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La nonviolenza e' in cammino. 305



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 305 del primo dicembre 2001

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, il Ministro degli Affari Esteri ha detto
2. Daniela Padoan, un incontro con le madri di Plaza de Mayo
3. Giulietto Chiesa, una crisi interna alla globalizzazione
4. Una lettera di Gerard Lutte dal Guatemala
5. Oggi a Oristano per il commercio equo e solidale
6. Mario Di Marco, la banca etica a Viterbo
7. Mao Valpiana, per George Harrison
8. Alcune iniziative di pace di oggi e domani
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. IL PUNTO. PEPPE SINI: IL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI HA DETTO
Lo scriviamo con amarezza e senza irrisione (la situazione e' talmente
tragica che ne' ridere ne' sorridere e' concesso): il Ministro degli Affari
Esteri del nostro paese si e' accorto che in Afghanistan e' in corso una
guerra, ed ha detto, in buona sostanza, che sarebbe un male che noi italiani
vi prendessimo parte, e che quindi sarebbe preferibile che i militari
italiani non vi fossero coinvolti; in attesa, par di capire, di tempi
migliori in cui si potra' intervenire nell'ambito di una missione di pace.
Molti commenti sarebbero possibili, ma li affidiamo ai nostri ventiquattro
lettori.
Per parte nostra aggiungiamo solamente, ancora una volta:
primo, che questa guerra, come tutte le guerre, consiste nel commettere
omicidi di massa;
secondo, che questa guerra prolunga, espande e rafforza il terrorismo ed e'
essa stessa terrorismo e malvagia pedagogia del terrorismo;
terzo, che solo ripudiando la guerra (come recita uno dei principi
fondamentali della nostra carta costituzionale) si puo' contrastare il
crimine, si puo' promuovere la legalita', si puo' costruire l'umana
convivenza;
quarto, che ogni guerra in considerazione delle tecnologie di distruzione
disponibili oggi nel mondo puo' portare alla fine della civilta' umana;
quinto, e pertanto, essendo interesse e compito di ogni membro della
comunita' umana impedire che la fine della civilta' umana avvenga, ne
consegue che cosi' come la guerra e' nemica dell'umanita' intera, ugualmente
l'umanita' intera ed ogni singolo essere umano dovrebbe sentirsi nemico
della guerra e cooperare affinche' essa cessi di colmare di orrore e dolore
e minacciare di annentamento la storia e il mondo e la vita di tutti.
Occorre che i poteri istituzionali rappresentativi e decisionali del nostro
paese tornino al rispetto della legalita' costituzionale e del diritto
internazionale, revochino lo scellerato avallo dato alla guerra, facciano
tornare indietro le forze armate italiane sciaguratamente inviate cola'; e
che l'Italia quindi si adoperi per la pace, il diritto e i diritti umani, si
impegni in un grande sforzo di aiuti umanitari alla popolazione afghana,
agisca per contrastare con gli strumenti della civilta' giuridica tutti i
terrorismi.
Ma finche' il governo, il parlamento e il presidente della Repubblica non
addiverranno a questo atto di rispetto della legge e di realismo, prima
ancora che di saggezza; finche' i piu' alti poteri dello stato italiano
resteranno tragicamente fuorilegge; ebbene, e' compito nostro di cittadini e
di esseri umani, e' compito nostro di noi tutti, continuare a impegnarci con
ogni energia per la pace e la legalita', contro la guerra e contro il
terrorismo, contro i crimini di guerra ed i crimini contro l'umanita' che
vengono tuttora commessi in Afghanistan anche con la complicita' italiana.
E dunque continuiamo ed anzi intensifichiamo le iniziative nonviolente
contro la guerra: le iniziative nonviolente, perche' solo con la nonviolenza
si puo' contrastare la guerra e il terrorismo, e difendere la dignita' umana
e il principio di legalita'. Solo con la nonviolenza si agisce per la pace.
Solo con la nonviolenza si puo' salvare l'umanita' dal pericolo di una
catastrofe definitiva. Solo con la nonviolenza: e chi dopo Auschwitz ed
Hiroshima non lo ha ancora capito non ci e' di nessun aiuto.
E ci spieghi - lo scriviamo con amarezza e senza irrisione (poiche' la
situazione, ripetiamolo, e' talmente tragica che ne' ridere ne' sorridere e'
concesso) - ci spieghi il Ministro degli Affari Esteri se alle sue parole
intende dare un seguito o se esse non debbano apparirci in guisa di lacrime
di coccodrillo.

2. ESPERIENZE. DANIELA PADOAN: UN INCONTRO CON LE MADRI DI PLAZA DE MAYO
[Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 25
novembre]
Uno strano incontro, quello che si e' svolto alla Libreria delle Donne di
Milano con le Madri di Plaza de Mayo. Da una parte un dirsi madri, con
un'abitudine a guardare con sospetto la retorica femminista, e dall'altra un
dirsi donne, con l'abitudine a guardare con sospetto la retorica della
maternita'. Eppure innumerevoli somiglianze, a partire dalla centralita' di
una pratica che trasforma l'esperienza vissuta in un sapere di se' e del
mondo.
Hebe de Bonafini e Mercedes Merono, presidente e vicepresidente
dell'associazione delle Madri, hanno compiuto il consueto gesto rituale
prima di presentarsi in pubblico e si sono annodate sotto il mento il
fazzoletto bianco, simbolo della scomparsa dei figli. Quello stesso
fazzoletto sul quale, 24 anni fa, ciascuna scriveva il nome del figlio
scomparso, per poi sostituirlo con una parola d'ordine rimasta da allora
immutata: aparicion con vida.
Ricomparsa e vita, concetti contrapposti come scudi a quelli sinistri di
scomparsa e morte. Un funambolismo, all'apparenza. Eppure, nello scacco in
cui le Madri tengono il reale, si gioca la lotta politica forse piu'
radicale di questi decenni.
Rifiutandosi di concedere al potere l'ultima parola, le Madri agiscono un
ribaltamento della realta' e una straordinaria effrazione di senso che si fa
invenzione simbolica, in bilico tra la negazione della morte e
l'affermazione della vita. Nel libro Non un passo indietro! presentato
giovedi alla Libreria (autoprodotto grazie al sostegno di Ottavia Piccolo,
giacche' nessun editore italiano ha accettato di pubblicarlo) si trovano
molti racconti di grandi e piccoli rovesciamenti del reale. "Tutti i
giovedi, quando andavamo in piazza, ci imprigionavano. Allora decidemmo che
se avessero imprigionato una di noi, avrebbero dovuto imprigionarci tutte.
Non erano loro che ci arrestavano, eravamo noi che ci consegnavamo".
