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riflessione su Genova



Democrazia variabile dipendente

Elettra Deiana

La repressione a Genova è stata feroce: da levare il fiato. Materialmente e
metaforicamente. Ma non è questo l'aspetto che più deve preoccuparci. In
altri momenti, e più volte, in Italia come nel resto dell'Occidente, la
repressione si è abbattuta su chi contestava, reclamava pane giustizia
libertà, esercitava il diritto di essere cittadino e non suddito. Ma quella
repressione si scatenava in un altro contesto, metteva in evidenza una
intrinseca sua contraddizione. Il ricorso alla repressione da parte delle
forze dell'ordine avveniva infatti con modalità costitutivamente illegali e
tale appariva a larghi settori di opinione pubblica. L'appello al rispetto
della democrazia, l'invocazione alla democrazia e all'attuazione dei diritti
costituzionali erano pertanto, ancorché spesso tra mille difficoltà e
pericoli, moneta corrente. Costituivano cioè un orizzonte di senso, un luogo
mentale, una pratica sociale. Gli assetti democratici erano allora
fortemente "localizzati", cioè istituzionalizzati e garantiti sul territorio
(lo Stato nazionale, in primis); chi doveva garantirli sul piano
istituzionale aveva un volto, aveva un interesse diretto - politico - a non
tirare troppo la corda della violazione democratica. A meno che non si
trattasse di regimi nei fatti e per dichiarazione diventati fascisti.
Servizi segreti deviati, progetti di golpe, strategie della tensione hanno
messo più volte in pericolo, qui da noi, nel secondo dopoguerra, la
democrazia. Ma ciò avveniva in un contesto in cui era chiaro di che cosa si
parlava, perché i soggetti che hanno storicamente attraversato la modernità
cambiando radicalmente il segno della democrazia - non più elitaria,
censitaria, classista, sessista,  ma veramente tale, o almeno il più
possibile tale per tutti e tutte - ancora erano sulla scena pubblica come
soggetti politici,  "vigilavano", richiamavano  all'ordine, si mobilitavano.
Il movimento operaio in primis, tanto per capirci. Ma non solo lui.
Oggi la democrazia, per troppi, in Paesi come il nostro, viene ridotta alla
libertà individuale di fare individualmente e in gruppo quel che si vuole -
bloccare per esempio, come "diritto", una città per giorni e giorni, sotto
l'occhio benevolo delle forze dell'ordine, soltanto  perché la squadra del
cuore ha vinto; mentre per troppi altri - tra quelli che si assiepano in
alto, nel nuovo ordine mondiale - la democrazia è un ingombro
insopportabile, una rete di vincoli, lacci e laccioli di cui al più presto
liberarsi.
Non è dunque solo una questione di repressione, la furia che si è scatenata
in quell'antica e nobilissima città che è Genova. Non è solo l'ennesima,
terribile morte di un ragazzo colpevole soltanto di aver creduto possibile
manifestare in piazza le proprie idee.
E' in gioco la democrazia per come l'abbiamo conosciuta e concorso a
costruirla: come senso, sostanza, insieme di regole del vivere associato.
Ciò avviene per ragioni profonde, e in forme e modalità, che molto hanno a
che fare con i processi della globalizzazione, con i nuovi assetti del
potere su scala globale. E assumono via via - perché questa è una
caratteristica intrinseca della globalizzazione - connotazioni arcaiche,
premoderne: l'arrocamento materialmente e simbolicamente militarizzato delle
zone protette per i grandi della terra, i guerrieri dell'illegalità
pubblica - le forze non più dell'ordine - catafratti e invisibili in nere
armature tecnologiche, la spoliazione, per ognuno, ognuna che sulla loro
traiettoria di frapponga, chiunque esso, essa sia, di quel complicato,
invisibile ma fortissimo assetto di diritti che hanno costituito, nello
stato di diritto, la base irrinunciabile per l'esercizio della cittadinanza.
Questo a Genova è avvenuto. Non nei confronti di "frange" violente, non
contro una nuova leva di apprendisti stregoni della guerriglia urbana, non
