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La nonviolenza e' in cammino. 387
- To: news@peacelink.it
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 387
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Thu, 17 Oct 2002 01:40:59 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 387 del 17 ottobre 2002
Sommario di questo numero:
1. In una riga e mezza. E una glossa e un ottonario
2. Un'ora di silenzio per la pace
3. Convenzione permanente di Donne contro le guerre: programma di
partecipazione al Forum Sociale Europeo di Firenze
4. Alberto L'Abate, dalla prassi alla teoria e dalla teoria alla prassi.
Esperienze di vita, di ricerca e di formazione alla nonviolenza
5. Lidia Menapace, una piazza a Bolzano
6. Lavinia Mazzucchetti: con l'evidenza del vero, del bello e del buono
7. Burbanzio Mascaroni, Dante e Catullo al centro sociale
8. Riletture: Enza Biagini, Simone de Beauvoir
9. Riletture: Alessandra Calzi, L'interculturalita' nella scuola elementare
10. Riletture: Mariantonietta Di Capita, L'interculturalita' nella scuola
materna
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. IN UNA RIGA E MEZZA. E UNA GLOSSA E UN OTTONARIO
Le persone che confezionano questo foglio aderiscono allo sciopero generale
del 18 ottobre. In difesa della pace e dei diritti.
Innanzitutto dei diritti di quelli che sono minacciati di morte dal
terrore, dalla guerra e dalla fame; di quelli che non possono manifestare
la loro opinione perche' perseguitati e oppressi, intimiditi e abbrutiti;
di quelli che sono la parte piu' grande e piu' sofferente dell'umanita':
figura del nostro comune consistere, e appello che ti brucia nelle carni e
ti convoca al giudizio, e alla responsabilita', e alla lotta.
Che farai, fra Jacopone?
2. INIZIATIVE. UN'ORA DI SILENZIO PER LA PACE
A Genova, a Torino, e forse gia' anche in altre citta', si sta diffondendo
l'iniziativa di un'ora di silenzio per la pace, promossa da amici della
nonviolenza sulle principali piazze un giorno a settimana. Il modello e'
ovviamente quello delle iniziative delle Donne in nero. Per contatti a
Genova: Norma Bertullacelli (norma.b@libero.it); per contatti a Torino:
Paolo Candelari (paolocand@inwind.it). Scrivono gli amici della nonviolenza
torinesi: "invitiamo tutti coloro che condividono il nostro amore per la
pace e le nostre preoccupazioni per i rumori di guerra che si sentono con
sempre piu' insistenza a raccogliersi in un'ora di silenzio per la pace per
riflettere sulla necessita' di cercare alternative all'uso della violenza
nei conflitti a partire da noi stessi, e per rendere pubblico il nostro no
ad ogni guerra, in particolare a quella che si sta preparando contro
l'Iraq, nel piu' totale disprezza del diritto internazionale e della nostra
Costituzione; e il nostro si' a quelle iniziative che si propongono di
cercare una soluzione nonviolenta ai conflitti".
3. INCONTRI. CONVENZIONE PERMANENTE Di DONNE CONTRO LE GUERRE: PROGRAMMA DI
PARTECIPAZIONE AL FORUM SOCIALE EUROPEO DI FIRENZE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per averci
messo a disposizione il programma della partecipazione al Forum Sociale
Europeo di Firenze della Convenzione permanente di donne contro le guerre]
La Convenzione permanente di Donne contro le guerre propone per il Social
Forum Europeo una sua presenza cosi' definita:
* Lidia Menapace sui temi della "neutralita' europea" e dei "diritti
sociali in Europa" (su testo elaborato da Imma Barbarossa) prendera' parte
a una seduta plenaria in una delle mattinate del Forum (qualsiasi).
* Nel pomeriggio del giorno 7 novembre invita a un seminario di
approfondimento dei temi prima indicati con interventi programmati che si
indicano di seguito:
- Imma Barbarossa sui diritti sociali in Europa.
- Rosangela Pesenti (Udi): la scuola e il rilievo da dare alla conoscenza
dei movimenti nonviolenti nella storia europea.
- Sandra Mecozzi (Cgil): il sindacato forza europea nonviolenta.
- Giusi di Rienzo (Finanza etica): come "disarmare" le banche armate.
- Mercedes Frias (Nosotras): l'Europa neutrale accogliente e multiculturale.
- Elettra Deiana (parlamentare Prc, Forum delle Donne): il diritto alla
disobbedienza civile.
- Nadia Cervone (Donne in nero): la pratica delle Donne in nero in una
Europa neutrale.
- Nella Ginatempo (Basta guerra, coordinatrice nazionale): una Europa di
uomini e donne intesi a costruire una pace vera culturale politica
economica.
Tutti e tutte le interessate sono cordialmente invitate, sara' data la
parola dopo gli interventi programmati e per discutere gli stessi.
Lidia Menapace e Imma Barbarossa,
portavoce della Convenzione permanente di Donne contro le guerre
*
A mo' di chiarimento
Il concetto di "neutralita' attiva" e' al centro dei lavori del seminario,
dato che ha bisogno di definizione ulteriore e di comprensione precisa:
appunto per questo si fa un seminario. Dal quale poi prendere l'avvio per
campagne, azioni, proposte di movimento e di legge.
Chi propone vuole soprattutto farsi capire e non e' affatto aliena dal
prendere in considerazione altre parole, purche' non contraddicano la
finalita' di costituire per l'Europa una proposta di politica militare che
non sia ne' il mantenimento degli eserciti nazionali con ampia autonomia di
intervento differenziato; ne' la pura e semplice adesione subalterna alle
richieste USA; ne' il rafforzamento della Nato; ne' la costituzione di un
esercito europeo unificato: quelle fin qui elencate sono le ipotesi di
politica militare sul tappeto.
La forma "convenzione" interessa pure le proponenti perche' rispetta le
varieta' organizzative, le strade differenziate, il mantenimento della
molteplicita' delle sigle e comporta il metodo della ricerca di mete comuni
e di intrecci di volonta' decisioni e azione.
Il termine neutralita' appartiene alla storia dei movimenti nonviolenti in
Europa, soprattutto all'inizio della prima guerra mondiale. A chi propone
sembra che la prima guerra mondiale sia da tenere in considerazione come
avvio del secolo appena finito, prima grande resa del pensiero e
dell'azione di sinistra al richiamo della guerra, della patria e dei
confini: quindi un primo grande e mai piu' recuperato passo indietro
rispetto alle ipotesi sogni progetti internazionali e internazionalistici.
Per questo il richiamo a una posizione che puo' essere datata, serve per
datare - appunto - la storia dei movimenti nonviolenti che non sono una
invenzione dell'ultima ora.
