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La nonviolenza e' in cammino. 314
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 314 del 15 dicembre 2001
Sommario di questo numero:
1. Il Parlamento europeo solidale con Aung San Suu Kyi e Leyla Zana
2. Umberto Santino, modello mafioso e globalizzazione (parte prima)
3. Ynestra King, per la vita
4. Peppe Sini, la scelta di Gobetti
5. Datteri iracheni per rompere l'embargo che uccide 4.500 bambini al mese
6. Le chincaglierie del dottor Bucefalo
7. Letture: AA. VV., Don Primo Mazzolari
8. Letture: Eduardo Galeano, A testa in giu'
9. Letture: Paolo Rumiz, Maschere per un massacro
10. Riletture: Ernesto Balducci, Giorgio La Pira
11. Riletture: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz, Decalogo
12. Riletture: Adriana Zarri, Il figlio perduto
13. Da tradurre: Bartolome' de Las Casas, Obra indigenista
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. DOCUMENTI. IL PARLAMENTO EUROPEO SOLIDALE CON AUNG SAN SUU KYI E LEYLA
ZANA
[Riceviamo e diffondiamo la risoluzione del Parlamento Europeo a sostegno di
Aung San Suu Kyi e Leyla Zana, vincitrici del premio Sakharov; risoluzione
approvata all'unanimita', a Strasburgo, il 13 dicembre 2001]
Il Parlamento europeo,
considerando che il trattato sull'Unione europea cita lo sviluppo e il
rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto nonche' il rispetto
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali tra i principali
obiettivi della politica estera e di sicurezza comune,
considerando che dal 1988 il premio Sakharov viene attribuito a personalita'
o organizzazioni che nei rispettivi paesi hanno contribuito in modo decisivo
alla lotta a favore dei diritti dell'uomo e delle liberta',
I. Aung San Suu Kyi
considerando che Aung San Suu Kyi ha ricevuto il premio Sakharov nel 1990,
considerando che Aung San Suu Kyi, che nel 1990 ha vinto le elezioni in
Birmania, e' tuttora detenuta agli arresti domiciliari dal regime militare
di Rangoon e che sono detenuti circa 1.600 prigionieri politici,
1. chiede l'immediata liberazione della signora Aung San Suu Kyi e chiede
che le sia garantito il pieno esercizio dei suoi diritti;
2. ritiene che Aung San Suu Kyi sia prigioniera di coscienza, perseguita per
avere espresso convinzioni pacifiche;
3. chiede l'immediata liberazione di tutti gli altri prigionieri politici in
Birmania;
4. chiede al Consiglio e alla Commissione di seguire attentamente la
situazione dei diritti umani in Birmania, indagando in particolare presso le
autorita' del suo governo sulla situazione personale di Aung San Suu Kyi,
vincitrice del premio Sakharov;
5. chiede alla sua Presidente di testimoniare nuovamente alla signora Aung
San Suu Kyi la solidarieta' di tutto il Parlamento europeo;
6. ritiene che Aung San Suu Kyi sia il solo capo legittimo eletto dal popolo
birmano e chiede urgentemente che il regime birmano manifesti la sua
volonta' di ripristinare la democrazia e assicurare la riconciliazione
nazionale avviando un ampio dialogo politico e liberando rapidamente i
prigionieri politici;
7. esige che venga garantita la totale liberta' di organizzazione e di
attivita' politica alla Lega nazionale per la democrazia (NLD) diretta dalla
signora Aung San Suu Kyi e chiede che vengano abolite tutte le restrizioni
imposte alla sua liberta' di movimento;
II. Leyla Zana
considerando che Leyla Zana ha ricevuto il premio Sakharov nel 1995,
considerando che Leyla Zana e' ancora detenuta in Turchia, benche' la Corte
europea dei diritti dell'uomo abbia concluso all'unanimita', nel quadro
della sua decisione del 17 luglio 2001 concernente la causa "Sadak, Zana,
Dicle e Dogan", che la procedura giuridica sfociata in una condanna a 15
anni di prigione per Leyla Zana non rispettava il diritto fondamentale ad un
processo equo, quale previsto dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
1. chiede l'immediata liberazione della signora Leyla Zana;
2. ritiene che Leyla Zana sia prigioniera di coscienza, perseguita per avere
espresso convinzioni pacifiche;
3. chiede l'immediata liberazione di tutti gli altri prigionieri politici in
Turchia, in particolare di Selim Sadak, Hatip Dicle e Orhan Dogan, gli altri
tre ex deputati turchi di origine curda condannati insieme a Leyla Zana;
4. chiede al Consiglio e alla Commissione di seguire attentamente la
situazione dei diritti umani in Turchia, indagando in particolare presso le
autorita' del suo governo sulla situazione personale di Leyla Zana,
vincitrice del premio Sakharov;
5. chiede alla sua Presidente di testimoniare nuovamente alla signora Leyla
Zana la solidarieta' di tutto il Parlamento europeo;
6. chiede alla Turchia di mettere in pratica tutte le indicazioni contenute
nella sentenza sulla causa "Sadak e altri", in particolare di procedere
all'abrogazione della legislazione antiterrorismo, su cui si basano pesanti
violazioni dei diritti umani, e di riformare alla base il codice penale
turco in conformita' con la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che e' stata ratificata
dalla Turchia;
7. chiede alla sua Presidente, alla Commissione, al Consiglio, ai governi e
ai parlamenti degli Stati membri di intervenire presso il comitato dei
ministri del Consiglio d'Europa per garantire che in Turchia venga attuato
lo spirito e la lettera della sentenza sulla causa "Sadak e altri", come
gia' e' stato fatto da numerose personalita';
III. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla
Commissione e al Consiglio nonche' al Parlamento e al governo della Turchia
e alla giunta militare della Birmania.
2. MATERIALI DI STUDIO. UMBERTO SANTINO: MODELLO MAFIOSO E GLOBALIZZAZIONE
(PARTE PRIMA)
[Umberto Santino, fondatore e presidente del "Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo, e' il piu' grande studioso
del fenomeno mafioso e fondamentale figura di riferimento del movimento
antimafia. Il testo seguente (di cui oggi proponiamo la prima parte e nei
prossimi giorni le successive) e' basato sulla sua relazione al seminario
internazionale "I crimini della globalizzazione" svoltosi a Palermo dal 13
al 15 dicembre 2000, in parallelo con la Conferenza delle Nazioni Unite sul
crimine transnazionale; lo ringraziamo per avercelo messo a disposizione;
puo' essere letto altresi', insieme a molti altri materiali, nel sito del
Centro Impastato, che invitiamo caldamente a visitare. Per contatti: Centro
Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15,
90144 Palermo, e-mail: csdgi@tin.it, sito: www.centroimpastato.it]
"Il capitale aborre la mancanza di profitto o il profitto molto esiguo.
Quando c'e' un profitto proporzionato, il capitale diventa audace.
