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La nonviolenza e' in cammino. 316
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 316 del 17 dicembre 2001
Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara, il genocidio in corso
2. Umberto Santino, modello mafioso e globalizzazione (parte terza e
conclusiva)
3. Convenzione permanente di donne contro la guerra, campagna per un'Europa
di pace
4. Severino Vardacampi, alcune note per un incontro sull'immigrazione e il
razzismo in Italia
5. Laura Boella, l'amicizia
6. Agnes Heller, perche' non dobbiamo tentare?
7. Dorothee Soelle, nessuno
8. Domenico Manaresi, nell'anniversario della scomparsa di Giuseppe Dossetti
9. Luigi Bettazzi, ricordo di Giuseppe Dossetti
10. La Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione
dei popoli
11. Peppe Sini, piccoli sillogismi senza importanza
12. Salvare la vita di Safya
13. Liberta' per Leyla Zana
14. Riletture: Enza Biagini, Introduzione a Beccaria
15. Riletture: Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo
16. Riletture: Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: IL GENOCIDIO IN CORSO
Provo a dire, semplificando all'estremo, cosa penso dei piani del governo
presieduto da Ariel Sharon e dell'organizzazione terrorista di Hamas. E cosa
penso che occorra fare.
Mi pare che entrambi, il governo attuale di Israele e l'organizzazione
terroristica islamista palestinese, perseguano un medesimo disegno: il
genocidio.
Sharon la distruzione del popolo palestinese dei territori e delle sue
rappresentanze istituzionali, e l'annessione definitiva allo Stato di
Israele dei territori occupati nel '67.
Hamas la distruzione della popolazione israeliana di origine ebraica, e la
cancellazione dello Stato di Israele.
Due progetti genocidi, anzi lo stesso progetto genocida semplicemente
speculare.
E mi sembra che l'umanita' intera debba opporsi a tutto cio', ed impegnarsi
affinche' sia riconosciuto il diritto all'esistenza e alla convivenza di due
popoli; il diritto all'esistenza di due stati che siano entrambi democratici
e non razzisti; il diritto di tutti gli esseri umani a vivere e ad essere
riconosciuti nella propria dignita'.
*
Se la cosiddetta comunita' internazionale, e per essere chiari e precisi: se
l'Onu non e' capace di intervenire ed impedire il doppio tentativo di
genocidio in corso, a cosa serve l'Onu, cosa resta degli impegni
solennemente giurati alla fine della seconda guerra mondiale?
E se il governo degli Stati Uniti d'America pone il veto all'invio da parte
dell'Onu di forze internazionali di osservazione e di garanzia per salvare
la vita di tutte le vittime, non e' questa una effettuale complicita' con il
doppio tentativo di genocidio in corso?
*
Ma prima delle responsabilita' degli altri vengono le nostre: se la
cosiddetta societa' civile mondiale, il popolo della pace e della
solidarieta', della nonviolenza e dei diritti umani per tutti gli esseri
umani, non e' capace, non siamo capaci, di mandare subito, adesso, in
Israele e in Palestina centinaia di migliaia, anzi milioni di persone
pacifiche, disarmate, amiche della nonviolenza, per opporsi a tutti gli
assassini, per difendere tutte le vite, per interporre la propria concreta
presenza di donne e uomini di pace e impedire materialmente le uccisioni,
per strappare le armi di mano a tutti gli armati e tutte distruggerle, come
si puo' pretendere di continuare a levare la voce, a puntare l'indice?
Se non siamo capaci di intervenire praticamente, operativamente, sul
terreno, con la forza e la limpidezza della nonviolenza (che o e' in
cammino, o non e'; o irrompe nel conflitto, o e' favola e nulla; o contrasta
la violenza laddove essa si dispiega piu' deflagrante e divorante, o
semplicemente non esiste; e allora meglio sarebbe smetterla di riempircene
la bocca), ebbene, non si puo' pretendere di continuare a lanciar proclami
ed appelli senza sembrare ad un tempo ridicoli e offensivi, senza che la
nostra sedicente ed altisonante solidarieta' appaia, giusta quell'amarissima
parola del dottor Ernesto Guevara de La Serna, analoga all'applauso che
dalle gradinate del colosseo veniva - ignobile e crudele e beffardo -
rivolto a quanti nel centro dell'arena erano mandati a uccidere e morire.
2. MATERIALI DI STUDIO. UMBERTO SANTINO: MODELLO MAFIOSO E GLOBALIZZAZIONE
(PARTE TERZA E CONCLUSIVA)
[Umberto Santino, fondatore e presidente del "Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo e' il piu' grande studioso del
fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento
antimafia. Il testo seguente (di cui oggi proponiamo la terza ed ultima
parte, le precedenti abbiamo pubblicato nei giorni scorsi) e' basato sulla
sua relazione al seminario internazionale "I crimini della globalizzazione"
svoltosi a Palermo dal 13 al 15 dicembre 2000, in parallelo con la
Conferenza delle Nazioni Unite sul crimine transnazionale; lo ringraziamo
per avercelo messo a disposizione; puo' essere letto altresi', insieme a
molti altri materiali, nell'eccellente sito del Centro Impastato, che
invitiamo caldamente a visitare. Per contatti: Centro Siciliano di
Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,
e-mail: csdgi@tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
* Risposte alternative: dall'happening al progetto
Contrariamente a quel che si leggeva sulla pagina dedicata a Palermo nel
sito internet dell'Onu durante la conferenza sul crimine transnazionale del
dicembre scorso (www.odccp.org./palermo), la lotta alla mafia in Sicilia non
e' nata negli ultimi anni. La lettura del testo e' davvero illuminante (tra
l'altro si riporta in esergo una frase di Giovanni Falcone con la data 2
dicembre 1992: anche i piu' disinformati sanno che Falcone e' stato ucciso
il 23 maggio dello stesso anno) e, assieme alle affermazioni che ci e'
toccato di ascoltare durante la conferenza, secondo cui la mafia ormai e'
alle corde e la Convenzione sarebbe il cappio al collo di un morente, ci da'
un'idea del clima culturale in cui si sono svolti i lavori.
