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ad Ulivo e Margherita sulla guerra



Lettera aperta, contro la guerra, ai parlamentari di Ulivo e Margherita
24 settembre 2001

Chi condivide il senso di questa lettera, consideri l'opportunità di
indirizzarla, in privato o in pubblico, ai parlamentari, amministratori,
dirigenti dei partiti dell'Ulivo e della Margherita che riesce a
raggiungere.

Chi vi scrive vi disse, prima delle elezioni, che il sostegno e
partecipazione alla guerra del Kossovo, dati dal governo di centro-sinistra,
erano imperdonabili. Eppure, con sforzo, grazie anche al Cavaliere
Impresentabile, vi votava lo stesso.
Ora, a quanto ci dicono i media, state per approvare un'altra guerra ed
impegnarvi anche l'Italia. Una guerra non può essere giusta. Neppure le
disumane stragi negli Usa, che tutti abbiamo esecrato con commozione e pietà
profonda, e con grande preoccupazione, la giustificano.
La guerra non farà altro che molte nuove vittime innocenti, non servirà a
sradicare il terrorismo ma lo rafforzerà negli animi, che sono il luogo
decisivo, sradicabile solo col diluvio universale. Come tutte le altre
guerre aggiungerà male a male, odio a odio, dolore a dolore, distruzione a
distruzione. Non riparerà all'ingiustizia. Ascoltate le voci dell'"altra
America", contrarie alla guerra, che ci giungono sempre più numerose e
forti, nonostante i molti media compiaciuti della retorica bellica.
D'Alema ha detto che non deve essere tabù l'azione armata. E invece sì.
Mentre l'umanità tocca la soglia della morte universale possibile  - perché
si prospetta anche una escalation atomica - , e della lacerazione tra
diverse vie umane di civiltà, tutte degne, tutte limitate, nessuna senza
colpe, siamo confrontati con le questioni estreme.
Credere che uccidere salvi dall'essere uccisi è cecità e stoltezza. È
imitazione, moltiplicazione e conferma della violenza che si vuole
respingere. È coazione a ripetere, cioè fallimento dell'arte politica. È
ulteriore degrado di umanità. Non onora la vittime e non difende i
minacciati. «Occhio per occhio rende il mondo cieco», disse Gandhi. Questo è
stretto realismo, non utopia. Se non lo sapevamo, ora dobbiamo impararlo.
L'Occidente oggi colpito comincia a chiedersi perché è odiato. Questa
domanda ancora quasi censurata, è un inizio di saggezza. Forse è troppo
tardi per far dimenticare al mondo la conquista e il dominio violenti con
cui il nostro Occidente lo ha trattato. I valori indubbi che la nostra
storia ha prodotto e che noi possiamo offrire al resto dell'umanità, senza
superiorità e arroganza, nel rispetto e armonia con le altre grandi civiltà,
possono essere riconosciuti e apprezzati solo se svincolati dalla violenza e
dal dominio. Siamo ancora in tempo?
Se continuiamo a sentirci "la civiltà", se reagiamo alle stragi in Usa con
un senso di lesa maestà, come pure sta avvenendo, allora siamo perduti, e
contribuiamo a mettere il mondo nel pericolo estremo.
Se esprimere dubbi sulla guerra significa essere posti dalla parte dei
terroristi, allora l'Occidente si nega come patria della libertà.
Se si condanna a morte un personaggio sospetto e uno o più popoli e stati
come complici, senza voler fornire prove, neppure all'Onu, se non a proprio
piacimento, allora l'Occidente smentisce le sue conquiste più civili.
Se si lancia una guerra teologica, come il linguaggio usato rivela,
nonostante le correzioni, allora l'Occidente smentisce la laicità della
convivenza, sua sofferta conquista.
Forse è troppo tardi. Forse non siamo più in tempo. Forse la nostra cultura,
nelle sedi determinanti, non è capace di guardare se stessa prima di
respingere una violenza inescusabile con altra violenza inescusabile. La
violenza ha tre livelli: diretta, strutturale, culturale. Pongo alcune
domande. Noi occidentali sappiamo chiederci se a monte c'è stata una nostra
violenza strutturale, meno vistosa clamorosa e orripilante, ma ancora più
profonda e lacerante delle tremende violenze fisiche dell'11 settembre?
Sappiamo chiederci se c'è una nostra violenza culturale, radice di quella
strutturale e di quella diretta? È duro per tutti farsi queste domande, ma
non farle è tradire noi stessi e l'umanità; significa eludere la tragedia in