Garantitegli il dieci per cento, e lo si puo' impiegare dappertutto; il
venti per cento, e diventa vivace; il cinquanta per cento, e diventa
veramente temerario; per il cento per cento si mette sotto i piedi tutte le
leggi umane; dategli il trecento per cento, e non ci sara' nessun crimine
che esso non arrischi, anche pena la forca. Se il tumulto e le liti portano
profitto, esso incoraggera' l'uno e le altre. Prova: contrabbando e tratta
degli schiavi" (T. J. Dunning in K. Marx 1964, p. 823).
"Dove il mercato e' abbandonato alla sua auto-normativita' esso conosce
soltanto una dignita' della cosa e non della persona, non doveri di
fratellanza e di pieta', non relazioni umane originarie di cui le comunita'
personali siano portatrici" (Max Weber 1980, p. 314).
* Mafia: il paradigma della complessita'
Per affrontare il tema della diffusione del modello mafioso nel contesto
della globalizzazione sono necessarie alcune puntualizzazioni preliminari.
Per modello mafioso intendo un insieme di caratteristiche riscontrabili nel
fenomeno mafioso cosi' come si e' sviluppato in Sicilia e come le ho
ricostruite e sistematizzate nel mio "paradigma della complessita'"
(crimine, accumulazione, potere, codice culturale, consenso sociale), e che
si possono cosi' sintetizzare:
1) l'esistenza di una struttura organizzativa capace di adeguarsi ai
mutamenti del contesto;
2) una serie di attivita' illegali e legali, storiche e nuove;
3) la loro finalizzazione all'arricchimento e all'acquisizione di posizioni
di potere;
4) la vigenza di un codice culturale, insieme radicato ed elastico;
5) il consenso di buona parte del corpo sociale;
6) l'interazione dei gruppi criminali con il contesto sociale (Santino
1995).
Stando alle ricostruzioni operate nelle sedi investigative e giudiziarie,
sulla scorta delle dichiarazioni di mafiosi collaboratori di giustizia,
l'organizzazione mafiosa piu' nota, Cosa nostra, avrebbe una struttura
diffusa sul territorio, verticistica e piramidale, con alla base le famiglie
e al vertice una commissione interprovinciale presieduta da un capo dei
capi.
Famiglia di sangue e famiglia mafiosa non coincidono: l'organizzazione
mafiosa ha una base familistico-parentale ma e' aperta anche ad estranei e
gli associati, provengano o meno dalla cerchia familiare, sono selezionati
in base al possesso di doti necessarie per l'esercizio delle attivita'
mafiose, illegali e legali.
Ci troviamo di fronte a una struttura formalmente rigida e immodificabile,
con tratti di sacralita' (il rito iniziatorio con il giuramento, la qualita'
di "uomo d'onore" che una volta acquisita dura tutta la vita), ma in realta'
elastica e flessibile, anche se puo' riscontrarsi una sostanziale
continuita': qualcosa di molto simile alla struttura organizzativa degli
ultimi decenni la ritroviamo nei rapporti del questore di Palermo Ermanno
Sangiorgi della fine del XIX secolo.
L'organizzazione e' il frutto di adattamenti succedutisi nel tempo, che in
alcuni periodi hanno portato anche allo scioglimento e alla formazione di
strutture di comando provvisorie, e recentemente e' stata riconsiderata per
rispondere alle reazioni causate dalla lievitazione della violenza degli
anni '80 e '90. Negli ultimi anni si e' parlato di "mafia invisibile", di
sommersione e clandestinizzazione, cioe' di strategie di occultamento con
significativi risvolti che riguardano l'affiliazione (non solo il rito ma
anche i soggetti), i rapporti tra i membri ecc.
Un aspetto fondamentale di questo approccio e' il rapporto tra mafia e
contesto sociale. I gruppi criminali formalmente strutturati agiscono
all'interno di un sistema relazionale informale, che si configura come un
blocco sociale transclassista, egemonizzato da soggetti illegali (i
capimafia) e legali (professionisti, imprenditori, amministratori, politici)
legati dalla comunanza di interessi e dalla condivisione di codici
culturali, definibili come "borghesia mafiosa".
Secondo questa visione, la mafia e' soggetto politico, in duplice senso:
esercita un potere in proprio, che si configura come signoria territoriale,
imponendosi come un'organizzazione di tipo statuale, non riconoscendo il
monopolio statale della forza e praticando l'estorsione come una forma di
tassazione, e interagisce con le istituzioni, per cui si puo' parlare di
doppia mafia, insieme fuori e dentro lo Stato, in doppio Stato, dato che il
monopolio formale della forza convive con quella forma di legittimazione
della violenza mafiosa costituita dall'impunita' (Santino 1994).
Contrariamente allo stereotipo che vede un continuo succedersi a una mafia
vecchia di una mafia nuova, erigendo un ovvio dato generazionale a paradigma
interpretativo di mutamenti che presentano dinamiche piu' complesse,
l'evoluzione del fenomeno mafioso e' vista come un intreccio di continuita'
e trasformazione: aspetti persistenti, come la signoria territoriale,
convivono con aspetti innovativi, come le proiezioni internazionali, in un
rapporto di apparente contradditorieta' ma in realta' di reciproca
funzionalizzazione. Esempio: il dominio esercitato su una determinata
porzione di territorio e' stato una delle precondizioni per l'inserimento di
mafiosi siciliani nel traffico internazionale di eroina, attraverso
l'installazione di laboratori di produzione nelle aree sotto controllo, come
pure l'aeroporto di Palermo, che ricade in una zona a tradizionale dominio
mafioso, e' stato l'infrastruttura indispensabile per l'invio della droga
sul mercato americano.
Un altro concetto che va richiamato e' quello di "societa' mafiogena",
intendendo per tale una societa' che presenta le seguenti caratteristiche:
l'accettazione della violenza e dell'illegalita' da buona parte della
popolazione, che le considera mezzi di sopravvivenza e canali di mobilita'
sociale; l'esiguita' dell'economia legale, la scarsita' di opportunita' e la
possibilita' di accaparramento delle risorse attraverso le maglie di un
sistema clientelare; la considerazione dello Stato e delle istituzioni come
mondi lontani e inaccessibili, se non attraverso la mediazione dei mafiosi e
dei loro amici, fortemente collusi; la cancellazione della memoria delle
lotte precedenti, anche per effetto dell'emigrazione, e la convinzione
sedimentata dell'ineluttabilita' della sconfitta; la fragilita' e la
precarieta' del tessuto di societa' civile e delle forme di partecipazione;
la diffusione di una cultura della sfiducia e del fatalismo; la solidarieta'
nell'illegalita' e l'aggressivita' nei comportamenti quotidiani.
L'interazione di questi vari aspetti genera un contesto adatto per
l'inserimento dei gruppi criminali e la ramificazione del loro sistema
relazionale (Santino 1998, pp. 45 sg.).
Per quanto riguarda l'eziologia del fenomeno mafioso, rispetto alla
spiegazione dominante per molti anni, secondo cui la mafia e' prodotto
dell'arretratezza e del sottosviluppo, della "deprivazione relativa" e di un
deficit, si propone una visione che lega insieme in un processo di
causazione complesso le opportunita' offerte sia dal sottosviluppo che dallo
sviluppo, a partire da un dato di fatto: mafia e altre forme di crimine
organizzato ad essa assimilabili nascono e si sviluppano tanto nelle
periferie che nei centri e la loro azione si articola con un ventaglio tanto
ampio da comprendere attivita' tradizionali (per esempio le estorsioni) e
modernissime (come l'uso di tecnologie sofisticate per il riciclaggio del
denaro sporco).