Da donne comuni, mute e travolte dalle circostanze, le madri dei
desaparecidos sono diventate interpreti e protagoniste degli eventi,
rendendosi inafferrabili al nemico con continui spiazzamenti simbolici. Ed
e' proprio sulle invenzioni simboliche e sulla pratica di questo movimento
che si e' incentrato l'incontro coordinato da Luisa Muraro.
La narrazione ha inizio dall'affannosa ricerca individuale dei figli; dalle
ingenue richieste di aiuto; dalle risposte evasive. Fino a quando le Madri
si resero conto che era inutile chiedere dove fossero i propri figli, e
cominciarono a interrogarsi su chi fossero quei figli che tanto avevano
fatto paura al potere, e ne assunsero nuovamente la nascita.
Racconta Hebe de Bonafini: "Abbiamo iniziato a farci madri di tutti i
desaparecidos. Le donne non tengono conto della forza che c'e' nella
maternita', eppure la madre e' la sola persona che puo' essere due, tre,
quattro, a seconda di quanti figli mette al mondo". Questo pensiero
individua un protagonismo femminile che rimette in gioco la critica
femminista della maternita' come ruolo patriarcale assegnato alle donne. La
maternita' diventa invenzione politica sovversiva, tanto piu' inafferrabile
al potere quanto si fa rivendicazione di una maternita' agita nella
negazione della morte.
Nei primi mesi del suo governo, Raul Alfonsin propose alle Madri di
riconoscere la morte dei figli tramite l'esumazione e l'accettazione di un
risarcimento economico. "Rifiutammo le esumazioni perche' dichiarare morti i
nostri figli senza che nessuno ci dicesse chi aveva eseguito i sequestri e
ordinato l'uccisione, sarebbe stato come assassinarli una seconda volta -
spiega Hebe -, non avremmo permesso a nessuno di dare un prezzo alla vita
dei nostri figli. Noi abbiamo imparato questo dai nostri figli: la vita vale
solo quando la si mette al servizio di altri, quando la si da' con
generosita', senza aspettarsi niente in cambio. Sentendo che siamo per
sempre incinta dei nostri figli, diamo loro vita permanentemente. Noi siamo
madri di figli rivoluzionari, e continuiamo la loro lotta".
Ma le Madri di Plaza de Mayo, per Muraro, non sono rivoluzionarie perche'
madri di rivoluzionari ma per quello che esse stesse hanno inventato. Grazie
ai loro figli, che avevano un'idea convenzionale della rivoluzione, hanno
scoperto un senso rivoluzionario della maternita'. "Indipendentemente dalle
cose estreme, dalla morte - dice Muraro - una donna e' due, e' tre: e' sua
madre, e' i suoi figli, e soprattutto e' le sue figlie. Hebe ha dato
elementi di linguaggio desunti dalla maternita', soprattutto quando ha detto
che 'possiamo allattare in tante maniere'. Altra indicazione e' il gesto di
una madre che, quando fa per suo figlio, fa anche per se'. Non puro
altruismo, ma un fare per se' che e' anche fare per l'altro".
Ci si chiede se questo sentire dentro di se' i propri figli, questo farsi
madri di tutti i desaparecidos, non implichi una sorta di agire politico
vicino alla cura materna. Hebe non ama fare teoria. Sente la necessita' di
intervenire su cio' che puo' essere cambiato. Risponde parlando dei bambini
abbandonati, che nessuno deve piu' chiamare "bambini di strada". "Perche'
sono i nostri bambini che mangiano nella spazzatura. Oggi sono molto piu'
preoccupata per l'infanzia violata in Argentina, per i bambini che vivono e
muoiono per le strade drogandosi, prostituendosi, che non per la condanna
degli assassini. Quando vedo queste cose, prima sento dolore, e poi penso.
Il sentire si converte in un atto politico quando si pensa".
Hebe e Mercedes spiegano che non vogliono lapidi ma luoghi di vita dove
continuare il percorso intellettuale e la lotta dei figli. Per questo il 6
aprile scorso hanno fondato l'Universita' Popolare delle Madres di Plaza de
Mayo, che prevede tre materie obbligatorie: educazione popolare, formazione
politica e lotta delle Madri. Dai 200 iscritti iniziali si e' arrivati ai
1.300 di oggi e ci sono docenti che vengono da tutto il mondo a tenere corsi
gratuiti. Ma studiarne la lotta e la pratica politica, non vuol dire
diventare Madres. "Le nostre - sorride Hebe - non sono riunioni filosofiche.
Mischiamo tutto. Cuciniamo, vagliamo un documento, ci informiamo sulla
salute dei nipoti. Tutto il mondo ci studia: vuole sapere cosa abbiamo
dentro. La risposta sono 24 anni di lotta in cui non abbiamo mai mancato un
solo giovedi in piazza, e ogni giovedi e' l'unico e il migliore. Marciamo
mezz'ora e poi facciamo la nostra denuncia".
La centralita' del giovedi conferma uno dei convincimenti a cui e' approdato
il pensiero delle donne: il frutto politico di una pratica viene dal
mantenervisi fedeli. "La nostra e' una pratica politica che va perseguita
con fede e coerenza", spiega Hebe. "E il nostro impegno non si esaurisce con
i giovedi - dice Mercedes -, ogni volta che qualcuno ci chiama, ogni volta
che viene liberato un torturatore, anche nel cuore della notte, noi che
abbiamo tra i 70 e i 90 anni, andiamo davanti alle carceri, alle case degli
assassini. Abbiamo inventato il giudizio popolare in piazza per condannare
gli assassini, i torturatori, i generali, i colonnelli".

3. RIFLESSIONE. GIULIETTO CHIESA: UNA CRISI INTERNA ALLA GLOBALIZZAZIONE
[Riportiamo il testo dell'intervento di Giulietto Chiesa all'incontro
"Contro la guerra, contro la globalizzazione della miseria e
dell'esclusione: verso Porto Alegre 2002" organizzato dal Forum Mondiale
delle Alternative e da Attac Italia alla Camera del Lavoro di Milano sabato
24 novembre. Ringraziamo Luigi Piccioni (per contatti:
t.noce@humnet.unipi.it) per avercelo trasmesso]
Tutta la riflessione che sto facendo mi e' nata dall'esperienza che ho fatto
per tanti anni come inviato dall'Unione Sovietica. Se io non fossi stato a
Mosca e non avessi visto con i miei occhi quello che la globalizzazione
nascente stava facendo in Unione Sovietica, credo che non avrei capito. Mi
sono trovato infatti in un luogo emblematico di come l'Occidente stava
trattando, con la fine della guerra fredda, un possibile progetto di
colonizzazione. Progetto facile, perche' quando nell'87, '88, '89, quando
comincio' la perestroika e quando comincio' a essere chiaro che la Russia
non reggeva, i russi erano pronti a diventare capitalisti, a diventare come
noi; nella loro grande maggioranza non aspettavano altro, erano un paese
proiettato verso l'Occidente perche' usciva distrutto, anche moralmente,
dall'esperienza sovietica.
