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La nonviolenza e' in cammino. 257
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 257 del 13 ottobre 2001
Sommario di questo numero:
1. Gerard Lutte, l'infinita guerra dei maschi
2. Francesco Comina, un tempo per parlare e un tempo per tacere
3. Comunicato del tavolo delle campagne promotore della Rete di Lilliput
4. Johan Galtung, il pacifismo tra i Cruise e la jihad
5. Riccardo Bauer, il problema del disarmo...
6. Davide Melodia, come neutralizzare il virus della violenza
7. Paolo Ricca, la guerra non e' terrorismo?
8. Giobbe Santabarbara: I massacri e i pagliacci
9. Ettore Masina, la ripulsa piu' radicale del terrorismo
10. Sintesi ed interviste dall'assemblea dell'Onu dei popoli
11. Letture: Stefano Catucci, Introduzione a Foucault
12. Letture: Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario
13. Letture: Anna-Vera Sullam Calimani, I nomi dello sterminio
14. Sofia Vanni Rovighi: dogmatismo
15. Per studiare la globalizzazione: da Alfred Sohn-Rethel a Wole Soyinka
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'
1. RIFLESSIONE. GERARD LUTTE: L'INFINITA GUERRA DEI MASCHI
[Gerard Lutte, educatore, docente di psicologia, e' impegnato da sempre
nella solidarieta' concreta e liberante. Per contatti: gerardlutte@tin.it]
Una cara amica mi faceva notare come il maschilismo piu' bieco e devastante
domina con la guerra l'inizio di questo infelice terzo millennio, peggiore
dell'eta' della pietra perche' gli scienziati maschi hanno elaborato armi
capaci di distruggere l'umanita' e la terra.
Il potere, la violenza, la guerra, sono purtroppo caratteristiche del ruolo
maschile dominante. Le lotte di liberazione delle donne avevano messo in
crisi questo ruolo, l'identita' maschile. Molti uomini erano depressi, a
volte reagivano con stupri di gruppo. Ora finalmente i maschi rialzano la
testa, ritrovano la loro identita' di guerriero, continueranno a stuprare
come fanno in tutte le guerre, pero' ora con gioia e orgoglio.
Tutti maschi, i capi di guerra, quelli che la dichiarano o la sostengono, i
binladen-bush-blair-berlusconi e altri accodati, quelli che la celebrano in
tv, ed poveri giovani che manderanno a farsi ammazzare e ad ammazzare, e i
marionettisti, i fabbricanti di armi e i dirigenti del commercio globale.
Qualcuno osa dire che la guerra contro l'Afghanistan liberera' le donne (per
lo meno quelle risparmiate dalle bombe) dall'odioso giogo dei talebani. Sono
forse piu' teneri con le donne i leader fondamentalisti che hanno
contribuito all'elezione di Bush e che, all'indomani del crollo delle torre
gemelle, dichiaravano che era la giusta punizione di Dio per i peccati delle
femministe e delle donne costrette ad abortire?
* La guerra ha anche i suoi vantaggi
Non per tutti, ma per molti.
Per Bush, questo politicante mediocre, finora conosciuto solo per aver fatto
bruciare qualche povero diavolo sulla sedia elettrica, eletto con brogli
presidente degli USA, e oggi celebrato per il suo carisma nel guidare la
santa alleanza mondiale contro il terrorismo. Guardatelo in tv, non puo'
nascondere un sorriso di soddisfazione di se' anche quando parla dei morti.
Ci guadagna anche, e con lui altri miliardari, con i proventi dell'industria
bellica che ora funziona a pieno ritmo. Pensate alla loro fortuna, la guerra
durera' almeno dieci anni, forse decenni. Potrebbe persino essere infinita.
I generali poi, decorati come alberi di natale, finalmente possono mandare
ad uccidere e devastare, saggiare le armi moderne, le pallottole a uranio
impoverito, le bombe intelligenti, quelli che penetrano fino al cuore della
terra, gli elicotteri, aerei, navi di guerra, armi atomiche,
batteriologiche, chimiche. Quanto e' geniale il maschio per inventare
strumenti di morte.
Il governo degli Stati Uniti manifesta ora il suo potere infinito, fa cio'
che gli pare, non e' sottoposto a nessuna legge che non sia il suo profitto,
interviene dove gli pare. Nessuno osa resistergli, se non un povero
illuminato che vive con le pecore nelle montagne dell'Afghanistan.
La guerra santa, che fortuna per tanti altri maschi. Guardateli, se avete
coraggio e pazienza, sentenziare in tv. Hanno pure rispolverato un Baget
Bozzo, neomedievale teologo di Craxi e delle crociate contro l'Islam, un De
Michelis, dimagrito dopo la dieta di Mani Pulite. Un Fassino che svende cio'
che gli rimaneva di sinistra. Vedete l'ineffabile Giuliano Ferrara, ieri
militante del PCI, che oggi vorrebbe oscurare la tv araba perche' non
subordinata come lui al buon piacere dell'impero.
* La guerra contro l'Afghanistan e' anche una guerra contro di noi
Con ogni bambino, ogni anziano, ogni donna o uomo assassinato dalla guerra
e' uccisa in noi l'umanita'.
La guerra sara' pagata da noi, pesera' soprattutto, come sempre, sui piu'
poveri.
Sara' ancora piu' feroce la criminalizzazione del dissenso, della protesta
sociale, tutte le nostre liberta', in modo particolare quella di espressione
e di organizzazione, saranno limitate, la nostra privacy violata senza che
Rodota' ci possa fare nulla, le nostre e-mail e telefonate sotto controllo,
come gia' faceva il Grande Fratello USA. Vivremo, se non reagiamo, in uno
stato poliziesco globale dominato da un sceriffo texano.
* Anch'io sono americano
Mi identifico con gli Americani. Con i Maya, decimati cinque secoli fa dagli
invasori spagnoli, e negli anni '80 da dittature militari installate,
dirette e foraggiate dal governo degli Stati Uniti.
Con i sandinisti, i contadini del Nicaragua che per dieci anni hanno subito
la guerra organizzata dal governo degli Stati Uniti, che ancora oggi Bush
chiama terroristi, ossia persone che ha il diritto di eliminare.