Inoltre la neutralita' attiva - come piace chiamarla - significa non
indifferenza per le ragioni degli uni e degli altri, bensi' che si decide
di non sostenere militarmente quelle ragioni, perche' il sostegno militare
le inquina comunque. Ad esempio, una ipotesi di neutralita' attiva non si
"schiera" con Sharon, ovviamente, ma nemmeno con Arafat quando lancia e
copre i kamikaze, bensi' con il popolo israeliano e con quello palestinese;
non appoggia ne' Bush ovviamente, ma nemmeno Saddam, e non tratta la nomina
di un governatore esterno per l'Irak; ne' con la Nato ne' con il Kossovo,
non con Bush, ne' con Milosevic, ma con le voci antimilitariste del popolo
americano kossovaro serbo irakeno: mantiene distanze analitiche ed etiche
dalle varie ben differenziate responsabilita' dei signori della guerra da
qualsiasi parte stiano.
Forse qualcuno preferirebbe il termine "non allineato": ci abbiamo pensato
pure noi, ma questo e' davvero improponibile. Dal momento che il mondo non
e' piu' bipolare, non allinearsi significa dunque per l'appunto soltanto
essere neutrale. Tutti i paesi che praticano la neutralita' non l'hanno
dichiarata in relazione al sistema bipolare: ne' Svizzera ne' Austria ne'
Svezia, bensi' in proprio e secondo logiche anche molto differenti.
La novita' e' quella di avanzare l'ipotesi di una neutralita' attiva come
forma della politica militare europea: l'Europa pratica il disarmo
unilaterale, vieta progettazione fabbricazione commercio delle armi,
esclude banche che finanziano progettazione fabbricazione e commercio di
armi; colloca sul proprio territorio una rete di protezione civile a tutela
degli equilibri idrogeologici, contro gli inquinamenti, le minacce alla
salute e alla salubrita' dell'aria terra e alimenti ecc. ecc.; si dota di
una rete di servizio civile per la solidarieta' che non puo' essere assolta
individualmente. Afferma l'esercizio di un addestramento alla difesa
popolare nonviolenta. La novita' di questo progetto e' nella enormita' e
importanza del soggetto che la pratica, cioe' il continente europeo. Questo
squilibra l'imperialismo ormai senza confronti del governo USA e cambia i
rapporti internazionali nel loro complesso.
4. MAESTRI. ALBERTO L'ABATE: DALLA PRASSI ALLA TEORIA E DALLA TEORIA ALLA
PRASSI. ESPERIENZE DI VITA, DI RICERCA E DI FORMAZIONE ALLA NONVIOLENZA
[Riportiamo l'intervento di apertura del festeggiato al convegno di studi
in onore di Alberto L'Abate sul tema "La nonviolenza nella ricerca,
nell'educazione, nell'azione. La ricerca per la pace in Italia e nel mondo"
svoltosi a Torino l'11-12 febbraio 2001. Abbiamo ripreso il testo
dall'eccellente sito del Centro Studi Sereno Regis (per contatti: e-mail:
regis@arpnet.it; sito: www.arpnet.it/regis/). Alberto L'Abate (per
contatti: labate@unifi.it) e' nato a Brindisi nel 1931, docente
universitario, amico di Aldo Capitini, impegnato nei movimenti nonviolenti,
nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza,
nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti.
Ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose
iniziative nonviolente. Come ricercatore e programmatore socio-sanitario e'
stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio dâEuropa e
dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'. Ha promosso e condotto
l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed e' impegnato nella
"Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E' portavoce
dei "Berretti bianchi". Tra le opere di Alberto L'Abate segnaliamo almeno
Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso,
conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel
Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La
Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001]
Un breve premessa
Quando gli amici torinesi mi hanno accennato che volevano organizzare
questo convegno in occasione dei miei settanta anni mi e' sembrato un onore
eccessivo nei riguardi dei miei tutto sommato modesti contributi alla pace
ed alla ricerca per la pace. Ma poi ho accettato perche' tutte le occasioni
sono buone per fare il punto e riflettere su cio' che stiamo facendo e su
dove stiamo andando, e per vedere se la strada intrapresa e' giusta o
merita e necessita di qualche raddrizzata. Ma ho rifiutato il titolo
inizialmente propostomi molto piu' impegnativo sull'analisi delle lotte
nonviolente nel nostro paese sul quale spero che altri, piu' preparati di
me, possano portare un contributo, preferendo invece cogliere l'occasione
dei 70 anni per fare un riflessione sulla mia vita, e sui percorsi da me
portati avanti in questa ricerca che ho definito appunto "dalla prassi alla
teoria e dalla teoria alla prassi", per sottolineare l'interconnessione e
la reciproca vivificazione tra questi due momenti della ricerca.
La preferenza verso questo approccio autobiografico e' anche determinata
dal fatto che ormai da vari anni. sono impegnato con i miei allievi in una
ricerca, secondo il metodo maieutico promosso da Danilo Dolci, sulle
autobiografie e le storie di vita giovanili. Il metodo prevede quattro fasi:
1) l'autoanalisi individuale, attraverso la riflessione su di se' e la
stesura, o narrazione, della propria autobiografia;
2) l'autoanalisi di gruppo, attraverso un confronto tra pari sui reciproci
percorsi biografici;
3) l'analisi dei condizionamenti esterni, sia negativi che positivi, che
hanno influito su questi percorsi e sui nostri successi o insuccessi;
4) la messa a punto di iniziative e programmi per superare i
condizionamenti negativi ed incrementare invece quelli positivi.
Questo convegno e' per me una occasione per sentirmi anche io, anche se
settantenne, giovane come i miei allievi, e per tentare di fare insieme a
voi una riflessione critica, che spero porti ad un processo maieutico
comune, sui nostri rispettivi percorsi biografici e su cosa possiamo fare
per aumentare in concretezza ed efficacia, e ridurre un po' di quell'alone
utopistico che spesso aleggia nei nostri progetti.
*
Teoria/Prassi, Prassi/Teoria
1) Il primo di questi percorsi e' quello dalla teoria alla prassi. L'inizio
di questo percorso si puo' far risalire al mio interesse per la figura di
Gandhi quando ero ancora uno studente della Facolta' di Scienze Sociali e
Politiche dell'Universita' di Firenze. Tanto che per laurearmi feci una
tesina su come Gandhi aveva interpretato il pensiero di Mazzini.
Mi ero appassionato di Gandhi non solo leggendo i suoi scritti ma anche
la sua biografia, allora solo in inglese, scritta da L. Fisher. Siccome
avevo sentito Capitini in una conferenza pubblica gli scrissi chiedendogli
se poteva aiutarmi a trovare un editore che pubblicasse la traduzione
italiana di quel libro che avrei volentieri fatta io stesso. Mi rispose
subito dandomi un appuntamento per conoscerci reciprocamente durante un suo
viaggio a Firenze, ed effettivamente scrisse alla Nuova Italia Editrice di
Firenze suggerendo la traduzione e la pubblicazione di quel libro, che
conosceva ed apprezzava anche lui, e proponendomi come traduttore del
libro. I risultati di quella lettera non furono molto efficienti. Mentre in
quel periodo mancavano quasi del tutto biografie di Gandhi e questa sarebbe
stata una notevole novita' editoriale, quando poi la Nuova Italia ha
pubblicato il libro di Fisher - ma senza avermene richiesta la traduzione -
quasi vent'anni dopo la nostra lettera di proposta, ne erano gia' state
pubblicate varie e questo libro e' probabilmente caduto nel vuoto della
concorrenza (dubito che ne siano state vendute molte copie, probabilmente
mandando le restanti al macero, o nelle rivendite dei libri al 50% del
prezzo di copertina).