Ebbene, sono bastati sei o sette anni della "cura americana", perche' di
questo si e' trattato, ovvero di un'esportazione violenta, unilaterale,
sistematica, dell'ideologia, dei metodi di comportamento, della vita, della
pubblicita', dell'informazione, per creare in Russia una reazione di rigetto
totale. Io, riflettendo su quell'esperienza che vivevo dall'interno,
pensavo: se l'Occidente non riesce a conquistare un paese che voleva solo
diventare occidente, come potra' conquistare, negli anni che vengono, il
resto del mondo che non ha nessuna intenzione di diventare occidente? Che
non desidera diventare occidente?
Ecco, da qui e' cominciata la mia riflessione, che poi e' andata avanti,
purtroppo, in modo sempre piu' galoppante, perche' la linea intrapresa dagli
Stati Uniti con la Russia e' diventata operativa su scala mondiale, ponendo
le basi per le sue piu' grandi crepe. Dove ci troviamo adesso?
Io credo che siamo di fronte a una crisi epocale, di dimensioni che nessuno
di noi ha mai conosciuto prima, una crisi mondiale che richiede, da parte di
tutti coloro che ci vivono dentro, una vera e propria rivoluzione
intellettuale, per essere prima di tutto capita, e per essere affrontata in
termini politici. Una crisi mondiale che e' endogena alla globalizzazione.
Non c'e' una forza che gli si contrappone in modo decisivo e che crea dentro
questi processi una contraddizione: questa e' una crisi interna alla
globalizzazione. Questo lo dico perche' nella tradizione di pensiero
marxista c'era l'idea di una forte contrapposizione, ovvero il movimento
operaio che si opponeva al capitalismo, costringendolo a modificarsi, ad
adeguarsi. Questo contrapposizione ora non c'e': noi abbiamo si' un
movimento, nato da un paio d'anni, che e' stato di grande impatto, che e'
stato il prodotto di una crisi, ma nello stesso tempo non e' ancora
sufficientemente forte da creare una contraddizione dentro questo processo.
La crisi nasce dall'interno della globalizzazione americana. La crisi nasce
dal fatto che quel capitalismo, che e' stato messo in funzione una trentina
d'anni fa e che ha trovato il suo totale sviluppo negli ultimi quindici
anni, non e' piu' capace di riprodursi.
I dati ce lo dimostrano. Prendiamo l'ultimo trentennio: la crescita media
annua del prodotto interno lordo mondiale (PIL) si e' ridotta (lo dicono i
dati ufficiali del Fondo Monetario Internazionale e dell'OCSE), anche se
tutti i mass media lo hanno celato.
La crescita era del 4,4% negli anni settanta, e' scesa al 3,4% negli anni
ottanta, e' scesa al di sotto del 3% negli anni novanta, e ora, alla fine
del secolo siamo a una crescita che si avvicina disperatamente all'1%, e
forse meno. Questo significa che siamo gia' da tempo in una pesantissima
recessione mondiale. Anche questo non ci e' stato detto. Il sistema dei
media e' centrale in tutto questo discorso. Non ci hanno detto che la
recessione era gia' cominciata, ce lo hanno nascosto, per ragioni
comprensibili peraltro, perche' si temeva che ci sarebbe stato un
contraccolpo improvviso nelle borse e nell'economia mondiale. Naturalmente
si va in recessione non quando la crescita del PIL mondiale raggiunge la
crescita zero: si va in recessione molto prima. Per di piu', questo sviluppo
era tutto americano, perche' erano gli Stati Uniti che godevano di questa
straordinaria crescita, il resto del mondo gia' da tempo non cresceva (dal
'98): il Giappone era fermo, la Russia era ferma.
Gia' durante la guerra del Kosovo facevo queste considerazioni:
"Il sistema della globalizzazione commerciale e finanziaria americana non
solo non sta producendo crescita globale, ma sta contraendo i diritti
mondiali di crescita. Ci troviamo palesemente di fronte a due fenomeni in
formazione:
- una contrazione della crescita mondiale;
- la crescita impetuosa e senza sosta dell'economia americana e soprattutto
della finanza.
In poche parole ci troviamo di fronte a un pericolosissimo scollamento, del
tutto inedito, tra crescita dell'economia reale e crescita finanziaria. Ma
anche un controllo totale da parte di un qualche potere mondiale
comporterebbe decisioni, misure, correzioni che non sempre potranno essere
piacevoli, che non necessariamente implicheranno atterraggi morbidi. E se
quelli che stanno sul ponte di comando hanno visto tutto questo, ed e'
impossibile che non l'abbiano visto, non puo' non essersi affacciata loro la
domanda su come spiegare agli elettori americani che qualche cosa di
spiacevole potrebbe accadere presto, che il livello di consumi cui sono
abituati, nel quale sono cresciuti, non e' sostenibile indefinitamente.
Come si potra' imporre al resto del mondo, quando la crisi si affaccera'
minacciosa, il mantenimento, anzi, l'accentuazione di un sistema di
distribuzione diseguale della ricchezza mondiale a vantaggio di un quinto
dell'umanita', non in condizione di espansione, ma di contrazione dei ritmi
di crescita, cioe' in condizioni non di consenso, ma di crescente
dissenso?".
Quando scrivevo queste cose era in corso la guerra in Kosovo. In quel
momento gli Stati Uniti, con l'Europa consenziente, cambiavano le regole del
gioco. Proprio in quel momento a Washington si riuni' la Nato e cambio' le
regole della Nato: cambio' i confini d'intervento della Nato, cambio' i
metodi di applicazione delle norme difensive, quasi che nel 1999 gia' si
subodorasse cio' che sarebbe accaduto due anni dopo. Tutto quello che e'
stato applicato in questa ultima crisi e' stato preparato nel 1999, a
conferma del fatto che qualcuno ha programmato molte delle cose che stanno
accadendo. Io uso il termine "ponte di comando" perche' sono convinto che ci
sia un gruppo di comando che sta piu' in alto persino del presidente Bush,
composto da un gruppo ristretto di uomini che hanno le cifre vere dello
sviluppo mondiale e che sono abbastanza intelligenti da capire dove portano.
Forse non sono abbastanza intelligenti da avere una soluzione per questi
problemi. Sono un gruppo di uomini che sfuggono ad ogni controllo, che
conoscono le cifre del disastro e che sta trovando una soluzione, la piu'
brutale, terrificante e drammatica: quella di difendere l'America di fronte
a tutto il mondo, costi quello che costi.