Sono cubano affamato dall'embargo criminale imposto dal governo degli USA.
Sono cheyenne, irochese, dakota, popoli annientati dai bianchi che oggi
dominano il loro territorio.
Sono un latino che passa clandestinamente la frontiera Messico-USA nella
speranza di trovare cibo e vita migliore.
Mi identifico anche con le vittime di Manhattan, con le loro famiglie. Ed io
che sono, non per scelta ma per nascita, maschio, bianco, occidentale,
cristiano, so che mi devo anche identificare con persone che non mi sono
simpatiche, come Bush o Berlusconi, per i quali voglio sentire compassione,
che voglio amare come persone anche se odio le cose che fanno, combattere in
me cio' che condanno in loro, lottare perche' anche loro si liberino del
cancro che li divora. Vorrei sviluppare in me la tenerezza delle donne e dei
bambini, opporre alla violenza della guerra e dell'oppressione la tranquilla
forza dell'amicizia.
Sogno di un terzo millennio sotto il segno della tenerezza delle donne,
guardiane della vita, liberato dal potere di morte dei maschi.
2. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA: UN TEMPO PER PARLARE E UN TEMPO PER TACERE
[Francesco Comina, giornalista e saggista, e' impegnato nell'esperienza di
Pax Christi. Per contatti: f.comina@ilmattinobz.it]
"C'e' un tempo per parlare e un tempo per tacere", dice Qoelet.
Questo e' il tempo buono per tacere.
Troppi giudizi, troppe condanne, troppe parole coprono il chiasso dei
missili, delle bombe, dei massacri che in questo momento - mentre aggiungo
anch'io parole alla guerra - si condensano su un popolo, che ha l'unico
peccato di vivere in Afghanistan, la terra dei talebani, delle donne
oppresse, la terra dove la politica unita alla religione si e' sacralizzata,
la terra dove il "nemico" dell'occidente ha trovato rifugio, la terra del
"Male" secondo le dichiarazioni del condottiero del "Bene" George W. Bush,
presidente degli Stati Uniti d'America.
Le agenzie battono poche, irrilevanti notizie sul numero degli uccisi. Si sa
che un missile intelligente ha colpito stupidamente un'agenzia di sminamento
dell'Onu mentre a Kabul e Kandahar le rovine coprono uomini, donne e bambini
con i loro volti terrorizzati, con i loro sogni e le loro passioni innocenti
e, forse, con il loro disgusto per la politica talebana. La pioggia di bombe
della prima grande guerra del terzo millennio si riversa sulle file dei
cittadini in fuga dalle citta' divorate e sventrate. Scappano a migliaia con
gli occhi rivolti al confine, ma non c'e' nessuno disposto ad aprirgli la
porta.
Noi non abbiamo la minima percezione di cosa significa essere cittadini
afghani oggi, esserlo individualmente, anima e corpo, esserlo nei rifugi
ventiquattro ore al giorno, continuamente in allarme, progressivamente
esposti al rischio di rimanere schiacciati dal crollo della propria dimora,
riversi al suolo pregando Allah di togliere dal cielo gli uccelli piombati
che radono al suolo tutto cio' che trovano.
*
"C'e' un tempo per parlare e un tempo per tacere".
Paolo Guzzanti dovrebbe trattenere le parole prima di lasciarsi andare alla
guerra contro il pacifismo (vedi "Il Mattino" del 10 ottobre). Le sue
generalizzazioni facili del mondo islamico appartengono a quella radice
conflittuale che ha fatto dilagare nella storia dell'uomo le guerre
religiose, culturali ed economiche. La "gente" di cui parla Guzzanti facendo
trapelare una buona dose di razzismo, ha al suo interno una pluralita'
vastissima di mondi, compreso quello della nonviolenza, della tolleranza e
della democrazia. Chi ha vissuto davvero l'orizzonte islamico, anche in
Paesi dove il terrorismo fondamentalista infuria contro tutto e contro tutti
(in primo luogo contro gli stessi islamici moderati) non si permetterebbe
mai di dare giudizi sommari, che presuppongono una sorta di superiorita'
civile dell'occidente cristiano sul mondo arabo musulmano; anzi, molti
missionari laici e religiosi, che vivono immersi in Paesi come l'Algeria, la
Libia, l'Egitto, il Pakistan, raccontano - a fronte di fenomeni di
integralismo che pur sono diffusi e preoccupanti - esperienze affascinanti
di fede nell'orizzonte di un Dio misericordioso, grande e clemente (vedi
l'esperienza dei sette monaci trappisti d'Algeria sgozzati da un gruppo del
Gia nel 1996).
Ma Guzzanti parla a ruota libera condannando i pacifisti che s'azzardano a
sollevare lo scandalo della guerra. S'infuria il giornalista e senatore di
Forza Italia a chi gli pone davanti agli occhi i drammi di bambini che
muoiono di fame a causa dell'embargo in Iraq, a causa delle politiche di
aggiustamento strutturale del Fmi, a causa di un accentramento delle risorse
in mano al 20% dell'umanita'. Li chiama "miserabili", vorrebbe "prenderli a
schiaffi", sputa le "bufale" di Zanotelli.
Assomiglia tanto agli scribi che condannano Gesu'. Anch'egli e' un tutore
dell'ordine, come Caifa. Chi disegna i tratti di un mondo diverso e
possibile (era questo lo slogan dei ragazzi nonviolenti di Genova) e'
condannato.
Eppure la storia, alla fine, rivolta tutte le carte e lascia scritta la sua
memoria attraverso gli uomini che hanno guardato in alto, che hanno
anteposto l'orizzonte etico al realismo contraddittorio della politica.
Ricordiamoci di Einstein e del suo monito all'umanita' della guerra atomica:
"Ricordate la vostra umanita' e dimenticate tutto il resto".
La guerra non risolvera' i problemi del terrorismo (questo lo sa perfino
Bush, come lo sanno le multinazionali che producono armi). Solo una politica
antiterroristica raffinata, che si innesta con un processo di dialogo
religioso, culturale ed economico, potra' in qualche modo togliere dalla
terra i semi dell'odio.
*
"C'e' un tempo per parlare e un tempo per tacere".
