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Discorsi sulla guerra



         No justice, no peace. Parole sulla guerra.



<<E' stato un atto di guerra, non solo di terrorismo. Un nuovo tipo di
guerra, per la quale noi chiameremo gli altri paesi ad unirsi a noi: ci
e' stata dichiarata guerra e noi guideremo il mondo alla vittoria>>
<<Sara' una battaglia lunga. Ma non abbiate dubbi: la vinceremo. Questa
sara' una gigantesca lotta del bene contro il male, ma il bene
prevarra'>>
<<Non ci sara' nessuna distinzione fra i terroristi che hanno compiuto
l'attacco e gli Stati che li fiancheggiano>>

George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti

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<<Abbiamo bisogno di giustizia, non di guerra. [...] Dobbiamo proteggere
la nostra sicurezza, ma non distruggere Kabul: che vuol dire la politica
di Bush? Vogliamo cancellare l'Afghanistan dalla carta geografica? Le
risposte che sono necessarie sono politiche, chiudere il gap tra ricchi
e poveri, tra bianchi e neri, tra nord e sud del mondo>>

Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau

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<<E' certo l'inizio di una guerra globale, diversa da tutte quelle che
abbiamo conosciuto, e con la particolarita'  che non ci sono soluzioni
militari a questo conflitto. Eppure i leader occidentali hanno reagito
subito in termini  militari e il rischio e' che questa finisca per
essere davvero una guerra tra civilta', con conseguenze ben ancora piu'
gravi e drammatiche di quelle che hanno avuto gli attacchi a New York e
Washington. Ci potrebbe essere  un dilagare della violenza a scala
planetaria che non ha precedenti>>
<<I nuovi movimenti globali devono continuare a chiedere che che siano
affrontati i problemi del pianeta, le sofferenze degli oppressi, le
diseguaglianze, che le decisioni a scala globale siano prese in modo
piu' democratico e rappresentativo. Se no la violenza, in un modo o
nell'altro, sara' destinata a restare con noi>>

Richard Falk, docente universitario a Princeton

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<<spiacevoli ma accettabili eventuali vittime civili in atti di
rappresaglia, visto le perdite subite dai nostri>>.
Bill Bennett, senatore Usa

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<<Non si possono sacrificare vittime innocenti per soddisfare la sete di
potere dei governi imperiali e dei conflitti di coloro che si
considerano padroni del mondo e pretendono di ripartire il pianeta come
se fossero fette di una torta appetitosa. Gli attentati dell'11
settembre dimostrano che non c'e' scienza e tecnologia capace di
proteggere persone o nazioni. Inutile che gli Usa abbiano speso 400
miliardi di dollari quest'anno per la difesa. Sarebbe stato meglio che
questa fortuna fosse stata destinata alla pace mondiale, che solo
arrivera' il giorno in cui sara' figlia della giustizia.>>

Frei Betto, sociologo e scrittore brasiliano

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<<questo dibattito e' importante perche' siamo di fronte a un attacco di
proporzioni epocali. Non solo contro gli Stati uniti, ma anche contro i
valore democratici in cui noi tutti crediamo cosi' appassionatamente. E'
un attacco contro il mondo civilizzato>>

Tony Blair, primo ministro inglese

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[dissento da chi] <<pensa che mostrare i muscoli e andare a colpire
donne, bambini, vittime innocenti, cioe' gli stessi obiettivi dei
terroristi, sia la soluzione a questo problema. Il pericolo e' quello di
una generazione in Irak e Medio oriente che sta crescendo nell'odio piu'
assoluto degli Stati uniti. Questo e' il problema da affrontare e non
con i bombardamenti visti nel passato>>

Tam Dalylell, deputato piu' anziano della Camera dei Comuni inglese

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<<Questi attentati richiedono una lotta senza quartiere contro il
terrorismo. Sappiamo di difendere in questo modo i valori che sono alla
base della civilita' e della pacifica convivenza fra i popoli. I popoli
liberi debbono essere uniti e compatti nella risposta a questo atto di
guerra contro il mondo civile>>

Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica Italiana

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<<C'e dietro l'idea che la civilta' sia unica, con la 'c' maiuscola, e
tutto quello che e' diverso da noi, sia alieno e barbarico. Questo
ragionamento e' antropologicamente inaccettabile; trovo gli stereotipi
di questo genere dal punto di vista culturale e politico, molto
pericolosi. Nessuno pensa che i terroristi siano delle brave persone, ma
sta di fatto che il terrorismo e' sempre un fatto politico, viene da una
crisi, una mancanza, un fallimento della politica. La civilta' non
c'entra>>

Fabrizio Tonello, docente all'universita' di Padova

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<<Questo e' il copione dello scontro di civilta', l'idea sviluppata
qualche anno fa da Samuel Huntington, secondo cui gli Stati uniti devono
scontrarsi con le civilta' del pianeta che hanno valori e orizzonti
diversi da quelli occidentali, soprattutto con il mondo islamico. Una
visione pericolosa che aggrava i problemi e le tensioni esistenti, a
partire da quelli in Medio oriente, dove la politica degli Stati uniti
ha aggravato il conflitto, con il sostegno incondizionato a Israele e
nessun attenzione per i diritti e le sofferenze dei palestinesi>>

Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un
tempo consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore
dell'Institute for policy studies di Washington

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<<Il risultato di questi attacchi e' che Israele si ritrova un mandato
in bianco per trattare a modo suo con i palestinesi, crea una situazione
in cui tutti i governi repressivi hanno via libera nei confronti di
qualunque sfida possano subire, aumenta insomma la legittimita' di
politiche di repressione. Il governo Usa e' ora piu' forte nei confronti
della propria societa' civile, i cittadini saranno pronti ad accettare
limitazioni della liberta', a dare piu' poteri discrezionali alla
polizia nei confronti dell'opposizione. Tutto questo rafforza quello che
abbiamo visto con le maniere usate dal governo italiano nei confronti
della protesta contro il G8 di Genova del luglio scorso>>

Cora Weiss, presidente dell'International Peace Bureau

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<<Ci stanno uccidendo lentamente giorno dopo giorno - sostiene Abed,
palestinese, venti anni occhialetti da intellettuale in un buon inglese
- e ormai il numero di giovani senza speranza cresce sempre di piu'>>.
<<Tutti sono in bilico tra l'emigrazione, se ci riescono e se si hanno i
soldi per farlo - sostiene dopo averci invitato nella sua casa dalle
pareti e dal soffitto ammuffiti dove in due stanze vive con i suoi sei
fratelli e sorelle e la madre malata - e il sacrificare la propria vita
per il nostro paese. Non e' fanatismo ma disperazione. Loro hanno armi
potentissime, noi i nostri corpi. La politica degli Usa e di Israele,
non sta lasciando a milioni di palestinesi, di arabi e di musulmani
altra alternativa che una lotta senza quartiere. Di fare, in parte e su
scala assai piu' ridotta, quel che loro in realta' hanno sempre fatto>>

<<Quello che ha buttato l'aereo contro le torri gemelle - sostiene poco
dopo uno dei suoi fratelli, laureato in ingegneria ma costretto a
vendere polli in un girarrosto ambulante - non e' certo piu' colpevole
dei piloti americani che hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima
e Nagasaki o di Sharon che e' arrivato a bruciare vivi con le bombe al
fosforo tanti abitanti dei campi o di Beirut. Purtroppo il giudizio
morale sulle bombe sembra dipendere solo dal fatto se uno ci sta sotto o
sopra. Non se debbano essere usate o meno come dovrebbe essere. Questo
e' il mondo che hanno voluto gli Usa e che hanno ottenuto. E per capirlo
bisogna guardarlo anche dalla parte dei poveri polli, non solo da quella
dell'oste>>

(da: Il Manifesto, servizio da Beirut)

