[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
[AI] Quale finanza per lo sviluppo umano sostenibile?
Perugia, 12 ottobre. Il debito ecologico e il debito politico – quello
che deriva dalle situazioni di ingiustizia imposti alla gente del Terzo
Mondo – mostrano davvero chi è il creditore e chi è il debitore, se il
Sud è debitore del Nord o viceversa. Questa profonda dimensione etica
del debito è fondamentale per ripensare tutta la questione e tradursi
in nuove risorse per lo sviluppo. È uno dei criteri proposti nel gruppo
di lavoro tematico su “Quale finanza per lo sviluppo umano sostenibile”
organizzata il 12 ottobre dalla 4° Assemblea dell’Onu dei Popoli nella
Sala del Consiglio Provinciale a Perugia.
Il gruppo di lavoro ha sottolineato altre istanze. L’importanza di
chiarire il termine “bene comune”, per esempio: si dice infatti che
l’acqua è stata declassata da “diritto” a “bene”, ma i beni comuni sono
diritti di tutti. E l’eliminazione dei paradisi fiscali come mezzo
anche per combattere il terrorismo: tutta la questione delle
speculazioni finanziarie è campo aperto di riflessione e la Tobin Tax,
in questo contesto, torna ad assumere rilevanza come calmieratore degli
investimenti e fonte di risorse da investire nello sviluppo.
Fondamentale però nel cammino verso uno sviluppo sostenibile è
l’interazione tra paesi che aiutano e paesi che ricevono l’aiuto, per
evitare che ci siano sprechi, speculazioni, corruzione, deviazioni di
risorse per le armi e le guerre, e non si arrivi così a centrare gli
obiettivi. Da una parte è necessaria la good governance, cioè governi
dei paesi in via di sviluppo che siano in dialogo con la società civile
e rispettino i diritti umani e i normali principi di efficienza e
concretezza. Dall’altra il rispetto dei progetti locali, che meglio
sanno capire le esigenze ambientali e umane per uno sviluppo davvero
sostenibile – invece, troppo spesso, il modello di sviluppo proposto è
stato solo quello occidentale. Bisogna ricalibrare il termine sviluppo
e, quindi, l’intervento. I paesi che aiutano devono saper aiutare la
stessa società civile che, a volte, non ha la forza di far valere la
sua voce di fronte al proprio governo.
Se è importante la quantità di aiuti necessaria – bisogna arrivare a
investire almeno lo 0.7% del nostro Pil di paesi industrializzati -,
rimane fondamentale il monitoraggio degli aiuti, perché qualcuno non
finisca per approfittarne. Ma manchiamo di strumenti per il
monitoraggio, nonostante siamo a conoscenza di abusi, perfino da parte
delle grandi agenzie internazionali.
Infine si è riconosciuto l’importanza degli investimenti privati anche
nei progetti di sviluppo. In questo campo si inserisce l’importanza
delle organizzazioni non governative, che devono collaborare con i
governi con progetti coordinati. Questo, ovviamente, presuppone riforme
strutturali. Si inserisce in questa tematica anche il nuovo progetto
Onu per il Finanziamento per lo sviluppo, che propone per la prima
volta il coinvolgimento coordinato di potere politico, grandi
istituzioni finanziarie mondiali (Fmi, Bm, Wto) assieme a
multinazionali e organizzazioni non governative e della società civile.
Questo progetto porterà notevoli somme per emergenze sempre più
onerose; e vorrebbe proporre un nuovo impegno del potere economico. Ma
il problema che andrà affrontato riguarda ancora il tipo di sviluppo:
quale modello verrà dalla coabitazione di multinazionali e Onu?
(Gino Barsella)