Noi ci troviamo in questo punto esattamente. Credo che questa sia la ragione
vera di quello che sta accadendo. La ragione geopolitica della guerra in
Afghanistan e' secondaria. Il fatto che la crisi sia esplosa in Afghanistan,
cioe' nel luogo del cosiddetto "grande gioco" non deve ingannare: la
questione del controllo delle risorse e' una questione importante, ma e'
faccenda del tutto subordinata. Il punto centrale e' che e' finita una parte
della globalizzazione non piu' controllabile; chi ha costruito questa
globalizzazione capisce che non ha piu' gli strumenti per gestire il sistema
economico. Lo strumento del costo del denaro si e' rivelato non funzionale:
gli americani hanno abbassato il tasso di sconto otto volte nel corso di un
anno. Anche in Europa stiamo spingendo verso il basso, ma non si riesce a
riprendere perche' siamo di fronte a una crisi di sovrapproduzione di
proporzioni tali che ci vuole ben altro. Tutta l'economia mondiale si regge
sostanzialmente sui consumi degli americani. Se i consumi degli americani si
contraggono i primi a soffrire una crisi drammatica saranno tutti i paesi
del sud-est asiatico e poi tocchera' anche a noi. Quindi siamo di fronte a
una situazione in cui, sia le misure monetarie, che le misure fiscali non
funzionano piu' perche' questo meccanismo di sviluppo ha portato a una
situazione riassumibile in questo dato: da qui al 2004 si dovrebbero
produrre 85 milioni di automobili e si sa gia' che non se ne riuscira' a
vendere piu' del 40-50%.
La conseguenza e' che diventa necessario sostituire l'egemonia dovuta allo
sviluppo con una militarizzazione del dominio imperiale e la fine dello
stato di diritto. Questo e' quello che sta accadendo dopo l'11 di settembre.
La versione che ci e' stata offerta dell'11 settembre, che e' passata nelle
teste di miliardi di uomini su questo pianeta, non e' vera, o e' talmente
deformata da non essere vera.
La prima questione e' che ci troviamo di fronte a una militarizzazione del
dominio imperiale sul piano planetario e alla fine dello stato di diritto
internazionale, sostituito con l'assoluta, completa arbitrarieta' delle
decisioni della metropoli imperiale americana.
Negli Stati Uniti e' gia' stata approvata la legge per l'istituzione di
tribunali militari, speciali, con giudici esclusivamente americani,
abilitati a crearsi, costruirsi e funzionare fuori dei confini americani per
giudicare cittadini non americani, in termini segreti, cioe' con nessuna
esibizione di prove ed accuse contro gli accusati e in grado di
somministrare pene capitali fuori dei confini degli Stati Uniti. Voi capite
bene che questa norma significa la fine di ogni sovranita' nazionale, ma
anche di ogni stato di diritto.
Se questo e' il contesto noi dobbiamo capire che la battaglia per una mondo
diverso e sostenibile si fara' istituzionalmente e politicamente molto piu'
difficile.
L'11 settembre ha avviato in molte parti dell'Occidente una riflessione che
sarebbe stata impensabile prima dell'estate di quest'anno. Anche negli Stati
Uniti si e' cominciata una riflessione: una parte dell'intellighenzia
americana e delle elite politiche cominciano a rendersi conto della
difficolta' di gestire il mondo con questo criterio.
L'altra cosa che ritengo importante e' che gli sviluppi della crisi attuale,
molto accelerati, possono aprire ampi varchi per un movimento mondiale di
contestazione alla guerra e alla militarizzazione del dominio imperiale. Io
ritengo che la scelta che e' stata fatta di aprire la guerra in Afghanistan
in quel modo e' una scelta disperata, non razionale. Chi l'ha presa non ha
una strategia di lungo periodo, o meglio, ha la strategia di medio corto
periodo di avviare una nuova svolta militarizzata del dominio imperiale, ma
non ha una strategia, non sa come uscirne. Sono state messe in mezzo dall'11
settembre masse sterminate, 1 miliardo e 300 milioni di musulmani sono stati
gettati in questa guerra, che sta gia' diventando davvero uno scontro di
civilta', perche' viene vissuto come scontro di civilta', sia da noi che da
loro. Non era uno scontro di civilta', lo e' stato fatto diventare uno
scontro di civilta'. Questa guerra si sta dilatando nel mondo; loro pensano
di poterla controllare con la potenza militare, ma io dubito che siano in
grado di farlo perche' hanno messo in moto delle forze superiori alle loro
capacita' di controllo. In questo sta l'enorme pericolo di oggi: dobbiamo
renderci conto che siamo nelle mani di un gruppo di semicriminali disposti a
gettarci in una fornace perche' non ha vie di uscita e perche' non puo'
invertire semplicemente la rotta (non ci sara' nessun presidente degli Stati
Uniti e neanche nessun dirigente Europeo che avra' il coraggio di alzarsi in
un'assemblea o in una televisione e dire ai suoi sudditi "Cittadini, noi
abbiamo vissuto negli ultimi trent'anni al di sopra delle nostre
possibilita', abbiamo creato un mondo dove non si puo' sopravvivere e
bisogna cambiare"). Questa gente ci sta portando al massacro senza avere
nessuna prospettiva diversa. Questa e' la pericolosita': perche' se ci fosse
un leader in questo ponte di comando capace di spiegarci dove ci vuole
portare, alla fine potrei anche decidere di mettermi una casacca americana,
ma la realta' e' che non c'e', ma vedo solo uomini ciechi e assolutamente
politicamente irresponsabili(ma guardate la biografia di Bush: questa e' la
gente che ci sta portando al massacro).
Noi dobbiamo fare un salto di qualita' per capire la drammaticita' assoluta
della situazione in cui ci troviamo. Piu' gente ci sara' che prova un
brivido nella schiena come io provo un brivido nella schiena dopo aver fatto
quest'analisi, meglio sara', perche' c'e' ancora un mare di gente che
ritiene che questa sara' una delle tante crisi dalla quale noi usciremo piu'
o meno come e' avvenuto in passato.
Quindi informare, allarmare, inquietare e' un punto fondamentale. Io ho
deciso di non fare il politico e non vengo qui a portare speranze: non lo
faccio, programmaticamente. Se qualcuno ha delle speranze lavori perche'
queste speranze si realizzino. Io mi limito a dire lo scenario e, se
possibile, a dimostrarlo.