Credo che la piu' bella risposta alla guerra che i movimenti di base possono
portare sia il silenzio. Dobbiamo recuperare il senso delle parole in
quest'orgia di vocaboli che intrecciano i nostri dibattiti. Guerra, pace,
violenza e nonviolenza, intervento umanitario, bombe, missili, giustizia,
ingiustizia... Le parole non dicono piu' nulla, sono fionde che si spezzano.
Fin quando l'altro non appare davanti a noi con il suo volto concreto, con
le sue rughe e il suo sorriso, noi non riusciamo piu' a sentire l'effetto di
quelle parole che utilizziamo nei nostri discorsi. Cosi' per la guerra,
cosi' per la pace. Sono vocaboli freddi, termini inattuali, pietre
d'inciampo, poco piu' che timidi slogans.
3. RIFLESSIONE. COMUNICATO DEL TAVOLO DELLA CAMPAGNE PROMOTORE DELLA RETE DI
LILLIPUT
[Da Andrea Semplici (andreasemplici@libero.it) riceviamo e diffondiamo. Il
Tavolo Intercampagne e' composto da: Aifo, Beati i Costruttori di Pace,
Bilanci di Giustizia, Campagna Chiama l'Africa, Campagna dire mai al MAI,
Campagna Globalizza-azione dei Popoli, Campagna Sdebitarsi, Centro Nuovo
Modello di Sviluppo, CoCoRiCo', CTM, Altromercato, Mani Tese, Nigrizia, Pax
Christi, Campagna per la Riforma della Banca, Mondiale, Rete Radie' Resch,
Associazione Botteghe del Mondo]
Nel corso della riunione dell'11 ottobre 2001 il Tavolo delle Campagne,
promotore della Rete Lilliput, ha rinnovato la sua adesione piena e convinta
alla marcia della pace Perugia-Assisi che avra' luogo domenica 14 ottobre.
Il tema della globalizzazione dal basso e di "Cibo, acqua, lavoro per tutti"
e' in coerente continuita' con l'impegno di tante associazioni nazionali e
nodi locali a favore di un'economia che si misura sui diritti da assicurare
ad ogni donna e uomo che abita il pianeta.
Nello stesso tempo non possiamo dimenticare di porre al centro di questa
edizione della stessa marcia la condanna del terrorismo e della guerra.
Abbiamo gia' espresso il nostro orrore per il vile e tragico attacco ai
danni degli abitanti di Washington e New York, allo stesso modo ribadiamo la
condanna della guerra che le forze armate anglo-americane stanno conducendo
sul territorio afghano. Inevitabilmente anche questa "guerra chirurgica"
produrra' i suoi "effetti collaterali" che si calcoleranno in termini di
perdita di vite umane. Questa risposta al terrorismo non e' rispettosa del
diritto internazionale e produce l'effetto deflagrante di alimentare la
pericolosa spirale dell'orrore. Si continua a seminare odio e terrore e a
porre le tristi premesse per altri rancori che si rincorreranno nella
storia.
Al contrario noi crediamo che tanto il terrorismo quanto la guerra possono
essere prevenuti innanzitutto con una politica di giustizia che garantisca
la dignita' di ciascuno.
Infine vogliamo rivolgere un forte richiamo alle forze politiche che in
Parlamento si sono espresse a favore dell'intervento armato dichiarando
anche la disponibilita' del nostro Paese a sostenerlo. Non riteniamo che
quel voto sia in linea con il dettato costituzionale che ripudia l'uso delle
armi "come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali". Non
riteniamo che vi possa essere coerenza nel marciare a favore della pace
mentre si sostiene la guerra.
L'auspicio e' che la partecipazione di tante e tanti a questo cammino di
pace da Perugia ad Assisi possa prolungarsi e raggiungere tutti gli angoli
della terra, da New York a Kabul.
4. RIFLESSIONE. JOHAN GALTUNG: IL PACIFISMO TRA I CRUISE E LA JIHAD
[Johan Galtung e' uno dei piu' grandi studiosi pacifisti viventi. Questo
articolo e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" dell'11 ottobre]
Il mondo non sara' mai piu' lo stesso dopo il terribile attacco all'economia
Usa, al sistema militare Usa, alla politica estera Usa, e a esseri umani
come tutti noi. Abbracciamo le vittime della violenza, con profondo dolore,
ed esprimiamo la speranza che i responsabili saranno presto assicurati alla
giustizia. Una violenza di questo livello puo' essere spiegata solo da un
altissimo grado di disumanizzazione delle vittime nelle menti degli
aggressori, spesso dovuto a un livello molto profondo di conflitto basilare
e irrisolto. La parola "terrorismo" descrive la tattica, ma come
l'espressione "terrorismo di stato" si limita a dipingere gli esecutori come
diabolici e non va alle radici del conflitto. Il simbolismo degli obiettivi
(il Wtc, il Pentagono e il fallito attentato a Capitol Hill o alla Casa
bianca) parla di una vendetta per l'uso statunitense del potere economico
contro stati e popoli poveri, del potere militare contro gente indifesa e
del potere politico verso i senza potere. Tutto cio' richiama alla mente i
230 interventi militari statunitensi all'estero, il quasi totale sterminio
dei nativi americani, lo schiavismo, la responsabilita' della Cia per i 6
milioni di persone uccise tra il '47 e l'87 (secondo fonti di dissidenti
della Cia) e i 100.000 che muoiono ogni giorno all'estremita' inferiore di
un sistema economico identificato da molti con il potere economico, militare
e politico degli Usa. Bisognava aspettarsi che tutto cio' avrebbe generato
da qualche parte e in qualche tempo un desiderio di vendetta.
Lo spartiacque fondamentale di questo conflitto e' la classe - a livello di
stati e di persone. Non e' la civilizzazione, sebbene il senso americano
della missione e quello islamico della giustizia ne siano parte. Oggi il
confronto sembra essere tra Usa/Occidente e Arabi/musulmani. Ma questo
succede semplicemente perche' i secondi hanno molte piu' intenzioni e
possibilita' delle altre vittime dell'enorme violenza proveniente dal blocco
Usa/occidente. Non dovremmo mai sottostimare il grado di solidarieta' nel
"resto del mondo" ne' la solidarieta' nella classe superiore mondiale;
proprio per la forza che questi due campi hanno, e' cruciale costruire una
piu' forte solidarieta' con e tra tutte le vittime, in ogni parte del mondo.