Ma era cominciata l'amicizia con Capitini che ho curato negli anni
successivi prendendo tutte le occasioni possibili per andare a trovarlo a
Perugia, tanto da considerarlo, come ho anche scritto, "un maestro di
vita". Da lui ho imparato l'importanza non solo di studiare la nonviolenza
ma anche quella di metterla in pratica, di sperimentarla, di attuarla nella
vita di ogni giorno, ed anche di cercare di mostrarne l'efficacia.
Dopo un certo tempo dal primo incontro con Capitini andai da Danilo Dolci,
prima solo per una estate, per partecipare alla ricerca che portera' alla
pubblicazione del libro Inchiesta a Palermo. Poi pero', colpito dalla
miseria e dallo stato di completo abbandono degli abitanti di uno dei
peggiori quartieri di Palermo, Cortile Cascino, scrissi a Danilo offrendomi
come volontario per andare a lavorare in quel quartiere, e partecipai con
lui, e con altri amici, divisi in varie zone di Palermo, ad un digiuno di
otto giorni, per denunciare lo stato di abbandono dei quartieri di tuguri
palermitani e per stimolare un loro risanamento. Dopo, con l'aiuto di
Danilo ed anche di Lucio Lombardo Radice, docente di matematica
all'Universita' di Palermo, prendemmo in affitto un tugurio proprio in
mezzo al Cortile Cascino, che prima era utilizzato come magazzino di
stracci vecchi, che venivano raccolti dai cascinari e poi rivenduti a
Prato, e li' mi insediai insieme a Goffredo Fofi che aveva deciso di
affiancarmi nella mia avventura palermitana. Era il periodo del processo a
Palermo a Danilo per lo sciopero alla rovescia nelle trazzere, cui hanno
partecipato come difensori alcuni notissimi avvocati (tra cui Piero
Calamandrei), della concessione a Danilo del premio Lenin per la pace, e
del convegno da lui organizzato sulla piena occupazione con la presenza di
studiosi di grande fama italiani e stranieri (tra gli italiani Paolo Sylos
Labini, tra gli stranieri Gunnar Myrdal). Ma oltre a partecipare, come
spettatori e come collaboratori volontari, a queste iniziative, io e
Goffredo cominciammo a lavorare nel cortile aprendo, nella stessa stanza
dove vivevamo, un doposcuola per bambini ed una scuola serale per adulti.
Del primo si occupava principalmente Goffredo, della seconda io. Ma la
metodologia di approccio era la stessa, i bimbi e gli adulti che erano piu'
avanti negli studi ci aiutavano ad insegnare a quelli che erano piu'
indietro, mettendo in pratica una pedagogia in cui tutti erano maestri e
tutti allievi. Infatti nella scuola serale avevo dichiarato ai miei allievi
che stavo preparando una tesi di laurea, alla Facolta' di Firenze in cui
ero iscritto, sul problema del risanamento del Cortile Cascino stesso e che
avevo bisogno, per questa tesi, del loro aiuto. Si era stabilito cosi' un
rapporto molto paritetico tra di noi, per cui io insegnavo loro cio' che
sapevo, e loro insegnavano a me quello che sapevano loro. Percio' dopo una
lezione di italiano decidemmo di scrivere una lettera a tutte le autorita'
politiche e religiose del nostro paese denunciando lo stato di abbandono
del cortile e chiedendo un aiuto per il suo risanamento. Le lettera scritte
dai ragazzi, e mandate al Capo del Governo, al Presidente della Repubblica
ed al Papa saranno pubblicate, su suggerimento di Lucio Lombardo Radice,
sulla rivista fiorentina "Il ponte", allora diretta da Piero Calamandrei.
Ma per il risanamento, con l'aiuto dell'associazione pittori palermitani,
organizzammo anche una mostra di pittura su Cortile Cascino che fece
scandalo perche' in uno dei quadri si vedeva una stanza di cortile dove
vivevano in dodici persone, con i genitori che facevano all'amore di fronte
ai loro figli addormentati, ma con sullo sfondo le cupole dorate della
Cattedrale di Palermo. La curia ci accuso' di vilipendio alla religione, ma
la mostra, e la polemica intorno a questa, servi' a far conoscere la
situazione di questa area non solo a Palermo ma in tutto il mondo. Questa
ed altre iniziative hanno infatti creato un forte interesse su Cortile
Cascino tanto che giornalisti e studiosi di tutto il mondo venivano a
visitarlo ed a scriverne. E sono stati fatti anche due film-documentari su
di esso. Questo ha costretto l'amministrazione comunale ad affrontare il
problema della sua distruzione e del suo risanamento, che avverra' qualche
anno piu' tardi.
Ma per tornare alla nostra scuole serale, altri temi dati ai ragazzi erano
invece sul lavoro che essi svolgevano, o su altri aspetti della loro vita,
oppure, quando si parlava di matematica, sui loro bilanci familiari, quanti
in famiglia lavoravano, quanto guadagnavano, quanto pagavano per quegli
orrendi tuguri in cui abitavano, ecc. ecc. Tutto materiale prezioso per
conoscere i problemi del quartiere e per mettere a punto la mia tesi, ma
che serviva anche ai ragazzi della scuola per imparare a leggere ed a
scrivere o a far di conto. Ma ogni tanto, per completare la nostra
conoscenza del quartiere, ed anche per organizzare iniziative concrete come
feste per i bambini, oppure forme di aiuto alle famiglie piu' bisognose,
con l'aiuto anche di alcuni giovani della Chiesa Evangelica di Palermo, che
venivano a darci una mano per il doposcuola e per la scuola serale, e degli
stessi studenti della scuola, facevamo delle ricerche a tappeto su tutti
gli abitanti del cortile, dei veri e propri censimenti.
E mettemmo in pratica quella che poi, in un mio lavoro metodologico,
chiamero' la pratica del doppio osservatore, uno interno ed uno esterno.
Quello interno, lo studente della scuola serale, era indispensabile per
essere accettati ed accolti dalle famiglie e non essere considerati ne'
poliziotti ne' persone addette alle tasse; ma quello esterno (lo studente
insegnante della scuola) era anche indispensabile per dare serieta' alla
ricerca che rischiava altrimenti di essere considerata una fonte di
pettegolezzi interni tra famiglie del cortile stesso. Questa prima
esperienza, e questa prima lotta urbana sostanzialmente di successo, ci ha
confermato sull'efficacia della lotta nonviolenta e ci ha incoraggiato nei
percorsi di vita che ognuno di noi, lasciato Danilo, proseguira' in zone e
situazioni diverse.
Ma a questo punto a qualcuno di voi potrebbe venire il dubbio: ma cosa
c'entra tutto questo con il percorso "dalla teoria alla prassi"?