Un interrogativo preliminare doveroso: questo modello puo' applicarsi a
realta' sviluppatesi in altri contesti, a livello nazionale e
internazionale? E' possibile formulare una teoria generale del crimine
organizzato e transnazionale, per di piu' a partire da un modello storico
locale? Posso dire fin d'ora che nello studio delle varie forme di crimine
organizzato va evitata la tentazione a cui indulgono i media di vedere tutto
sub specie Siciliae e che la rilevazione di uniformita' e specificita' deve
essere condotta attraverso uno studio rigoroso senza fare di ogni erba un
fascio. L'applicazione del modello mafioso non puo' essere il frutto di una
forzatura e non puo' indurre a semplificazioni che rischiano di riproporre
banalita' e stereotipi.
* Globalizzazione: ideologia e realta'
La letteratura sulla globalizzazione si accresce ogni giorno di nuovi titoli
per cui diventa sempre piu' difficile orientarsi. Ma non si pone soltanto un
problema quantitativo. La difficolta' principale deriva dal fatto che le
cose che si dicono e si scrivono, e la stessa terminologia impiegata, sono
segnate dalla indistinzione-sovrapposizione tra processi reali e
rappresentazione (1). Secondo la definizione che ne da' l'Undp (United
Nations Development Programme) "la globalizzazione non e' un fatto nuovo, ma
la presente era ha caratteristiche particolari. Lo spazio che si restringe,
il tempo che si contrae e i confini che scompaiono stanno legando gli
individui in maniera piu' profonda, piu' intensa e piu' immediata di quanto
sia mai successo prima. Sui mercati valutari vengono ora scambiati, ogni
giorno, piu' di 1500 miliardi di dollari, mentre quasi un quinto dei beni e
servizi prodotti ogni anno viene scambiato. Ad ogni modo, la globalizzazione
e' molto di piu' del flusso di moneta e merci: consiste nella crescente
interdipendenza della popolazione mondiale. E la globalizzazione e' un
processo che integra non solo l'economia, ma anche la cultura, la tecnologia
e la governance" (Undp 1999, p. 17).
La definizione rappresenta una mediazione tra visioni che tendono a
presentare la globalizzazione come un fatto radicalmente nuovo o totalmente
o in larga parte inscritto in processi da tempo avviati, o la riducono alla
dimensione economica, considerandola unicamente come un prodotto
dell'evoluzione del libero mercato.
Si e' detto, non senza fondamento, che l'economia-mondo c'e' almeno da
quattro secoli e si sono richiamati gli studi di Arrighi e di Wallerstein
che hanno analizzato il capitalismo come sistema unico mondiale a partire da
quello che Braudel chiamava "il lungo XVI secolo". La formazione di un
sistema a prevalente modo di produzione capitalistico e' il frutto dell'
incrociarsi di due processi che portano a una nuova divisione internazionale
del lavoro e alla creazione di organismi statuali "forti" (Wallerstein
1978).
L'accumulazione del capitale si presenta come un ciclo: all'inizio abbiamo
un'espansione delle risorse finanziarie destinate all'investimento, poi c'e'
un'espansione della produzione, quindi il ritorno alla finanziarizzazione.
Sul piano del potere la storia degli ultimi secoli vede il succedersi di
egemonie politiche territoriali e internazionali. Secondo questa prospettiva
oggi ci troveremmo "alla fine del "lungo XX secolo", segnato dal ciclo di
accumulazione e dal sistema di egemonia politica degli Stati Uniti, che ha
preso il posto di quello dominato dalla Gran Bretagna nel "lungo XIX
secolo"" (Arrighi, 1996; Pianta 2001).
Gli studi sull'economia-mondo hanno il merito di disegnare un quadro
unitario in cui si integrano economia e politica e di avvertirci che la
tentazione di gridare ad ogni pie' sospinto alla novita' va governata con
una buona dose di memoria storica. Questo non significa che dobbiamo
incorrere in un altro rischio: quello di pensare che non c'e' nulla di nuovo
sotto il sole e che la storia non sia altro che la ripetizione del gia'
vissuto, il replicarsi di un ciclo.
Negli ultimi anni c'e' stata un'enorme accentuazione delle interdipendenze,
dovuta non solo alla rivoluzione del sistema di comunicazione: possiamo dire
che oggi non c'e' angolo del mondo, gruppo di popolazione che si sottragga
all'influenza del mercato mondiale. Produzione e commercio sono coordinati
su scala globale, le fasi di lavorazione dei vari prodotti sono distribuite
in paesi diversi, i mercati finanziari sono globali: tutto questo significa
che il capitale circola a livello planetario senza barriere, alla ricerca
della forza lavoro al piu' basso costo o di sbocchi speculativi. Va da se'
che questo non e' nato di colpo, e' il frutto di processi maturati nel tempo
e bisogna tener conto di varie dimensioni, a cominciare dall'intreccio tra
economia e politica.
Una delle tesi piu' diffuse vuole che la globalizzazione sia un fenomeno
irreversibile, cioe' sia determinato da fattori come le tecnologie e i
sistemi di trasporto il cui sviluppo ha unificato il mondo, e offra
opportunita' a tutti i suoi abitanti. In ogni caso non resta che prenderne
atto, come se si trattasse di un fenomeno naturale.
In realta' la globalizzazione non e' il frutto del progresso tecnologico,
della fatalita' economica, delle leggi inesorabili del mercato, ma di una
determinata configurazione delle centrali del potere e di una politica
consapevole e deliberata (Amin 1998, Altvater 2000, Bourdieu 2001) a
profitto di alcuni e a danno di altri.
Se non ci fosse stata l'implosione del cosiddetto "socialismo reale", oggi
non si parlerebbe di globalizzazione allo stesso modo che ci capita di
ascoltare ad ogni ora del giorno. La globalizzazione non e' solo Internet,
e' la materializzazione della vittoria del capitalismo che si e' sbarazzato
di quello che per due secoli e' stato il suo nemico storico e impone una sua
forma di dittatura imperiale, cercando di cancellare tutto cio' che si
richiamava a una prospettiva di mutamento radicale o riformista inscritta
nella visione socialista e proclamandosi come l'unico sistema possibile,
senza alternativa.
Il neoliberismo economico piu' che sposarsi al liberalismo politico implica
una forte carica di decisionismo autoritario e marcia sui binari di quello
che e' stato definito il "pensiero unico", cioe' una summa di codici
culturali ispirati al dogma del profitto, alla sudditanza del lavoro al
capitale, alla competitivita' e al consumismo come filosofia di vita. A
sentire i "maestri cantori" del neoliberismo, il mercato sarebbe una gara a
cui tutti possono partecipare, tutti possono vincere e arricchirsi, tutti
giocano in borsa o si ripromettono di farlo, tutti sanno tutto del Dow Jones
e del Nasdaq, tutti si affrettano a correre nei supermercati a comprare i
prodotti, ben che vada inutili spesso dannosi, reclamizzati ossessivamente
dai media. In realta' il mondo attuale e' un casino' e un supermercato per
pochi. La globalizzazione si presenta come un sistema di esclusioni, di vera
e propria apartheid mondiale che riguarda poco piu' di un quinto
dell'umanita'. Tutti gli altri sono "fuori mercato", cioe' non hanno diritto
di cittadinanza, anzi sono visti come un pericolo e una minaccia (Amoroso
1999, p. 49).