Ultimo punto, centrale, dell'informazione. Innanzitutto ritengo che non ci
sarebbe questa globalizzazione se non ci fosse stata una trasformazione
radicale nel sistema della comunicazione mondiale. Il mondo in cui viviamo
e' un mondo ormai unificato da un possente sistema di comunicazione: questa
e' una novita' assoluta nella storia dell'umanita' e crea uno scarto
radicale rispetto a tutti i processi di globalizzazione precedenti. Questa
caratteristica nuova comporta che una piccolissima minoranza di persone puo'
decidere dei sentimenti di 4-5 miliardi di persone. E se questo sistema non
viene democratizzato noi siamo totalmente indifesi, perche' possiamo dirci
quello che pensiamo qui dentro, ma in un solo colpo Bruno Vespa informa
della versione ufficiale (una sola) 6 milioni di persone.
Dobbiamo dunque organizzarci, costruire delle organizzazioni che comincino a
mettere i mass media nella loro collettivita' sotto scrutinio, li
analizzino, chiedano ai giornalisti di rendere conto di quello che scrivono
perche' siano nuovamente responsabilizzati.
Ciascuno di noi e' solo di fronte ai giornali che compra o alla televisione
che guarda; esempio: tutto il mondo occidentale pensa che a Kabul le donne
si sono tolte il burka e che tutti gli uomini afghani si sono tagliati la
barba. Ebbene, queste due notizie, che sono state le notizie cruciali dopo
la conquista di Kabul da parte dei mujaheddin tagiki, sono false. Chiunque
lo capisce: le donne in Afghanistan hanno ancora il burka e continueranno a
tenerlo per molto tempo, perche' non e' un bombardamento che cambia i
costumi, che piaccia o non piaccia. Ma tutti i giornali hanno messo questa
notizia, la quale dice, senza dire, che nel momento in cui i bombardamenti
americani sono stati efficaci perche' hanno costretto i talebani ad
andarsene da Kabul, e' arrivata la liberta', e la liberta', ve lo
dimostriamo, significa togliere il burka. Tutto questo e' un calcolo
politico, che non e' stato comandato da nessun ordine esplicito, ma che
tuttavia, di fatto, e' stato fatto dal direttore di Repubblica, della
Stampa, del Corriere, dal direttore di tutti i telegiornali italiani. Come
mai? Perche' c'e' una legge non scritta e tutti la capiscono al volo. Sanno
cosa devono dire senza che nessuno glielo dica.
E' un meccanismo formidabile, che funziona automaticamente e ci determina
totalmente: gusti, costumi, idee... perche' esiste il campo di forza del
sistema mediatico, che ha le sue regole e queste regole stanno portando il
mondo in una strada senza uscita.
Io ritengo che Porto Alegre e tutte le tappe successive di questo movimento
potranno essere incisive se noi contemporaneamente capiamo che abbiamo
bisogno di aprire una discussione di massa sul sistema mediatico. Il minimo
risultato che possiamo ottenere e' di moltiplicare la quantita' di persone
che saranno capaci di dotarsi di un apparato critico per analizzare quello
che succede.
Per fare questo dobbiamo costruire un'organizzazione capace di portare
sistematicamente in modo massiccio, multilaterale, diffuso la coscienza
critica nei confronti del messaggio mediatico.

4. TESTIMONIANZE. UNA LETTERA DI GERARD LUTTE DAL GUATEMALA
[Gerard Lutte da alcuni giorni si trova di nuovo in Guatemala, e da li'
invia questa lettera alle amiche e agli amici che sostengono il movimento
delle ragazze e dei ragazzi di strada guatemaltechi. Gerard Lutte, di
origine belga, da molti anni in Italia, docente universitario di psicologia
dell'età evolutiva, ha partecipato a Roma alla vita e alle lotte degli
abitanti di una borgata di baraccati e di un quartiere popolare e ad un
lavoro sociale con i giovani più emarginati; collabora con movimenti di
solidarietà ed esperienze di accoglienza; ha promosso iniziative mirate e
concrete di solidarietà internazionale dal basso e di auto-aiuto, con
particolar riferimento alla situazione centroamericana, di impegno di
liberazione con i giovani e soprattutto le bambine e i bambini di strada.
Opere di Gerard Lutte: Quando gli adolescenti sono adulti. I giovani in
Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Sopprimere l'adolescenza?,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Psicologia degli adolescenti e dei
giovani, Il Mulino, Bologna 1987; Dalla religione al vangelo, Kappa, Roma
1989; Cinquantanove ragazze e ragazzi di strada con G. L., Principesse e
sognatori nelle strade in Guatemala, Kappa, Roma 1994 (e' stata recentemente
pubblicata una seconda edizione aggiornata)]
Mi trovo in Guatemala da appena una settimana, troppo poco tempo per farsi
un'idea della situazione del paese e mi limitero', quindi, a raccontarvi il
nostro viaggio (fatto in compagnia di Piero, un caro amico di Sicilia, che
ha formato, a Mazara, un gruppo di amicizia della nostra rete) e a
comunicarvi qualche impressione sul nostro movimento e sulla strada.
Le nostre avventure tragicomiche iniziano a Roma, alla partenza, quando
Piero mi trascina nella direzione "exit": siamo arrivati prima del previsto
dove non ci aspettava nessun bus. Una quindicina di passeggeri ci avevano
seguito con imprudente fiducia. Meno male che abbiamo avuto la buona idea di
fare marcia indietro e di trovare l'aereo che ci aspettava.
All'aeroporto di Madrid, dove avevo chiesto un'assistenza per handicappati
visivi, un impiegato dell'Iberia ci guida all'imbarco. Giunti sull'aereo,
l'hostess, che vede Piero con occhiali neri, pensa che e' lui
l'handicappato, lo guida con premura verso il suo posto, lui che fa il suo
primo viaggio transoceanico gode di essere guidato per mano fino al suo
posto. Non mi rimane che seguirli un po' sorpreso. Un quarto d'ora piu'
tardi, la hostess esclama stupefatta: "Pero' el leye!".
Stiamo per giungere a Miami, distribuiscono i formulari per la richiesta del
visto d'entrata negli Stati Uniti e la dichiarazione per la dogana. Dico che
a noi non serve perche' andiamo in Guatemala. L'hostess mi risponde che ora
e' cambiato, che, anche se in transito, dobbiamo avere il visto d'entrata e
sottometterci al controllo doganale. Momento di panico perche' le mie
valigie sono piene di prosciutto, formaggio e altri prodotti proibiti. Siamo
a Miami ed inizia un calvario di tre ore, cinque controlli del passaporto,
sei file interminabili, dobbiamo ritirare le valigie che prima andavano
direttamente in Guatemala, passano al controllo e vengono ritirate per
essere aperte. Il peggio si verifica. Poi il doganiere, probabilmente mosso
da pieta' verso quel vecchietto semicieco che sta di fronte a lui, mi dice:
"Puo' andare se mi promette di non aprire le sue valigie negli Usa". Gli
prometto tutto cio' che vuole e scappo via, per un altro controllo: i
bagagli a mano e la nostra persona. Mani in alto, il metal dectector dai
capelli fino alle unghie dei piedi. La poliziotta e' nervosa e si arrabbia
perche' non capisco l'inglese, pardon l'americano, piu' si arrabbia e meno
comprendo, e faccio il contrario di cio' che vuole. Alla fine, rassegnata,
chiede l'aiuto di una collega che parla spagnolo. Devo appoggiarmi con le
due mani su un tavolo basso, alzare i piedi all'indietro come un cavallo per
l'ispezione delle scarpe. Meno male non spingono oltre il controllo. Mi
tolgono un'arma pericolosa: un pettine!  La casa bianca e' salva! Esausti,
arriviamo finalmente all'aereo che parte con due ore di ritardo. Siamo stati
trattati come potenziali terroristi, non come cittadini di docili paesi
alleati. Rivivevo i controlli dei soldati tedeschi durante l'occupazione del
Belgio. Un consiglio: evitate gli Usa come la peste!