Non ci vuol molto a capire che la mafia siciliana, pur avendo ricevuto dei
colpi, in reazione alla escalation di violenza degli anni '80 e '90, non e'
a pezzi, ma bisogna operare uno sforzo di memoria decisamente controcorrente
per recuperare una storia che si e' fatto di tutto per dimenticare,
seppellendola sotto palate di ignoranza e di stereotipi.
La lotta contro la mafia in Sicilia ha avuto le caratteristiche di un grande
movimento di massa finche' e' stata l'aspetto specifico della lotta di
classe e del conflitto sociale: centinaia di migliaia di contadini hanno
dato vita a una lotta lunga e durissima per il miglioramento delle
condizioni di vita e per il diritto di cittadinanza democratica che per la
reazione violenta della mafia e delle classi conservatrici, con la copertura
delle istituzioni, ha assunto i caratteri di una vera e propria guerra di
liberazione (Santino 2000c). Alla sconfitta di queste lotte ha fatto seguito
un imponente flusso migratorio che ha dissanguato la Sicilia inchiodandola
alla sudditanza verso classi dominanti che hanno gestito il potere secondo
un modello mafioso-clientelare.
Negli ultimi decenni, in risposta all'esplosione della violenza mafiosa,
settori delle istituzioni e della societa' civile si sono attivati ma tanto
la reazione istituzionale che la mobilitazione della societa' civile hanno
avuto il limite dell'emergenzialismo e quando sono finiti i grandi delitti e
le stragi c'e' stato un ritorno indietro. Negli ultimi anni si e' registrata
l'attenuazione della legislazione d'emergenza e l'affermazione di forze
politiche che hanno tra le loro fila personaggi inquisiti o sotto processo,
candidati alle elezioni ed eletti con gran numero di voti, ha tutto il
sapore di una rivincita. Attualmente siamo nel pieno di una stagione in cui
la mafia viene data per vinta, i nemici sembrano essere i magistrati che
hanno cercato di portare nelle aule giudiziarie i politici incriminati per i
loro rapporti con i mafiosi, e l'illegalita' e l'impunita' vengono
sventolate come bandiere di trionfo.
Se vogliamo invertire la tendenza abbiamo bisogno di un quadro d'analisi
adeguato e soprattutto di superare i limiti del'antimafia cosi' come si e'
sviluppata negli ultimi anni. Piu' volte abbiamo detto che bisogna passare
dall'emozione al progetto, dalla testimonianza al coinvolgimento di ampi
strati della popolazione, coniugare valori e interessi ecc. ecc. Ma tradurre
tutto questo in programma concreto e credibile non e' facile, soprattutto
ora che le emozioni sono sfiorite e la memoria di fatti tragici si
allontana.
Spesso si dice che bisogna imparare a pensare globalmente e ad agire
localmente, ma forse sarebbe piu' corretto dire che globale e locale debbono
andare di pari passo, sul piano dell'analisi e su quello dell'operativita'.
E questa e' l'indicazione piu' significativa del movimento che e' comparso
sulla scena a Seattle e si e' dato un progetto di sviluppo autonomo a Porto
Alegre. Un movimento antimafia oggi deve porsi dentro una prospettiva
transnazionale e fare parte organicamente di un progetto di alternativa
globale. I crimini della globalizzazione, nel senso che abbiamo cercato di
delineare, debbono figurare a pieno titolo nell'agenda del movimento contro
la globalizzazione capitalistica.
Riprendendo i punti essenziali del paradigma della complessita', possiamo
indicare, a grandi linee, i terreni su cui si dovrebbe sviluppare il nostro
lavoro.
Mafie e crimine transnazionale sono figli legittimi del contesto mondiale ma
questo non significa che dobbiamo attendere la palingenesi universale. La
dimensione penalistica e' ineliminabile e bisognera' attrezzare
convenientemente la legislazione e gli apparati repressivi, ma bisogna
sapere che questo non basta se non si affrontano i problemi di fondo che
stanno alla base della riproduzione del crimine e della sua simbiosi con il
quadro sociale. Per quanto riguarda l'accumulazione, non si puo' agire solo
sui patrimoni gia' formati, con la confisca dei beni, e sul riciclaggio, con
l'abolizione del segreto bancario e dei paradisi fiscali e con il controllo
sui processi di finanziarizzazione, ma pure sulle fonti, dal proibizionismo
delle droghe all'immigrazione, dal lavoro nero alla prostituzione, dallo
smaltimento dei rifiuti alle opere pubbliche.
I rapporti tra mafie e politica sono stati e rimangono la chiave di volta
della legittimazione dei gruppi criminali e si pone il problema di andare in
controtendenza rispetto ai processi in atto di concentrazione dei poteri:
occorre piu' democrazia non meno democrazia, e la partecipazione democratica
deve svilupparsi attraverso forme diffuse di protagonismo e di controllo.
Sul piano culturale, l'etica della globalizzazione (la competitivita', il
successo ad ogni costo) e' quanto di piu' ospitale ci possa essere per la
cultura mafiosa, e le attivita' di "educazione alla legalita'" troppo spesso
somigliano a un appello al rispetto di regole quotidianamente calpestate e a
un impegno unanimistico che pialla le responsabilita' e cade nel vuoto. Ci
occorre invece un'etica della radicalita' e del conflitto, della coerenza
tra dichiarazioni e comportamenti. Il consenso ha una consistente base
materiale e se vogliamo suscitare movimenti di massa, riprendendo una linea
che fu del movimento contadino, bisognera' operare su questa base,
sviluppando l'economia legale e la partecipazione dal basso.
Solo cosi' si potranno strappare gli strati popolari all'egemonia mafiosa.
Bisognera' insomma agire su tutti quei terreni che rendono una societa'
mafiogena, sviluppando un'azione integrata che miri soprattutto alla
prevenzione.