Ritorniamo al discorso su rappresentazione ideologica e realta' a cui
accennavamo prima. Si dice che la globalizzazione favorisca la crescita
economica, riduca la disoccupazione, aumenti la produttivita', ma i dati
contraddicono queste affermazioni. Riguardo alla crescita del prodotto
interno lordo, i paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico) hanno avuto una crescita piu' lenta dopo il 1980 di
quella che hanno avuto negli anni '50 e '60: allora crescevano a un tasso di
circa il 5 per cento annuo, mentre negli anni '80 il tasso di crescita e'
sceso al 3,2 per cento e negli anni '90 non ha superato l'1,5 per cento
(Gallino 2000, p. 100).
Per cio' che riguarda la disoccupazione si registra il ritorno alla
disoccupazione di massa nell'Europa occidentale. Nel 1999, nei 15 paesi
dell'Unione Europea, 15,4 milioni di persone erano in cerca di lavoro
(Gallino 2000, p.101; Brecher-Costello 1996, p. 39). Nei 24 paesi
industrializzati dell'Ocse il tasso ufficiale di disoccupazione e' dell'8,5
per cento, con un esercito di riserva di 35 milioni di persone. Secondo
l'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) su una forza lavoro di
circa 3 miliardi di persone, piu' di 1 miliardo e' disoccupato o
sotto-occupato (Gallino 2000, p. 103).
Negli ultimi vent'anni la produttivita' ha avuto un significativo declino
rispetto agli anni '50 e '60. Tra il 1980 e il 1995 il Pil dei paesi
sviluppati e' cresciuto di poco piu' del 2 per cento l'anno, mentre tra il
1950 e il 1973 l'incremento annuo era quasi del 4 per cento. Anche negli
Stati Uniti, che guidano la marcia trionfale del capitale globalizzato, il
tasso di incremento della produttivita' si e' dimezzato dopo il 1973,
passando dal 2 all'1 per cento (ivi, p. 101).
Secondo il rapporto dell'Undp del 1999 sullo sviluppo mondiale, nel '97 il
20 per cento piu' ricco della popolazione mondiale, quasi tutto nei paesi
Ocse, aveva l'86 per cento del Pil del mondo. Il 20 per cento piu' povero
aveva solo l'1 per cento. Negli anni '60 il rapporto tra il quinto piu'
ricco della popolazione mondiale e il quinto piu' povero era 30 : 1; nel
'90, 60 : 1 (Undp 1999, p. 19).
I paesi indebitati del Sud del mondo dal 1982 al 1990 hanno pagato ai paesi
creditori del Nord sei miliardi e mezzo di dollari di interessi e altri sei
miliardi di dollari di pagamenti principali ogni mese, ma il debito di
questi paesi e' cresciuto del 60 per cento (Brecher-Costello 1996, p. 41).
Sempre secondo l'Undp, 2,8 miliardi di persone vivono con meno di due
dollari al giorno, 1,2 miliardi con meno di un dollaro, mentre 7 milioni di
persone hanno una disponibilita' finanziaria di almeno un milione di dollari
e 358 miliardari da soli posseggono quanto 2 miliardi e 300 milioni di
persone, cioe' il 45 per cento della popolazione mondiale.
A sostegno della tesi che la globalizzazione offre opportunita' a tutti, a
condizione che ci si sappia inserire nelle dinamiche del mercato
internazionale, si richiama l'esempio dell'Asia (senza la Cina, l'India e il
Giappone) che tra il 1973 e il 1998 ha fatto registrare una crescita del 138
per cento, superiore a quella dei paesi piu' industrializzati, cresciuti tra
il 48 e il 78 per cento, ma questi dati andrebbero analizzati alla luce di
parametri che non riguardano solo l'incremento del Pil e non possono
oscurare un dato di fatto e cioe' l'ulteriore impoverimento di gran parte
della popolazione mondiale. E questo e' il frutto delle politiche della
Banca mondiale (Bm) e del Fondo monetario internazionale (Fmi) i cui
programmi di "aggiustamento strutturale" per il rientro dal debito impongono
lo smantellamento dell'intervento statale non solo in economia ma in settori
come la sanita' e l'istruzione, la liquidazione delle economie non
competitive, l'offerta di convenienze agli investitori esteri, cioe' alle
grandi multinazionali, che consistono soprattutto nel bassissimo costo delle
materie prime e della forza lavoro. L'Omc (Organizzazione mondiale per il
commercio) ha imposto una dittatura delle grandi multinazionali, con
l'esaltazione dei diritti di proprieta' privata che cancellano i diritti
elementari delle popolazioni piu' svantaggiate (2).
Non si tratta di politiche sbagliate, di effetti perversi rimediabili con un
po' di buona volonta', con qualche elargizione suggerita dalla cosiddetta
"globalizzazione compassionevole". La logica della polarizzazione e' insita
nel sistema stesso (Amin 1997, p. 31); la poverta' non e' la conseguenza di
"scarsita'" di risorse umane e materiali, "e' piuttosto il risultato
dell'eccessiva offerta globale basata sulla disoccupazione e la
minimizzazione del costo del lavoro in tutto il mondo" (Chossudovsky 1998,
p. 21). Un enorme esercito di riserva consente di spostare e sminuzzare i
processi produttivi dove la forza lavoro ha costi irrisori e dove non
bisogna fare i conti con i diritti dei lavoratori, conquistati a duro prezzo
e ora soggetti a drastici decurtamenti se non alla cancellazione. Cioe':
l'impoverimento e l'emarginazione di grandi masse della popolazione mondiale
e' una condizione indispensabile per tenere in piedi un sistema che poggia
le ragioni del profitto sulla imposizione di flessibilita' vessatorie. Il
libero mercato ha come colonna sonora le salmodie della concorrenza e del
fair play ma si fonda su una strategia di ricatti.
La globalizzazione si presenta come la prova provata del trionfo del
capitalismo, come il nuovo ordine mondiale, ma in realta' e' un modo per
affrontare i problemi posti dalla sua crisi. Alla crisi economica iniziata
negli anni '70, con un forte declino dei tassi di resa del capitale, le
grandi imprese hanno reagito ridefinendo i rapporti capitale-lavoro con
strategie volte a rilanciare i profitti con il taglio dei salari e degli
altri costi di produzione. La mobilita' del capitale alla ricerca della
forza-lavoro al piu' basso costo era una strada gia' avviata ma il crollo
del socialismo e la crisi dei movimenti ad esso ispirati l'ha spianata
decisamente, azzerando o riducendo notevolmente i condizionamenti. Lo
sviluppo dei mercati finanziari globali ha accelerato ulteriormente la
mobilita' del capitale. La superproduzione spinge sempre di piu' grandi
masse di capitale verso la speculazione finanziaria che piu' che una
patologia passeggera si presenta come un dato strutturale.
