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Gli arresti dei No global e il teorema del Ros
Gli arresti dei No global e il teorema del Ros
di GIUSEPPE D'AVANZO
ACCADE che il Raggruppamento Operazioni Speciali (Ros) dell'Arma dei
Carabinieri si convinca che dietro i disordini di Napoli (7 maggio 2001) e
di Genova (21 luglio 2002) non ci sia soltanto il distruttivo, nichilistico
furore di casseur europei o il violento spontaneismo delle teste matte (e
confuse) di casa nostra, ma addirittura un'associazione sovversiva.
Concepita l'ipotesi, gli investigatori dell'Arma intercettano, spiano,
osservano, pedinano.
In assenza di contraddittorio, s'acconciano come vogliono cose, frasi,
dialoghi, eventi, luoghi edificando una conveniente e coerente cabala
induttiva. È il sistema che più piace agli addetti: "lavorare su materia
viva, a mano libera". Organizzato il quadro, occorre ora trovare un
pubblico ministero che lo prenda sul serio. Alti ufficiali del Ros
consegnano il dossier, rilegato in nero, di 980 pagine più 47 di indici e
conclusioni ai pubblici ministeri di Genova. Che lo leggono e concludono
che "quel lavoro è del tutto inutilizzabile".
Gli investigatori dell'Arma non sono tipi che si scoraggiano. Provano a
Torino. Stesso risultato: "Questa roba non serve a niente". Il dossier
viene allora presentano ai pubblici ministeri di Napoli. L'esito non è
diverso: il dossier, da un punto di vista penale, è aria fritta. Finalmente
gli ufficiali del Ros rintracciano a Cosenza il pubblico ministero Domenico
Fiordalisi. Fiordalisi si convince delle buone ragioni dell'Arma dei
Carabinieri. Ora rendere conto delle buone ragioni del Ros che diventano
buone ragioni per il pubblico ministero e il giudice delle indagini
preliminari, Nadia Plastina, è imbarazzante per la loro e nostra intelligenza.
Anna Curcio (arrestata ieri) racconta al telefono che è in viaggio per
Genova dove lavorerà "... a un progetto di comunicazione con delle radio
indipendenti che trasmetteranno in rete sul sito www.radiogap.net". "...
Gap - scrive il pubblico ministero - Gap, come la formazione eversiva
ideata da Giangiacomo Feltrinelli che operava per propagandare in Italia e
in Europa, i fondamenti strategici e i principi organizzativi della
guerriglia urbana". "Per il pm - annota il giudice delle indagini - il
ricorso a tale sigla per denominare la radio operante a Genova durante il
G8, non può essere casuale, ma voluto da persone ben informate sui
trascorsi eversivi e che accarezzano l'idea di sfruttare la forma 'anomica'
del movimento antiglobalizzazione per riattualizzare la lotta armata
storicamente fallita" (pag. 128 dell'ordinanza del gip).
Una trama accusatoria di questa natura, orientata com'è da un pensiero
ossessivo, finisce per eclissare i fatti e, con i fatti, il buon senso.
Francesco Cirillo, uno degli arrestati, conversa con un tale da
identificare. Dice: "Dobbiamo essere a Firenze il 6 perché la prima
manifestazione è nel pomeriggio a Camp Derbi (fonetico), che è una base
americana vicino a Firenze", "Ahhh!", mugugna l'altro che sembra pigro, per
nulla voglioso d'andarci. Cirillo insiste: "È a cento chilometri da
Firenze... questa base qua e allora il 6 pomeriggio... la prima cosa si fa
là..." (p.342). Il gip scrive in nero grassetto l'ultima frase. È evidente
a tutti che, quell'espressione, la si può intendere così: il primo
appuntamento, la prima manifestazione del Social Forum Europeo è là, a Camp
Derby. In un quadro che presume la colpevolezza degli imputati, il gip
legge in quella "cosa" l'annuncio di un'aggressione, di una violenza.
Se le "buone ragioni" del pubblico ministero e del giudice delle indagini
possono imbarazzare per il segno grottesco, quasi caricaturale, inquietano
al contrario i fondamenti giuridici del reato contestato: "la cospirazione
politica mediante associazione al fine di turbare l'esercizio del governo;
effettuare propaganda sovversiva; sovvertire violentemente l'ordinamento
economico costituito nello Stato". La cospirazione politica è un reato che
Alfredo Rocco ha elaborato per il codice fascista del 1930 al fine
d'anticipare il momento della punibilità di quei reati, che se davvero
commessi, avrebbero potuto minacciare la stabilità e gli interessi del
regime autoritario. È un reato che permette di liquidare, come ha fatto in
un lontano passato, sindacati, partiti, ogni forma di libera associazione.