Come si vede si tratta di problemi di fondo ma non partiamo da zero: negli
ultimi anni abbiamo accumulato un patrimonio di analisi e di esperienze che
ci consente di muovere passi significativi su questo cammino. La
"globalizzazione dal basso" ha cominciato a prendere corpo non solo nelle
manifestazioni di protesta ma soprattutto attraverso un faticoso lavoro
quotidiano a cui ciascuno di noi e' chiamato a dare il suo contributo. E il
contributo dalla Sicilia rechera' il segno di un impegno che si e'
sviluppato nel tempo, con un alto costo di sangue. Memoria e progetto sono
le gambe su cui cammina un movimento che non si limiti a inseguire le
scadenze degli altri e voglia andare oltre i riti e gli stereotipi.
* Note
1. Qualcuno ha proposto l'uso di termini diversi per distinguere i processi
in corso e le rappresentazioni che di essi si danno. Per esempio, il
sociologo tedesco Ulrich Beck distingue globalizzazione da globalita e da
globalismo, intendendo per globalizzazione un processo in seguito al quale
gli Stati nazionali e la loro sovranita' vengono condizionati e connessi
trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, dai
loro orientamenti, identita', reti; globalita' invece significa: che viviamo
da tempo in una societa' mondiale; nessun paese, nessun gruppo si puo'
isolare dall'altro; mentre il termine globalismo indica il punto di vista
secondo cui il mercato mondiale rimuove o sostituisce l'azione politica,
vale a dire l'ideologia del mercato mondiale, l'ideologia del neoliberismo
(Beck 1999, pp. 22 sgg.).
2. Esemplare la vicenda dei farmaci per l'Aids in Sudafrica: solo la
mobilitazione delle autorita' e della popolazione di quel paese e' riuscita
a piegare la volonta' delle case produttrici che mantenevano alti i prezzi,
infischiandosene delle condizioni di poverta' degli ammalati. Non meno
significative le valutazioni delle multinazionali del tabacco sui morti per
tabagismo: la mortalita' comporta un risparmio notevole delle spese
sanitarie e sociali, quindi bisogna lasciare alle case produttrici la
liberta' di intossicare e di uccidere. Ragionamento che da un punto di vista
meramente economico non fa una grinza.
3. Agli strumenti utilizzati in passato (fondi comuni d'investimento, titoli
atipici, societa' fiduciarie ecc.) si sono aggiunti nuovi strumenti: swaps
(accordi con cui le parti si impegnano a scambiarsi flussi di pagamento in
un determinato periodo di tempo), futures (contratti a termine con cui le
parti si impegnano a vendere o ad acquistare beni, titoli o valute a una
data prefissata), derivati (contratto o titoli il cui valore e' legato al
valore di altri titoli o merci), opzioni (diritti di comprare o vendere
qualcosa a un prezzo determinato, o di dare inizio o porre fine ad un
accordo finanziario a data determinata), hedge funds (un tipo di fondo
comune d'investimento che opera in maniera spregiudicata con capitali di
investitori privati).
* Riferimenti bibliografici
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Editions l'Harmattan, Paris 1991; Il capitalismo nell'era della
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- Bourdieu Pierre, Contro la politica dell'antipolitica, in "la rivista del
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- Chossudovsky Michel, La globalizzazione della poverta'. L'impatto delle
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Crimine transnazionale e capitalismo globale, in Vaccaro Salvo (a cura di),
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- Weber Max, Economia e societa', vol. II, Edizioni di Comunita', Milano
1980.
3. DOCUMENTI. CONVENZIONE PERMANENTE DI DONNE CONTRO LA GUERRA: CAMPAGNA PER
UN'EUROPA DI PACE
[Dall'utilissimo sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net)
riportiamo questo documento approvato dalla terza assemblea nazionale della
Convenzione permanente di donne contro le guerre, tenutasi a Lodi il 18
novembre]
La Convenzione permanente di donne contro le guerre, nel corso della sua
terza assemblea nazionale, ha deliberato il lancio di questa campagna
politica per la pace.
La meta che si vuole raggiungere con molte differenziate iniziative e con
motivazioni molteplici e' la seguente:
che l'Europa si costituisca come continente neutrale o non allineato e
collocato fuori da qualsiasi alleanza militare; che questo, il rispetto dei
diritti umani sociali e politici, la parita' di diritti tra uomini e donne,
tra nativi/e e immigrati/e, siano le condizioni per entrare in Europa
allargandone i confini politici alla sua piena espressione geografica, e non
i parametri di Maastricht.
Le argomentazioni che vengono avanzate a sostegno della proposta sopra
citata sono: una storica, una politica, una di attualita'.
Quella storica parte dalla considerazione che lo spazio geopolitico chiamato
Europa e' stato nel corso dei secoli di gran lunga il piu' aggressivo
espansivo e militarista dell'intero pianeta e che non si puo' iniziare una
storia dell'Europa politica oggi senza fare i conti con quel passato per
giudicarlo criticamente e prendere le distanze. Non si tratta cioe' soltanto
di rendere tecnicamente impossibile la guerra tra gli ex stati nazionali che
via via entrano nelle istituzioni europee, ma anche di far agire
internazionalmente tale vincolo. Percio' l'Europa deve costituirsi come
continente neutrale e dare il via a una nuova storia, nel corso della quale
potra' fare da riferimento e giocare il suo ricco patrimonio di istituzioni
politiche culturali giuridiche a vantaggio proprio e di altri popoli.