Dalla seconda guerra mondiale era nato un mondo diviso in tre blocchi: il
blocco occidentale, quello socialista, il Terzo mondo. Oggi il blocco
occidentale esercita un dominio imperiale su tutto il pianeta. Ed e' un
dominio che alimenta disparita' e discriminazioni: per un verso abbiamo
l'eliminazione delle distanze, una straordinaria rapidita' dei mezzi di
comunicazione e la liberta' di circolazione dei capitali e delle merci, per
un altro si ergono e si moltiplicano gli ostacoli alla libera circolazione
degli uomini. Il massimo del progresso tecnologico convive con la
mercificazione degli esseri umani e le nuove schiavitu'. La dittatura del
profitto si esprime nel comando di istituzioni globali incontrollate, a
servizio degli interessi delle multinazionali, e la religione della
proprieta' privata celebra i suoi riti con la privatizzazione di risorse
come l'acqua, i brevetti sui semi e sui farmaci.
Sotto il profilo politico assistiamo a processi che sono stati definiti di
"decostruzione della politica" (Bauman 2000, pp. 78 sgg.), cioe' della
formazione di poteri separati dalla politica. I poteri si concentrano nelle
mani di istituzioni internazionali sottratte a qualsiasi forma di controllo
democratico.
L'istituzione dell'Omc e' stata definita un "colpo di stato globale"
(Brecher-Costello 1996, p. 79) e si e' parlato di un "governo mondiale
invisibile" (Bourdieu 2001, p. 45) con riferimento a decisioni adottate in
segreto, ma gran parte di questo governo e' ben visibile anche se ignora le
regole elementari della democrazia: l'elettivita' dei soggetti che lo
esercitano e la possibilita' di controllare il loro operato. Il caso piu'
eclatante di vera e propria usurpazione del potere e' il G7 (o G8, ma la
Russia in realta' recita la parte di parente povero): i rappresentanti dei
paesi piu' industrializzati, che hanno unicamente il mandato di governare i
loro paesi, si sono proclamati leaders del pianeta in base all'equazione
ricchezza uguale potere, esautorando l'Onu e vanificando ogni tentativo di
una sua riforma democratica.
In questo quadro gli Stati nazionali vedono sminuiti i loro poteri, anche se
continuano ad avere un ruolo, mentre partiti e sindacati che agiscono dentro
orizzonti nazionali, una volta crollate le prospettive
dell'internazionalismo socialista, sono spiazzati rispetto ai compiti
suscitati dalla nuova realta'.
Nel contesto della formazione di poteri che si impongono al di fuori di ogni
regola democratica, sul piano militare lo scioglimento del Patto di Varsavia
non e' stato bilanciato dallo scioglimento della Nato, che anzi si e'
rafforzata e ha rivolto le sue attenzioni verso i nuovi "nemici": i paesi
arabi e gli altri paesi detentori di risorse energetiche che il blocco
occidentale intende sfruttare a suo vantaggio. Al fondamentalismo
occidentale rispondono altri fondamentalismi e insieme compongono un quadro
di tensione permanente che sollecita un'ulteriore corsa agli armamenti, con
grandi profitti per le imprese produttrici che si preparano a gestire il
progetto di scudo spaziale, voluto fermamente dal nuovo presidente degli
Stati Uniti, in violazione di accordi sul disarmo nucleare, contrastato dai
paesi dell'Unione europea ma servilmente appoggiato dal governo Berlusconi.
Per l'insieme di sperequazioni, usurpazioni, vere e proprie barbarie che la
globalizzazione incorpora, l'espressione "impero del caos" (Amin 1991) non
e' ne' esagerata ne' fuori luogo. Nessuna sorpresa quindi se invece della
"fine della storia" abbiamo sotto gli occhi una vicenda quotidiana fatta di
manifestazioni di protesta, iniziative a vari livelli che si pongono come
forme di delegittimazione dell'assetto attuale e si proiettano, tra
incertezze e contraddizioni, verso la costruzione di alternative possibili.
* Le mafie: forme organizzative e attivita'
Abbiamo finora tratteggiato a grandi linee il quadro teorico e
storico-mondiale entro cui ci muoviamo. Ora bisognera' cominciare a porci il
problema del proliferare di organizzazioni criminali sul piano nazionale e
internazionale e vedere come esso si inserisca nel contesto della
globalizzazione.
Cos'hanno in comune, oltre la generica etichetta di "mafie", organizzazioni
criminali storiche e nuove come la mafia siciliana (Cosa nostra e le altre),
la 'ndrangheta calabrese, la camorra campana, la Sacra corona unita
pugliese, la mafia del Brenta e sul piano internazionale le triadi cinesi,
la yakusa giapponese, i cartelli latino-americani, la mafia turca, russa,
albanese, nigeriana ecc.?
Per l'Italia la legge antimafia del 1982 ha definito l'associazione mafiosa
operando un'estensione del modello siciliano nelle sue linee generali:
"l'associazione e' di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si
avvalgono della forza d'intimidazione del vincolo associativo e delle
condizioni di assoggettamento e di omerta' che ne deriva per commettere
delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il
controllo di attivita' economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per
se' o per altri".
Quindi, per potersi parlare di mafia, occorre un'organizzazione
caratterizzata da alcune peculiarita': la forza d'intimidazione con i suoi
effetti sugli associati (ma pure sugli esterni), finalizzata allo
svolgimento di attivita' economiche, in collegamento anche con l'uso del
denaro pubblico. Dentro questo schema astratto possono ritrovarsi
peculiarita' connesse con la storia delle singole associazioni e con il
territorio entro cui esse agiscono. Non possiamo in questa sede approfondire
adeguatamente questo tema, bastera' qualche accenno.
Per quanto riguarda la Sicilia l'attenzione si e' concentrata su Cosa nostra
e sulla sua struttura organizzativa piramidale e verticistica, ma in realta'
in Sicilia ci sono altri gruppi definibili di tipo mafioso, come la Stidda
delle province di Agrigento e Caltanissetta, la cui struttura organizzativa
e' meno rigida. La 'ndrangheta ha un'organizzazione maggiormente ancorata
alla famiglia di sangue, mentre la camorra ha una struttura pulviscolare,
con formazioni precarie, ma ha pure conosciuto momenti organizzativi piu'
rigidi e duraturi. La Sacra corona unita e' stata definita una
organizzazione gangsteristico-mafiosa ma in realta' presenta molti dei
caratteri tipici della mafia storica: una struttura gerarchica, un organo di
coordinamento, un codice culturale. Piu' vicina a una banda criminale e' la
mafia del Brenta ma le sue attivita' hanno avuto la complessita' a cui fa
riferimento la legge antimafia.
