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Bambini sfruttati nelle piantagioni di cacao
PERUGIA - Un paese d'origine attanagliato da una povertà feroce (dalla
Sierra Leone alla Guinea), un paese di transito e un paese ricevente. E'
questo il triangolo dello sfruttamento di migliaia di bambini, di età
compresa tra 5 e 14 anni, nelle piantagioni di cacao in Africa centrale e
occidentale. Il quadro della situazione della schiavitù infantile, complessa
e sfuggente perché spesso 'invisibile' ai controlli, è stato fornito ieri a
Perugia da Anita Sceth, responsabile di "Save the children" in Canada, in
occasione della presentazione della campagna "Cioccolato positivo" che
l'organizzazione sta conducendo con Transfair Italia (vedi lancio di...).
I trafficanti adulti approfittano della povertà delle famiglie: si accordano
coi genitori promettendo che i loro figli avranno un'istruzione in cambio
del lavoro nelle piantagioni. Così i piccoli sono facilmente dati o venduti
ad un prezzo che va dai 250 ai 600 dollari. Arrivati nei paesi di transito -
spesso Burkina Faso e Mali - sono poi oggetto di un secondo "passaggio di
proprietà" che li porta alla piantagione di cacao. Lì in genere il loro
lavoro - anche superiore alle 12 ore - non è retribuito, perché debbono
ripagare il debito contratto dalle famiglie d'origine, o le spese del
viaggio. Lavorano in condizioni igienico-sanitarie pessime e, per eludere i
controlli, i luoghi di lavoro dei bambini sono i più irraggiungibili.
Lavorano da ottobre a febbraio: nel resto dell'anno, molti sono bambini di
strada, girovaghi senza nessuno che se ne cura, altri vengono riportati al
paese d'origine.
"Save the children" ha una casa, in Mali, che accoglie i piccoli scappati
dalle piantagioni. Si cerca di dare un sostegno psico-sociale. I bambini
raccontano molte storie. Spesso sono picchiati, a volte gli vengono
strappati gli occhi perché non possano riconoscere i trafficanti. Racconti
agghiaccianti, cui Anita Sceth aggiunge: "Qualsiasi barra di cioccolato che
vedete in giro, in un modo o nell'altro - provenendo il 40/60 per cento
della produzione mondiale dalla Costa d'Avorio - può essere stata prodotta
con la sofferenza di un bambino. Se anche un solo chicco di cacao fosse
implicato, ciò basterebbe per dire 'NO' ".
Eppure qualcosa si sta muovendo, a livello internazionale, nella lotta alla
schiavitù. Per esempio, attraverso l'articolo 182 della Convenzione
dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ratificata da moltissimi
paesi, si stanno facendo passi in avanti; l'applicazione di tale norma è
stata ribadita il 3 e 4 ottobre scorsi al Congresso mondiale sul cacao di
Washington da parte dell'associazione americana produttori di cioccolato, in
unione coi Governi e i produttori di tutto il mondo, che si sono impegnati
in un piano per sradicare la schiavitù prima del 2005.
"Ma ciò non è abbastanza per rimuovere la tratta degli schiavi" dice Sceth;
occorre agire su tanti fronti. Attualmente si sta creando un sistema di
certificazione pubblica per la provenienza del cacao e ci si sta adoperando
(Trasfair in questo è in prima linea) per l'educazione di sempre più vaste
fasce di popolazione mondiale ai problemi legati alla produzione e ai prezzi
del cacao.
Molto può fare il sostegno al commercio equo e solidale: "Ogni singolo
prodotto commercializzato equamente ha le sue ricadute" afferma Sceth. E
consente ad organizzazioni come "Save the children" non solo di contrastare
il lavoro minorile ma anche di favorire opportunità ed espandere l'accesso
ai diritti.
Eli.Pro.
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