Quella politica parte dalla considerazione che la questione militare per
l'enormita' delle risorse che brucia si presenta oggi in Europa come
pericolosa per la sopravvivenza e ristabilimento delle forme di stato
sociale che furono una delle caratteristiche migliori della storia del
continente, oggi di fatto distrutte a vantaggio di forme di sicurezza
sociale o di stato assistenziale tipiche delle tradizioni statunitensi che
si dimostrano incapaci di vincere la poverta' e l'emarginazione e
intervengono solo sintomaticamente sulle ingiustizie sociali in quanto
pericolose per la sicurezza. In piu' le donne hanno un vantaggio diretto
dalla ricostituzione dello stato sociale, che offre loro occupazione
prediletta e servizi che ne accompagnano la liberta' dall'obbligo di
erogarli gratuitamente e senza adeguata preparazione professionale a
domicilio, con grande fatica, esclusione di fatto dalla partecipazione
sociale politica ed economica e sfruttamento di donne migrate da altri
paesi.
Quella attuale parte dalla considerazione che la guerra in Afghanistan ha
messo a nudo le contraddizioni che si aprono sulla politica militare in
Europa oggi: il primo tentativo fu quello di rilanciare la Nato e invocare
l'art. 5 del trattato per coinvolgere tutti gli stati firmatari e avere
percio' una qualche parte nella direzione della guerra: tale tentativo fu
ben presto surclassato dalla soverchiante potenza Usa che si e' posta come
diretta gestrice della guerra, chiedendo a tutti gli altri stati di
costituirsi in alleanza al suo fianco, per prima la Gran Bretagna, poi
Francia e Germania, da ultima l'Italia, ma soprattutto Pakistan, stati arabi
o islamici, Cina, Russia con uno stravolgimento di fatto delle relazioni
internazionali fondate ormai sulla reciproca "tolleranza" della violazione
dei diritti (liberta' di violarli alla Cina e apertura del suo immenso
mercato al Wto, liberta' alla Russia di fare quel che vuole della Cecenia e
quasi permesso a Bush di preparare lo scudo spaziale; la Turchia puo'
massacrare a volonta'); di fronte a questi fatti, tutti in violazione -
sara' sempre bene ripeterlo - della Costituzione italiana che rifiuta la
guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e
della Carta delle Nazioni Unite che definisce la guerra, dopo l'atomica,
sempre "un crimine", alcuni in Europa cercano di rilanciare la Nato, altri
si collocano come stati nazionali direttamente in contatto con gli Usa, e di
fatto distruggono quel poco di Europa che e' stato costituito, altri
(Solana) lanciano l'Armata europea, cioe' un esercito proprio.
La Convenzione rifiuta la guerra e intende allontanarla dalla storia futura
e dispiegare invece - in funzione preventiva - politiche di pace e di azione
nonviolenta, di diplomazia popolare e di riforma delle Nazioni Unite.
Propone dunque di mettere a contrasto con i citati contraddittori
orientamenti - tutti comunque tendenti a considerare l'uso della guerra
pienamente legittimo, anzi permanente, anzi unico o principale sostegno
dell'economia drogata del modello di sviluppo neocapitalistico, senza alcuna
considerazione dei processi di impoverimento vertiginoso che con cio' fanno
ricadere sulle popolazioni e su interi paesi del sud del mondo - una
campagna per la costruzione di un'Europa neutrale o non allineata. Tale
campagna si rivolge alla popolazione, alle associazioni di donne, alle varie
forme del pacifismo politico organizzato, a comuni denuclearizzati o
pacifisti, a strutture religiose e laiche di difesa della democrazia e dei
diritti umani, insomma a un vasto popolo della pace deciso a non subire
passivamente i disagi che continuano a conseguire dalla rilegittimazione
della guerra dal 1991 (guerra del Golfo) in qua; particolare attenzione
informativa e' rivolta alle scuole cui la Convenzione puo' far giungere a
richiesta documentazione o indirizzi o bibliografie adeguate.
La Convenzione chiede un accordo, da trattare per comuni azioni, con i e le
parlamentari che in varia forma hanno espresso il loro dissenso verso la gue
rra e la partecipazione del nostro paese ad essa; cosi' pure con le cattedre
o i dipartimenti universitari che hanno come ambito la politica dalla pace o
la formazione di una cultura dell'azione nonviolenta o la preparazione di
una difesa popolare nonviolenta.
La fase iniziale sara' di conoscenza diffusa, raccolta di adesioni o
aggiunte o critiche o rifiuti. Seguiranno altri appuntamenti e decisioni.
4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI. ALCUNE NOTE PER UN INCONTRO
SULL'IMMIGRAZIONE E IL RAZZISMO IN ITALIA
[Quelle che seguono sono le note scritte come "scaletta" per un intervento a
un incontro pubblico dello scorso novembre sull'immigrazione e contro il
razzismo. Severino Vardacampi e' un collaboratore del "Centro di ricerca per
la pace" di Viterbo]
* un momento tragico e disvelatore (apocalissi e kairos):
- il terrorismo e la guerra;
- l'eversione dall'alto;
- le implicazioni razzistiche e le razzistiche scaturigini di tutto cio';
- i diritti umani calpestati nel mondo, dai poteri oppressivi, dalle
violenze dispiegate e dalla violenza strutturale.
* Un diritto fondamentale e la sua protezione giuridica:
- il diritto di tutti gli esseri umani a spostarsi sul pianeta, massime per
salvare la propria vita;
- l'art. 10 della Costituzione della Repubblica Italiana.
* Quando la legislazione e' iniqua e disumana:
- un esempio nel disegno di legge governativo del 12 ottobre: gli uomini
considerati come animali domestici, la logica schiavista degli attuali
legislatori razzisti;
- gia' la legge 40/98 aveva profonde iniquita';
- i campi di concentramento come rigurgito nazista incistatosi
nell'ordinamento italiano attuale;
- il respingimento come pratica potenzialmente omicida;
- il carattere fondamentalmente criminogeno del provvedimento amministrativo
di espulsione, effettuale sostegno ai poteri criminali.