A livello internazionale le triadi, la cui presenza come setta segreta e'
documentata fin dal XVII secolo, hanno struttura verticistica; le yakusa,
considerate fino al 1992 associazioni solidaristiche, sono una serie di
gruppi con organizzazione verticistica all'interno, tradizionalmente senza
collegamento tra loro ma da qualche tempo con legami di tipo federativo. I
cartelli colombiani sono di recente formazione, non sono molto strutturati e
non hanno regole rigide. Si possono considerare delle "imprese individuali
che si spartiscono i compiti tra loro e con un gran numero di bande minori"
(Santino-La Fiura 1993, p. 183). I legami sono informali e legati alle
esigenze quotidiane. I clan turchi sono strutturati su base parentale, la
mafiya russa ha un'articolazione complessa, che va da microbande criminali a
organizzazioni piu' ampie, strutturate gerarchicamente, tra cui quella
storica dei cosiddetti "ladri nella legge", i cui capi possono essere anche
funzionari pubblici e uomini d'affari. I gruppi criminali di etnia albanese
non hanno struttura verticistica anche se negli ultimi tempi alcuni gruppi
sono emersi sugli altri e si sono avviati collegamenti tra i vari gruppi
operanti in Italia. I gruppi nigeriani sono strutturati in cellule collegate
tra di loro ma senza un assetto gerarchico.
Come si vede, anche da un rapido sguardo, ci troviamo di fronte a un
panorama variegato, in cui pero' possiamo individuare motivi ricorrenti: la
forma organizzativa puo' essere rigida o flessibile, in ogni caso e' il
frutto di un adattamento alle attivita' che vengono svolte e ai contesti in
cui si agisce.
Lo studio dei gruppi criminali deve tener conto dei comportamenti nei paesi
d'origine e nei nuovi insediamenti, dell'articolazione delle attivita',
criminali e legali. Alcuni di questi gruppi erano presenti gia' da tempo in
vari paesi e agivano da organizzazioni transnazionali. Le attivita' dei
gruppi antichi e recenti si sviluppano secondo una gamma gia' ampia e
suscettibile di ulteriore ampliamento. Sul piano criminale abbiamo:
estorsioni, usura, contraffazione di merci, contrabbando di tabacchi,
traffico di droghe, di armi, di materie prime per fabbricazione di armi, di
beni artistici, immigrazione clandestina e tratta degli schiavi,
prostituzione, traffico di organi, smaltimento di rifiuti tossici e
pericolosi. Sul piano legale: imprese di costruzioni, appalti di opere
pubbliche, esercizi commerciali, attivita' turistico-alberghiere,
speculative e finanziarie. I processi di omologazione, innescati dal fatto
che le varie organizzazioni svolgono le stesse attivita' e debbono
affrontare gli stessi problemi, come il riciclaggio del denaro sporco, vanno
a braccetto con le specificita' etniche, storiche e culturali.
Ho guardato e continuo a guardare con diffidenza a una caricatura di "teoria
generale delle mafie" frutto di forzature e di illazioni, sulla base di una
visione che ripropone stereotipi vecchi e nuovi. Negli ultimi anni si e'
parlato di una cupola mondiale del crimine, di una sorta di Onu del delitto,
che ricalca l'immagine della piovra universale che imperversa sui
teleschermi. Ritengo invece che alcuni elementi del "paradigma della
complessita'" possano essere utilmente impiegati per capire quello che sta
accadendo sulla scena mondiale, a patto che si abbia l'onesta' intellettuale
di non piegare la realta' a schemi preconfezionati. Anche per altri gruppi
di criminalita' organizzata di tipo complesso possiamo chiederci come il
crimine sia funzionale ai processi di accumulazione e di acquisizione del
potere, come operano i codici culturali, come si configurano i rapporti tra
legale e illegale, tra gruppi criminali e soggetti sociali e istituzionali.
I concetti di signoria territoriale, di borghesia mafiosa, di societa'
mafiogena possono valere ben oltre l'orizzonte siciliano. E sul piano
eziologico il cosiddetto "crimine transnazionale" ripropone problemi che
sono stati affrontati, spesso in modo inadeguato, dagli studiosi di fenomeni
locali.
(CONTINUA)
3. MAESTRE. YNESTRA KING: PER LA VITA
[Da Ynestra King, Al di la' del dualismo, in AA. VV., Differenza che
passione, volume monografico di "Volonta'", n. 1-2/1988, p. 51]
Non ho dubbi sul fatto che gli obiettivi del femminismo, dell'ecologia e dei
movimenti antirazzisti siano intimamente correlati, e debbano essere
compresi e perseguiti congiuntamente nell'ambito di un movimento, su scala
mondiale, che lotti veramente per la vita.
4. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: LA SCELTA DI GOBETTI
[Lo so che non si dovrebbe scrivere cosi']
La situazione, a me sembra, e' la seguente: la guerra in Afghanistan
continua tuttora. Le forze armate italiane inviate cola' sono state poste
sotto il comando americano. Il governo degli Usa ha detto che portera'
guerra ovunque riterra' opportuno. E' prevedibile, ed il Ministro della
Difesa italiano lo ha gia' dichiarato, che le forze armate italiane, alla
stregua di mercenari, potranno presto essere impiegate in una nuova guerra
di aggressione in Somalia, o altrove. La guerra, la fine del diritto, il
terrorismo di stato che tutti gli altri terrorismi alimenta, il
totalitarismo planetario. Oggi. Tutti gli imbonitori di questo mondo non
potranno convincermi del contrario.
*
Vorrei proporre la seguente semplice tesi: che e' insufficiente che il
movimento pacifista italiano si impegni nella solidarieta' ed assistenza
alle vittime, pur necessaria; che e' insufficiente che il movimento
pacifista italiano si impegni nella condivisione dei beni e del dolore, pur
fondamentale; che e' insufficiente che il movimento pacifista italiano si
eserciti nella riflessione e nella protesta, pur doverose.
Occorre, a me sembra, agire; un agire nonviolento, corale, democratico, per
la pace e la legalita'; per la vita e per la dignita' umana, nostra e di
tutti.
Ed in primo luogo qui e adesso mi pare che occorra revocare ogni delega
politica e rappresentanza istituzionale a quanti hanno deciso o accettato la
guerra, hanno messo a disposizione di essa le risorse pubbliche del nostro
paese, hanno trascinato anche l'Italia nella fornace anziche' rispettare la
legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico ed impegnarsi in difesa
e a promozione della pace, del diritto internazionale, del fondamentale
diritto umano che a tutti gli esseri umani va riconosciuto, che e' il
diritto di vivere.
Occorre porre ancora e ancora la richiesta del ripristino della legalita'
costituzionale; la richiesta della cessazione della guerra, e subito almeno
della cessazione della partecipazione italiana e dell'avallo italiano alla
guerra illegale e criminale.
Occorre porre la richiesta delle dimissioni del governo, dello scioglimento
del parlamento, di nuove elezioni politiche.
Non saremo ascoltati? E' piu' grave non aver parlato che non essere
ascoltati. E' della responsabilita' nostra che qui stiamo dicendo.
*
Occorre, a me sembra, continuare pure nella raccolta e nell'invio di aiuti
alle vittime; continuare pure nelle iniziative simboliche ed autocentrate
che evidenzino il nostro dolore e la nostra opposizione all'uccidere;
continuare pure nelle pratiche educative, nella ricerca teorica, nella
riflessione morale, nel fecondo e necessario dibattito sulle alternative
possibili; nell'interlocuzione che convochi tutti a dialogo; nelle tante
piccole iniziative che giorno per giorno indicano un mondo diverso come
possibile ed iniziano a costruirlo.