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<<Ogni attacco armato sul territorio di alleati, proveniente da
qualsiasi direzione, dara' luogo all'applicazione degli articoli 5 e 6
del trattato di Washington. La sicurezza dell'alleanza deve comunque
tener conto anche del contesto globale. L'interesse alla sicurezza
dell'alleanza puo' essere toccato da altri rischi di piu' ampia natura,
compresi atti di terrorismo, sabotaggio, crimine organizzato, e dalla
interruzione del flusso di risorse vitali. Anche il movimento
incontrollato di un grande numero di persone, in particolare quale
conseguenza di conflitti armati, puo' porre problemi per la sicurezza e
la stabilita' dell'alleanza. All'interno dell'alleanza esistono intese
finalizzate alla consultazione fra gli alleati e al coordinamento dei
loro sforzi, incluse le loro risposte a rischi di questo tipo>>

Dal "Nuovo concetto strategico della Nato", sottoscritto dai paesi
membri nell'aprile '99 durante la guerra del Kosovo, firmato per
l'Italia da Massimo D'Alema e mai sottoposto a ratifica del Parlamento
Italiano

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<<Noi siamo pronti a pagare qualsiasi prezzo per difenderci, e a
utilizzare tutti i mezzi per prenderci la rivincita>>
Mohammad Omar, guida spirituale dei taleban, mullah della moschea
Kandahar, Afghanistan

<<musulmani di tutto il mondo, dobbiamo unirci se gli Usa ci attaccano>>
un imam della moschea di Kabul

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<<I mujahedin che proteggono Osama bin Laden e fanno attentati per suo
conto? Li abbiamo addestrati noi in Scozia>>
<<I mujahedin erao buoni soldati ma non avevano grandi abilita' tattiche
e di progettazione. [...] il risultato piu' grande che abbiamo ottenuto
e' stato quello di trasformare un gruppo di buoni soldati, ma
disorganizzati, in una organizzatissima unita' combattente>>

Ken Connor, ex membro delle SAS, le teste di cuoio inglesi

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<<E' questo il risultato di una politica perseguita dagli Stati uniti da
Reagan, George Bush Senior, Clinton. Il contesto cambia, ma di poco. Gli
americani, in Afganistan, in Algeria, in Arabia saudita, Egitto hanno
negli ultimi dieci o quindici anni reclutato, addestrato e finanziato le
persone sbagliate: la Cia, in Afganistan, ha condotto una operazione in
funzione antisovietica, finanziando i Mujahiddin con 6 milioni di
dollari. Venne considerata dai servizi segreti un vero successo. Mezze
figure del fanatismo islamico vennero incoraggiate e 'appaltate'>>

Gabriel Kolko, Professor Emeritus alla York University di Toronto

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<<Il dominio sul mondo ha come prezzo il venire in conflitto con tipi
come bin Laden i quali, lungi dall'essere "fuori della civilta'" sono un
puro prodotto della politica estera americana di appena 15 anni or sono.
Era di Reagan e di Bush padre, per quelli che hanno memoria>>

Fabrizio Tonello, docente all'universita' di Padova

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<<Il fondamentalismo islamico [...] ha i sui inconfutabili alibi: mezzo
secolo di guerre americane in Medio-oriente e no (talune con l'avvallo
dei governi italiani, oltre a quello di tutte le altre nazioni del
Patto, e sul quale ho trovato inutile sia dissentire che consentire)
sono un alibi sacrosanto.>>
<<[Noi che] proviamo sconcerto e pena e solidarieta' per le vittime dei
terroristi kamikaze e che tuttavia non dimentichiamo lo sconcerto e la
pena, e un senso di solidarieta' per quanto frustrata dal sistema, per i
popoli affamati, calpesatati, sfruttati (e dai loro stessi capi e
dall'accidente tutto) del Medio Oriente e dell' Africa e del Sud
America: soltanto ci permettiamo, e non ci stancheremo di permetterci,
di dire che il nostro non e' il Regno del Bene e il loro non e' l'Impero
del Male.>>

