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Le tentazioni dei pacifisti (Editoriale di Repubblica)
Fonte: La Repubblica 26/9/2001
Le tentazioni dei pacifisti
di LUCIO CARACCIOLO
STA per scoccare la grande ora del pacifismo. Nei primi giorni di shock e
di orrore, era un robusto mormorìo di fondo. Oggi, dopo che il mullah Omar
e lo sceicco Bin Laden hanno solennemente dichiarato la "guerra santa agli
ebrei e ai crociati"- dunque all'intero Occidente - i pacifisti si
apprestano a diventare un fattore politico. Sarà bene esserne consapevoli.
Perché fra le molte asimmetrie di questo conflitto, la più importante e la
meno discussa è che noi abbiamo un'opinione pubblica e i nostri nemici no.
Per fortuna. Se questa guerra ha un senso ultimo, ebbene questo senso è di
continuare a vivere in un paese in cui le opinioni si dividono.
I terroristi sanno di non avere la minima chance di batterci militarmente.
Ma con i loro attacchi sperano di diffondere insicurezza nelle nostre
società. Così creando un ambiente ideale per spaccare l'Occidente e per
minare dall'interno le nostre democrazie. Le quali rivelerebbero la loro
intrinseca debolezza di fronte all'auspicata sollevazione delle masse
musulmane.
La difficoltà di questo scontro sta per noi nell'equilibrare la più
rigorosa lotta ai signori del terrore con la difesa dei caratteri
fondamentali della nostra vita associata. Nello stato di eccezione in cui
versa la nostra democrazia alcune provvisorie limitazioni sono necessarie.
Qualche grado di autocensura – anche per noi giornalisti – è inevitabile e
sarebbe ipocrita negarlo. Ma sarebbe fatale incrinare, per qualsiasi
ragione o con qualsiasi pretesto, il diritto di ciascuno di esprimere anche
il più assoluto dissenso nei confronti dei nostri governi. E di manifestare
liberamente per la pace. Come accade in America, nel paese che è il
principale bersaglio di Bin Laden e della sua holding del terrore.
Quali sono le ragioni del pacifismo, quali le sue forme? Ci sono almeno tre
correnti nel vasto oceano dei pacifisti italiani – ma il panorama non
cambia troppo negli altri paesi europei. C'è chi la pace la invoca per
principio, chi per paura, chi per politica. Di quest'ultima anima del
movimento vale discutere le ragioni. Degli anacoreti – come definire
altrimenti i fondamentalisti del pacifismo? - si può avere rispetto, ma non
si dà circolazione di idee fra chi sceglie di vivere nel proprio deserto
immaginario e chi, bene o male, nuota nella società umana. Dei timorosi – e
in questo momento lo siamo un po' tutti, salvo gli incoscienti – si
comprende il sentimento. Di chi esprime un pacifismo politico, determinato
a orientare le strategie del paese, si devono conoscere le argomentazioni.
Per aderirvi o per confutarle.
A un esame il più sereno possibile, le tesi del movimento contro la guerra,
destinato a culminare nella marcia PerugiaAssisi del 14 ottobre, appaiono
piuttosto deboli. Diamo per scontato, naturalmente, che il loro obiettivo
sia identico a quello proclamato da Bush a nome del mondo civile: difendere
la (nostra) libertà e sconfiggere il (loro) terrorismo. E sgombriamo il
terreno da ogni maliziosa lettura ideologica: che molti pacifisti siano
mossi da antiamericanismo è senz'altro vero, ma non interessa ai fini della
nostra questione - se sia possibile sconfiggere i terroristi senza fare
loro la guerra. La risposta è sì in un solo caso: che l'attacco al cuore
dell'America sia opera di un'organizzazione criminale ormai moribonda.