Nel collocare gli orrendi attacchi agli Usa nel contesto di un ciclo di
vendette non c'e' alcuna giustificazione, alcuna scusante, alcuna
attribuzione di colpa. C'e' solo profonda tristezza per il fatto che la
catena della violenza e della vendetta e' un fatto umano. Ma questo puo'
portarci anche al desiderio di rompere questa spirale perversa. Il
bombardamento delle basi dei terroristi uccidera' anche civili, e
provochera' altre persone a voler vendicare tale violenza e divenire
"martiri".
Con i Cruise da una parte e la guerra santa dall'altra, il mondo forse si
sta dirigendo verso uno scontro di violenza mai vista. La prima Jihad,
contro le Crociate (1095-1291) duro' 196 anni: vinsero i musulmani. La
seconda, contro Israele, e' ancora non conclusa. La terza, contro il
comunismo in Afghanistan, e' finita con il ritiro e il collasso dei
sovietici.
Per evitare di finire in una guerra amplissima con sofferenze enormi ed
estese, bisognerebbe rifiurare la fretta di agire.
Abbiamo bisogno di una profonda riflessione su noi stessi, di identificare i
conflitti e le questioni per risolverle: abbiamo bisogno di una
riconciliazione. L'enorme ineguaglianza globale, che nega i diritti di base
a miliardi di persone che vedono una minoranza adagiata nel lusso e nello
spreco, deve essere superata, attraverso un sistema economico mondiale
pacifico e cooperativo. Questo poco probabilmente cambiera' le teste dei
leader terroristi, ma li privera' del terreno fertile di giovani frustrati e
arrabbiati che sentono di non aver niente da perdere, dal quale possono
reclutare seguaci impazienti.
Tutti gli ecclesiastici - dai cristiani ai musulmani - devono dire con forza
che uccidere civili innocenti e' sbagliato, e' blasfemo.
Il supporto esterno e la fornitura di armi ai regimi autocratici devono
cessare.
Chi e' cresciuto in una cultura democratica - che non vuol dire solo votare,
ma esprimere liberamente il proprio pensiero ed essere ascoltati - raramente
ricorre alla violenza. Ma se tutte le possibilita' di cambiamento attraverso
mezzi pacifici sono negate, qualcuno puo' essere tentato di ricorrere alla
violenza.
Le guerre prolungate nel Medio oriente e in molte altre regioni del Terzo
mondo hanno nutrito una cultura di violenza.
Superare questi conflitti, cercare soluzioni che portino la giustizia
dappertutto, e' componente essenziale di una strategia che possa vincere il
terrorismo.
Per fare tutto cio' non si puo' fare affidamento sui governi dell'Occidente,
e neanche su quelli del Sud: sono troppo legati agli Stati Uniti e troppo
timorosi di incorrere nell'ira americana. Si puo' fare affidamento solo
sulle popolazioni e sulla societa' civile. Cio' che e' necessario
adesso -quanto prima sia umanamente possibile - e' un movimento pacifista di
massa, questa volta Nord-Sud. Ha funzionato la scorsa volta, Est-Ovest. Gli
studiosi e i militanti dei movimenti pacifisti devono riportare sulle loro
agende questi problemi: la poverta' e la fame nei paesi poveri; il disprezzo
e l'ignoranza dell'Occidente verso le culture e le religioni non cristiane
come fonte di odio; una memoria storica dei conflitti, dalle crociate alla
conquista dell'America alla distruzione dell'Africa allo schiavismo, alla
guerra dell'Oppio, alla conquista britannica dell'Afghanistan; la politica
economica del capitalismo globale; la verita' storica del fatto che l'uso
della violenza contro la violenza e' controproducente (Gandhi).
La violenza alimenta la violenza. La sicurezza comune, la solidarieta'
globale con tutte le vittime della violenza, sono indispensabili per la
sopravvivenza umana.
5. MAESTRI. RICCARDO BAUER: IL PROBLEMA DEL DISARMO...
[Da Riccardo Bauer, La guerra non ha futuro, Linea d'ombra, Milano 1994, p.
36]
Ripetiamo: il problema del disarmo o dell'evitare lo scoppio di una guerra
mondiale non e' un problema tecnico, industriale o militare, ma politico.
6. RIFLESSIONE. DAVIDE MELODIA: COME NEUTRALIZZARE IL VIRUS DELLA VIOLENZA
[Davide Melodia e' impegnato da sempre per la nonviolenza. Per contatti:
melody@libero.it]
L'azione terroristica su larga scala, compiuta da quattro commandos suicidi
negli Stati Uniti, ha risvegliato brutalmente e inaspettatamente il virus
dormiente della violenza nel mondo occidentale, piu' a livello politico e
governativo che fra le popolazioni.
A causa di tale brutale risveglio, nella evidente impreparazione psicologica
e logica dei nostri politici, lo spirito di vendetta, mascherato sotto una
gamma alquanto estesa di nomi tranquillizzanti, ha preso piede in Occidente,
autorizzando risposte violente alle provocazioni omicide.
Bombardamenti non intelligenti, al momento, stanno distruggendo
scientificamente un Paese considerato complice e culla del terrorismo, in
vista di altre incursioni con bombe scientificamente stupide, secondo un
antico ed evangelicamente superato principio limitativo dell'occhio per
occhio, esigendo l'accecamento di cento occhi per un occhio.
Senza contare che tale azione di rivalsa puo' indurre popoli di altra
cultura e religione, di recente alleanza con l'Occidente, a prendere le
distanze da questo, e ad allearsi con i presunti colpevoli degli atti
terroristici.
Un virus, quello della violenza, innescato abilmente per provocare un
disordine mondiale su cui pescare e giustificare proprie rivendicazioni, non
si estirpa coltivandolo con l'uso di strumenti militari, anch'essi su larga
scala.
Uscendo dalla immagine, e considerando ogni violenza un male, essa va
bloccata sul nascere - verso i provocatori omicidi - operando nella
giustizia, non tanto per assicurarli individualmente a un tribunale
internazionale, ma per togliere loro ogni motivo di rivendicazione nei Paesi
da cui provengono.