Aldo Busi, scrittore

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<<Su come reagire abbiamo la possibilita' di una scelta. Possiamo
esprimere un orrore giustificato; possiamo tentare di capire cosa puo'
aver portato al gesto criminale, e cio' significa fare uno sforzo per
entrare nella mente dei possibili autori dell'attentato. Se scegliamo
questa seconda strada, non possiamo fare di meglio, credo, che ascoltare
le parole di Robert Fisk, la cui diretta conoscenza e familiarita' con
gli affari interni della regione e' incomparabile dopo tanti anni di
studio. Descrivendo la "malvagita' e la spaventosa crudelta' di un
popolo oppresso e umiliato", egli scrive che "non e' la guerra della
democrazia contro il terrore che al mondo verra' chiesta di combattere
nei giorni a venire. Ma si tratta anche dei missili americani che
distruggono le case dei palestinesi, degli elicotteri Usa che centrano
un'ambulanza libanese, e di bombe americane che esplodono  su un paese
di nome Qana, e ancora della milizia libanese - pagata e attrezzata
dall'alleato israeliano dell'America - che rapisce, stupra e uccide nei
campi profughi". E ancora molto di piu'. Di nuovo, abbiamo la scelta:
possiamo tentare di capire, o rifiutarci di farlo, contribuendo al
concretizzarsi dell'ipotesi che il peggio sia ancora davanti a noi.>>

Noam Chomsky, linguista, docente al MIT di Boston, nonche' autorevole
intellettuale radical americano

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<<Le politiche economiche che gli Stati uniti e gli altri paesi ricchi
hanno imposto al mondo hanno provocato disastri sociali. Negli USA e in
molti paesi europei c'e' prosperita', mentre nel resto del mondo e' solo
poverta', guerra, fame, malattie. Quando gli Stati uniti si sono
interessati a qualche problema nel mondo, hanno seguito due strade: o
hanno puntato ad un controllo militare dell'area interessata dalla loro
azione, o hanno imposto misure economiche che hanno spesso fatto
aumentare la miseria e la poverta'>>
<<Pensiamo ai biglietti lasciati a Manhattan dove si puo' leggere
"peace, not war", "no more killing". Oppure al senso di solidarieta'
comune che c'e' nelle vegli di preghiera. Sono semplici messaggi e
pratiche che sono contro l'escalation della guerra. [...] Sono messaggi
scritti da giovani e meno giovani, persone che vogliono immaginare una
vita buona da vivere. Sono uomini donne che non vogliono la guerra.
Posso sbagliare, ma spero di no, ma questi sono sentimenti fortemente
presenti nell'opinione pubblica americani e che possono diventare il
germe di un nuovo movimento contro l'escalation militare>>

Saskia Sassen, economista, autrice del libro "Global City"

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<<Dallo stesso senso di vulnerabilita' di questi giorni puo' nascere un
altro percorso. Se il mondo e' entrato in casa nostra con gli squarci
nelle torri gemelle di New York, possiamo iniziare a vedere i problemi
che ci sono nel mondo, possiamo metterci nei panni degli altri, smettere
con l'amnesia per le conseguenze delle nostre azioni, pensare a un
sistema commerciale piu' equo, ad uno sviluppo sostenibile, a un disarmo
radicale, al divario crescente tra ricchi e poveri del pianeta. Ma per
questo occorre un cambiamento profondo del nostro modo di pensare.
Dovremmo abbandonare un modo di vivere basato sul principio che noi
sappiamo fare meglio di chiunque altro, che dobbiamo essere i primi per
forza. Dovremmo smetterla di imporre al resto del mondo le nostre idee e
le nostre politiche. E' un percorso che si deve fare fuori dalla
politica, dalle strategie del governo, ma che deve svilupparsi nella
societa' civile, nelle reti transnazionali, per arrivare in sedi come le
Nazioni unite e da qui fare pressione sulla politica americana>>

Marcus Raskin, politologo, docente alla George Washington University, un
tempo consigliere di John Kennedy alla Casa Bianca, fondatore
dell'Institute for policy studies di Washington