corso, con una leggerezza o perfidia assai gravi. Forse è troppo tardi.
Forse la prima cosa da fare oggi è cercare la parte autentica della cultura
islamica, riconoscerla, stimarla e allearsi con essa in un'azione civile di
portata storica. Forse ci salverà soltanto l'Islam se riuscirà a produrre
gli anticorpi che certamente possiede contro il totalitarismo violento che
abusa del nome Islam e ne tradisce lo spirito religioso e umanista. Perciò,
senza complesso né di superiorità né di inferiorità, abbiamo bisogno oggi di
conoscere e stimare ed essere amici dell'autentico Islam. Rispettiamo e
aiutiamo l'Islam e l'Islam aiuterà noi.
Dunque, votate no alla guerra, anche se siete minoranza. Contano i segni,
più ancora dei fatti, anche in politica.
Dicendo no alla guerra terrete aperta una via all'umanità, prima ancora che
alla pace. Sfuggite all'unanimismo incosciente. Distinguetevi sul punto
minimo ma essenziale della politica: guerra o non-guerra.
Anche perché, forse, con la guerra di vendetta, la superpotenza colpita,
molto più che volere la giustizia (più o meno infinita.), potrebbe volere
soprattutto cogliere l'occasione (vedi già la guerra del Kossovo) per
estendere il proprio dominio in un'area strategica per molti interessi. Il
sospetto è legittimato da tutta una politica.
La nonviolenza è politica. La guerra e il dominio sono antipolitica. È
politica la convivenza. È antipolitica l'esasperazione della conflittualità.
Il dominio è violenza che produce violenza, cioè distrugge la politica.
La nonviolenza è forza, costruttiva anziché distruttiva; è lotta, più
radicale dell'uso della morte, ché soltanto questo è la guerra; la
nonviolenza è forza umana, e non posticcia, extra-umana, come sono le armi
che distruggono l'umanità in chi le usa prima che la vita in chi ne è
colpito.
Voi fate politica, nei limiti del possibile. Ma, appunto, del possibile, e
non è possibile prendere la via che conduce nell'abisso, o nell'estensione
della violenza e del dominio. La politica della morte è la possibilità che
rende tutto impossibile.
Perciò cercate altre vie. Ricordarvele è sufficiente perché voi sapete
capire:
1) il no alla guerra è creativo, apre le altre vie;
2) un'azione di polizia davvero dell'Onu, non di una fazione, se gli stati l
'avessero costituita, sarebbe più giusta, perché la polizia, quando agisce
correttamente, limita e riduce la violenza, mentre la guerra per sua natura
la accresce, dando la cosiddetta "vittoria" al più violento e spregiudicato;
3) un tribunale internazionale dovrebbe accertare e giudicare i colpevoli,
se fosse costituito, e se alcuni stati, tra cui gli Usa, non lo impedissero
ostinatamente, per ossessione di superiorità;
4) poiché parlare è umano e sparare è disumano; poiché parlare è sempre
possibile, la via da praticare è una conferenza mondiale sul terrorismo e su
ogni situazione che gli dà pretesto. I popoli vogliono vivere. Indubbiamente
ci sono forze e atteggiamenti molto pericolosi. Non sarà la forza né la
supponenza a sradicarli. Se tutti gli stati mettono sul tavolo i loro
diritti, attese, speranze, dolori, nel reciproco riconoscimento, nasceranno
la politica e la democrazia mondiali, saranno rivitalizzate e migliorate le
istituzioni che l'umanità seppe darsi, in un momento di saggezza, al termine
di una tragedia come la seconda guerra mondiale. Sarà possibile, con ragione
e pazienza, senza ultimatum né forzature di tempi, trovare quei
contemperamenti e compromessi vitali che la saggezza del vivere sa trovare,
in tutte le civiltà, probabilmente in quelle "primitive" più ancora che
nelle "evolute" e potenti, perché la forza è cattiva consigliera.
Associarsi a questa guerra è un errore politico, un male morale, una
complicità con la preparazione del peggio. La guerra sarà speculare al
terrorismo antico e recente, attuato da più di una parte. La storia e la
sorte del mondo peggiorerà.
Votate contro la guerra. Ponete un segno di apertura del futuro che rischia
di chiudersi. Mostrate di avere una cultura e un'etica che sostanziano una
politica differente da quella grossolana ora vincente, e che vi
meriterebbero nuova fiducia. Siate fedeli al meglio delle grandi ispirazioni
originarie delle vostre posizioni politiche.
Trepidando e sperando
         Enrico Peyretti