Ma la giustizia di cui sopra non sarebbe affatto completa se non fosse
analizzata e affrontata la radice occidentale della ingiustizia provocata,
vissuta e sofferta nei Paesi e dai popoli di cui i terroristi si vantano di
essere i vendicatori.
E per far tutto questo occorre una somma molto grande di serenita' di
giudizio, di autoanalisi, di senso del vero, di nonmenzogna, di equilibrio e
di equita', che in gran parte si puo' trovare nei principi e nella prassi
della nonviolenza.
Altro aspetto negativo della risposta violenta alla violenza e' il percorso
involutivo che, per essere duri, spietati, accorti e sicuri, i Paesi
occidentali stanno intraprendendo, in senso inverso alle liberta' civili che
le loro democrazie hanno da tempo assicurato ai cittadini.
Controlli, censure, militarizzazione di interi ambiti civili, stanno
togliendo il respiro normale agli occidentali, facendo amaramente il gioco
dei destabilizzatori.
Abbiano il coraggio, i nostri governanti, di prendere in seria
considerazione l'efficacia pacificatrice dell'antivirus nonviolento.
7. RIFLESSIONE. PAOLO RICCA: LA GUERRA NON E' TERRORISMO?
[Paolo Ricca e' un illustre pastore valdese. Questo testo e' l'editoriale di
"Nev - notizie evangeliche" n. 41 del 10 ottobre. Ringraziamo Enrico
Peyretti per avercelo segnalato]
In giorni sinistri e luttuosi come questi si vorrebbe poter tacere anziche'
dover parlare. Parlare, poi, a chi? Chi ascolta ancora? Il dialogo e' morto,
schiacciato anch'esso sotto le macerie di New York e di Kabul.
Probabilmente non era mai cominciato. Il terrorismo vuole dialogare? E si
puo' dialogare col terrorismo? Comunque, ormai, ciascuno ascolta solo se
stesso. In guerra, parlare e' inutile e quasi patetico. Parlano sul serio
solo le bombe. Anche i kamikaze sono bombe, a terra e in volo. Esplodono.
Il terrorismo e' guerra. La guerra non e' terrorismo?
Il rischio di moltiplicare il terrore nell'intento di combatterlo era ovvio
fin dall'inizio. E' cresciuto con l'inizio della "nuova guerra". Di questa
guerra, che rassomiglia tanto alla vecchia, c'e' da temere, tra le altre
cose, che diventi "totale", cioe' si estenda a macchia d'olio ad altri
paesi - a quali? a quanti? La guerra e' come Mammona. Credi di tenerla a
bada, ma presto ti prende la mano. Pensi di poterla controllare, ma e' lei,
alla fine, che ti controlla. La guerra cresce su se stessa: la metti in
movimento, poi ti travolge. Parallelamente - non c'e' da dubitarne -
crescera' anche il terrore.
"Giustizia senza guerra" era la parola programmatica lanciata dal Consiglio
delle chiese degli USA all'indomani degli attentati dell'11 settembre. Oggi
ancora, a un mese di distanza, sembra ancora la parola piu' responsabile che
si possa dire in frangenti cosÏ funesti e situazioni cosi' complicate. C'e'
in questa parola in primo luogo l'esigenza di "giustizia": e' un'esigenza
categorica, da affermare senza remore, reticenze, esitazioni o eccezioni.
Un crimine di inaudite proporzioni e' stato commesso: non lo si puo' subire
passivamente senza scardinare il fondamento stesso di ogni convivenza
civile. "Giustizia" puo' ovviamente significare cose diverse e il suo
contenuto esatto, nel contesto attuale, dovra' essere precisato. Ma si esige
"giustizia" senza deroghe ne' sconti. Ricordando, se necessario, la Tesi 5
del Sinodo di Barmen della Chiesa Confessante nel 1934, nella quale si
dichiara che "lo Stato, nel mondo non ancora redento, ha il compito - senza
escludere la minaccia e l'uso della forza - di provvedere al diritto e alla
pace". "Forza" non significa necessariamente forza armata o militare.
Il perseguimento della giustizia - sostiene il Consiglio delle Chiese USA -
deve avvenire "senza guerra". Cio' non e' accaduto. La guerra e' sotto i
nostri occhi, devastante e omicida. Ora si puo' discutere all'infinito se la
guerra abbia mai risolto i conflitti che di continuo nascono in seno
all'umanita'. Puo' darsi che in qualche caso li abbia risolti o almeno ne
abbia facilitato la soluzione. Essa sembra comunque poco idonea a risolvere
oggi il problema del terrorismo. Altre vie, forse piu' lunghe (ma anche
questa guerra, ci e' stato detto e ripetuto, "sara' lunga") ma probabilmente
piu' efficaci, avrebbero potuto e potrebbero ancora essere percorse per
raggiungere l'obiettivo di sradicare il terrorismo.
La guerra e' comunque una sconfitta. Lo e', in generale, per l'umanita' che
continua a dimostrare di non saper convivere senza farsi del male, odiandosi
e distruggendosi. Lo e', in particolare, per chi, malgrado tutto e contro
tutto, continua a credere nella parola di Gesu' che "i mansueti", non i
violenti, "erediteranno la terra", non il cielo (Matteo 5,5). Ma chi
rendera' gli umani "mansueti"? Le chiese? Le religioni? Quanti
fondamentalisti si allattano alle mammelle delle religioni? Non sarebbe
l'ora che le religioni si rendano conto che esse sono anche serbatoi di
fondamentalismi? Dove sono i loro figli "mansueti"?
8. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: I MASSACRI E I PAGLIACCI
Mentre e' in corso una guerra illegale, criminale e stragista di una ferocia
inaudita, in cui dismessa l'ipocrisia si sta massacrando un popolo con
sadico accanimento, in Italia l'attenzione dei mass-media che si occupano
dei temi della pace e della guerra pare essere magnetizzata da quattro, anzi
cinque cinici e fuorilegge guerrafondai che pretendono allo stesso tempo di
votare per la guerra e di dar lezioni di pace, e da un paio di ragazzini
irresponsabili che come aprono bocca lanciano proclami bellicosi o minacce
da energumeni, salvo poi, come tutti i cialtroni, dire che dicevano per
scherzo.
