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guerra, quindicesimo giorno



Il quindicesimo giorno di attacchi fa registrare pesanti bombardamenti su Kabul, con perdite civili. Tra le dieci e le quindici persone sono morte quando un missile alleato ha colpito il quartiere residenziale di Khair Khana. L'ordigno era diretto a una base aera abbandonata dei Taliban, ma ha centrato un pieno alcune case. Un'intera famiglia è stata distrutta: otto i morti, fra cui quattro bambini piccoli e la loro madre. Il padre è in condizioni critiche. "Avremmo potuto salvarli - ha detto lo zio - se solo ci fosse stato del sangue per le trasfusioni".
Repubblica on line 21/10/01

CHE PUO' FARE L'EUROPA
PER L'IMPERO DEL BENE

EUGENIO SCALFARI (Repubblica 21/10/01)

OGNI tanto nel corso della giornata penso che questa ossessione della guerra che ha invaso la nostra mente scacciandone ogni altro pensiero stia per finire. Non può continuare sempre così: sui giornali leggi soltanto cronache di guerra, commenti sulla guerra, dibattiti sulla guerra, e così nelle televisioni non vedi che scene di guerra, missili che solcano il cielo nero della notte, incendi, cadaveri e poi folle urlanti che inneggiano o protestano la loro rabbia, agitano bandiere, bruciano bandiere, portaerei possenti che solcano il mare, Bush che invoca il dio dell'America, Bin Laden che invoca Allah, il Papa che invoca il dio della pace, torme di scheletri bambini e di vecchi sdentati e purulenti che non hanno la forza di invocare nessuno.
E le Torri, quelle terribili Torri di Manhattan penetrate dagli aerei suicidi, impennacchiate dal fumo e dalle fiamme e poi crollate su se stesse in un apocalittico incendio, mille volte riproposte da quaranta giorni ai nostri occhi inchiodati su quella scena d'inferno.
Quanto può durare questa ossessione? Finirà perché la guerra avrà finalmente termine oppure finirà per saturazione nostra, perché la nostra mente si stancherà di pensarla, avrà bisogno di depurarsi, decomprimersi, leggere altre parole, vedere altre immagini? Ma intanto continua giorno dopo giorno, notte dopo notte. Siamo dentro ad un tunnel, viviamo dentro ad un incubo e non si vede nessuna luce che ne segnali l'uscita.<