In realta' c'entra perche' queste esperienze e quelle successive, sono
tutte legate al desiderio di "sperimentare", da buon docente di metodologia
della ricerca sociale che crede nel costruttivismo proposto da Galtung (una
metodologia che inserisce i propri valori nella ricerca ma li sottopone ad
una verifica sperimentale), la forza della nonviolenza non solo in
situazioni cosiddette "normali" ma anche in conflitti acuti. Da li' i miei
impegni e gli interventi in situazioni varie di conflitto.
Ma non sarei mai intervenuto in tali conflitti se non avessi prima
studiato la nonviolenza, sia leggendo e studiando, sia partecipando a dei
trainings organizzati a Perugia da Aldo Capitini con la War Resisters
International, sia andando a molte delle assemblee di questa
organizzazione che erano sempre un crogiolo di incontri, laboratori,
seminari di lavoro, raccolta di materiale illustrativo di azioni di tutte
le varie sezioni del mondo. Ma anche andando a studiare la nonviolenza
direttamente da Gene Sharp, ad Harvard negli USA, ad esempio, presso il
quale ho passato, in due occasioni, circa 4 mesi, o organizzando e
partecipando, presso la Scuola estiva organizzata dalla mia famiglia
presso la "Casa per la Pace" di San Gimignano, a seminari e training
animati da alcuni dei piu' importanti esperti di nonviolenza, di lotta
nonviolenta, di mediazione e risoluzione nonviolenta dei conflitti del
mondo.
Senza questa scuola non mi sarei mai sognato di intervenire, con i
"Volontari di Pace in Medio Oriente", nel conflitto iracheno, cercando di
lavorare per trovare soluzioni che permettessero di non arrivare al
conflitto armato; oppure con i "Beati i Costruttori di Pace", per
collaborare alla marcia Mir Sada nella ex-Jugoslavia con l'intento di dare
una mano ad una ricerca di soluzioni non armate al conflitto in atto,
oppure, con la Campagna Kossovo, che inizialmente si chiamava Campagna per
una soluzione nonviolenta nel Kossovo, per collaborare all'apertura ed ai
lavori, a Pristina, grazie anche ai finanziamenti della Campagna Italiana
per l'Obiezione di Coscienza alle Spese Militari, di una Ambasciata di Pace
che avesse come principale obiettivo proprio quello della prevenzione
dell'esplosione di un conflitto armato. Dai risultati ottenuti, dato che in
tutti questi casi si e' arrivati alla guerra oppure questa e' continuata ad
andare avanti, si potrebbe dire che questi interventi sono stati inutili
ed improduttivi. Ed effettivamente penso spesso a me stesso come ad un
epigono di don Chisciotte della Mancia, il cavaliere che crede di lottare
contro i nemici ma che si trova invece a combattere contro mulini a vento,
che e' il piu' perfetto simbolo di illuso che la letteratura mondiale
conosca. Percio' spesso penso a me stesso come ad una persona non bene
piantata in questa terra, che sopravvaluta le sue potenzialita' e si
coinvolge in imprese che sono al di sopra delle sue forze e delle sue
capacita', come qualche amico, forse giustamente, ha sostenuto.
Ma da buono scienziato ritengo che gli esperimenti sono importanti anche
quando falliscono perche' permettono di vedere con piu' precisione i limiti
della nostra azione e di studiare tipi e possibilita' di intervento piu'
validi da mettere in atto in altre situazioni piu' o meno simili, che
possano, forse (il dubitativo e' d'obbligo in questo campo, soprattutto per
uno scienziato), portare a risultati diversi e piu' efficaci.
Da questo punto di vista credo che gli interventi succitati siano serviti a
capire con molta precisione come si sarebbero potuti prevenire i conflitti
armati, e perche' non si e' potuto, o voluto, farlo: quali sono state le
mancanze, o i passi falsi, che hanno fatto si' che la guerra alla fine
"dovesse" esplodere. E tutto questo, se si lavora bene ed in modo
congiunto, aiutandosi l'uno con l'altro, puo' essere indispensabile per
capire meglio il problema ed accumulare delle conoscenze che possano
portare, in futuro, ad evitare altre guerre, o almeno a ridurne la
frequenza. Il che sarebbe un risultato di non poco conto.
*
2) Il secondo percorso e' invece quello inverso dalla prassi alla teoria.
Questo percorso mi ha fatto capire l'importanza dell'imparare facendo, e di
come spesso prima si agisca e poi si rifletta sulle ragioni dell'azione e
si costruisca un bagaglio di conoscenze sopra a questa.
Forse i momenti piu' importanti di questo percorso, quelli che nelle
presentazioni reciproche dei training vengono chiamati i "punti di svolta",
sono stati i vari processi (3) e le condanne comminatemi (2) che mi hanno
dato due grandi insegnamenti che in qualche modo cambieranno la mia vita.
La prima e' la condanna a sei mesi per vilipendio alle forze armate per una
azione fatta durante il 4 novembre di molti anni fa. Nel volantino
distribuito da un gruppo fiorentino, di membri di vari gruppetti che si
richiamavano in generale all'antimilitarismo, c'era una frase che suonava
cosi': "Basta con le farse ed i miti patriottici". Personalmente ero
contrario alla parola "farse" che mi sembrava offensiva per le persone che
avevano creduto e che erano anche morte per la difesa della loro "patria".
Avevo tentato di farla togliere ma il gruppo decise che avremmo votato e
deciso a maggioranza e minoranza. La mia proposta di eliminazione della
parola fu messa in minoranza e cosi' il testo risulto' stampato con quella
parola. Ma devo confessare che non sentivo mio quel volantino ed invece di
distribuirlo direttamente alle persone per la strada guardandole negli
occhi, come faccio di solito quando distribuisco un testo in cui credo
fermamente, lo mettevo sui cruscotti delle macchine o nelle buche delle
lettere, cercando di evitare il contatto diretto con le persone. Ma ad un
certo momento fui avvisato che i compagni che stavano distribuendo il
volantino in altre parti della citta' (ci eravamo distribuiti il territorio
in modo da coprirlo tutto) erano stati arrestati. Subentro' in me il senso
della solidarieta' con gli amici arrestati e cominciai cosi' a distribuire
i volantini che mi restavano direttamente alle persone che mi passavano
accanto, e dato che mi trovavo vicino alla sede della Questura, andai
addirittura a distribuirlo sotto di questa finche' non fui arrestato anche
io. L'intervento dell'accusa al processo, e la sentenza successiva, furono
il trionfo del piu' bieco nazionalismo, con grandi frase fatte di "amore
per la patria", di "oltraggio alle gloriose forze armate", eccetera
eccetera, e fummo condannati a sei mesi di carcere, naturalmente con la
condizionale dato che eravamo tutti incensurati. Per fortuna i nostri
avvocati difensori, per reazione alla sentenza di condanna, si dettero da
fare stimolando la propria categoria ed organizzando vari incontri nei
quali decisero di portare avanti una campagna per l'eliminazione dal codice
del vilipendio dalle forze armate, che era un articolo ancora dei tempi del
fascismo. E con un lavoro di qualche anno sono riusciti a vincere la loro
battaglia. Ma quella condanna mi ha portato un grande insegnamento che
segnera' altri momenti della mia vita successiva, e cioe' mi ha fatto
comprendere l'assurdita' di prendere delle decisioni che possono portare ad
una condanna attraverso il processo decisionale maggioritario, senza cioe'
una reale connessione tra la propria accettazione del rischio e l'azione
stessa compiuta.