Ormai mi sento in pace perche' non ci sono mai controlli all'aeroporto del
Guatemala. Pace di breve durata perche' il mio vicino mi dice che ora anche
la' si fanno controlli sistematici. Trovo la parata, chiedo l'assistenza per
ipovedenti e su una sedia a rotelle passo tranquillamente i  controlli
polizieschi e doganali.
*
Quando vedi i sorrisi delle ragazze e ragazzi di strada, la loro calorosa
accoglienza, dimentichi tutto. Sei arrivato a casa. Poco alla volta si
apprendono le buone e le cattive notizie.
Cominciamo dalle buone: la figlia della Chiqui ormai sta molto bene ed e'
allevata da Mayra. Anche la Chiqui sta molto meglio, vede regolarmente una
psicologa, si sta staccando dalla droga e si prepara per vivere con sua
figlia fuori dalla strada. Una ragazza che era uscita dalla strada per
lavorare in una casa chiusa, ne e' uscita, si e' sposata ed alleva con amore
le sue due figlie. Avevamo mantenuto i contatti con lei e con molto
delicatezza ha manifestato la sua riconoscenza. Il marito non ignora il suo
passato e si vede che formano una coppia unita.
Altre buone notizie alla rinfusa: Hans e' uscito dal carcere e dalla strada,
lavora di notte in un forno e nella casa del movimento quando ci sono delle
attivita'. Anche Rosa Saenz e' diventata una leader positiva delle sue
compagne. Le attivita' produttive continuano, produzione di tovaglie  e di
corone di piante con candele per le feste natalizie. Lorena e Neri, che
hanno un maschietto chiamato Kevin Alejandro, continuano a fabbricare dolci.
Le classi di alfabetizzazione e di scuola elementare sono riprese. Il gruppo
delle quetzalitas conta alcune nuove socie ed il numero dei bambini piccoli
che rallegrano la casa del movimento cresce a dismisura. Patty, Juan Pablo e
Mario, i nuovi accompagnatori fanno del buon lavoro.
Le cattive notizie: per preparare Natale i poliziotti hanno ripreso le loro
retate e molti ragazzi di strada passeranno le feste in carcere: Raul, "El
Negro", Jerson e molti altri.
Geovany, del gruppo del teatro Abril, stava chiedendo soldi in strada e per
risposta un deliquente gli ha sparato due pallottole esplosive: e' rimasto
paralizzato e ha perso il controllo degli sfinteri. Un'altra vita distrutta.
Geovany era una speranza del movimento.
La notte del nostro arrivo, Carolina, del gruppo Concordia, e' morta di aids
nella clinica dove Lucy l'aveva preceduta. Ufficialmente ci sono 50.000
sieropositivi in Guatemala e il governo non si preoccupa di loro.
Ero venuto per l'assemblea che doveva eleggere il coordinamento del
movimento, ma i membri dell'equipe hanno giudicato che ancora le ragazze e
ragazzi non erano preparati per cogestire con loro il movimento. Non e'
facile sviluppare un progetto basato sulla democrazia di base in un paese
che non ha conosciuto una democrazia liberale che dal 1944 al 1954. Poco
alla volta, senza forzare i tempi, non dispero che riusciremo a realizzare
il nostro sogno: un movimento autogestito delle ragazze e ragazzi di strada.
Un affettuoso abbraccio dal Guatemala, anche da parte delle ragazze e
ragazzi di strada che chiedono sempre notizie di voi,
Gerardo

5. INIZIATIVE. OGGI A ORISTANO PER IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
[Dalla libreria La Pergamena di Oristano riceviamo e diffondiamo. Per
contatti: lapergamena@tiscalinet.it]
Ci siamo mai soffermati a pensare da dove provengono molti dei prodotti che
consumiamo quotidianamente?
Quanta e quale strada hanno fatto per arrivare fino a noi?
Ormai sappiamo che la condizione di poverta' che colpisce gran parte della
popolazione del Sud del mondo non e' frutto del caso, ma del sistema
economico dominato dagli interessi delle grandi multinazionali che con
l'imposizione della globalizzazione dei mercati saccheggiano il Sud
traendone risorse e forza lavoro a buon mercato a tutto beneficio del Nord
del Mondo.
La legge del profitto vuol raggiungere il dominio completo del mondo e le
multinazionali, e le nazioni potenti che le sostengono, sarebbero le uniche
in grado di sopravvivere a questa legge che risulta essere soltanto quella
del piu' forte.
Ma e' questo stesso meccanismo che lascia in mano ai consumatori una
potentissima arma: il boicottaggio e il consumo critico.
La scelta individuale di milioni di persone puo' diventare un formidabile
strumento di pressione affinche' lo sfruttamento dei pochi ricchi e potenti
nei confronti dei molti poveri e deboli possa essere fermato.
Se il mondo e' governato dal denaro possiamo evitare di dare il denaro ai
ricchi e potenti boicottando chi produce sfruttando i poveri e i deboli.
Il consumo dei prodotti del Commercio Equo e Solidale si inserisce a pieno
titolo in questa azione.
Infatti i principi basilari del Commercio Equo e Solidale sono:
- acquistare i prodotti direttamente dai contadini, artigiani, etc. del Sud
del Mondo;
- garantire per l'acquisto dei prodotti un prezzo adeguato (equo), deciso
insieme ai produttori stessi in base ai costi reali di produzione, e
includendo un margine per gli investimenti in progetti sociali autogestiti;
- favorire l'acquisto delle materie prime attraverso il pagamento anticipato
delle merci;
- aiutare i produttori a migliorare le proprie tecniche di produzione nel
rispetto delle tradizioni e delle risorse locali e dell'ambiente;
- stipulare accordi a lungo termine.