La natura di quel reato ha un vantaggio che i magistrati di Cosenza non
disperdono: può essere contestato senza che un delitto, una violenza,
un'aggressione o attentato sia commesso, senza che ne siano dimostrate con
qualche decente fonte di prova le responsabilità. Il giudice di Cosenza
brandisce il senso autoritario di quella norma come un'arma. Nella
cospirazione politica mediante associazione, scrive, è sufficiente che il
"pericolo" sia "presunto". Quel reato "non esige né un numero di adepti
determinato, né la consistenza di mezzi idonei alla realizzazione dei fini,
né concreto pericolo per lo Stato essendo il pericolo presunto... la
costituzione dell'associazione".
Per dirla in altro modo, non è necessario nemmeno che quell'associazione
sia in grado di commettere qualche reato creando una minaccia all'ordine
costituito, è sufficiente che esista. Che in cinque, dieci, cento si
conoscano, si scambino opinione e messaggi in rete. Che creino siti web e
radio. Che vadano rumorosamente annunciando di voler fermare "la
globalizzazione dei mercati e il funzionamento del mercato del lavoro interno".
Ecco la cospirazione politica e l'associazione sovversiva. Ecco "il
pericolo": è "nella propaganda d'idee nocive per la conservazione dello
Stato". Ecco perché, conclude il giudice, occorre rinunciare a "instaurare
un rapporto fiduciario" con questo movimento. Come se potesse essere una
toga a decidere di chi avere o non avere fiducia in politica. La manovra è
così strampalata che invita - non è un paradosso - a una serenità, appena
inquieta.
La machina iustitiae, nonostante norme fluide, tentazioni di potere e
interpretazioni legislative, è in grado di correggere (non sempre, ma quasi
sempre) gli errori di giudizio e le manipolazioni dei codici e delle regole
che essa stessa produce. Noi abbiamo fiducia che accadrà anche in questo
caso, e crediamo (e chiediamo) che i 20 reclusi siano rimessi presto in
libertà. È un buon segno che il Viminale non abbia eseguito gli arresti
prima di Firenze, come auspicato dal giudice.
La fiducia nel meccanismo giudiziario non deve impedirci, tuttavia,
d'afferrare la gravità di quanto è accaduto a Cosenza e i pericoli che vi
si affacciano. La gravità è in due interrogativi. C'è la struttura
d'eccellenza investigativa dei carabinieri che cerca, per mesi, con
ostinazione in giro per l'Italia, e nonostante i rifiuti, una procura che
dia credito a un lavoro mediocre e opaco. Perché? Ci sono due magistrati
che rianimano un paio di reati del codice fascista, per loro ammissione "di
difficile, concreta applicazione", al fine di sostenere quell'impianto
accusatorio degno della polizia politica degli Anni '30. Perché?
I pericoli sono ancora più evidenti di questi interrogativi. Questa
claunesca inchiesta giudiziaria può spingere il "movimento dei movimenti"
verso forme di radicalismo violento e sovversivo. Dall'altro lato, in una
congiuntura difficile per il Paese e il governo (crisi economica, crollo
della Fiat, disoccupazione crescente, disagio meridionale), può farsi largo
chi trova conveniente giocare la carta del "tanto peggio, tanto meglio"
magari per rafforzare e difendere, in tempi grami, il proprio potere. O, al
contrario, perché escludere che si faccia avanti chi crede di poter, sul
filo della violenza, dare una spallata definitiva a un governo incapace di
affrontare i problemi del Paese e in crisi di fiducia popolare?
Le sortite di un tipo come il deputato padovano di An, Filippo Ascierto
(carabiniere, già presente nella sala operativa di Genova durante i
disordini del G8, si augura che "tutte le procure italiana procedano nei
confronti dei Disobbedienti"), sono il segno di questa irresponsabilità
politica. È un'irresponsabilità che si specchia nella sconsideratezza di
chi, nel movimento new global, potrebbe voler rinnegare lo "spirito di
Firenze". Proprio lo "spirito di Firenze", una magistratura serena,
un'opposizione vigile e un governo accorto sono l'arma e i protagonisti
essenziali per evitare al Paese tentazioni autoritarie e un'altra stagione
di violenze.
la Repubblica, 16 novembre 2002