Da li' il mio interesse e la mia passione per il metodo decisionale del
consenso, quando nella marcia Catania-Comiso organizzata da Pietro Pinna e
dal Movimento Nonviolento per conto della War Resisters International, ci
e' stato insegnato questo metodo. Ed ho cominciato a credere che non si
possa decidere a maggioranza se fare una azione illegale o meno. Ognuno ha
un proprio livello di rischio accettabile. Percio' e' giusto che misuri la
propria azione al livello di rischio che e' disposto ad accettare. Con il
metodo del consenso questo e' possibile. Si fanno addirittura gruppi di
affinita' basati sul rischio. Alla marcia Catania-Comiso, ad esempio, il
giorno prima dell'azione sull'aeroporto, si erano creati tre grossi gruppi,
formati a loro volta di gruppi di affinita' molto piu' piccoli: uno, di
circa un centinaio di persone, era formato di persone che non volevano
rischiare, ed anche molti stranieri che non ritenevano giusto fare una
azione considerata illegale in un paese che li ospitava, che decisero
percio' di limitarsi ad andare a distribuire un volantino nella citta' di
Comiso per fare capire alla popolazione le ragioni della nostra azione; un
altro, molto piu' piccolo, di poco piu' di dieci persone, che aveva deciso
di fare l'invasione e che si era preparato a questo andando a dormire in
una casa vicino alla base che si prestava a questa azione; un terzo gruppo,
di qualche centinaio di persone, che accettava un rischio intermedio, ed
aveva deciso di bloccare l'entrata della base e chiedere di essere ricevuti
dal comandante della base per portargli un documento con le rivendicazioni
della marcia. Se non fosse stato risposto a questa richiesta entro le 9 di
mattina si sarebbe dato il via al gruppo degli "invasori". E cosi'
successe, tanto che alle 9,15 si senti' una voce ad un altoparlante dire:
"Abbiamo invaso la base con scritte 'Zona denuclearizzata'". Capimmo
percio' che, attraverso il metodo del consenso, non era necessario fare
tutti la stessa cosa, ma che era importante che ciascuno facesse quello che
si sentiva di fare, purche' inserito in un quadro strategico comune che
puntasse allo stesso obiettivo. E l'organizzazione per gruppi di affinita'
e l'apprendimento del metodo decisionale del consenso e' diventato uno dei
punti forti di tutta l'attivita' di formazione fatta da me in seguito,
nelle attivita' di formazione a San Gimignano, o nei riguardi del movimento
della "Pantera", e nella formazione per l'intervento in Jugoslavia ai tempi
di Mir-Sada o per l'iniziativa nel Kossovo di I care.
Ma il secondo processo e la seconda condanna, anche questi ad altri sei
mesi, sempre con la condizionale, e' stato anni per i blocchi ferroviari
di Capalbio, contro la costruzione di una centrale nucleare. Non staro' qui
a parlare di questo processo, cui ho dedicato uno scritto apposito, ma solo
ad accennare gli insegnamenti che ne ho tratto. Io non mi sentivo tanto di
fare il blocco, non mi era preparato a questo, ma quando ho visto la
popolazione della zona entrare nella ferrovia e sedersi sui binari dei
treni li ho seguiti ed ho partecipato anche io al blocco. E quando ho
saputo che alcuni di loro erano sotto processo per questa azione mi sono
offerto come testimone, come ha pure fatto don Sirio Politi che era con noi
in quella giornata. Ma durante il processo - che si e' tenuto a Grosseto -
Sirio ed io fummo scandalizzati dal comportamento generale degli imputati
(in particolare degli organizzatori della manifestazione e di qualche
membro del Partito Radicale) che, dietro suggerimento dei loro avvocati,
invece di sostenere le proprie ragioni cercavano scappatoie (io non c'ero;
sono stato trascinato dalla folla, non volevo bloccare, ero andato solo per
vedere un amico, ecc. ecc.). Cosi' sia io che don Sirio, quando siamo stati
chiamati a testimoniare, abbiamo dichiarato di aver partecipato all'azione
e siamo all'istante passati da testimoni ad imputati. I primi imputati
sono stati assolti per insufficienza di prove, ed e' iniziato invece il
processo a noi due, cui dopo si sono aggiunte altre sette persone, tra cui
mia moglie Anna Luisa e Giannozzo Pucci. Il nostro processo e' andato
avanti per le lunghe dato che ogni volta qualche altra persona si
autoincriminava con noi ed il processo veniva rimandato per unificare i
procedimenti. E la sera prima di ogni processo organizzavamo un
contro-processo in cui si invitavano noti esperti (Mattioli, Tiezzi,
Scalia, Nebbia, e tanti altri) a parlare dei rischi per la salute della
popolazione della zona circostante le centrali nucleari. E questi esperti,
il giorno dopo, partecipavano come testimoni a favore anche al processo
confermando con molta documentazione i rischi succitati. I giornali locali
ne parlarono molto, tanto che l'opinione locale a poco a poco aveva capito
le ragioni della nostra azione, ed era diventata molto favorevole a noi.
Tanto che il giorno del processo definitivo gli allievi di molte scuole
locali scioperarono per venire a portarci la loro solidarieta' ed assistere
al processo. Che si concluse con una sentenza storica, di cui parlo' anche
la radio nazionale per la sua novita', e cioe' con l'assoluzione per "aver
agito in stato di necessita'". Il giornale radio la sera spiego' che era la
prima volta che, in un giudizio nel nostro paese, lo stato di necessita'
veniva utilizzato, non per la difesa personale di un imputato, ma per la
difesa di un bene collettivo come la salute della cittadinanza.
Ma in quel periodo la scelta della strada nucleare da parte del nostro
governo era decisa, e la nostra sentenza veniva considerata pericolosa e
dava noia, cosi' si arrivo' in tempi rapidissimi (in nemmeno sei mesi) -
incredibile data la usuale lentezza del nostro sistema giudiziario - al
processo di appello contro di noi, che si e' tenuto invece a Firenze. In
questo i giudici non hanno accettato testimonianze ed hanno rovesciato la
sentenza di primo grado condannandoci a sei mesi. E dopo vari anni il
processo, in Cassazione, a Roma, confermera' questa sentenza.
Ma questa esperienza ci ha fatto capire (a me, a mia moglie, ma anche ai
miei figli che avevano seguito da vicino tutti i processi) l'importanza,
per poter portare avanti azioni nonviolente, della preparazione delle
persone: e cioe' di conoscere sia i metodi di azione, sia le conseguenze
delle proprie azioni, e di accettarle. Per questo, con tutta la famiglia,
in occasione di una eredita', abbiamo deciso di acquistare una casa in
campagna a San Gimignano e di trasformarla in una "Casa per la Pace" per
farne una scuola estiva di nonviolenza. Questa ha funzionato per circa 15
anni, fino al momento in cui il mio impegno in Kossovo mi ha impedito di
portarne avanti le attivita', ed ha formato alla nonviolenza centinaia di
giovani e non piu' giovani di tutte le parti d'Italia, ed ha anche
stimolato la nascita di varie case per la pace e scuole di nonviolenza in
altre zone del territorio nazionale.
