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Dov'e' Taqua? Il diario di Fabrizio
Dov'e' Taqua?
Quando arrivera' Natale sapro' dov'e' Taqua. Betlemme e' dove metto la
capanna con Gesu' bambino, Giuseppe e Maria, il bue e l'asinello. Le case
di Betlemme sono le piu' in vista, le metto sempre davanti perche' sono le
piu' belle che ho nello scatolone. Beit Sahur e' dove metto i pastori con
il loro gregge, un po' piu' lontano a sinistra. Beit Jala e' un po' piu' a
destra della capanna, forse quest' anno ci metto l'uomo che taglia la legna
e quello che attinge l'acqua dal pozzo.
Ma dov'e' Taqua? Ora lo so! Taqua e' sulla carta che metto dietro, quella
dove ci sono i villaggi lontani e qualche collina, quella che fa da sfondo.
Anche oggi, in questo paesaggio reale, di guerra, Taqua sta sulla carta che
fa da sfondo.
Taqua ha ottomila abitanti, ma non si vedono alla tv o sui giornali. La
sofferenza di Taqua non fa notizia in una terra dove c'e' molta la
concorrenza. Vicino c'e' Betlemme occupata, con la Chiesa della Nativita'
che non ospita piu' i pastori accorsi a a vedere Gesu' bambino ma i
palestinesi che hanno tentato di reagire all'occupazione armandosi (ma a
che serve armarsi contro il quarto esercito del mondo?). Beit Sahur e'
sotto coprifuoco da un mese, con la paura quando si esce per comprare
qualcosa o per andare in chiesa durante la Settimana Santa ortodossa; Beit
Jala e' nella stessa situazione ed e' la porta non ufficiale su questo
mondo chiuso, nel cielo non piu' la stella cometa ad indicare dove e' nato
Gesu' ma un piccolo dirigibile bianco con attaccata una telecamera, occhio
dell'esercito di Israele.
Partiamo verso Taqua ed il tassista dice che da un mese non si allontanava
cosi' tanto da Beit Jala, quindici chilometri. Percorriamo strade
secondarie che lambiscono Betlemme, ogni tanto mucchi di sabbia al centro
della strada e dobbiamo cercarne un'altra. Arriviamo davanti all'ennesimo
mucchio di terra che ostruisce una stretta strada asfaltata: e' l'entrata
principale di Taqua. Sulla sinistra, sulla collina c'e' un insediamento di
coloni israeliani con i tipici tetti rossi. Sul fondo della valle vedo una
"bella strada larga" e ingenuamente mi chiedo: "Perche' non siamo passati
dalla strada principale?". La risposta la da il sindaco di Taqua che ci
aspetta oltre il muro di terra. Ci sistema nella macchina del comune e ci
porta nel paese che si estende sulla collina. Facciamo sempre strade
strette. La strada grande, quella che ho visto prima, loro, i palestinesi,
non la possono percorrere. Possono solo usare il pezzo che taglia in due il
paese. Si vedono i confini dell'abitato dove tutte le strade finiscono in
mucchi di terra. "Proprio sfaticati 'sti palestinesi! Perche' non li
rimuovono?" Arriva subito la risposta: una raffica in cima al paese.
Andiamo a vedere cosa e' successo e la gente racconta che poco prima e'
arrivata una jeep con a bordo dei coloni che hanno sparato a mezz'aria in
direzione di alcuni ragazzi che stavano scavando un varco per fare uscire
la loro auto. La normalita' di Taqua, per fortuna nessuno si e' fatto male.
I coloni si sono allontanati e fra un po' una ruspa israeliana "riparera'"
il buco fatto dai palestinesi.
E' mezzogiorno e a Taqua finiscono le lezioni per gli studenti delle
quattro scuole della citta' (elementari e medie). Tutti i giorni gli
insegnanti della scuola elementare che si affaccia sulla "strada grande"
accompagnano i piccoli studenti che attraversano la strada. L'apprensione
dei maestri non e' solo "automobilistica", qui il pericolo sono anche le
provocazioni che possono arrivare da chi usa quella strada da padrone. Gli
insegnanti vigilano affinche'i ragazzini non tirino sassi contro le
macchine di chi poco prima ha sparato contro i loro fratelli maggiori. Un
anno fa un bambino ha osato tirare dei sassi contro dei soldati. Ora una
lapide lo ricorda proprio li' dove e' morto ucciso da una raffica di mitra.
Nelle scuole di Taqua i bambini non mancano, le aule sono sovraffollate,
anche quaranta per classe, quelli che mancano, in questo ultimo mese, sono
i maestri e i professori, rimasti intrappolati nelle loro case dal
coprifuoco di Betlemme, Beit Jala, Beit Sahur e i villaggi vicini. Li
sostituiscono volontari di Taqua che si improvvisano maestri, ma la
didattica ne risente.