Si', ma occorre anche ed innanzitutto uscire dalla subalternita', dalla
delega, dall'accettazione dell'orrore presente fosse pure solo per
passivita' o per omesso controllo.
Se non si ferma la guerra, se non si contrasta concretamente ed
efficacemente e subito la guerra, tutto il resto rischia di essere inane,
vano, futile, alibi, menzogna; di convertirsi, secondo il duro verso
gongorino, "en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada".
*
Occorre un'iniziativa ad un tempo giudiziaria e politica e morale.
Giudiziaria: perche' se si accetta la guerra, se si accetta la violazione
della legalita' costituzionale, se si accetta il terrorismo (e sia pure di
stato), poi si accettera' tutto e finisce la civilta' giuridica, finisce
l'ordinamento democratico, finisce il civile convivere e condursi, e il
crimine trionfa e l'annichilimento dell'umanita'; e dunque ancora una volta
alla posizione irresponsabile della societa' degli apoti occorre
contrapporre la scelta di Gobetti.
Politica: perche' sta a noi cittadini, con la forza e la limpidezza della
nonviolenza, con le risorse del diritto e della democrazia, negare consenso
e impunita' a chi ha rovesciato la Costituzione e trascinato l'Italia nel
crimine piu' grande; e dunque ancora una volta alla posizione irresponsabile
della societa' degli apoti occorre contrapporre la scelta di Gobetti.
Morale: perche' come potremo altrimenti guardarci negli occhi domani? e
dunque ancora una volta alla posizione irresponsabile della societa' degli
apoti occorre contrapporre la scelta di Gobetti.
Che siamo stanchi, che siamo sfiniti, che siamo frastornati e malconci: ma
il nostro consenso dobbiamo negarlo. In situazioni di gran lunga piu'
drammatiche delle nostre qui e adesso, seppe dirlo un prigioniero di
Auschwitz, e Primo Levi quel pensiero e quelle parole che li ha trasmessi e
testimoniati, ce li ha consegnati come eredita' e mandato. Non posso
dimenticare. Negare il consenso al male. Negarlo sempre. Questo mi pare il
primo dovere: la lotta nonviolenta comincia di qui, la dignita' umana si
salva da qui. Qui e' Rodi e qui devi saltare.
*
Credo che occorra chiedere conto a tutte le forze politiche del loro
collocarsi dinanzi alla guerra, ed a quelle che la guerra hanno avallato
chiedere di recedere dal crimine.
Credo che occorra chiedere conto alla competente magistratura del motivo per
cui non interviene dinanzi alla flagrante violazione della legalita'
costituzionale commessa dal governo, dal parlamento, dal capo dello Stato.
Credo che occorra chiedere conto alle grandi organizzazioni sindacali dei
lavoratori del perche' non hanno ancora chiamato allo sciopero generale
contro la guerra e il terrorismo, in difesa della legalita' costituzionale e
dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Credo che occorra chiedere conto a noi stessi se la nostra apparente
impotenza non sia in effetti un inganno che giochiamo a noi medesimi,
sintomo insieme di un privilegio e di una paura che dovremo saper guardare
in faccia.
*
E vorrei proporre pertanto ancora una volta:
1. di fare uno sforzo ulteriore per ideare e promuovere azioni dirette
nonviolente che realmente contrastino la partecipazione italiana alla
guerra. So bene che non e' facile, io stesso mi ci arrovello da mesi senza
esito, ma occorre cercare ancora.
2. di pensare ad una campagna nonviolenta di disobbedienza civile di massa,
qui e adesso, che tolga consenso e delega a vertici istituzionali che hanno
tradito il paese, violato la legge, scelto di essere complici del piu' grave
dei crimini. So che non e' facile, si tratta di chiedere grandi sacrifici
alle persone migliori, si tratta di assumere responsabilita' onerose ed
esporsi a pericoli grandi, ma occorre cercare e trovare una forma, un modo,
un'idea per agire, e discuterla a fondo e proporla a tutte le persone di
volonta' buona: la nonviolenza richiede attenzione e pazienza, coraggio
grande e sensibilita' profonda; la nonviolenza, diceva Capitini, e' il
potere di tutti.
3. di rilanciare la proposta dello sciopero generale contro la guerra,
sapendo quanto sia difficile, ma non rinunciando giammai a proporre l'uso di
questo fondamentale strumento democratico di coscientizzazione e di azione
che potrebbe essere decisivo.
4. di riprendere con piu' intensita' e chiarezza l'azione pubblica di
sensibilizzazione e mobilitazione contro la guerra e l'uccidere. Di
affermare con ancor piu' nettezza la scelta nitida e intransigente della
nonviolenza.
Altrimenti il nostro marciare per la pace, vegliare per la pace, digiunare
per la pace, diventa null'altro che una turpe parodia e una blasfema
irrisione del tragico fuggire dei profughi e dei migranti, del terrore che
non concede riposo ai perseguitati, del languire e infine spegnersi degli
affamati.
5. INIZIATIVE: DATTERI IRACHENI PER ROMPERE L'EMBARGO CHE UCCIDE 4.500
BAMBINI AL MESE
[Dall'associazione umanitaria "Un ponte per..." riceviamo e diffondiamo. Per
contatti: posta.unponteper@tiscalinet.it]
Datteri iracheni importati dall'associazione "Un ponte per..." come atto di
disobbedienza civile alla legge italiana sull'embargo all'Iraq sono in
vendita in tutta Italia per protestare contro l'embargo e come atto di
solidarieta' verso la popolazione irachena colpita con oltre un milione di
vittime.
Da 11 anni continuano a morire 4.500 bambini al mese. Facciamo che la vita
di un bambino valga una vita. I datteri sono in vendita nelle Botteghe del
Commercio Equo e Solidale e nelle piazze.
Il 22 dicembre giornata nazionale di disobbedienza civile con tavoli di
vendita publica in tutt'Italia.
Per la seconda volta l'embargo all'Iraq e' stato apertamente e pubblicamente
violato con una iniziativa di disobbedienza civile alla legge 298/90
promossa dall'associazione di volontariato "Un ponte per...".
L'iniziativa, consistente nella importazione "illegale" di 20 tonnellate di
datteri iracheni, intende essere una ulteriore forma di pressione sul
governo italiano perche' dia attuazione alla risoluzione approvata il 21
giugno 2000 dalla Camera dei deputati che lo impegnava, anche sotto la
pressione di 30.000 firme di una petizione popolare, a "prendere una
posizione ufficiale nelle sedi internazionali per la revoca delle sanzioni
all'Iraq", "sbloccare i fondi iracheni congelati nelle banche italiane e
promuovere iniziative umanitarie.
"Siamo stufi di aspettare che il governo si muova - hanno detto gli
organizzatori - non riconosciamo piu' validita' ad una legge con la quale
anche il nostro paese partecipa al genocidio della popolazione irachena, che
ha pagato gia' con oltre un milione di morti".