Dinanzi a una tragedia terribile come quella apertasi l'11 settembre e che
ogni giorno che passa diventa piu' gigantesca, occorre la scelta della
serieta', occorre la scelta della nonviolenza.
Per questo occorre essere in tanti lungo la strada che da Perugia porta ad
Assisi, affinche' i provocatori non trovino modo di inscenare i loro
teatrini ad uso delle televisioni vogliose di sangue e di orrore e di
idiozia; affinche' un messaggio emerga dalla marcia di Aldo Capitini: no
alla guerra, no a tutte le guerre, no a tutti i terrorismi, no a tutti i
razzismi.
La guerra va contrastata con la nonviolenza: con l'azione diretta
nonviolenta, con la disobbedienza civile di massa, con lo sciopero generale.
9. RIFLESSIONE. ETTORE MASINA: LA RIPULSA PIU' RADICALE DEL TERRORISMO
[Ettore Masina e' giornalista, scrittore, uomo di pace. Per contatti:
ettore.mas@libero.it]
E dunque arrivederci alla marcia per la pace. Non possiamo continuare a
trascorrere le nostre serate, inerti, seduti davanti al teleschermo,
scuotendo la testa e lasciandoci andare a qualche sospiro di pieta' mentre
vediamo i bambini che vagano affamati e terrorizzati per montagne riarse,
calcinate da terribili inverni e da estati roventi; o marciscono in
campi-profughi che sembrano, tanto sono disfatti e marcescenti, i resti di
orribili tragedie di un antico passato. Basta guardare le guance di quei
bellissimi bambini, erose da dermatiti, per leggervi una condanna per chi di
noi, che creda nelle necessita' della pace, non si alza e non dice: "Dovete
ascoltare anche me": quelle faccine sono il volto del secolo appena
iniziato, il volto dei nostri bambini. Nord e Sud, piu' che mai, un solo
futuro.
Non dobbiamo stare zitti e lasciar parlare soltanto Berlusconi, con la sua
cultura da "cummenda", le sue orribili gaffes e le sue sfrontate bugie; ne'
le ormai tragiche macchiette di don Baget Bozzo, cappellano di corte, prima
di Craxi e adesso del duca di Arcore; o di Oriana Fallaci, che sventola il
suo furore antiarabo come il fantasma di Canterville agitava i suoi sudari
insanguinati: neppure piu' razzismo, un delirio pagato milioni dal piu'
grosso quotidiano italiano. Non dobbiamo limitarci ad ascoltare quei
megafoni di guerra che sono diventati i giornalisti televisivi della Rai e
di Mediaset.
Dobbiamo parlare anche noi e non solo con i nostri intimi; uscire dalle
nostre case per dialogare sommessamente con i nostri vicini e con i nostri
compagni di lavoro, per gridare nelle piazze quello che in televisione non
sentiamo mai dire, ne' alla radio, e che ben raramente leggiamo sui grandi
giornali: che una guerra fatta mobilitando (e progettando di usare in varie
parti del mondo, parola di Bush) una delle piu' grandi armate che la storia
ricordi, non potra' mai essere "umanitaria" perche' le armate non hanno
occhi capaci di vedere gli umani; che non potra' mai essere "chirurgica"
un'offensiva affidata a un gigantesco apparato militare perche' un gigante
in camera operatoria non puo' fare che disastri; che non puo' essere
un'"operazione di polizia" quella in cui i giudici e i poliziotti sono le
parti lese; che l'Onu e' stata ancora un volta vilipesa e beffata perche'
questa e' una guerra degli Stati Uniti e un pochino ma soltanto un pochino
della Nato essendo i paesi dell'alleanza atlantica, per il momento, relegati
al rango di semplici comparse; che la maggior parte dei governi islamici
"moderati" e' in realta' governata da dittature: l'Egitto o, peggio, la
Siria e l'Arabia Saudita; il Pakistan o, peggio, la Turchia; e i popoli di
quegli sciagurati paesi sono in crescente fermento contro i loro governi;
cosicche' l'adesione ai piani di Bush, a denti stretti quella di Islamabad,
riottosa quella di Damasco, volenterosa quella del Cairo, automatica quella
di Ankara, possono, da un momento all'altro rivelarsi illusorie mentre e'
del tutto prevedibile che, con la scusa del terrorismo, i dittatori
induriranno la loro ferocia repressiva.
E ancora: che gli armati dell'Alleanza del Nord (come denunziano le donne
afghane in esilio) sono altrettanti fanatici che i talebani; che soltanto
con una lunga lotta fra fazioni gli americani potranno mettere sul trono
afghano uno dei tanti fantocci voluti dal genio della Cia (come quelli
sperimentati con tragici risultati a Panama, a Managua e a Mogadiscio per
non parlare, naturalmente, di Santiago del Cile). E ancora: che non e' nel
futuro ma gia' nel presente il calvario del popolo afghano, al quale non
rimane che una fuga collettiva nei deserti: una specie di esodo biblico, ma
senza speranza perche' in quellí'immensa area non esistono Terre Promesse,
esistono soltanto popoli affamati - e ricchi senza pieta' che si appoggiano
a spietati generali.
E infine: che senza una radicale e drammaticamente urgente soluzione della
questione medio-orientale che ormai va avviandosi alla caduta di Arafat
(dopo di lui il Terrore), le masse islamiche continueranno a ritenere
l'azione di Washington arbitraria, ipocrita ed imperialista.
Poiche' tutte queste cose sono sacrosantamente vere ma nessuno le dice,
qualcuno deve pur dirle e quel qualcuno siamo noi. Trecentocinquant'anni fa,
imperversando una vera e propria guerra di religione cosi' scriveva a Pascal
sua sorella Jacqueline: "So che si dice di non spettare a giovanette il
compito di difendere la verita'. Ma quando i vescovi dimostrano un coraggio
da donzelle bisognera' pure che le donzelle abbiano un coraggio da vescovi.
Puo' darsi che difendere la verita' non sia compito nostro ma e' certo
dovere morire per essa".
