| Terra santa e dintorni - Visita al Kibbuz di 
Metzer - di Alex La persona che ci accoglie ci spiega che i rapporti 
con gli arabi sono sempre stati eccellenti tanto che alcune festività si sono 
sempre festeggiate in comune.  Visitare il Kibbutz di Metzer è sicuramente per noi 
un occasione in più di crescita, un modo in più per comprendere la molteplicità 
delle sfaccettature di questa situazione. E’ un opportunità in più per ascoltare 
chi si oppone all'occupazione ed all'apartheid nei confronti dei palestinesi. Il 
posto si trova in Israele a ridosso del confine nord della West Bank e si è 
sviluppato nel corso di cinquant'anni. E' abitato dai discendenti di un gruppo 
di emigranti argentini che cercavano scampo dalla povertà in un posto dove fosse 
possibile sviluppare una vita civile. Il pensiero che caratterizza l'esistenza 
di queste comunità ha origini socialiste: i mezzi di produzione sono collettivi, 
vengono investite molte risorse nell'educazione e nel welfare in generale, la 
comunità si fa carico delle fasce deboli come anziani ed ammalati. Una libera 
associazione di persone in cui c'è spazio per la libera iniziativa. Chi vi 
aderisce lavorando all'esterno della collettività mette in comune più o meno il 
settanta per cento dei propri guadagni, condividendo così con gli altri la 
propria capacità di produrre. Uomini e donne che in questo caso sono arrivati in 
Israele cercando la terra promessa ma anche cercando di instaurare fin da subito 
un rapporto di buon vicinato con le genti arabe dei villaggi vicini. 
L'agricoltura, parte essenziale della filosofia di queste comunità, ha da sempre 
beneficiato di questo sodalizio, congiungendo la secolare sapienza dei 
coltivatori arabi alla tradizione dei contadini argentini, popolo di per se 
frutto di una miscellanea di culture di diverse parti del mondo. Ora campi 
verdeggianti sono stati strappati alla desolazione del deserto e ciò che un 
tempo per questa gente era un sogno oggi è una realtà che sorge su una terra non 
conquistata militarmente ma acquisita da Israele tramite un accordo col re di 
Giordania. Per “motivi di sicurezza” la Cisgiordania sta per essere divisa dalla 
terra d'Israele da una muraglia che tanto per aggiungere umiliazione ad 
umiliazione non viene costruita sulla linea di demarcazione internazionalmente 
riconosciuta. Spesso il muro viene eretto all’interno dei territori palestinesi 
sottraendo così ettari ed ettari di terra coltivabile a chi ha una cultura 
fortemente legata all’agricoltura. A venire meno non è la produzione dell'olio 
di oliva di un anno ma la stessa essenza della pace, sradicata come gli alberi 
secolari che vengono abbattuti per creare spianate di nulla chiamate fasce di 
sicurezza. La gente di Metzer si è apertamente schierata contro l'espropriazione 
delle terre palestinesi per la costruzione del muro. Il rappresentante del 
Kibbutz che ci ospita, fino a poco tempo fa anche direttore economico della 
federazione di tutti i Kibbutz d'Israele, ci racconta di come la democrazia 
israeliana abbia previsto per gli arabi la possibilità di presentare un ricorso 
contro la costruzione del muro, ma anche di come la stessa democrazia abbia 
decretato il coprifuoco per gli stessi arabi di quei villaggi impedendo loro di 
muoversi fisicamente mettendoli di fatto nelle condizioni di non poter 
presentare alcuna obiezione né alla costruzione del muro né all'esproprio delle 
loro terre per edificarlo. Parla dell'accordo siglato con gli arabi dei villaggi 
vicini che prevede la costruzione della divisione esattamente sul confine della 
green line, senza che ci siano inutili espropriazioni di terra. Ci racconta di 
quando il ministro Ben Elizier visitò la comunità del Kibbutz stupito da un 
accordo insolito, che testimoniava la possibilità di un dialogo che pochi 
prendevano e prendono in considerazione. Della desolazione nel veder cadere il 
governo pochi giorni dopo e della volontà di andare avanti che li portò ad 
incontrare il nuovo ministro della difesa. Racconta della drammatica incursione 
di un killer terrorista palestinese proprio il giorno dopo la visita del 
ministro, che ha visto morire nell'agguato una madre e due bambine freddate a 
casa loro. Un agguato troppo perfetto per non pensarlo organizzato nei minimi 
particolari da professionisti armati che avevano come unico scopo quello di 
distruggere quel dialogo tra le due comunità. E mentre racconta i particolari 
dell'agghiacciante crimine non scorda che la popolazione araba che vive nella 
zona ha subito preso le distanze da quanto successo e, indignata, non ha mancato 
di portare solidarietà ai parenti delle vittime e a tutti gli ebrei di Metzer. E 
concludendo ci ricorda che quasi la totalità degli arabi della zona è contraria 
al terrorismo e che l’unico modo di combatterlo è continuare sulla via del 
dialogo. Penso a quanto sia disumano tracciare mura per dividere la gente. 
