivi commerciali e'
irrimediabilmente repressa, sacrificata sull'altare dell'audience e della
raccolta pubblicitaria. Grazie a Nomade Tv Verri e altri videoproduttori
indipendenti avranno uno spazio a disposizione per "riciclare" filmati,
materiali e documenti che non hanno trovato spazio nei circuiti della
televisione commerciale, pur meritando un destino piu' glorioso di una
soffitta impolverata.
"Sabato 22 uscirà allo scoperto una flottiglia di telestreet", si legge nel
"volantino telematico" che annuncia il debutto delle 25 nuove emittenti. I
gruppi di teleattivisti nati a Bari, Bologna, Brescia, Catania, Latina,
Padova, Palermo, Pisa, Roma, Siena, Termini Imerese e Vicenza, hanno
dichiarato che "le bandiere arcobaleno sui balconi di tutte le strade del
paese sono uno strumento di comunicazione come cento altri. E fra gli altri
ci sono le televisioni di strada. La comunicazione si é riattivata seguendo
percorsi che il sistema televisivo monopolizzato non può né controllare né
cancellare. Le tv di quartiere sono forma diretta di democrazia della
comunicazione, superamento della struttura verticale e centrica del sistema
televisivo, ibridazione della televisione con il modello orizzontale della
rete".
Questo approccio libertario alle telecomunicazioni nasce dal fortunato
matrimonio tra la cultura della "generazione internet", nata in un
"ciberspazio" senza gerarchie dove ogni sito è uguale agli altri, e le
controculture degli anni '70 che hanno dato vita alle "radio libere". Tra i
pionieri di Orfeo Tv, infatti, c'è Giancarlo Vitali (conosciuto anche con
lo pseudonimo di "Ambrogio") un reduce dell'esperienza di "Radio Alice",
l'emittente bolognese chiusa il 12 marzo del '77 con un intervento delle
forze dell'ordine. Accanto a lui altri "ragazzi del '77" ed esponenti della
cultura bolognese, che spaziano dall'area no-global a quella radical-chic:
Valerio Minnella, Stefano Bonaga, Andrea Gropplero, Gianluca Donati, e
Franco "Bifo" Berardi. "Siamo illegali ma costituzionali", ha spiegato l'ex
assessore comunale Bonaga, alludendo alla legge Mammì che punisce anche la
semplice "installazione" di un impianto di trasmissione privo di
concessione, e all'articolo 21 della costituzione, che garantisce la
libertà di espressione del pensiero "con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione". E la linea editoriale? C'è anche quella, ed è davvero
minimale: antifascismo, antisessismo, antirazzismo. A partire da questi tre
"anti" ognuno può far viaggiare nell'etere i contenuti che preferisce,
sentendosi a pieno titolo membro effettivo della famiglia Telestreet.
L'onda comunicativa ed elettromagnetica partita da via Orfeo è ormai nella
fase di "alta marea", e il "popolo delle videocamere", che ha trasformato
la contestazione al G8 genovese nell'evento più filmato della storia, è
ormai lanciato alla conquista dell'etere, quartiere dopo quartiere.
L'obiettivo finale è salvare dalla lobotomia televisiva casalinghe e
pensionati, risvegliandoli dal torpore con le videoproduzioni indipendenti
che finora erano rimaste "confinate" all'interno dei siti web, senza la
possibilità di raggiungere i Cipputi e le casalinghe di Voghera ancora
lontani dall'informatica. Ma non finisce qui: le emittenti del circuito
Telestreet sanno che per riempire un palinsesto ci vogliono molti soldi, o
in alternativa molte risorse umane, ed è per questo che la produzione di
queste piccole emittenti attingerà a piene mani dalla strada, trasformando
il flusso televisivo, finora unidirezionale, in un circuito aperto ai
contributi e ai materiali video di chi vive, abita e lavora nel quartiere
coperto dal segnale televisivo "a corto raggio". Da casalinga di Voghera ad
anchorwoman di Voghera il passo è più breve di quanto sembri.