* Alcune cose necessarie:
- riconoscimento ed inveramento del diritto di asilo;
- riconoscimento ed inveramento del diritto degli esseri umani di spostarsi
sul pianeta (oggi gli uomini sono considerati al di sotto delle merci);
- respingere intransigentemente la logica del ddl governativo del 12
ottobre;
- modificare la legge 40/98 nei suoi lati ripugnanti alla coscienza civile,
ed invece valorizzarne ed inverarne le parti positive che pure vi sono;
- realizzare una cooperazione internazionale ispirata a criteri di
solidarieta' e giustizia.
* Alcuni problemi ineludibili:
- la "capacita' di carico" del nostro paese ed una politica della comunita'
internazionale;
- cancellare il debito dei paesi rapinati e impoveriti, ed intervenire in
solidarieta' con i popoli e non con i regmi corrotti.
* Alcune cose pratiche e urgenti da fare sul piano normativo ed
amministrativo, politico e sociale:
- lotta contro la schiavitu' in Italia (cfr. la campagna promossa alcuni
anni fa del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo);
- un diverso rapporto nord/sud (sono varie le iniziative in corso, ma non
basta l'azione dei movimenti, occorrono impegni istituzionali, atti
politici, codificati legislativamente);
- assistenza alle vittime e lotta contro i poteri criminali (e abolizione
delle norme vigenti dimostratamente criminogene);
- trasferimento delle competenze in materia di immigrazione dalle Questure
ai Comuni;
- diritto di voto amministrativo per tutti gli stranieri residenti.
* Tre cose ulteriori sul piano legislativo, politico e amministrativo:
- un provvedimento di amnistia per tutti i detenuti stranieri che non
abbiano commesso reati di violenza su persone;
- riprendere la riflessione sulla proposta di contrastare la
clandestinizzazione coatta (e il conseguente enorme arricchimento e
rafrorzamento dei poteri criminali e dell'economia illegale) attraverso un
piano nazionale garantito e gestito dai pubblici poteri che permetta a tutti
i richiedenti un ingresso nel nostro paese legale, gratuito e assistito;
- denuncia e rinegoziazione degli accordi di Schengen.
* Sul piano culturale:
- contrastare il razzismo con la conoscenza e l'incontro;
- partire dalla base dell'affermazione dei diritti umani per tutti gli
esseri umani;
- far cessare la rapina neocoloniale e la devastazione della biosfera;
- una cultura che promuova legalita' e socialita';
- garanzia di servizi pubblici, finanziati attraverso la fiscalita'
generale, per soddisfare i bisogni vitali di ogni persona che si trovi nel
territorio italiano;
- affrontare i conflitti con la nonviolenza.
5. MAESTRE. LAURA BOELLA: L'AMICIZIA
[Da Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune, Mantova 2000, p. 18]
L'amicizia e' il ponte che non diventa casa.
6. MAESTRE. AGNES HELLER: PERCHE' NON DOBBIAMO TENTARE?
[Da Agnes Heller, Teoria della storia, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 339]
Possiamo vivere una vita onesta, perche' non dobbiamo tentare?
7. MAESTRE. DOROTHEE SOELLE: NESSUNO
[Da Ernesto Cardenal, Dorothee Soelle, Oracion por Marilyn Monroe, Editorial
Nueva Nicaragua - Ediciones Monimbo', Managua 1985, p. 64. Dorothee Soelle
e' un'illustre teologa]
Nessuno ha il diritto di manipolare il nostro amore per Dio e il nostro
amore per il prossimo.
8. MEMORIA. DOMENICO MANARESI: NELL'ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI GIUSEPPE
DOSSETTI
[Da Domenico Manaresi, amico della nonviolenza, riceviamo e diffondiamo
questo suo testo e quello seguente di monsignor Bettazzi. Per contatti:
bon4084@iperbole.bologna.it]
Oggi, 15 dicembre, ricorre il quinto anniversario della morte di don
Giuseppe Dossetti. Ebbi il privilegio di conoscerlo di persona, di averne
avuto spesso consigli paterni e affettuosi. Lo ricordo oggi con grande
simpatia come "maestro" sia in campo politico che ecclesiale.
Da "il risveglio popolare" (settimanale della diocesi di Ivrea) in data 19
dicembre 1996 (di cui ho conservato la pagina) trascrivo le parole di mons.
Luigi Bettazzi, allora vescovo di Ivrea. Mi sembrano parole molto belle e
vere: le condivido e penso sia cosa buona e non inutile farne partecipi i
tanti amici.
9. MAESTRI. LUIGI BETTAZZI: RICORDO DI GIUSEPPE DOSSETTI
[Luigi Bettazzi e' una delle figure piu' luminose della cultura della pace.
Questo suo ricordo di Giuseppe Dossetti scritto nel 1996 all'indomani della
sua scomparsa ci e' stato trasmesso da Domenico Manaresi, che ringraziamo di
cuore]
E' morto don Giuseppe Dossetti. Era ammalato da tempo, ma sempre lucido. Ed
ora era piu' difficile incontrarlo per la precarieta' della sua salute. Ero
riuscito a salutarlo per pochi minuti dopo Pasqua, non ci ero riuscito
quand'ero salito a Monte Sole con i nostri chierici.
Si era tornato a parlare di lui in questi ultimi anni perche' s'era trovato
promotore di Comitati in difesa della Costituzione, nei tempi in cui c'era
chi sembrava volerla cambiare a tutti i costi. E faceva tanto piu'
meraviglia perche' Dossetti, che aveva lasciato una brillante carriera
politica (era stato membro della Costituente e vicesegretario nazionale
della Dc di De Gasperi) per fondare un Istituito monastico e farsi
sacerdote, ora usciva improvvisamente dal chiostro per un impegno cosi'
specificatamente "terreno".
Ma era stato protagonista dell'incontro e della collaborazione delle tre
culture (cattolica, liberale, socialcomunista) per una Costituzione cosi'
equilibrata (e percio' cosi invidiata nel mondo), e temeva che essa potesse
venire rimaneggiata con intenti meno solidali, favorevoli ai settori gia'
piu' affermati o privilegiati.