IERI ho sorriso di fronte a due vignette che mi hanno dato un attimo di ristoro anche se il loro umorismo era pur sempre intonato al nero: Bucchi che ritrae "bastone e carota viste in sezione" con due tondini neri perfettamente identici, e Altan che mette in bocca al suo personaggio femminile una frase fulminante: "Instancabile attività del cav. Silvio Banana per tenere alto il nomignolo del paese nel mondo" .
Ho sorriso, ma c'era da piangere. Alle volte l'umorismo t'arriva addosso con la forza d'una frustata, con il fiele d'un sorso di veleno.
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La guerra prosegue ma noi, spettatori e vittime potenziali, non ne sappiamo niente. Bin Laden, dopo le Torri, diffonde carbonchio, vaiolo e peste nelle città americane? Ma forse non è lui, l'Fbi ne dubita e pensa piuttosto a terroristi "interni". Sospetto tremendo: americani terroristi che arrivano al punto di seminare epidemie nel proprio paese e tra la propria gente? Da quale inferno possono uscire diavoli così indemoniati? Le bombe e i missili angloamericani innaffiano di distruzioni "mirate" da quindici giorni gli obiettivi militari dei Taliban.
Non dovrebbero essere molti quegli obiettivi, ma il bombardamento prosegue. Ogni tanto la mira non è quella giusta e la bomba finisce su un ospedale, un villaggio indifeso, una colonna di profughi, un deposito di generi alimentari. I morti civili sono già novecento, denuncia la radio di Kabul; solo qualche decina, ammette il Pentagono. L'America si scusa ma con chi? I morti sono morti, le scuse non le possono sentire e comunque ne avrebbero scarso sollievo. Oppure hanno finito di soffrire, come si dice per un ammalato tormentato dal male. Quel popolo è in guerra da vent'anni, un male più lungo di così capita di rado, solo Israele e i palestinesi superano largamente un record così poco invidiabile.
Ma noi spettatori e vittime potenziali, noi opinione pubblica mondiale non sappiamo nulla ed è anche giusto che sia così perché questa è una guerra di "intelligence" e il suo corso deve essere secretato perché abbia successo. La conseguenza però è questa: l'opinione pubblica che non sa non può controllare la condotta, l'efficacia, la ferocia di questa guerra, né quella dei terroristi né quella della grande coalizione che lotta contro di loro.
L'opinione pubblica, cioè la coscienza morale del mondo, non sa nulla e non controlla nulla. I due contrapposti poteri e i cento sottopoteri che agiscono sullo sterminato e indefinito campo di battaglia hanno il pieno e arbitrario dominio di quanto accade. Rispondono solo a se stessi e questo non era mai accaduto nella storia né antica né moderna. Nell'era della massima trasparenza e della comunicazione globale la guerra è diventata un affare privato di poche persone. Tutti gli altri sono chiamati soltanto a schierarsi: o con me o contro di me. Ecco la sola libertà che ci è rimasta, tutto il resto è stato confiscato. Su questo punto purtroppo il terrorismo ha vinto. Speriamo che alla fine sia estirpato, in due anni? In dieci anni? Ciechi e sordi resteremo per tanto tempo? Non è terribile?
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Nascono nuove alleanze, la mappa del potere sta rapidamente cambiando. Nello scenario della "drôle de guerre" l'Europa serve meno di prima e con essa anche la Nato. Un triumvirato del tutto inedito ha avuto l'altro ieri il suo battesimo a Shanghai: Usa, Cina, Russia. Contro il terrorismo, scambi di informazioni, controlli incrociati sui movimenti finanziari sospetti, caccia solidale ai terroristi e perfino (da parte russa) truppe se sarà necessario.
In compenso mano libera a Putin in Cecenia e mano libera a Jiang Zemin nel Xinjiang contro i separatisti islamici Uighur.
Glucksmann e Barbara Spinelli, che amano l'America e odiano il terrorismo, avevano messo un solo paletto: non tollerate che si sospendano i diritti civili, non alleatevi con chi li calpesta in Cecenia, in Cina e ovunque nel mondo. Cara Barbara, con chi si potrebbe alleare George W. Bush se seguisse il tuo divieto e rispettasse il tuo paletto? Con quale cristo potrebbe stringere il suo patto? Con l'Europa certo. Il "limes" dei diritti civili si ferma lì. Ma non pare che basti. Infatti George W. è volato a Shanghai.
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Volevo soltanto ricordare che i principi sono una cosa ma la politica è un'altra. Parafrasando Pascal diciamo che la politica ha i suoi principi che la morale non conosce. E ammettiamolo una buona volta, a cinquecento anni di distanza da Machiavelli, non già per diventare cinici ma per poter usare la morale come e dove si può usare senza diventare inutilmente e pateticamente queruli.
Si diceva prima che nascono nuove alleanze. Ecco intanto due nuovi triumvirati. Del primo, su scala mondiale, abbiamo già detto; il secondo è nato a Gand in perfetta sincronia con il primo: Gran Bretagna, Francia, Germania, poche ore prima che si riunisse nello stesso luogo il vertice dei Quindici della Comunità Europea.
Conosciamo le spiegazioni giustificative fornite da quel triumvirato e il suo formale ossequio alla collegialità dei Quindici. Ma è necessario dire che quelle giustificazioni sono pura ipocrisia. Che l'esclusione dell'Italia in particolare è inspiegabile (o lo è fin troppo, non è vero Altan?) trattandosi di un paese fondatore che ha lo stesso voto ponderato dei membri del nuovissimo triumvirato.