*
3) La terza fase, quella dell'interconnessione tra i due percorsi. Per un
lungo periodo di tempo questi due percorsi sono stati paralleli ed autonomi
l'uno nei riguardi dell'altro, e non si intersecavano reciprocamente.
All'Universita' facevo, con i miei allievi, ricerche sulla pace e sulla
guerra, sui rapporti tra atteggiamento, conoscenza e comportamento rispetto
a questi temi, e studiavo piu' a fondo l'atteggiamento assertivo (visto
come una terza via, distinta dall'aggressivita', da una parte, e dalla
passivita', dall'altra), cercando di formare a questo i miei allievi e gli
allievi dei miei allievi (che erano spesso insegnanti di scuole di vari
livelli). Contemporaneamente al mio impegno di insegnante universitario
portavo avanti anche un lavoro, a tempo pieno, alla Regione Toscana, in cui
mi occupavo di ricerca e di formazione per la programmazione
socio-sanitaria. Nei fine settimana, o nelle vacanze, partecipavo (anche
qui sarebbe piu' giusto parlare al plurale dato che spesso sia mia moglie
che almeno le figlie piu' grandi partecipavano anche loro) ad azioni
nonviolente (Capalbio, Comiso, Iraq, Pristina), a viaggi studio o
conferenze internazionali (Italia, Danimarca, Inghilterra, India, Kossovo,
ecc.) oppure organizzavo la formazione in questi settori (San Gimignano,
Ghilarza, ecc.). Parlare percio' di doppio lavoro e' un eufemismo dato che
i lavori erano almeno tre: quello professionale, prima presso la Provincia
di Firenze poi alla Regione Toscana, l'insegnamento universitario,
l'impegno nel movimento. Tanto che mio fratello, un noto psicologo
familiare che vive da moltissimi anni negli Usa, mi definisce un
"workoholic", che e' difficile tradurre in italiano, ma che invece che
dipendente dall'alcol, o dalla droga, le forme piu' note e diffuse di
dipendenza, mi rende dipendente dal lavoro.
Ma vorrei fare qui un inciso, che fa capire meglio l'interconnessione tra
teoria e pratica nella mia vita. Questo sovraccarico di lavoro ed eccessivo
impegno mi ha arrecato vari disturbi e malattie. Ma in particolare uno, e
cioe' la sindrome di Menier, e cioe' la tendenza, in certi momenti, a non
tenere l'equilibrio e cadere per terra. Io la chiamo la malattia ecologica,
perche' dopo i primi giorni in cui non si riesce nemmeno ad alzarsi dal
letto perche' tutto gira intorno a noi, una specie di mal di mare perenne,
appena si sta un po' meglio si riacquistano tutte le varie facolta', ma non
si puo' andare in macchina ne' prendere un autobus. Cosi' ero costretto a
lunghi periodo di riposo, talvolta anche di un mese, in cui non potevo
andare a lavorare ma ero lucido e sano, purche' mi limitassi a fare
passeggiatine a piedi nei vicinati della casa. Ed io approfittavo di questi
periodi per scrivere i miei libri: quasi tutti nati in periodi di questo
tipo, grazie alle mie malattie. Ma un'altra cosa curiosa, ed illuminante e'
anche il fatto che "l'equilibrio instabile", che era appunto la mia
malattia, e' diventata anche la principale teoria sociologica da me
utilizzata per il superamento del distacco tra i "modelli di societa'
consensuali" e quelli "conflittuali"; teoria che mi e' servita per dare un
sostegno scientifico allo studio della nonviolenza che richiede, appunto,
il superamento di una di queste due visioni viste come antagoniste l'una
con l'altra.
Ma tornando al racconto della nascita di questa terza fase, che e' servita
a superare la schizofrenia della mia vita, e questa divisione tra mondi
diversi, il momento piu' importante di questo superamento e' stato il 1991
e l'impegno con il movimento studentesco della Pantera. C'e' da dire
comunque che qualche anno prima l'idoneita' ad un concorso nazionale di
insegnamento universitario e l'entrata in ruolo in questo impegno mi aveva
costretto a lasciare il lavoro alla Regione e mi aveva liberato percio' da
almeno uno dei miei tre impegni di lavoro. Ma per tornare alla Pantera: gli
studenti di molte universita' italiane, compresa quella di Firenze, in cui
mi ero trasferito dopo un lungo periodo di insegnamento all'Universita' di
Ferrara, per opporsi ad una riforma che sentivano privatistica, avevano
occupato moltissime delle facolta' italiane. Questo impediva ai professori
di portare avanti le proprie lezioni. Ma mentre i miei colleghi stavano a
casa liberi da impegni di insegnamento io, e Lorenzo Porta che aveva
collaborato con me alle attivita' di San Gimignano, venimmo al centro degli
interessi degli studenti fiorentini che erano interessati ad imparare i
modi e le strategie della lotta nonviolenta. Cosi', su loro richiesta,
facemmo un primo training di formazione per formatori alla nonviolenza per
studenti delle varie facolta' fiorentine, seguito poi da una seconda
sessione avanzata. Poi i partecipanti avevano l'incarico di aiutarci ad
organizzare altri training nelle rispettive Facolta'. Cosi' facemmo e ci
siamo trovati ad insegnare la nonviolenza nelle Facolta' di Magistero (la
mia), di Lettere e Filosofia, di Scienze Politiche, di Agraria, di Scienze
Naturali, e nella Scuola di Servizio Sociale.
Ho scritto gia' su questo e non mi dilunghero' a parlare di questa
esperienza. Ma questo e' servito a rompere la separatezza tra questi mondi
diversi e ad invogliarmi ad usare spesso i training nel mio normale
insegnamento, utilizzando spesso, ad esempio, i giochi di posizione o le
tempeste di idee per discutere su problemi metodologici o epistemologici,
ad insegnare ai miei allievi l'importanza, per la ricerca, del metodo
deduttivo e di quello induttivo, e del ciclo conoscitivo che unisce
ambedue questi metodi facendo passare dalla teoria alla prassi ma anche
dalla prassi alla teoria. Oppure ad insegnare ai miei allievi l'importanza
della conoscenza "empatica", di quella cioe' che viene dal mettersi nei
panni degli altri (come nei giochi di ruolo), e non solo di quella
"razionale" che ci permette talvolta di "capire" ma non di "comprendere". E
ad insegnare l'importanza di una "scienza con coscienza" che rompe il
tradizionale approccio cosiddetto neutralistico (che in realta' non e' tale
perche' tende ad accettare il sistema cosi' com'e', ed a lasciare la
scelta dei valori ai detentori del potere) per insegnare il costruttivismo
di Johan Galtung ed il suo approccio alla scienza trilaterale, basata sui
dati, le teorie ed i valori, e che vede confermare questi ultimi tramite la
sperimentazione stessa e la valutazione dei risultati ottenuti. Ed a
sostenere, nel processo di apprendimento, l'importanza del "conoscere
operando" ed "operare conoscendo" superando il comtiano "conoscere per
operare" che sottovaluta del tutto la conoscenza che proviene dalla stessa
azione.