Nelle Botteghe del Mondo possiamo trovare una vastissima gamma di prodotti
alimentari ed oggetti di artigianato, per il nostro consumo personale e per
ogni genere di regalo.
Questi prodotti vengono importati dall'Africa, l'America Latina e l'Asia, e
le produzioni alimentari destinate all'esportazione non incidono sulle
produzioni di derrate agricole primarie destinate all'autoconsumo.
Anche a Oristano sta nascendo l'esigenza dell'apertura di una Bottega del
Mondo e, in vista della sua apertura, con la collaborazione del Gruppo
"Camineras", aderente alla Rete di Lilliput, la Libreria "La Pergamena"
organizza per sabato primo dicembre (la mattina dalle 9,30 alle 13 e il
pomeriggio dalle 16,30 alle 19,30 - nel piazzale antistante  e dentro la
libreria) una giornata di informazione e di sensibilizzazione sui prodotti
del Commercio Equo e Solidale.
Sara' anche possibile acquistare i prodotti esposti e gustare,
gratuitamente, caffe' e te' "equi e solidali". Un gruppo musicale senegalese
allietera' la giornata. All'organizzazione della manifestazione collaborano
anche il Centro Diocesano e un gruppo di persone, giovani e meno giovani,
aderenti al Forum per la Pace di Oristano.

6. INIZIATIVE. MARIO DI MARCO: LA BANCA ETICA A VITERBO
[Mario Di Marco e' il responsabile degli obiettori di coscienza della
Caritas diocesana di Viterbo. Per contatti: mdmsoft@tin.it]
Prosegue la serie dei seminari su "La finanza etica a Viterbo". Mercoledi 5
dicembre presso la facolta' di Economia di Viterbo (aula 2 in via del
Paradiso 47), alle ore 17, ci sara' il secondo appuntamento, dedicato a
"L'esperienza di Banca Etica e le prospettive del terzo settore".
Interverranno il prof. Pierre Di Toro, Ordinario di Strategia e Politica
aziendale presso la facolta' di Economia dell'Universita' degli Studi della
Tuscia; Alessandro Messina, dell'associazione Lunaria di Roma; Cesare
Frassineti, membro del consiglio d'amministrazione di Banca Popolare Etica.
Partecipano rappresentanti del terzo settore viterbese.
Quella finanziaria e' sempre piu' la dimensione caratterizzante l'epoca
della globalizzazione. Basti pensare che ogni giorno passano sulle
autostrade telematiche 3 milioni di miliardi di lire (una somma pari a
quella del debito di tutto il terzo mondo), che sempre piu' tali capitali
sono di tipo speculativo (e quindi non portano benessere) e che ben un
milione di dollari l'anno finiscono nel reddito annuale delle organizzazioni
criminali transnazionali, attraverso attivita' illecite, ma anche
(apparentemente) lecite, in cui alcune banche giocano un ruolo importante.
Anche le guerre (quelle tra stati, quelle civili e quelle dei vari
terrorismi) traggono alimento vitale dalla finanza. Basti pensare al noto
impero finanziario di Bin Laden, ma anche all'ammontare delle operazioni
bancarie autorizzate relative a esportazioni di armi dall'Italia che, nel
solo 2000, sono state di ben un milione e mezzo di miliardi.
In risposta a tale situazione, da alcuni anni si e' sviluppato il filone di
studi economici CSR (Corporate Social Responsability) che valuta i
molteplici aspetti legati alla responsabilita' sociale e ambientale delle
imprese. Inoltre, in Europa e in altre parti del mondo sono nate esperienze
di finanza etica che consentono al risparmiatore di far "ben fruttare" i
propri soldi ed a qualunque impresa porti avanti progetti di utilita'
sociale di trovare un valido sostegno finanziario.
La Banca popolare Etica, realta' nata dal mondo no-profit italiano ed
operante soprattutto grazie all'azione volontaria dei suoi soci, in due anni
di attivita' ha erogato circa 900 fidi a soggetti operanti nella
cooperazione sociale, in quella internazionale, nell'ambiente, nella cultura
e nella societa' civile.
A Viterbo Banca Etica e' presente da tempo, non con proprie strutture, ma
attraverso l'azione volontaria di persone operanti in vari settori
dell'impegno sociale cattolico e laico.
Per il mondo del volontariato viterbese questa e' dunque un'occasione per
riflettere su come anche il proprio risparmio possa contribuire a
concretizzare gli ideali per i quali si opera, nonche' per vedere se Banca
popolare Etica puo' essere un sostegno ai propri progetti.
Per informazioni:
- Banca Popolare Etica, piazzetta Forzate', 2 Padova, tel. 0498771111, sito:
www.bancaetica.com
- Gruppo soci Viterbo, c/o Caritas diocesana, piazza Dante 2, tel. 303171
(mercoledi mattina).

7. LUTTI. MAO VALPIANA: PER GEORGE HARRISON
[Mao Valpiana e' il direttore del mensile "Azione Nonviolenta". Per
contatti: azionenonviolenta@sis.it]
Caro George,
oggi sei andato dal tuo Dolce Signore,
... e ci hai lasciato un po' piu' soli.
Ciao, e grazie per cio' che hai fatto.
*
"Ogni cosa del mondo puo' aspettare;
tranne la ricerca di Dio e l'amore per il prossimo"
(George Harrison).

8. ALCUNE INIZIATIVE DI PACE DI OGGI E DOMANI
[Ovviamente le iniziative di pace di seguito segnalate sono quelle di cui
siamo venuti a conoscenza e che ci sembrano caratterizzate da due scelte
precise: I. la nonviolenza; e II. la difesa dei diritti umani, del diritto
internazionale, della legalita' costituzionale]
Sabato primo dicembre
- in varie citta' d'Italia: iniziative per la giornata mondiale contro
l'Aids. Info: www.lila.it
- ad Alfonsine: inizia e prosegue fino al 9 dicembre un ciclo di iniziative
per l'Africa.
- a Baronissi: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621.
- a Bologna: marcia della dignita' per i migranti: ore 15, piazza XX
Settembre (autostazione), corteo fino a piazza del Nettuno sotto la Tenda
della Dignita'. Testimonianze delle comunita' dei migranti, immagini,
musiche, sapori e al tramonto apertura del Ramadan.
- a Bracciano: dibattito sulla pace promosso da "Terra e liberta'", presso
il centro polivalente in via Mazzini alle ore 17. Info: 0699849054.
- a Cagliari: all'Alkestis di via Loru due film di Liana Badr, alle ore
20,30.
- a Carrara: alle ore 17 al ridotto del Teatro degli Animosi in pizza Cesare
Battisti, incontro sul tema: "La liberta' nel pensiero filosofico, economico
e politico", con Massimo Bontempelli e Giovanni Mazzetti. Info: tel.