Dono idealmente questa citazione non ai vescovi della Chiesa (benche' Dio sa
se i Sodano, i Ruini e i Maggiolini non ne avrebbero bisogno) ma ai "vescovi
di complemento", quei laici che tengono cattedra sui giornali importanti.
Tanto per fare un esempio: su "La Repubblica" e' comparso un lungo articolo
di Lucio Caracciolo a proposito della marcia Perugia-Assisi.
Caracciolo non e' Berlusconi, prima di parlare pensa; ma, come dicevano gli
antichi, quandoque dormitat et bonus Omerus, cioe' talvolta persino il
grande Omero, un po' sonnolento, ha scritto brutti versi. Cosi' Caracciolo
ci prende il bavero senza conoscerci, facendosi un'immagine di comodo di noi
che ci ostiniamo a credere che la pace sia sempre e in ogni occasione, anche
la piu' ardua, superiore alla guerra. Caracciolo ci incasella in una delle
seguenti tre categorie: 1) quella degli anacoreti, rispettabili; ma, dice,
"non si puo' avere circolazione di idee fra chi sceglie di vivere nel
proprio deserto immaginario e chi, bene o male, nuota nella societa' umana";
2) quella degli impauriti; 3) quella degli sciocchi irresponsabili; tali
saremmo perche', non volendo la guerra contro il terrorismo, ci assumeremmo
la responsabilita' della possibile morte di altri pacifici cittadini. Questi
sciocchi credono (noi crederemmo) che "lo scontro con il terrorismo e'
affare degli americani", "che la guerra in corso sia assimilabile ai grandi
conflitti mondiali del Novecento", infine "che la guerra e' la negazione
della politica". Ora - dice Caracciolo a proposito della nostre supposte
convinzioni - noi saremmo dei "potenziali suicidi che non si accorgono di
essere anche loro nel mirino". Quanto al secondo punto, dice l'articolista,
la guerra che stiamo vivendo e' per definizione una guerra "non
convenzionale, coperta", di cui non sapremo nulla (quindi: come faremo a
giudicarla?). Terzo: la guerra, questa guerra, "non e' la negazione della
politica, e' l'estrema risorsa della politica. Oppure e' follia (...). La
guerra si fa per difendersi e per restaurare la pace in un ambiente
geopolitico possibilmente piu' stabile. Quanto meno americana e piu' globale
sara' questa guerra, tanto piu' utile sara' (...). Altrimenti i pacifisti
avranno avuto ragione, malgrado se stessi. Ma i vincitori non permetteranno
loro di celebrare".
Sono passati dodici giorni dalla pubblicazione di questo articolo: la guerra
e' piu' che mai americana, essendo gli alleati della Nato (salvo la Gran
Bretagna del fondamentalista Blair) relegati ai margini; un'immensa armata
"convenzionale" si dispiega dal Tagikistan al Golfo Persico; le citta'
afghane vengono "convenzionalmente" bombardate; 7 milioni di donne, vecchi e
bambini, a causa dei bombardamenti, non possono piu' essere raggiunti da
aiuti alimentari e un numero spaventoso di essi e' condannato alla morte per
fame. Davvero tutto questo non somiglia alle altre guerre del XX secolo?
E allora? Domenica noi non celebreremo una festa spensierata e infantile:
sappiamo bene di essere anche noi "nel mirino". Ma celebreremo convinzioni
che a noi sembrano logiche, pulite, realistiche. Saremo magari degli
anacoreti, ma don Giuseppe Dossetti, del quale Lei, caro Caracciolo, avra'
certamente sentito parlare, amava ricordare che anche i monaci, se una
citta' veniva colpita dalla peste, lasciavano i deserti per andare a servire
i poveri.
Non pensi che ci nascondiamo dietro un dito. Noi crediamo che proprio
perche' Bin Laden ha dichiarato guerra a tutto il mondo e compiuto un
orrendo crimine contro l'umanita' se ne debba occupare l'Onu con
un'operazione di polizia internazionale che lo assicuri alla giustizia,
senza massacri di civili; crediamo che ben piu' della forza delle armi, che
ha gia' fatto diventare Bin Laden, nell'immaginario di grandi masse
islamiche, una specie di Robin Hood asiatico e rischia di trasformarlo in un
martire, sarebbe di importanza fatale la morsa finanziaria sugli enormi
capitali di cui dispone; ma essa andrebbe stretta non soltanto, come si e'
fatto, alle societa' a lui chiaramente riconducibili ma a tutte le zone nere
dell'economia internazionale, la' dove certamente sta il terrorismo e con il
terrorismo inquinano la vita del globo il narcotraffico, il commercio delle
armi e lo sfruttamento dei poveri. Noi crediamo che vadano spenti i focolai
di disperazione accanto ai quali il fanatismo cova le sue orrende
perversioni; crediamo che le somme orribili (uso la parola giusta: orribili,
nel senso che fanno orrore) spese in questi giorni per dispiegare la Grande
Armata potrebbero essere determinanti se impiegate per rimuovere le
ingiustizie piu' atroci che connotano la Terra. Le pare davvero follia, la
nostra? Le pare che sia soltanto Lei, Caracciolo, a "nuotare nella societa'
umana"? Tutti ci portiamo sulle spalle la croce di tante guerre inutili, del
terrorismo nucleare, delle feroci ingiustizie comminate ai popoli poveri.
Domenica noi faremo una marcia nel quieto panorama dell'Umbria di Francesco
e di Capitini. Cammineremo per significare che non si puo' piu' stare
immobili, attaccati come le ostriche alla carene dei vascelli delle
violenze: quelle dei fuorilegge e quelle degli imperatori. Non si puo' piu'
stare attaccati alle vecchie logiche che storpiano il buon senso e finiscono
inevitabilmente per colpire i piu' indifesi. E vede, Caracciolo, avremo
certamente due grandi gioie: quella di ritrovarci in tanti e quella di
sapere che giustizia senza vendetta, pace nella giustizia, capacita' di
amarsi nelle differenze, questa nostra "demenza" e' la ripulsa piu' radicale
del terrorismo, il suo esatto contrario.
