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Napoli: chi ha sbagliato paghi
Fonte: Il manifesto 3 maggio 2002
«Chi ha sbagliato paghi»
Parla Luigi Notari, leader della sinistra del Siulp: «Lo scontro
magistratura-polizia è una trappola che non aiuta i poliziotti. La
solidarietà ai colleghi va bene, ma non se rivolta contro altri»
ALESSANDRO MANTOVANI
I poliziotti sono sul piede di guerra, i loro sindacati sparano a zero
sugli arresti ordinati a Napoli per le violenze sui manifestanti fermati
dopo il Global forum del marzo 2001. Perfino il Silp della Cgil, che pure
ha grande rispetto per i magistrati e nessuna tolleranza verso certi abusi,
ha parlato di arresti «ingiustificati». L'unico fuori dal coro è Luigi
Notari, leader della componente di sinistra che raccoglie il 30 per cento
nel Siulp: due anni fa non aderì alla scissione Cgil e rimase nella
segreteria del primo sindacato di polizia, oggi a maggioranza Cisl. Ma non
si tira indietro: «I magistrati che hanno deciso gli arresti si sono
assunti una grande responsabilità - commenta Notari - ma per quanto ne
sappiamo anche i fatti erano enormi. Non voglio interferire con la
magistratura, però si parla di episodi gravissimi. Sia a Napoli che a
Genova l'autorità giudiziaria non si è concentrata sui fatti avvenuti in
piazza, che sono sempre controversi, bensì sui reati commessi al chiuso:
prima nella caserma Raniero, poi alla scuola Diaz e a Bolzaneto. Il vero
poliziotto - si infiamma Notari - ha un codice d'onore, non alza le mani al
chiuso ma semmai in strada, sotto gli occhi di tutti. Chi ha sbagliato deve
pagare: non parlo di caporali e soldati ma dei responsabili».
La rivolta degli agenti napoletani ha colpito tutti anche se, con la catena
umana davanti alla questura, hanno solo protestato, non certo impedito gli
arresti. A lei che effetto ha fatto la manifestazione?
La solidarietà tra poliziotti è normale, ma in altri casi non l'ho vista.
Noi registriamo ogni settimana provvedimenti disciplinari inconcepibili:
colleghi che vengono inquisiti, magari perché pestano i piedi a chi non
dovrebbero, vengono destituiti con infamia o mandati a 200 chilometri da
casa anche se prosciolti in tribunale; oppure finiscono sulla lista nera
perché si ammalano troppo o perché si rifiutano, per questioni di grado, di
accompagnare uno straniero alla frontiera. Il mobbing, da noi, è la regola.
E quando il poliziotto non ha diritti rischia di non percepire quelli
altrui. Ma su questi aspetti vince la paura, non la solidarietà. Tanto meno
da parte degli esponenti del governo, che invece gridano contro i giudici.
A Napoli la manifestazione era normale: meno normali gli applausi in
diretta tv al vicecapo della polizia Antonio Manganelli. Non siamo un
Cocer, non c'è motivo per applaudire la controparte.
Ci piaccia o no, lo scontro oppone polizia e governo alla magistratura...
E' una trappola che non aiuta i poliziotti. La solidarietà ai colleghi va
bene, ma non se rivolta contro altri, che siano i magistrati o i movimenti
di contestazione giovanili e non. Se un'intera generazione torna a vedere
il poliziotto come il nemico, non ne usciamo più. Da un lato regrediamo
alla polizia pre-riforma, separata dalla società; dall'altro esponiamo i
poliziotti a chissà quali reazioni, magari terroristiche. Forse i
terroristi di oggi non sono come quelli di una volta, ma il fantasma degli
anni 70 è sempre lì: tornare alla contrapposizione con la piazza sarebbe
una sconfitta per tutti. Più in generale, in tanti anni, gli abusi contro i
poliziotti li ho visti arrivare dai superiori, dai questori e dal Viminale.
Non certo dai magistrati.
Alla caserma Raniero di Napoli i no global fermati sono finiti nelle mani
della squadra mobile, abituata a trattare con i delinquenti. Anche alla
Diaz erano in azione, tra gli altri, i «mobilieri». Che senso ha impiegare
questo personale a contatto con i manifestanti? Non sarà colpa di De
Gennaro, un capo della polizia che proviene dalle squadre mobili?
Salvo casi eccezionali bisogna evitarlo. Mandare la squadra mobile è una
scelta superficiale, che non riconosce alla piazza il valore che ha. Per
trattare con fermati di quel tipo, gente che fa politica, ci vuole
personale preparato. Devo dire che c'è gente poco preparata anche
dall'altra parte: quando vedo gli elmetti e le armature di gommapiuma mi
sembra Carnevale... De Gennaro? Non sappiamo se certe decisioni le abbia
prese lui, comunque non vorremmo una polizia ad immagine e somiglianza del
capo. Ho grande rispetto per Arnaldo La Barbera, ma mettendolo a capo
dell'antiterrorismo si è fatta confusione tra la sovversione politica e la
criminalità comune.
Lei denuncia la militarizzazione dei reparti mobili (ex celere) ma dopo
Genova non è cambiato nulla. Sono sempre al loro posto funzionari come
Donnini, coordinatore della riorganizzazione pre-G8 e Canterini, il
comandante sotto accusa per la Diaz. Oggi i «celerini» romani manifestano
contro il trasloco a Ponte Galeria, in tutta Italia si protesta contro i
trasferimenti di 200 uomini dei reparti, che non sono certo i picchiatori...
Macché picchiatori! Vengono trasferiti quelli che hanno qualche pendenza,
qualche problema disciplinare. Ma non si vuole mettere in discussione la
formazione e questo ci riporta indietro. Con la legge 121/81 siamo
diventati tutti civili, compresi gli ufficiali del disciolto corpo delle
Guardie di Ps: molti di loro, peraltro, hanno contribuito alla nascita del
movimento sindacale. Ma le scuole di polizia, la stradale e i reparti
mobili sono rimasti in mano ad ex militari come Aldo Gianni, Donnini e
Canterini. Si spiegano anche così gli addestratori americani, i manganelli
«tonfa», le «marcette» e la battitura degli scudi.