Mentre stavamo percorrendo la strada per arrivare qui abbiamo fatto i conti 
anche noi con questo anacronismo storico rivivendo le scene di un passato visto 
in tv che alcuni speravano non potesse ripetersi e che oggi si ripropone 
dimostrando che dalla storia l'uomo non trae insegnamento. E' passato un 
decennio da quando il crollo del muro di Berlino ha concluso l'epoca del mondo 
bipolare per inaugurare quella dell'egemonia incontrastata del blocco 
occidentale. E' passato un decennio e le aspettative di poter vivere in un mondo 
migliore sono state tradite.  E' passato un decennio e nuovi muri vengono eretti 
tutti i giorni, l'ultimo proprio qui in Medio Oriente; andando via dal Kibbutz, 
penso all'accordo tra arabi ed ebrei, all'incursione di quel killer, alle vite 
stroncate di quella famiglia e al pretesto che quel sangue ha fornito per 
giustificare nuove incursioni militari nei territori, nuovo sangue che si 
aggiunge al sangue.  Sono tante le situazioni e le storie. Tutte hanno il 
denominatore comune dell'intollerabilità. Sulla strada del ritorno, verso 
Gerusalemme, ci fermiamo in un piccolo villaggio della Cisgiordania dove 
incontriamo il sindaco. La popolazione locale era prima dello scoppio 
dell'Intifada parte di quella manodopera a basso costo che in Israele occupava i 
lavori più faticosi e umili. Oggi le frontiere sono chiuse “per motivi di 
sicurezza" e le colpe dei terroristi ricadono sulla popolazione del villaggio 
che vanta una delle disoccupazioni più alte di tutta l'area. La gente ha 
aspettato con impazienza la raccolta delle olive, unica fonte di reddito 
rimasta, ma l'esercito con la stella di David ha agito preventivamente e per 
“motivi di sicurezza” ha sradicato gran parte delle piante con i bulldozer. 
L'olio quest'anno non potrà essere venduto in Israele perché è stato prodotto 
con le olive acerbe rubate dagli alberi abbattuti, proprio da chi le aveva 
coltivate. Rubate di nascosto per non correre il rischio che qualche pallottola 
sparata per “motivi di sicurezza” ammazzasse qualcuno. 
 Quello che ci racconta il sindaco di Kullulkarem, un 
villaggio arabo sul cui municipio sventola la bandiera con la stella a sei punte 
(in quanto fa parte di quello stato) non è certo più confortante. La 
disoccupazione in Israele raggiunge la soglia del nove per cento e colpisce 
soprattutto i suoi cittadini palestinesi. Nei villaggi arabi la ricchezza è 
lontana come un miraggio e la disoccupazione raggiunge mediamente una 
percentuale che varia dal dieci al venticinque percento. Il reddito medio degli 
arabi israeliani è la metà di quello degli altri israeliani, ed un terzo dei 
bimbi vive sotto il livello di povertà. Le statistiche parlano di una cifra 
vicina al cinquanta per cento per quanto riguarda il rifiuto di richieste 
d'accesso all'università degli arabi israeliani e di una cifra del ventun 
percento di rifiuto delle stesse presentate da ebrei. Questo villaggio contava 
nel trentasei circa tremila abitanti che disponevano di trentaseimila chilometri 
quadrati di terra. Oggi abitanti ce ne sono tredicimila e la terra di cui 
dispongono non supera i settemila chilometri quadrati. Poche cifre e poche 
storie che sono significative per capire. Sarà vero che la pace è funzione della 
giustizia? La risposta la tragga ognuno da se. Alex |