Un altro impegno forte era stato quello di appoggiare il papa nell'appello
alla pace della vigilia della guerra del Golfo; e l'avevo incontrato allora
nella residenza dei suoi monaci in Giordania, alle falde del Monte Nebo.
Quando aveva lasciato la politica - per divergenze con De Gasperi, ritenuto
forse troppo moderato o troppo dipendente dall'America - era venuto a
Bologna (lui proveniva da Reggio Emilia e insegnava diritto ecclesiastico
all'Universita' Cattolica di Milano) dove aveva fondato un Centro di
documentazione religiosa ed un Istituto per preparare culturalmente i
cristiani che volessero dedicarsi alla politica. Il cardinal Lercaro l'aveva
poi obbligato a presentarsi come candidato a sindaco di Bologna: non aveva
vinto, ma le giunte socialcomuniste per molti anni avevano applicato le
intuizioni del "Libro bianco" preparato da lui e dai suoi collaboratori (tra
cui il prof. Ardigo'), a cominciare dalla divisione della citta' in
quartieri.
Poi si era ritirato con la Piccola Famiglia dell'Annunziata da lui fondata
(alcune religiose e due o tre religiosi), prima presso il santuario di S.
Luca, in seguito nell'Abbazia di Monteveglio, a una ventina di chilometri
dalla citta'. Era stato ordinato sacerdote dal cardinal Lercaro che lo volle
suo "esperto" al Concilio Vaticano II, e fu di aiuto determinante non solo
nella preparazione dei discorsi, ma anche nell'arte di muoversi tra le
schermaglie dei regolamenti conciliari, spesso utilizzati per soffocare sul
nascere le aperture piu' nuove prospettate da alcuni episcopati o da singoli
vescovi. Nel pomeriggio, insieme a Raniero La Valle, riassumevano
l'andamento della mattinata, pubblicando poi su "L'Avvenire d'Italia",
stampato allora a Bologna e diretto da La Valle, relazioni documentate e
stimolanti che facevano conoscere al mondo esterno (ma spesso... anche a noi
vescovi) quanto era avvenuto nell'Aula Conciliare.
Erano significativi i Santi protettori dell'Istituto: accanto
all'Annunziata, la Madonna del "si'" e dell'Incarnazione, S. Ignazio di
Antiochia pioniere delle Chiese particolari, S. Benedetto fondatore della
vita monastica, S. Francesco d'Assisi maestro di poverta' e di lettura della
Bibbia "sine glossa" (cioe' senza commenti giuridici), S. Teresa del Bambin
Gesu' maestra di "infanzia spirituale".
Col cardinal Lercaro s'era dedicato soprattutto allo sviluppo della Chiesa
particolare bolognese; e il cardinale lo apprezzava e lo amava per i
suggerimenti preziosi e nello stesso tempo per un'obbedienza pronta e
sincera. L'aveva fatto vicario generale dopo la mia partenza: pare anzi che
avesse insistito con Paolo VI per averlo come successore sulla Cattedra di
S. Petronio. Con il cardinal Poma aveva invece accentuato l'attenzione
all'incontro tra le grandi religioni, con insediamenti e lunghe permanenze
in Israele e in Giordania. Piu' di una volta aveva accettato di parlare ai
nostri preti o ad un nostro pellegrinaggio.
Quando la diocesi di Bologna aveva fatto memoria dei sacerdoti e della gente
(bambini, donne, anziani) assassinati dai tedeschi nelle chiese e nei
cimiteri di Monte Sole, la montagna sopra Marzabotto, don Dossetti aveva
accettato di insediarsi con una comunita' maschile in una cascina
ristrutturata e di prepararne una non lontana per una comunita' femminile,
perche' vi fossero testimoni di fede e di preghiera dove s'era sparso tanto
sangue innocente. Ed in quel cimitero dove erano state uccise e sepolte
tante vittime della barbarie ha chiesto di riposare per sempre.
La sua famiglia religiosa (una ventina di monaci, una sessantina di monache)
si nutre di Parola di Dio (due ore di meditazione al giorno) e di preghiera,
e vive nella poverta' e nella semplicita' mentre colloquia e studia nelle
principali lingue antiche e moderne gli approfondimenti ed i commenti della
Sacra Scrittura. Ne abbiamo avuto testimonianza, nella preparazione al
nostro recente Sinodo, attraverso la parola del monaco don Umberto Neri.
Quello che ho sempre ammirato in don Dossetti e' stata la sua dirittura di
coscienza, la sua coerenza, mai piegata a smussature, quindi pronta sempre a
sentirsi contestata o in minoranza, ma sempre fiduciosa nella forza della
verita'. In minoranza nel partito, spesso anche nella Chiesa, la sua voce
era pero' particolarmente autorevole, ed imponeva quanto meno riflessione e
valutazioni serie.
Il suo ricordo, il suo esempio, la sua amicizia ci aiutino.
10. ESPERIENZE: LA FONDAZIONE INTERNAZIONALE LELIO BASSO PER IL DIRITTO E LA
LIBERAZIONE DEI POPOLI
[Questa scheda di presentazione abbiamo estratto dal sito della Fondazione
Basso, www.grisnet.it/filb]
La Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei
popoli nacque negli anni '70 a seguito dell'esperienza delle sessioni dei
Tribunali Russell I e II, quando fu chiaro a Lelio Basso, relatore e membro
della giuria, e ad altri studiosi di diverse nazionalita', che non bisognava
limitarsi a verificare i fatti e il rigore delle testimonianze addotte, ma
che era necessario un lavoro continuativo di natura storico-giuridica per
risalire alle cause che producono i casi di violazione dei diritti umani, e
per leggere in una nuova chiave i tentativi di liberazione dei popoli.