Per lo scambio di materiale video tra le emittenti di Telestreet è già
stata allestita su internet una banca dati di produzioni indipendenti, dove
chiunque può inserire il proprio materiale e prelevare liberamente quello
già prodotto da altri, all'indirizzo www.ngvision.org. "Polimedialità" è il
neologismo coniato dai mediattivisti per definire questa evoluzione della
multimedialità che non si limita alla coesistenza di suoni, immagini e
filmati ma si spinge fino all'utilizzo "ibrido" di più tecnologie, con un
felice matrimonio tra la rete (libertaria e decentrata, ma al tempo stesso
elitaria) e la televisione (popolare e diffusa, ma monopolizzata).
Basta davvero così poco per risolvere con un "happy ending" tutti i
problemi e le storture del monopolio televisivo di "sua emittenza"?
Purtroppo no, e su tutte le piccole tv appena germogliate incombe una falce
legislativa già pronta a fare tabula rasa di qualsiasi esperienza
televisiva "scomoda", una spada di Damocle che pende sulla testa di ogni
ribelle dell'etere e che porta inciso sul manico il nome di Oscar Mammì.
Quelli di Orfeo Tv non sembrano preoccuparsi molto dei problemi legali
connessi alle loro trasmissioni. "Sappiamo di non rischiare grosso -
racconta Valerio Minnella - la Mammì prevede una condanna fino a tre anni
per tv nazionali, e un anno e mezzo per tv locali. Essendo noi tutti
incensurati, significa l'applicazione della condizionale, al massimo una
multa. Ma noi siamo convinti che non potranno spingersi troppo avanti. La
legge sull'emittenza è altamente disapplicata: Retequattro, ad esempio, è
senza concessione proprio come noi, dovrebbe trasmettere solo su satellite.
Se un magistrato dovesse perseguire noi e non loro, sarebbe una situazione
difficile da spiegare".
Ciò nonostante le prime grane con la giustizia non si sono fatte attendere,
e a subirle non sono stati gli intellettuali di Bologna ma i metalmeccanici
di Termini Imerese, che hanno seguito l'esempio di Bifo e compagnia creando
"Telefabbrica", organo di informazione degli operai Fiat.
A differenza di Orfeo Tv, tuttora in attività nella "zona grigia" tra legge
e costituzione, Telefabbrica è stata tempestivamente oscurata il quattro
dicembre scorso, tre giorni dopo aver fatto timidamente capolino nei cieli
di Sicilia. Il bilancio finale? Meno di dieci ore di trasmissione.
Dopo i comunicati iniziali in cui si annunciava la creazione di
Telefabbrica per "documentare le storie dei lavoratori in questo momento di
lotta per il diritto al lavoro", una ordinanza di disattivazione
dell'impianto è piombata come una doccia fredda sui mediattivisti in tuta
blu, convocati d'urgenza presso la locale caserma dei carabinieri.
L'ordine è partito da Lilla Mangione, dirigente dell’Ispettorato
Territoriale Sicilia del Ministero delle Comunicazioni, ma molti hanno
visto dietro questa manovra lo zampino del ministro Gasparri, al punto che
la stessa Mangione non riesce a spiegarsi come mai il caso Telefabbrica sia
stato gestito diversamente da quello di Orfeo Tv. A chi le chiede come mai
Orfeo può ancora trasmettere, mentre Termini Imerese deve affidarsi al
duopolio Raiset per avere notizie sui suoi operai, Lilla Mangione risponde
con un contorto geroglifico: "esiste un margine di discrezionalità nel
trattare questi casi, che a seconda della zona possono essere affrontati in
maniera diversa in base al contesto locale e alle risorse umane a
disposizione degli organismi ministeriali per far fronte a questo tipo di
situazioni". Traduzione dal burocratese: la legge e' uguale per tutti, ma
puo' essere interpretata in modo diverso a seconda dei casi. Il dato
curioso di questa convocazione è che agli artefici di Telefabbrica non è
stato contestato nessun tipo di reato, e le apparecchiature di trasmissione
non sono state sequestrate. Come dire "per questa volta passi, ma non lo
fate più". "Abbiamo dovuto far rispettare la legge - continua la Mangione -
ma non abbiamo ritenuto opportuno spingerci fino al sequestro dei locali o
degli impianti di trasmissione. Non sono contraria in linea di principio
all'utilizzo dell'etere per le trasmissioni di associazioni senza scopo di
lucro, ma purtroppo l'utilizzo sociale della televisione non è ancora
suffragato da atti legislativi".