Nulla lascia purtroppo prevedere che il massacro delle Torri Gemelle sia
l'ultima raffica di Bin Laden. O meglio, potrà rivelarsi tale solo se
stroncheremo rapidamente le cellule terroristiche – non importa di quale
matrice – capaci di uccidere migliaia di innocenti.
E siccome è risibile concepire una trattativa con organizzazioni
terroristiche tanto fanatizzate, non resta che annientarle.
Molti, soprattutto in Europa, obiettano al termine "guerra". Questa critica
nasce da un teorema in tre parti. Primo: lo scontro con il terrorismo è
affare degli americani, i quali "se la sono cercata" e ora reagiscono da
sceriffi mondiali. Secondo: la guerra in corso è assimilabile ai grandi
conflitti mondiali del Novecento. Terzo: la guerra è la negazione della
politica.
Tesi che non convincono. È stata proclamata una "guerra santa" al "regno di
Satana", che non è solo l'America, né solo l'Occidente, ma anche la Russia,
la Cina, l'India – per tacere dei loro complici arabi o "falsamente
musulmani". Insomma, il mondo meno i terroristi, o quasi. Non per caso è
stato scelto a bersaglio il Centro Mondiale del Commercio, dove lavoravano
migliaia di nonamericani e diversi musulmani. Tra le vittime ci sono
centinaia di giapponesi, inglesi e altri occidentali, tra cui decine di
italiani – fatto di cui curiosamente poco si parla. Sappiamo che Bin Laden
programmava un attacco analogo su Genova, in occasione del G8. E anche a
non credere alle voci su possibili attentati al Vaticano o a obiettivi dei
kamikaze sul territorio nazionale, cos'altro ci vuole per capire che siamo
anche noi nel mirino della rete terroristica? Quanto ai paradossi della
geopolitica americana - Washington si trova a combattere i suoi ex amici
(Bin Laden e i taliban, già celebrati da Reagan come «guerrieri della
libertà") con i suoi ex nemici (Russia anzitutto, ma anche Cina) - non
basterebbe un'enciclopedia per contenerli. Ma perché perseverare
nell'errore? Suicidarsi per dimostrare di aver avuto ragione sarebbe bizzarro.
Quanto al secondo punto, è stato ripetuto fino alla nausea che questa è una
guerra molto particolare. L'aggressione agli Usa è stata scatenata in modo
non convenzionale, dunque la risposta della coalizione è inedita. Si
compone di misure politicodiplomatiche, economicofinanziarie, di polizia e
di intelligence. La replica militare è largamente affidata a covert
operations di cui per definizione non sapremo nulla. Se però gli americani
dovessero farsi tentare dallo spirito di vendetta, cominciando a sparare
missili all'impazzata in giro per l'Oriente islamico, i rischi sarebbero
enormi. E la coalizione si spezzerebbe all'istante, lasciando gli Usa
dov'erano prima dell'attacco: piuttosto soli, dunque vulnerabili.
È compito degli alleati, a cominciare da noi italiani ed europei,
richiamare gli Stati Uniti al principio di utilità, se mai perdessero il
controllo dei nervi. La reazione deve battere il terrorismo di sterminio,
non moltiplicarlo né eccitare "guerre sante". Dunque lo scopo prioritario
della campagna è di rovesciare il regime dei taliban, uccidere o catturare
Bin Laden e impedire ulteriori devastanti attentati da parte di alQa'ida e
affini.
Questo ci conduce al punto finale. La guerra è l'estrema risorsa della
politica. Oppure è follia. È un mezzo, non un fine. Dev'essere ben chiaro
ed esplicito qual è l'obiettivo della mobilitazione mondiale. La guerra si
fa per difendersi e per restaurare la pace. In un ambiente geopolitico
possibilmente più stabile. Quanto meno americana e più globale sarà questa
guerra, tanto più utile sarà, per gli americani e per il resto del mondo.
Altrimenti i pacifisti avranno avuto ragione, malgrado se stessi. Ma i
vincitori non permetteranno loro di celebrare.