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Sulla cultura mafiosa



Dal "Giornale di Sicilia" - Cronaca

Dicono le cronache che l'ultimo boss arrestato qualche giorno fa, Antonino 
Giuffrè, il ricercatissimo vice di Bernardo Provenzano, se ne andava in 
giro con una manciata di immaginette sacre in una tasca e una pistola 
nell'altra. Immagine eloquente di quella realtà, difficile da capire, ma 
innegabile, che è il legame tra la mafia e una certa religiosità popolare.
A questa religiosità l'"Onorata società" ha attinto, in passato, anche 
alcuni elementi del suo armamentario simbolico (si pensi al rito di 
iniziazione, che includeva, come è noto, il versamento di alcune gocce di 
sangue su di una immagine sacra, che poi veniva bruciata). E del legame a 
cui accennavamo costituiscono un esempio non solo Giuffrè, ma anche altri 
esponenti di spicco di "Cosa Nostra": da Michele Greco, detto "il Papa", 
che leggeva la Bibbia in carcere, ad Aglieri, che si faceva celebrare la 
messa nel suo nascondiglio di pluriomicida latitante. Forse, per capire, 
bisognerebbe ricordare che la mafia, almeno in Sicilia, non è stata una 
pura e semplice organizzazione criminale. Essa ha avuto profonde radici in 
un contesto storico e culturale che ha largamente coinvolto la popolazione. 
Si pensi alla tendenza di "Cosa Nostra" a costituire un ordine parallelo a 
quello dello Stato, tradizionalmente sentito dai siciliani come una realtà 
estranea ed ostile, a cui piegarsi solo per paura o interesse, mai per 
intima adesione. Non è un caso che la mafia abbia assunto la sua forma 
definitiva nella seconda metà dell'Ottocento, quando la pressione dello 
Stato unitario, governato da una ‚lite di piemontesi e toscani, fece salire 
al massimo la tensione fra le regole "moderne", imposte dalla pubblica 
amministrazione, e il comune sentire della popolazione. Con questo Stato, 
centralista e fortemente anticlericale, anche la Chiesa ebbe allora un 
durissimo conflitto, che la portò a difendere le tradizioni popolari del 
mondo contadino contro l'invadenza di una cultura borghese, largamente 
influenzata dalla Massoneria.
E' in questo quadro storico che può essere compresa la contiguità tra la 
cultura mafiosa e la religiosità popolare, come pure la scarsa percezione, 
da parte degli ambienti ecclesiastici, della gravità del fenomeno mafioso. 
Oggi le cose sono molto cambiate. Gli ultimi decenni hanno visto una 
progressiva presa di coscienza - non solo da parte della Chiesa, ma di 
tutta la società - del carattere criminale della mafia e della necessità di 
sostenere decisamente lo Stato democratico nella lotta contro di essa. Le 
prese di posizione sempre più chiare e dure da parte dei vescovi e dello 
stesso Papa sono troppo note per essere qui riprese. In esse 
l'incompatibilità non solo dell'organizzazione mafiosa, ma anche della 
cultura di fondo a cui essa si ispira, con la visione cristiana della vita 
e dei rapporti umani, è stata affermata senza ombre n‚ riserve. Proprio 
questa netta presa di distanza da parte della Chiesa evidenzia quello che 
rimaneva nascosto in altre epoche: e cioè che l'aggancio tra la mafia e la 
religiosità popolare si fonda non sugli elementi genuinamente evangelici di 
quest'ultima - che pure sono tanti -, bensì sulle commistioni di paganesimo 
che essa porta in s‚ e da cui è sempre più urgente che venga purificata. Si 
pensi a un certa cultura del fatalismo, o della vendetta, che sono entrambi 
chiaramente in contrasto col messaggio di Gesù e con l'idea cristiana della 
storia e dei rapporti umani; si pensi al misconoscimento del bene comune - 
di cui lo Stato è il garante e il promotore -, in nome dell'interesse 
privato della "famiglia", visione agli antipodi dell'insegnamento sociale 
della Chiesa. Ma, per superare l'equivoco di questa falsa religiosità, non 
bastano le condanne ufficiali del fenomeno mafioso: si impone un'azione 
pastorale volta a far entrare davvero il vangelo nella mentalità diffusa 
della nostra gente e a far uscire la fede dalla sfera della celebrazione 
meramente rituale, per farlo diventare fermento di un nuovo stile di vita 
personale e sociale. Se questa sfida fosse vinta, molte cose cambierebbero 
in Sicilia.
E non sarebbero solo i boss mafiosi a vedere smascherato il loro preteso 
cristianesimo.