Questo approccio rovescia il rapporto tra questi due termini mettendo al
primo posto l'azione, come del resto ci ha insegnato anche la scuola
dell'apprendimento sociale ed uno dei suoi piu' noti sostenitori, e cioe'
Dewey. Questo mi ha portato a sostenere la necessita' di passare da una
sociologia puramente analitica, che cerca solo di spiegare i fenomeni che
studia senza cercare di modificarli, ad una sperimentale, che interviene
per modificare la realta' e per costruire quel mondo che Galtung ha
definito del "possibile e desiderabile", ed infine ad una sociologia
applicata, che estende i risultati della sperimentazione una volta che si
siano dimostrati coerenti con gli obiettivi ricercati.
L'importanza della sperimentazione e' stato il leit motiv della mia vita,
sia nel mio lavoro alla Regione, dove ho cercato di sperimentare nuovi
modelli organizzativi attraverso l'organizzazione dei Consorzi
Sociosanitari come prefigurazione delle Unita' Locali dei Servizi, oppure
l'applicazione della programmazione circolare (che unisce quella dal basso
e quella dall'alto) alla trasformazione e pianificazione dei servizi
socio-sanitari; o nella mia ricerca universitaria, dove ho cercato di
sperimentare i giochi cooperativi come strumento di educazione
all'assertivita' ed alla pace per i bambini delle scuole materne ed
elementari, sia infine anche nel mio impegno sia di studioso che di
nonviolento, attraverso lo studio delle possibili cause della guerra in
Kossovo e dell'individuazione dei percorsi che avrebbero potuto prevenirla
ed evitarla.
Questa fusione completa tra questi diversi mondi mi ha portato a
preconizzare e poi a lavorare, con varie delle persone qui presenti, come
Tonino Drago, Nanni Salio, ed altri amici dell'area nonviolenta (di Pax
Christi Italia o della Comunita' di Sant'Egidio), all'apertura
dell'Universita' alla ricerca ed alla formazione per la pace e la
nonviolenza. Grazie ad un incontro al CUN su questo argomento questo sta
diventando una realta' non solo nella mia Universita' di Firenze ma anche
in altre. A Firenze, ad esempio, l'anno prossimo apriremo un corso
triennale in "operatori per la pace". Non e' stato facile farlo passare,
abbiamo dovuto superare molte difficolta' ed altre ancora stanno sorgendo
giorno per giorno. Ma l'iniziativa in complesso sta andando avanti e l'anno
prossimo dovremo "sperimentare" - dico questa parola con convinzione dato
il carattere abbastanza provvisorio e sperimentale che avra' questo corso
l'anno prossimo - questo inserimento e questo nuovo corso. Questo mi
comportera' un grosso sacrificio. Avendo infatti raggiunto i 70 anni potrei
bellamente andare in pensione e dedicarmi solamente ai miei studi ed alle
attivita' per la pace. Ma se lo facessi mi sentirei un vigliacco ed un
traditore. Per questo ho chiesto di insegnare ancora due anni, come mi
permette la legge attuale, in modo di aver tempo per superare questa fase
sperimentale e dare al nuovo corso un carattere stabile e continuativo. Ma
lo faccio con gioia anche perche' mi piace insegnare. L'insegnamento mi
arricchisce molto dato che uso quello che definisco l'insegnamento
bidirezionale, in cui allievi ed insegnanti svolgono tutti e due i ruoli, e
cerco di specializzarmi in quello che e' stato definito l'insegnamento con
le "domande legittime", quelle cioe' cui l'insegnante non sa rispondere e
su cui cerca le risposte insieme con gli allievi, che e' l'unico tipo di
insegnamento che puo' realmente educare alla nonviolenza, alla pace, ed
alla convivenza tra gruppi, etnie, religioni, e nazioni diverse.
*
Ora vi ringrazio di nuovo per questa bella iniziativa e per l'invito e
l'onore fattomi, sperando che il dibattito ed il prosieguo del convegno
confermino l'opportunita' di una riflessione collettiva su come e dove
stiamo andando come nonviolenti, e su eventuali correzioni o almeno
integrazioni da fare, e che permetta di portare avanti quel processo
maieutico di cui ho parlato all'inizio.
5. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA PIAZZA A BOLZANO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per averci
messo a disposizione questo suo intervento sulla vicenda della
denominazione della piazza di Bolzano su cui si e' tenuto due settimane fa
un referendum. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto". E' tra le voci piu' significative della cultura delle donne,
della sinistra critica, dei movimenti. La maggior parte degli scritti e
degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste,
atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di),
Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973;
La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione
con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000]
La premessa e' che a Bolzano tra il 1927 e il '28 fu eretto un enorme
monumento alla vittoria, su progetto dell'architetto di regime Piacentini,
carico di fasci littori e con una scritta in cima molto offensiva per gli
abitanti di lingua tedesca della zona.
Il monumento e' sempre stato usato dal fascismo e poi dal Msi e oggi da An
come segno del diritto dell'Italia a considerare i sudtirolesi di lingua
tedesca popolazione coloniale e non minoranza tutelata e l'"italianita'" ad
essere rappresentata dal monumento e dal nazionalismo. Il 4 novembre e'
stato celebrato con "grandiose" sfilate militari anche molto dopo che nel
resto della Repubblica la data era passata in sottordine: attraverso una
tenace opera di resistenza poco a poco la sfilata militare non c'e' stata
piu', nemmeno i discorsi davanti al monumento, nemmeno le messe solo per
alcuni e oggi si usa fare una messa in duomo per i caduti di tutte le
guerre e di tutte le lingue.
Resta il monumento davvero politicamente insopportabile: ma poiche' - come
e' ovvio- nessuno si sogna di tirarlo giu', almeno - si e' pensato -
cambiamo nome alla piazza che si chiama della Vittoria e intitoliamola alla
Pace. Il consiglio comunale ha approvato a maggioranza un progetto che
intitola la piazza alla Pace, lascia il monumento, usandone la cripta per
narrare le vicende che lo hanno messo in piedi e aggiunge una piccola
mostra sulla guerra 1915-'18 e le sue rovine.
An raccoglie subito le firme per un referendum abrogativo, dopo aver gia'
fatto fuoco e fiamme per ottenere - in barba a federalismo autonomia e
devolution - che Roma metta il becco su questioni urbanistiche del comune
di Bolzano: vince clamorosamente.
Bisognera' indagare bene che cosa cio' significhi, a mio parere la gravita'
e' stata sottovalutata ad esempio dal settimanale cattolico in lingua
italiana di Bolzano, dalle forze politiche di centrosinistra e anche da chi
ha comunque pensato che convenisse una campagna soft, sottovoce, come se
non si potesse gia' vedere che oggi il nuovo passa di misura, se chi lo
sostiene e' netto nelle proposte (il no alla guerra dei socialdemocratici e
verdi tedeschi, il programma avanzato della sinistra in Svezia ecc.), perde
alla grande se cerca di non disturbare, di stare in disparte, di non
prendere posizione ecc.