La Fondazione, che si costitui' formalmente con la Dichiarazione universale
dei diritti dei popoli ad Algeri il 4 luglio 1976, opera da allora sulla
base di programmi di natura politico-culturale (ricerche, seminari,
convegni, pubblicazioni...) studiando su un piano giuridico e storico, ma
anche economico, sociale ed antropologico, le formulazioni
giuridico-politiche che sostanziano il Diritto dei popoli: lo scopo e'
quello di contribuire all'elaborazione dei principi che devono regolare un
nuovo ordine di rapporti volti a favorire la pace, in quanto basati non piu'
sull'egemonia, ma sull'interdipendenza.
I temi che la Fondazione ha affrontato in questi ultimi anni sono connessi
tra loro, e percorrono trasversalmente la crisi del mondo: democrazia e
mercato, ambiente e modello di sviluppo, rapporto tra modelli di sviluppo e
cultura dei popoli, minoranze e stato nazione; mentre il Sud del mondo resta
il luogo privilegiato di ricerca, in quanto privo piu' di ogni altro di quei
diritti fondamentali che ad ogni essere umano competono.
Al fine di non limitare al solo studio teorico l'attivita' politica e di
solidarieta', Lelio Basso nel 1976 istitui', insieme alla Fondazione, anche
la Lega Internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli (e-mail:
lidlip@mclink.it), che avrebbe avuto il compito di sviluppare iniziative
concrete a sostegno dei popoli in lotta per la loro emancipazione,
organizzando la solidarieta' e sensibilizzando l'opinione pubblica. Oggi la
Lega Internazionale e' un'Organizzazione Non Governativa accreditata presso
il Consiglio Economico e Sociale dell'ONU e svolge un'intensa attivita'
presso la Commissione dei Diritti Umani di Ginevra, attivita' di cui si
avvalgono anche la Fondazione Internazionale Lelio Basso e il Tribunale
Permanente dei Popoli.
La sede e' in via della Dogana Vecchia 5, 00186 Roma; tel. 0668801468,
066833389, fax 066877774; e-mail: filb@iol.it, sito: www.grisnet.it/filb
11. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: PICCOLI SILLOGISMI SENZA IMPORTANZA
Questo sa la nonviolenza: che anche il piu' immane oppressivo e totalitario
dei regimi iniqui e dei poteri malvagi sempre si regge su due pilastri:
sulla forza e sul consenso. E quindi dinanzi all'ingiustizia, alla violenza,
al male, il nostro primo compito e' di negare il nostro consenso.
Questo sa la nonviolenza: che la guerra e' sempre omicidio di massa; e che
una scelta e' fondamentale per saldamente affermare il proprio diritto ad
esistere e la civile convivenza: il ripudio dell'uccidere. E quindi se non
ti impegni contro la guerra, di cosa mai stiamo parlando?
Questo sa la nonviolenza: che occorre pensare profondamente i propri
pensieri, poiche' il sonno della ragione, si sa, genera mostri; che occorre
considerare attentamente le proprie parole, che possono essere lampade o
aratri o spade o unguenti, e dipende da te; che occorre compiere solo quelle
azioni che riducono la sofferenza, che contrastano la violenza, sia la
violenza dispiegata in furia palese che quella cristallizzata in ingiustizia
strutturale (che e' furia anch'essa, quantunque occultata).
Questo sa la nonviolenza: che le armi servono per uccidere, che gli eserciti
servono per uccidere; e che dunque occorre dir chiaro che e' necessario
cessare di produrre ed usare le armi, che e' necessario abolire gli
eserciti.
La sa lunga, la signora nonviolenza; e proprio al tuo orecchio sussurra
questa verita' piccina, e di gridarla poi dai tetti ti chiede: che ognuno e'
responsabile di tutto.
12. APPELLI. SALVARE LA VITA DI SAFYA
[Il seguente appello per salvare la vita di Safya e' stato diffuso dalla
rete telematica pacifista Peacelink. Molti sono i soggetti sia istituzionali
che della societa' civile inpegnati per salvare la vita della giovane donna.
Che ognuno si impegni. Per informazioni e contatti segnaliamo il sito di
Peacelink: www.peacelink.it; e due giornalisti (prestigiosi intellettuali e
costruttori di pace) che molto si sono adoperati e si stanno adoperando:
Farid Adly, e-mail: anbamed@katamail.com; ed Ettore Masina, e-mail:
ettore.mas@libero.it]
All'Ambasciata di Nigeria, via Orazio 18, 00193 Roma
Safya Husseini Tungar-Tudu e' una ragazza nigeriana di trent'anni, senza
marito. Ha avuto un bambino e dunque, per la legge fondamentalista islamica,
fra meno di un mese sara' posta in una buca, seppellita sino al seno e poi
lapidata a morte dalla gente del suo villaggio. Chiusa nella sua capanna, in
questi giorni allatta il suo bambino. Lo potra' tenere al seno per qualche
settimana, poi la trascineranno nella fossa e la massacreranno.
Vogliamo che Safya viva e chiediamo che l'ambasciata di Nigeria in Italia
interceda presso il presidente della repubblica nigeriana affinche' le
conceda la grazia.
13. APPELLI. LIBERTA' PER LEYLA ZANA
[Riproduciamo ancora una volta il seguente appello. Per contatti: sito
multilingue "Freedom for Leyla Zana",
www.ranchdeiviandanti.it/LeylaZana/home.html]
L'8 dicembre 2001 sono ormai passati otto anni dal giorno della condanna a
15 anni di carcere, dopo che le pressioni internazionali avevano fatto
rientrare la richiesta di pena di morte, di Leyla Zana.
Prima donna kurda ad essere stata eletta deputato nell'Assemblea nazionale
turca, madre di due figli e convinta pacifista, Leyla Zana ha avuto l'unica
colpa di rivendicare "la convivenza pacifica di turchi e kurdi in un
contesto democratico". E di averlo dichiarato in Parlamento, nel giorno del
suo giuramento, parlando nella propria lingua, la lingua di almeno 15
milioni di kurdi con passaporto turco.