Il presidente Ciampi dovrebbe preoccuparsi molto di quanto sta accadendo su questo delicatissimo terreno nel quale il capo dello Stato è chiamato ad esercitare una speciale attenzione. Personalmente credo anch'io, come D'Alema, che non bisogna tirar la giacca ogni giorno al Presidente per farlo intervenire su problemi che non sono i suoi; ma il declassamento dell'Italia nella considerazione e nel peso internazionale, la critica e vorrei dire l'ormai dilagante dileggio riservato al nostro governo non solo dalla stampa straniera ma dalle Cancellerie, questo sì riguarda il Presidente che ha il diritto-dovere di chiederne conto al governo. Ci auguriamo che lo faccia al più presto e che se ne veda qualche frutto.
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Stiamo dunque assistendo alla morte dell'Europa? Qualcuno lo pensa e adduce seri argomenti: la moneta unica non basta, le lingue sono diverse, non c'è una politica estera comune né una difesa, manca, né la si vuol e, un'egemonia unificatrice; infine la Gran Bretagna sta con un piede dentro ma con l'altro fuori, tuttavia senza di lei nulla si può fare, "nec sine te, nec tecum" .
Tutto vero. Così accadde anche - perdonate il paragone - per le città greche ai tempi di Filippo e di Alessandro: costituirono una lega ma ciascuna continuava a tutelare gli interessi della propria "polis" ; per ammansire l'imperialismo macedone affidarono a Filippo e poi a suo figlio la presidenza di quella lega. Praticamente morirono come soggetto politico e non rinacquero mai più. E tuttavia grecizzarono Roma e i regni nati dall'impero di Alessandro e quella fu la loro vittoria; ne nacque la civiltà greco-romana e ancora, dopo duemila e più anni, ad essa l'Occidente va debitore di gran parte dei valori che portiamo iscritti nella mente e nel cuore.
Così può essere, dovrebbe essere per l'Europa, senza nulla togliere agli sforzi dei nobili spiriti che si battono per una struttura federale dell'Unione. Se quegli sforzi avranno un risultato tanto meglio, ma il fulcro della questione europea è un altro: è la cultura europea, la tolleranza, le regole della libertà, l'eguaglianza delle occasioni, la difesa dei deboli, il concetto della giustizia da non confondere con quello della vendetta. Sofri ha detto bene su questo tema nell'articolo di ieri.
Esiste un retaggio europeo e** questa guerra sottolinea e attualizza; di esso l'America, che pure nacque come costola dell'Europa, continua ad avere estremo bisogno. Purtroppo quel patrimonio si è molto deteriorato col passar del tempo, specialmente in Italia che pure è stata una delle sedi più ricche di quel lascito culturale.
L'Europa dovrebbe affiancare l'immensa forza americana moderandone gli eccessi e impedendo che il terrorismo, prima d'esser distrutto, deformi le istituzioni e lo spirito di chi lo combatte.
In quest'ultimo mezzo secolo l'Europa si è molto americanizzata; doveva accadere ed è un bene per noi che sia accaduto, ma ora credo che sarebbe molto opportuno se l'America, in alcuni aspetti non marginali della sua vita collettiva e del suo modo di pensare, si europeizzasse molto di più di quanto non sia avvenuto. Non è con l'integrazione delle minoranze europee nel "melting pot" americano che si può realizzare questo contributo perché gli immigrati sono americani al mille per cento fin dalla seconda generazione.
Parlo dei valori fondanti dell'Europa che per gli Stati Uniti sono stati quelli iniziali dei pellegrini puritani sbarcati con la Bibbia e col fucile nella Nuova Inghilterra e dei "padri fondatori" della dichiarazione di indipendenza.
Può l'Europa di oggi "contaminare" di sé l'impero americano che mai come ora aveva sentito il morso delle difficoltà e della guerra in casa? Questo compito è molto più difficile e incomparabilmente più importante che mandare due battaglioni alla frontiera afgana ed è assai più alto che radunare centomila "forzisti" a piazza del Popolo con le bandierine a stelle e strisce in mano.
Francamente non so se le attuali classi dirigenti europee ne saranno all'altezza, ma questo dovrebbe essere il più prezioso contributo che noi europei dobbiamo a noi stessi e al nostro alleato storico. Perciò non costerniamoci perché non siamo così pronti, così decisi, così certi delle nostre credenze, così netti nei giudizi e duri nell'applicarli, così manichei nel distinguere il bene dal male salvo scambiare senza imbarazzo i cattivi di ieri con i buoni di oggi e viceversa.
Noi non siamo nati trecent'anni fa; la nostra cultura è molto più vecchia e ha conosciuto e prodotto errori ed orrori dei quali portiamo il segno. Ma abbiamo anche custodito un deposito di esperienze e di valori ed è questa la nostra vera e sola ricchezza. Questo dobbiamo versare nel fondo comune della grande alleanza. E non crediate che sia un compito facile, che non abbia un costo e che non modifichi la nostra vita. Per essere adempiuto ci imporrà una coerenza di comportamenti estremamente severa.
Non so se ne saremo capaci ma so che questa è la nostra parte per vincere la guerra e soprattutto per preparare la pace.



Saddam Hussein risponde a una email
"Solidarietà alle vittime, non al governo Usa"
il caso

BAGDAD - Saddam Hussein ha fatto le sue condoglianze a un cittadino americano per le vittime degli attacchi terroristi dell'11 settembre al World Trade Center e al Pentagono. In risposta a un email in cui il signor Christopher Love gli aveva chiesto di aprire un dialogo con il presidente americano George Bush, il leader iracheno ha scritto: «Apparteniamo a Dio e a Lui torneremo, e possa Dio proteggere la sua vita, come diciamo noi musulmani a chiunque perda una persona cara». Però Saddam ha negato la sua solidarietà ai governanti statunitensi. «Non penso che la sua amministrazione meriti che gli iracheni esprimano cordoglio per l'accaduto, a meno che essa non faccia le condoglianze al popolo iracheno per il milione e mezzo di iracheni da essa uccisi».
(Repubblica 21/10/01)