058572193, e-mail: puntorosso.carrara@tin.it
- a Firenze: Villa Medicea di Castello, Accademia della Crusca, ore 10-18:
presentazione del "Dizionario della liberta'"con numerosi illustri relatori.
- a Gemona: alle ore 20,30, al Centro Salcons, incontro sul tema: "Islam, un
dialogo (im)possibile?", con Giuliano Zatti, Faten Chabarek, Giorgio Zanin.
- a Imola: corso di cucina multietnica alle ore 15 in via Aldrovandi 31.
- a Lesa: alla sala Pertini sul lungolago mostra di fotografie di Sebastiao
Salgado, il grande fotografo brasiliano rappresenta il nostro presente: una
umanita' in cammino spinta dalla miseria, dall'intolleranza, dalla guerra.
Sabato: ore 9-12 e 15-18.
- a Milano: Palazzo Marino, sala Alessi, ore 9,30-19, presentazione dei
risultati della ricerca condotta da Omicron, Osservatorio milanese sulla
criminalita' organizzata al nord (omicronweb@tiscalinet.it), per la
Commissione europea (programma Falcone). Partecipano: Vittorio Grevi, Simona
Peverelli, Giuseppe Muti, Jacques Soppelsa, Fabrice Rizzoli, Ramon Macia
Gomez, Salvatore Gurrieri, Nando dalla Chiesa, Gerardo D'Ambrosio, Lorenzo
Salazar, Giancarlo Caselli, Michele Saponara, Armando Spataro, Paolo Del
Debbio, Maurizio Romanelli, Maurizio Laudi, Michele Dalla Costa, Adolfo
Ceretti, Dario Rivolta, Luigi Pagano, Giuliano Pisapia, Federico
Stella,Virginio Rognoni, Antonino Caruso, Gianni Barbacetto.
- a Modena: seminario sul welfare alla sala Spontini dalle 10 alle 16.
- a Modena: alle ore 16, al Foro Boario, Facolta' di Economia e Commercio
dell'Universita' degli Studi di Modena, iniziativa promossa dai Giuristi
Democratici, con il patrocinio della Provincia. "Diritto alla guerra o
guerra al dirittto? L'uso legittimo della forza nel diritto internazionale".
Partecipano: Fausto Gianelli, Bruno Desi, Fabio Marcelli, Giuseppe Ugo
Rescigno, Simone Scagliarini. Segreteria organizzativa: Giuristi
Democratici, Modena, tel. 0536324472, fax 0536325517.
- a Monza: in largo Mazzini dalle 14,30 iniziativa per la pace.
- a Oristano: festa del commercio equo e solidale, info: Libreria La
Pergamena, e-mail: lapergamena@tiscalinet.it
- a Prato: piazza S. Maria delle Carceri a Prato ospita la tenda di Abramo,
presso la quale sosteranno i diciassette digiunatori che aderiscono alla
proposta lanciata da Pax Christi e Beati i Costruttori di Pace.
- a Quargnento: alle ore 21, Salone della Pro Loco, serata di solidarieta'
con le vittime delle guerre, della fame, dell'ingiustizia sociale. Partecipa
Ivana Stefani di ritorno dal Pakistan. Proiezione di video, distribuzione di
materiale di contro informazione, prodotti della Bottega del commercio equo
solidale. A cura di Rete di Lilliput, Associazione Comunicando, Associazione
Giovani di Quargnento, Rete Radie' Resch, Pro Loco Quadringentum. Info:
Giandomenica Daziano, tel. 0131217397, Cristina Rossi, tel. 0131778449,
Maria Teresa Gavazza, tel. 0131219638, e-mail  teregav@tin.it
- a Roma: giornata di solidarieta' con i rom di via Gordiani, dalle roe 16.
Info: tel. 3473701037.
- a Rossano Calabro Scalo: alle ore !7 nella sala della Comunita' Montana
presentazione del libro di Ettore Masina, Il prevalente passato (edito da
Rubbettino, Soveria Mannelli 2001); con Gianni Novello, Piero Fantozzi,
Giacomo Paniccia, Tonino Perna, Fulvio Mazza, e naturalmente Clotilde ed
Ettore.
- a Salerno: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621.
- a Santa Maria La Longa: alle ore 9-18 in via don Orione 2, iniziativa per
Emergency.
- a Sant'Anastasia (NA): manifestazione dedicata alla cultura africana e
raccolta fondi per la realizzazione di progetti in Africa. Per contatti:
a.tim@inwind.it
- a Tavarnuzze (FI): alla "Casa per la Pace", via Quintole per le Rose
131/133, incontro sui diritti minacciati, con L. Bettazzi, U. Allegretti, G.
Ghezzi, C. Corsi, C. Pellicano'. L'iniziativa e' promossa dal Centro studi
economico-sociali di Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. Per
informazioni e iscrizioni: tel/fax: 0552374505.
- a Torino: dalle ore 9,30 festa per la nuova bottega equa e solidale in via
S. Donato 43.
- a Torino: alle ore 15, presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi
13, conferenza di Carla Ravaioli sul tema "La recessione economica:
un'opportunita' per l'ambiente?". info: e-mail: regis@arpnet.it, sito:
www.arpnet.it/regis
*
Domenica 2 dicembre
- a Baronissi: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621.
- a Bologna: alle ore 9,30, presso la Cisl Emilia Romagna, in via Milazzo
16, assemblea di "Chiama l'Africa". Per contatti: sito: www.chiamafrica.it,
e-mail: info@chiamafrica.it, tel. 065430082.
- a Lesa: alla sala Pertini sul lungolago mostra di fotografie di Sebastiao
Salgado, il grande fotografo brasiliano rappresenta il nostro presente: una
umanita' in cammino spinta dalla miseria, dall'intolleranza, dalla guerra.
Domenica: ore 10-12 e 15-18.
- a Salerno: poeti contro la guerra. Info: tel. 089951621.
- a Santa Maria La Longa: alle ore 9-18 in via don Orione 2, iniziativa per
Emergency.
- a Sant'Anastasia (NA): si conclude la manifestazione dedicata alla cultura
africana e raccolta fondi per la realizzazione di progetti in Africa. Per
contatti: a.tim@inwind.it
- a Tavarnuzze (FI): alla "Casa per la Pace", a via Quintole per le Rose
131/133, prosegue l'incontro sui diritti minacciati, con G. Codrignani, U.
Allegretti. L'iniziativa e' promossa dal Centro studi economico-sociali di
Pax Christi e dalla Fondazione Ernesto Balducci. Per informazioni e
iscrizioni: tel/fax: 0552374505.
- a Viterbo: alle ore 16 presso il centro sociale "Valle Faul" consueto
incontro di formazione alla nonviolenza.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 305 del primo dicembre 2001