Andrea Giulini, uno dei quattro fondatori di Telefabbrica assieme a Marco
Battaglia, Gianluca Donati e Laura Schimbenti, sa di aver perso una
battaglia, ma non è disposto a chiudere la partita. "La potenza del nostro
impianto è paragonabile a quella di un Walkie Talkie giocattolo - racconta
Giulini - e le nostre trasmissioni avvenivano nel raggio di cento metri.
Forse abbiamo dato fastidio perché parlavamo dei problemi di Termini
Imerese e dei diritti dei lavoratori".
Il caso di Telefabbrica, emittente oscurata perché priva di concessione
governativa, ricorda da vicino quello di Retequattro, che trasmette senza
concessione dal 1997, data di approvazione della legge Maccanico che ha
disposto il trasferimento di Retequattro sul satellite in nome delle regole
antitrust.
Filippo Pepe, uno stretto collaboratore di Gasparri, spiega però che
Retequattro fa storia a sè, dal momento che opportune disposizioni
legislative "consentono la trasmissione in via transitoria" del
telegiornale di Emilio Fede, in attesa dell'assegnazione di una concessione.
Queste "eccezioni transitorie", che diventano la norma in un panorama
televisivo fatto di leggi su misura, sono state uno dei più grandi autogol
del centrosinistra, per il quale si è aperta la stagione dei mea culpa.
"La questione della regolamentazione dell'etere è una vicenda antica -
racconta il diessino Vincenzo Vita, ex-sottosegretario alle comunicazioni -
non siamo riusciti in tempo a riformare il codice postale durante la nostra
azione di governo e adesso ne paghiamo le conseguenze. L'ordinanza di
disattivazione di Telefabbrica nasce da una interpretazione formalistica di
una norma che comunque va rivisitata". Nonostante tutto, i telesindacalisti
di Termini Imerese non si arrendono, e hanno dichiarato le sue intenzioni
con un comunicato stampa diffuso in rete: "in qualsiasi modo e in qualsiasi
forma Telefabbrica continuerà ad esistere. Ci uniamo quindi al coro degli
operai: lotta dura contro la chiusura". Dopo una breve battuta di arresto,
infatti, Telefabbrica ha annunciato la ripresa delle trasmissioni il 22
febbraio, assieme alle altre tv "debuttanti".
Anche dopo l'eutanasia di Telefabbrica il debole ronzio delle tv di
quartiere, che trasmettono con una potenza paragonabile a quella delle
ricetrasmittenti giocattolo, ha continuato a infastidire il ministro
Gasparri, che davanti alle telecamere di Tv7, il rotocalco televisivo del
Tg1, ha annunciato che non ci saranno sconti per nessuno: tutte le Tv che
trasmettono in assenza di concessione verranno oscurate a norma di legge.
La boutade di Gasparri ha scatenato le ire del "Coordinamento Nazionale
Nuove Antenne", che ha parlato di "concessioni truffa" assegnate alle
emittenti televisive nazionali, ricordando che secondo la legge Mammì le
concessioni televisive possono essere rilasciate solo dopo l'approvazione
di un piano di assegnazione delle frequenze, un "piano regolatore"
dell'etere mai realizzato. "Ciò che venne prodotto nel 1994 - spiegano al
Conna - fu una semplice carta di riconoscimento per continuare a
trasmettere a pagamento nel caos più totale delle frequenze, delle vere e
proprie concessioni truffa". Mario Albanesi, presidente del Conna e membro
della "commissione per l'assetto del sistema radiotelevisivo" istituita dal
ministero delle Comunicazioni, sostiene che per dare alle Tv di quartiere
tutte le frequenze di cui hanno bisogno "basterebbe obbligare Retequattro e
Telepiù a trasmettere esclusivamente via satellite, in conformità con le
recenti sentenze della corte costituzionale".