Leyla Zana non e' certo l'unica kurda detenuta nelle carceri turche: con lei
sette anni fa furono arrestati altri quattro deputati kurdi. Prima di lei e
dopo di lei migliaia di uomini e donne del suo popolo e di turchi che ne
appoggiavano le rivendicazioni sono stati arrestati, spesso torturati e
uccisi. Questo accade anche oggi, nonostante l'effettiva rinuncia alla lotta
armata -gia' dal 1999 - da parte del Partito dei lavoratori del Kurdistan e
nonostante i primi passi compiuti con successo dalla Turchia per aderire
all'Unione Europea.
Leyla Zana e' diventata in patria e in tutto il mondo un simbolo importante.
Nel 1966 il Parlamento Europeo le ha assegnato il premio Sacharov per la
liberta' di pensiero, un riconoscimento che Leyla non ha potuto ritirare di
persona. Il suo nome e' stato proposto per il Nobel per la Pace.
Leyla Zana, pero', resta in carcere: non ha voluto accettare la proposta di
"appellarsi contro la sentenza, per motivi di salute", fattale recentemente
dal primo ministro turco Bulent Ecevit. Una proposta che Leyla ha definito
"individuale e momentanea" perche' riguardava lei sola, mentre i detenuti
curdi sono migliaia, e lasciava totalmente irrisolta la questione di fondo.
E a Ecevit, Leyla Zana ha invece chiesto di "allineare la Turchia ai valori
democratici universali in politica, in diritto e in economia, evitando altre
scelte che la porterebbero a un caos senza fine"; di risolvere la "tragedia
pluridecennale" dei curdi; e di "varare un'amnistia generale, abolendo la
pena di morte".
Esprimiamo a Leyla Zana e ai curdi della Turchia tutta la nostra
solidarieta'.
Chiediamo al primo ministro turco Bulent Ecevit, al presidente della
Repubblica turca Alimet Necdet Sezer, al governo e al parlamento turchi di
arrivare finalmente a una soluzione pacifica della questione curda e
all'effettivo rispetto dei diritti umani in tutto il paese.
Chiediamo al governo italiano di farsi promotore a livello europeo e a
livello dei rapporti bilaterali con il governo di Ankara di un'azione che
sostenga gli sforzi verso una maggior democrazia da parte della Turchia,
impegnata tra l'altro nel processo di adesione all'Unione Europea.
Hanno firmato l'appello: Marisa Abbondanzieri, Susanna Agnelli, Diana
Vincenzi Amato, Tina Anselmi, Rosellina Archinto, Natalia Aspesi, Gae
Aulenti, Silvia Balestra, Claudia Balottari, Anna Bandettini, Fulvia
Bandoli, Giuliana Barbieri Rodini, Adria Bartolich, Bianca Beccalli, Angela
Bianchini, Laura Boella, Marida Bolognesi, Ginevra Bompiani, Daria
Bonfietti, Isabella Bossi Fedrigotti, Antonella Bruno Garneri, Anna Maria
Bucciarelli, Maria Burani Procaccini, Maura Camoirano, Rossana Campo, Eva
Cantarella, Pat Carra, Anna Cascella, Luciana Castellina, Franca
Chiaromonte, Elena Ciapusci, Elena Cordoni, Maura Cossutta, Lella Costa,
Carla Costamagna Martino, Titti De Simone, Tana De Zulueta, Maria Falcone,
Ida Fare', Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Biancamaria Frabotta, Valeria
Gandus, Nicoletta Gandus, Barbara Garlaschelli, Iole Garuti, Maddalena
Gasparini, Fiorella Ghilardotti, Elena Gianini Belotti, Letizia Gilardelli,
Giovanna Grignaffini, Margherita Hack, Annette Hanneman, Laura Horsch,
Teresa Isenburg, Maria Luisa Jager, Gina Lagorio, Maria Lenti, Rita Levi
Montalcini, Lella Longoni, Rosetta Loy, Sarah Ludford, Mara Malavenda,
Claudia Mancina, Dacia Maraini, Bianca Mazzotta, Carla Mazzuca Poggiolini,
Luisa Mazzotta, Alessandra Mecozzi, Mariangela Melato, Bruna Miorelli,
Roberta Mondadori, Milly Moratti, Luisa Morgantini, Rosanna Moroni,
Pasqualina Napoletano, Maria Celeste Nardini, Silvana Ottieri, Elena
Paciotti, Laura Pennacchi, Gabriella Pistone, Renata Pisu, Irene Pivetti,
Stefania Prestigiacomo, Anna Procacci, Franca Rame, Renate Ramge Eco,
Elisabetta Rasy, Lella Ravasi, Tiziana Ricci, Carla Rocchi, Lalla Romano,
Marina Rossanda, Rosa Russo Jervolino, Ersilia Salvato, Luciana Sbarbati,
Laura Schrader, Fulvia Serra, Elsa Signorino, Vera Squarcialupi, Teresa
Strada, Caterina Sylos Labini, Chiara Tamburini, Annamaria Testa, Livia
Turco, Tiziana Valpiana, Silvia Vegetti Finzi, Adriana Vigneri, Adriana
Zarri, Silvia Ziche (seguono altre 256 firme).
14. RILETTURE. ENZA BIAGINI: INTRODUZIONE A BECCARIA
Enza Biagini, Introduzione a Beccaria, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 192,
lire 18.000. Una bella introduzione alla figura, alla riflessione e
all'opera del grande illuminista.
15. RILETTURE. JULIET MITCHELL: PSICOANALISI E FEMMINISMO
Juliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976, pp. 540.
Un libro che metterebbe conto rileggere dopo tanti anni, tanti fatti, tante
cose: che reca ancora contributi illuminanti.
16. RILETTURE. GIOVANNA PEZZUOLI: PRIGIONIERA IN UTOPIA
Giovanna Pezzuoli, Prigioniera in Utopia, Il Formichiere, Milano 1978, pp.
204. Un ampio saggio introduttivo ed un'impressionante antologia che
documenta "la condizione della donna nel pensiero degli utopisti".
17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 316 del 17 dicembre 2001