Ci portano a mangiare: finalmente! Sono buone le olive di Taqua, gustose,
il gusto di questa terra che sa di Mediterraneo e sud Italia. "Sindaco,
facci vedere dove si coltivano le olive!" "E' pericoloso!" Altra domanda
alla quale non riesco a darmi una risposta finche' non calpesto questa
terra arsa. L'insediamento e' proprio di fronte e si vedono le strade
aperte di fresco per prendere ancora piu' terra dove sorgeranno altre belle
casette a schiera con il tetto rosso. Su questo campo i contadini di Taqua
lavorano solo di sabato: "Sfaticati!" ... poi capisco, lavorano solo di
sabato, lo shabbah, festa per i coloni e il loro esercito, perche' e' il
giorno in cui anche per motivi religiosi non possono andare in giro a
spaventare e a sparare su chi cerca di lavorare la PROPRIA terra. Due anni
fa la gente di Taqua, con un presidio e con la mobilitazione, era riuscita
a bloccare la confisca di un terreno. La corte israeliana aveva dato
ragione agli abitanti di Taqua ma la sentenza recitava piu' o meno cosi':
"E' vero, i coloni occupano la terra illegalmente ma per motivi di
sicurezza e' meglio che non si muovano". Il giorno in cui e' stato eletto
Sharon i lavori sul terreno sono ripresi.
Non ci sono chiacchiere da bar qui a Taqua. Gli uomini guardano al-Jazeera,
la rete trasmette dal Qatar notizie di quello che sta succedendo a
Betlemme, quindici chilometri da qui. Lo sport si pratica poco, qualche
tiro al pallone. Alla sera ci invitano di casa in casa, si beve te' o
caffe'. Al-Jazeera sullo sfondo, l'argomento e' sempre lo stesso: la
guerra. I racconti si intrecciano: c'e' chi e' stato sei mesi in prigione
in una tenda nel Negev al tempo della prima Intifada, naturalmente niente
processo, niente accuse, solo sospetti. C'e' chi e' stato costretto a far
finta di lavorare come muratore per otto ore davanti ai soldati di un
check-point solo perche' voleva andare in Israele a cercare una giornata di
salario. Ai soldati quel giorno girava cosi'. C'e' chi racconta che i
militari costringono i ragazzi a baciare donne sconosciute, cosa che per un
musulmano e' molto scandalosa. I check-point sono un punto in cui la
strategia dell' umiliazione e dell'occupazione ha il suo apice. Spostarsi,
quando e' possibile, e' umiliante, per arrivare a Hebron bisogna cambiare
tre o quattro taxi e fare diversi tratti a piedi, i blocchi di terra che
chiudono le strade sono un altro punto della strategia.
A Taqua l'infanzia non esiste, i bimbi assorbono la situazione e fra di
loro parlano da grandi. Nei loro discorsi c'e' guerra e occupazione. Nei
loro giochi non ci sono guardie e ladri ma solo ma soldati israeliani e
combattenti palestinesi. Ogni tanto il gioco mima un funerale. Mustapha ha
quattro anni, capelli neri, occhi neri. Un giorno si butta dal balcone di
casa e cade su un mucchio di ghiaia sottostante. Il volo e' di circa un
metro e mezzo, fortunatamente tutto bene, nessun osso rotto. L'ospedale di
Betlemme sarebbe stato irraggiungibile e i due ambulatori del paese (uno
privato e uno pubblico) non sono molto attrezzati. "Mustapha, perche'?"
chiede il padre con il terrore negli occhi. Il bimbo dice che voleva
imparare a volare, voleva raggiungere il sole e andare a trovare un
ragazzo, amico di famiglia, morto qualche settimana fa a Betlemme. La gente
ci ringrazia perche' siamo qui e magari riusciamo a portare la loro voce in
Occidente . Dicono che i nostri sforzi (quelli di tutti gli internazionali)
per stare al loro fianco gli danno speranza e voglia di andare avanti.
Lasciamo Taqua con la rabbia nel cuore. Come e' possibile che le vittime
descritte e salvate da Perlasca nel libro che mi accompagna in questo
viaggio stiano imponendo tanta sofferenza a un popolo che ha il diritto di
vivere sulla sua terra e nel suo stato che non c'e', con la scusa della
lotta al terrorismo e dell'autodifesa? Vorrei che i cittadini di Israele
vedessero tutto cio'con occhi palestinesi perche' le vittime si sono
trasformate in carnefici. Sono sul mucchio di terra che sancisce il
confine, un taxi ci aspetta per portarci lontano da qui. Incrocio un uomo
che dice che questa non e' vita, poco piu' in la' dei commercianti
trasbordano un carico di uova da un mezzo all'altro.
Fabrizio
Apg xxiii - Palestina
Per contattare i volontari dell'Apg xxii in Palestina: 00972 55 940773