Mentre si discute a Bolzano che cosa seguira' al referendum vinto dalla
destra, si viene a sapere che un senatore di An aveva gia' presentato molto
prima un testo di decreto-legge per ottenere la tutela e la conservazione
di tutte le memorie i monumenti i nomi di battaglie della prima guerra
mondiale dati a strade piazze scuole ecc. e che anche nei libri di storia
per le scuole, non la Resistenza sia riconosciuta come fondamento della
Repubblica, bensi' la prima guerra mondiale. Se si pensa alle difficolta'
che stanno passando tutti gli Istituti di storia della Resistenza, si puo'
capire che di una operazione politica studiata si tratta. E' una operazione
molto pericolosa: anche la marcia su Roma fu preceduta nel 1922 da una
marcia su Bolzano che fece anche un morto tra i sudtirolesi: questa citta'
segnala le intolleranze di tipo "nazionale" ed "etnico" con una
sensibilita' spesso esasperata.
Una delle prime manifestazioni degli studenti nel 1968 quassu' fu un sit-in
a piazza delle Erbe contro la sfilata militare del 4 novembre: ne era anima
tra gli altri anche Alex Langer e fu una delle prime manifestazioni a cui
prese parte sia la scuola di lingua italiana che quella di lingua tedesca.
Tira una brutta aria, un vento di destra cui bisogna opporsi subito
nettamente: ricordiamo che persino "l'ascesa di Arturo Ui" era
"resistibile", ma non fu resistita e questo porto' lutti senza fine.
6. MAESTRE. LAVINIA MAZZUCCHETTI: CON L'EVIDENZA DEL VERO, DEL BELLO E DEL
BUONO
[Da Lavinia Mazzucchetti, Cronache e saggi, Il Saggiatore, Milano 1966, p.
248. Lavinia Mazzucchetti, nata a Milano nel 1889, docente universitaria di
letteratura tedesca, nel 1929 ebbe "il doloroso onore" di essere esclusa
dallâinsegnamento universitario perche' antifascista. Svolse una
straordinaria attivita' di giornalismo culturale e di promozione della
cultura, editoriale e di traduttrice, di studiosa e di persona impegnata in
difesa della civilta' e della dignitˆ umana; curo' lâedizione di Goethe per
Sansoni e quella delle opere complete di Thomas Mann per Mondadori. E'
scomparsa nel 1965. Tra le sue opere piu' significative segnaliamo Schiller
in Italia (1913); A. W. Schlegel und die italienische Literatur (1917); Il
nuovo secolo della poesia tedesca (1926); La vita di Goethe seguita
sullâEpistolario (1932, 1949); L'Italia e la Svizzera (1943); Novecento in
Germania (1959); Die andere Achse. Italienische Resistenza und geistiges
Deutschland (1964, in collaborazione con E. Castellani, L. Rognoni, G. C.
Argan, R. Cantoni); Cronache e saggi (1966)]
Lessing ha sempre prediletta la difesa del debole, le cause della giustizia
morale, pero' in lui non troviamo mai un grano di fanatismo o un peccato di
retorica, mai un eccesso di roseo entusiasmo. Vuole vincere con la logica,
con la evidenza del vero, del bello e del buono: non vuole sorprendere e
superare l'avversario commovendolo. Forse per tale limpidita' della sua
battaglia, egli fu cosi' a fondo amareggiato dalla calunnia di coloro che
lo proclamavano "empio".
7. ESPERIENZE. BURBANZIO MASCARONI: DANTE E CATULLO AL CENTRO SOCIALE
[Con questo articolo il buon Burbanzio Mascaroni esordisce sulle nostre pagine]
Tra le esperienze condotte nel corso del tempo presso il centro sociale
occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo vi e' stata la lettura
integrale e approfonditi lo studio e la discussione di tutto l'Inferno
dantesco, protrattisi per molti mesi, e la lettura integrale dei Carmina di
Catullo (ma questi in traduzione italiana, sebbene confrontando il testo
latino a fronte e cercando insieme altre soluzioni di traduzione oltre
quelle che leggevamo - abbiamo usato quelle di Salvatore Quasimodo, di
Enzio Cetrangolo, di Mario Ramous, e di altri ancora).
Ci si chiedera': Dante al centro sociale occupato? Certo, e dove se no? Un
uomo condannato a morte, di tenace concetto, che conobbe "come sa di sale/
lo pane altrui, e come e' duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui
scale", e' un uomo che trova costi' i suoi interlocutori ben piu' che nelle
scuole di ogni ordine e grado.
Ma Catullo? Gia', Catullo. Che e' certo personaggio imbarazzante, con la
sua impronunciabile pornografia, gli insulti peggio che ripugnanti, e poi
anche quei poemetti d'argomento diciamo cosi' mitologico scritti come veri
tour de force nel repertorio piu' snob che neppure l'insopportabile
Gabriele D'Annunzio.
Eppure. Eppure anche qui c'e' da imparare (e non solo un armamentario di
ingiurie e grossezze): ad esempio che la civilta' latina non era solo
quella processione di statue di marmo, di cinici azzeccagarbugli, di
sfruttatori molli e crudeli, e di killer di massa; ma soprattutto che nella
fenomenologia dei sentimenti infinite sono le variazioni ed innumerevoli i
paradossi, e sulla compresenza dell'odio e dell'amore molto e' da dire, e
molto e' da soffrire.
Quando penso al mio ideale di comunita' solidale penso a questa esperienza
nei suoi momenti piu' alti: un gruppo di amici accogliente, che offre un
piatto di minestra e un tetto sotto cui dormire a chiunque lo chieda; una
lotta senza requie contro ogni forma di oppressione, e un tenace lavoro su
se stessi; che studia e pratica la nonviolenza fino ad affrontare - e per
alcune ore sconfiggere - la macchina bellica piu' potente del mondo; e che
insieme sa leggere Dante e Catullo, e godere della poesia.
8. RILETTURE. ENZA BIAGINI: SIMONE DE BEAUVOIR
Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982, pp. 192.
Un'attenta, sensibile monografia sulla grande intellettuale e militante
francese.
9. RILETTURE. ALESSANDRA CALZI: L'INTERCULTURALITA' NELLA SCUOLA ELEMENTARE
Alessandra Calzi, L'interculturalita' nella scuola elementare, Emi, Bologna
1999, pp. 128. Nella bella collana dei "Quaderni dell'interculturalita'",
un agile strumento di lavoro.
10. RILETTURE. MARIANTONIETTA DI CAPITA: L'INTERCULTURALITA' NELLA SCUOLA
MATERNA
Mariantonietta Di Capita, L'interculturalita' nella scuola materna, Emi,
Bologna 1999, pp. 96. Anche questo e' un utile volumetto della collana dei
"Quaderni dell'interculturalita'" promossa dal Cem (Centro educazione alla
mondialita').
11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova
il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio,
l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org;
per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in
Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 387 del 17 ottobre 2002