10. MATERIALI. SINTESI ED INTERVISTE DALL'ASSEMBLEA DELL'ONU DEI POPOLI
In preparazione ed approfondimento della marcia della pace Perugia-Assisi di
domenica 14, e' in corso a Perugia dall'11 al 13 ottobre la quarta assemblea
dell'Onu dei popoli sul tema "La globalizzazione dal basso". Si confrontano
militanti per i diritti, operatori sociali, studiosi di tutto il mondo.
Alcune sintesi di interventi ed alcune assai interessanti interviste ai
principali protagonisti possono essere lette nel sito di Peacelink
(www.peacelink.it).
11. LETTURE. STEFANO CATUCCI: INTRODUZIONE A FOUCAULT
Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 204,
lire 18.000. Un'agile e puntuale monografia introduttiva sul grande
pensatore e militante per i diritti francese.
12. LETTURE. VICTOR SERGE: MEMORIE DI UN RIVOLUZIONARIO
Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario, e/o, Roma 1999, pp. 448, lire
25.000. La lungamente attesa ristampa di un grande libro, utilissimo per la
comprensione del XX secolo; la traduzione e' di Aldo Garosci.
13. LETTURE. ANNA-VERA SULLAM CALIMANI: I NOMI DELLO STERMINIO
Anna-Vera Sullam Calimani, I nomi dello sterminio, Einaudi, Torino 2001, pp.
160, lire 20.000. Un'analisi dei termini adottati per definire la Shoah, e
delle molteplici implicazioni di tali scelte linguistiche.
14. MAESTRE. SOFIA VANNI ROVIGHI: DOGMATISMO
[Da Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia 1980,
vol. I, p. 199]
Come nella vita morale spesso gli animi meno nobili sono i piu' soddisfatti
della loro moralita' e i piu' nobili sono anche i piu' vigili nello scoprire
i propri difetti, cosi' nella vita teoretica chi si proclama piu'
spregiudicato e' talora il piu' carico di pregiudizi: c'e' un "dogmatismo"
della critica che e' il piu' feroce dei dogmatismi.
15. MATERIALI. PER STUDIARE LA GLOBALIZZAZIONE: DA ALFRED SOHN-RETHEL A WOLE
SOYINKA
A* LFRED SOHN-RETHEL
Profilo: intellettuale marxista nato a Parigi da genitori tedeschi nel 1899,
studi a Heidelberg e Berlino, esule nel 1936, dal 1937 si trasferisce in
Inghilterra. Opere di Alfred Sohn-Rethel: Lavoro intellettuale e lavoro
manuale, Feltrinelli, Milano.
* RENATO SOLMI
Profilo: intellettuale italiano, nel nostro paese ha dato un contributo
grande alla conoscenza, la diffusione, la pratica del pensiero critico.
* SERGIO SOLMI
Profilo: nato a Rieti nel 1899, morì a Milano nel 1982; uomo della
Resistenza, poeta e saggista finissimo. Opere di Sergio Solmi: un'edizione
delle Opere di Sergio Solmi, per le cure di Giovanni Pacchiano, è in corso
di pubblicazione presso le edizioni Adelphi.
* ALEKSANDR SOLZENICYN
Profilo: nato nel 1918, laureatosi in fisica e matematica, accusato di
propaganda antisovietica fu deportato nel Gulag nel 1945, rilasciato nel
1956, divenuto scrittore, nel 1970 ebbe il Premio Nobel per la letteratura,
e fu costretto a lasciare l'Urss. Solo in anni recenti è tornato in Russia.
Opere di Aleksàndr Solzenicyn: fondamentali sono Arcipelago Gulag (ora
disponibile in tre volumi in edizione economica Oscar Mondadori), e Una
giornata di Ivan Denisovic (ora disponibile in edizione ultraeconomica -
mille lire - presso Newton Compton); cfr. inoltre almeno Il primo cerchio;
Divisione cancro (tradotto anche col titolo Reparto C, e come Padiglione
cancro); Una candela al vento; Il cervo e la bella del campo; Per il bene
della causa (raccolta dei racconti); Agosto 1914; Lenin a Zurigo. Opere su
Aleksàndr Solzenicyn: un punto di partenza può essere Erica Klein, Invito
alla lettura di Solzenicyn, Mursia; cfr. anche Olivier Clément, Solzenicyn
in Russia, Jaca Book.
* SUSAN SONTAG
Profilo: prestigiosa intellettuale americana nata a New York nel 1933.
Fortemente impegnata per i diritti civili. Opere di Susan Sontag: segnaliamo
almeno alcuni suoi saggi, come quelli raccolti in Contro l'interpretazione e
Stili di volontà radicale, presso Mondadori; e Malattia come metafora,
Einaudi.
* OSVALDO SORIANO
Profilo: nato nel 1943 e recentemente scomparso, scrittore argentino,
giornalista, militante democratico, esule, persona di una vivacità ed uno
humour che straripano dalla sua stessa scrittura, e migliorano il mondo.
Opere di Osvaldo Soriano: segnaliamo particolarmente Triste, solitario y
final, Vallecchi, Firenze; e Mai più pene né oblio, Einaudi, Torino.
* ZENONE SOVILLA
Profilo: giornalista d'inchiesta e di approfondimento, promotore nella rete
telematica di un giornalismo ad un tempo militante e colto che propone
approfondite riflessioni e rigorose ricerche particolarmente valorizzando le
esperienze storiche, le acquisizioni teoriche ed analitiche e gli strumenti
metodologici ed ermeneutici delle tradizioni culturali libertarie e
nonviolente. Indirizzi utili: www.nonluoghi.it
* WOLE SOYINKA
Profilo: scrittore nigeriano, nato nel 1934, premio Nobel per la letteratura
nel 1986; intellettuale democratico perseguitato, incarcerato, costretto all
'esilio, condannato a morte dalla dittattura militare. Opere di Wole
Soyinka: Il leone e la perla; Gli interpreti; Stagione di anomia; Aké. Gli
anni dell'infanzia; L'uomo è morto; tutti presso Jaca Book. Opere su Wole
Soyinka: per una prima introduzione cfr. il capitolo a lui dedicato in Itala
Vivan, Interpreti rituali, Dealo, Bari 1978.
16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail è: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 257 del 13 ottobre 2001