I datteri sono stati acquistati direttamente da contadini del sud dell'Iraq,
sono stati sterilizzati, essiccati e confezionati in Iraq ed importati in
Italia, dopo aver passato due frontiere ed aver cambiato due volte
identita'. Prima della importazione il prodotto e' stato fatto analizzare
sia da un laboratorio iracheno che da uno italiano per verificare la
conformita' alle norme sanitarie italiane e per verificare l'assenza di
uranio impoverito. I proventi della iniziativa verranno utilizzati in un
progetto di riabilitazione di un centro di salute nella zona di provenienza
dei datteri.
Iniziative analoghe avverranno in Canada, Gran Bretagna e Francia ove i
datteri iracheni sono stati riesportati dall'Italia.
I datteri (di cui l'Iraq era il primo esportatore mondiale) erano, prima
della guerra del Golfo la seconda voce nelle esportazioni irachene.
L'embargo, chiudendo i mercati esteri, ha colpito molto duramente i
contadini e tutte le attivita' connesse alla lavorazione e alla
trasformazione del prodotto.
6. LE CHINCAGLIERIE DEL DOTTOR BUCEFALO
[Il dottor Bucefalo, si sa, gestisce una bottega, anzi un retrobottega, di
rigattiere delle notizie usate e delle idee invendute, e a poco prezzo ne
spaccia di consunte, di difettose, di lunatiche e balzane. A poco prezzo.
Venghino tutti]
* Questione giustizia: Chi controlla i controllori? Noi, gridarono come un
sol uomo tutti i gentiluomini che gozzovigliavano nella taverna di Auerbach.
* Stati canaglia: "Se si vuole considerare la questione con serieta', si
deve riconoscere che in gran parte del mondo gli Stati Uniti sono
considerati uno dei principali stati terroristi, e con buone ragioni.
Dovremmo ricordarci, per esempio, che nel 1986 gli Usa sono stati condannati
dalla Corte internazionale per "uso illegale della forza" (terrorismo
internazionale) e hanno poi posto il veto a una risoluzione del Consiglio di
sicurezza che chiedeva a tutti gli stati (sottintendendo gli Stati Uniti) di
rispettare il diritto internazionale. E questo e' solo uno degli
innumerevoli esempi" (Noam Chomsky, 11 settembre, Tropea, Milano 2001, p.
22).
* Piccoli sintomi 1: un capo di governo plurinquisito, gia' membro di
un'organizzazione occulta con finalita' eversive, gia' in rapporti con
mafiosi.
* Piccoli sintomi 2: un vicecapo di governo cresciuto nell'apparato e quindi
alla testa di un partito neofascista, che or non e' guari affermava il
massimo statista del secolo XX essere il cavalier Benito Mussolini; ora fa
lo statista lui.
* Piccoli sintomi 3: fa il ministro alle riforme istituzionali, ed insieme
il capo carismatico di un partito che ha tanto di organizzazione
paramilitare (camicie verdi, che non e' proprio lo stesso di nere o brune ma
certo qualche ricordo lo evocano ed a qualche modello si ispirano), un
personaggio che ha costruito le sue fortune sul razzismo, che qualche anno
fa infiammava i sodali suoi minacciando i magistrati con espressioni ed
atteggiamenti che e' un eufemismo definire da bullo di periferia, che
lungamente ha sostenuto di voler fare a pezzi il paese che oggi governa (ed
alla cui Costituzione dovrebbe aver giurato fedelta'), e che da compiuto
dialettico pare tenere in non cale il principio di non contraddizione.
* Piccoli sintomi 4: dimentico qualcosa? Ah, si': l'opposizione. Ma non sono
il solo ad averla dimenticata, oserei dire.
* Piccoli sintomi 5: un ministro della giustizia che da un palco arringa la
folla contro i magistrati.
* Piccoli sintomi 6: la perdita di memoria considerata virtu' ed eleganza.
La menzogna interpretata come arte del piacevole dire ed esercizio di
sottigliezza. La malvagita' intesa come vitale esuberanza. La guerra,
infine, sola igiene del mondo. (Poi verra' la filosofia col manganello, e
cosi' via. Si ricomincia un ciclo che gia' si diede: nell'incoscienza
generale, perche' la perdita di memoria e' considerata eccetera).
7. LETTURE. AA. VV.: DON PRIMO MAZZOLARI
AA. VV., Don Primo Mazzolari, Servitium, Sotto il Monte (BG) 1999, pp. 238,
lire 20.000. Studiosi ed amici di Primo Mazzolari lo ricordano in pagine di
profonda interpretazione e commossa rievocazione. Un libro che si legge tra
le lacrime.
8. LETTURE. EDUARDO GALEANO: A TESTA IN GIU'
Eduardo Galeano, A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano 1999, pp. 384,
lire 26.000. Il mondo alla rovescia, che e' quello in cui viviamo,
raccontato e spiegato dal grande giornalista, saggista, narratore
latinoamericano. Una delle opere migliori per capire cosa sia la
globalizzazione neoliberista.
9. LETTURE. PAOLO RUMIZ: MASCHERE PER UN MASSACRO
Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Editori Riuniti, Roma 1996, 2000, pp.
206, lire 20.000. Un giornalista che non accetta gli stereotipi e la
propaganda, e va a vedere e cerca di capire, racconta e riflette su "quello
che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia". Con
un'introduzione di Claudio Magris.
10. RILETTURE. ERNESTO BALDUCCI: GIORGIO LA PIRA
Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Edizioni cultura della pace, S. Domenico
di Fiesole (FI) 1986, pp. 192, lire 18.000. Padre Balducci, Giorgio La Pira:
ad ogni pagina ritrovi vicende, figure, riflessioni che sono divenute parte
del nostro stesso sentire, memoria condivisa, speranza e fedelta'.
11. RILETTURE. KRZYSZTOF KIESLOWSKI, KRZYSZTOF PIESIEWICZ: DECALOGO
Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz, Decalogo, Einaudi, Torino 1991,
1994, pp. 460, lire 16.000. La sceneggiatura letteraria del capolavoro
cinematografico di Kieslowski (con alcune piccole ma significative, preziose
differenze tra testo e film), con un'appendice di utili materiali
informativi e critici.
12. RILETTURE. ADRIANA ZARRI: IL FIGLIO PERDUTO
Adriana Zarri, Il figlio perduto, La Piccola, Celleno (VT) 1991, pp. 164,
lire 18.000. Tre meditazioni tenute presso il centro comunitario di Celleno,
arricchite da un'appendice di letture parallele. Con una prefazione
dell'indimenticabile Benedetto Calati. Uno dei libri piu' belli e
concentrati della grande teologa ed eremita.
13. DA TRADURRE. BARTOLOME' DE LAS CASAS: OBRA INDIGENISTA
Bartolome' de Las Casas, Obra indigenista, edicion de Jose' Alcina Franch,
Alianza, Madrid 1985, 1992, pp. 480. Una raccolta delle principali opere
pubblicate da Las Casas a Siviglia nel 1552 e 1553; non solo la Brevissima
relazione della distruzione delle Indie, ma altri testi di grande interesse
che per quanto ne sappiamo ancora attendono di essere adeguatamente
pubblicati in Italia.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 314 del 15 dicembre 2001