Dopo le prime polemiche, la battaglia per il diritto all'esistenza delle tv
di quartiere ha coinvolto anche il Parlamento, dove un "commando" di
diessini guidato dall'Onorevole Giovanna Grignaffini ha creato un "comitato
per la tutela delle televisioni di strada", che ha presentato un disegno di
legge nel quale si stabilisce il libero utilizzo delle "porzioni di
frequenze libere in ambito locale risultanti dalle zone d'ombra
nell'irradiazione dei segnali televisivi", in pratica le frequenze non
occupate dai segnali dei network televisivi nazionali.
Nel testo della proposta di legge si specifica inoltre che le trasmissioni
dovranno essere precedute da una "denuncia di inizio attività" da inviare
all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, una procedura nella quale
alcuni hanno già intravisto una velata forma di schedatura. Trascorsi 30
giorni dalla questa denuncia scatta un meccanismo di silenzio assenso, e la
Tv di strada può liberamente iniziare le sue trasmissioni "su base non
interferenziale", senza rompere le scatole alle onde altrui.
In caso di approvazione della proposta, le uniche ragioni che potranno
portare all'oscuramento delle tv a corto raggio saranno "la salvaguardia
dell'ordine pubblico e il funzionamento delle reti di diffusione", che
verranno tutelate dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni con un
regolamento attuativo della legge. Se dovesse passare questa legge,
chiudere un'emittente come Telefabbrica non sarà impossibile, ma solo un pò
più complicato. Basterà dimostrare che le trasmissioni sindacali "turbano
l'ordine pubblico" fomentando gli animi degli operai che rischiano il posto.
Insomma, la confusione sul piano legislativo è ancora tanta, e la stagione
delle tv libere è solo agli inizi. Nel frattempo i ribelli del tubo
catodico si sono riuniti a Bologna il 14 dicembre scorso, dandosi
appuntamento da tutta Italia per il primo "meeting generale delle
televisioni di strada", un evento organizzato non solo per discutere della
prima emittente caduta sotto i colpi del ministero, ma anche per contarsi,
fare il punto della situazione e fare progetti per il futuro. "Fino ad ora
abbiamo sempre evitato di prendere in considerazione il mezzo televisivo -
ha raccontato uno dei partecipanti al dibattito - la televisione era cosa
che non ci riguardava, era per gli stupidi, gli anziani, i bambini e quelli
privi di cultura. Noi magari la guardavamo anche, ma non volevamo averci
niente a che fare. E adesso, nel giro dell'ultimo anno, abbiamo visto
un'esplosione di mediattivismo". Anche Valerio Minnella, uno dei "papà" di
Orfeo Tv, ha descritto il suo rapporto di amore-odio con il mezzo
televisivo: "Io ho messo su casa per conto mio oltre 25 anni fa, e non ho
mai sentito l'esigenza di comprarmi un televisore. Quando abbiamo
installato il trasmettitore di OrfeoTv ho fatto diverse telefonate ad amici
che abitano in zona, per sapere se e come ricevevano il nostro segnale, e
più di uno mi ha risposto di non possedere il televisore. E invece,
all'improvviso, eccoci tutti qua a lavorare sulla televisone. Abbiamo fatto
un salto culturale, abbiamo deciso di impadronirci anche del mezzo
televisivo. Adesso si tratta di trovare la strada giusta, di trovare nuovi
linguaggi e metodi di utilizzo, di non farci intrappolare da palinsesti,
audience e altri stupidi meccanismi tipici della Tv generalista. Dobbiamo
costruire qualcosa di diverso, di nostro. Se davvero abbiamo fatto questa
scelta e abbiamo deciso di occuparcene fino in fondo, allora possiamo
farcela". La sfida tra i giganti dei network e i lillipuziani delle
telestreet è appena cominciata, e il bello deve ancora arrivare.
Carlo Gubitosa
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