per sedare settori di movimento troppo scalpitanti. Ma - con agghiaccianti
modalità manifeste e dirette - nei confronti e contro un intero pezzo di
società che esercitava un diritto fondativo e fondamentale della democrazia:
quello di manifestare collettivamente, consapevolmente, pacificamente, il
proprio pensiero, il proprio desiderio di cambiamento, la propria critica
politica contro il potere. "Genova per noi, un altro mondo è possibile".
Donne e uomini, di qualsiasi età e condizione e ruolo pubblico e professione
e idea e percorso politico, una enorme scheggia di quel generoso popolo di
sinistra che in Italia ha fatto la democrazia, insieme a una nuova leva di
ragazzini e ragazzine misteriosamente di nuovo affascinati dalla politica:
tutti e tutte sottratti alla condizione di soggetti di diritto e
scaraventati nel limbo della clandestinità. Nude vite esposte all'arbitrio
poliziesco, al potere di vita e di morte attribuito non si sa da chi ai neri
guerrieri della notte della democrazia.
Questo a Genova è avvenuto.
Non è in atto un attentato alla democrazia. La democrazia è diventata un
optional, un significante senza significato. C'è ma può non esserci. Dipende
dall'invisibile funzionario di turno, dalle esigenze del potere globale.
Scajola ministro della Repubblica senza grande dimestichezza con la
democrazia, Di Gennaro capo della Polizia ossessionato dall'efficienza
militare, una lucida intelligence del G8 arrivata a chissà quale livello di
organizzazione: questo ma ancora altro spiegano Genova. Nuova forma di
servizi deviati? Nessuna deviazione, perché la deviazione è intrinseca,
l'illegalità è la norma. Ce lo spiega il ministro in Parlamento. No problem,
l'ordine regna a Genova. Si straparla di diritti umani. Ma si sospendono i
diritti fondamentali. Si fa la guerra. A Genova sono stati sospesi tutti i
diritti, nei due giorni della repressione e nella notte della mattanza. A
cominciare da quello alla salute: migliaia di cittadini sottoposti a bagni
di gas lacrimogeni micidiali per la salute, come veniva spiegato negli
ospedali ai malcapitati che avevano la possibilità di raggiungerne qualcuno
per liberarsi dei sintomi violenti dell'intossicazione. Quello alla
sicurezza, alla vita, alla dignità. Donne e uomini per ore con le mani
alzate. Lo spazio abnorme che i media hanno occupato nei giorni di Genova
soltanto in minima parte hanno reso l'abnorme significato di quel che stava
là avvenendo. Meno male ovviamente che c'erano, i mass media, ma il loro
potere di rendere tutto troppo vicino e virtuale rende tutto troppo lontano
e troppo irreale. Un micidiale, allucinato "Grande fratello" che
intorpidisce le coscienze, rende opaca l'intelligenza sociale, ostacola
l'agire politico.
Il G8 costituisce un luogo di potere destituito di qualsiasi fondamento di
legalità, un club privato di governi legalmente costituiti ma che
illegalmente si sono appropriati del potere di esercitare il controllo sul
mondo. La guerra celeste contro la Serbia e la battaglia metropolitana
contro Genova sono le due facce dello stesso processo planetario.
Gli Otto Grandi hanno il loro braccio militare planetario: la nuova Nato
riorganizzata a Washington nel corso della guerra contro i Balcani. Vera e
propria polizia del mondo. E vanno sperimentando le nuove tecniche del
controllo sociale globale. Come recita uno degli articoli dell'intesa sul
nuovo concetto strategico della Nato, che nessun Parlamento ha mai discusso,
l'Alleanza è chiamata a intervenire contro "turbolenze", "rischi di perdere
il controllo" dei territori al confine dell'Impero, popoli e Stati che
recalcitrano nel subire il nuovo ordine mondiale. Questo vale sempre più per
il versante interno dei governi del G8: chi recalcitra, si oppone, critica,
svela i problemi, coinvolge fette crescenti di opinione democratica - questo
è stato il miracolo mediatico e sociale del Genoa Sociale Forum - verrà
controllato, perseguitato, punito. Sorvegliare, infiltrare, manipolare,
colpire al cuore. L'illegalità non è più tale. Costituisce la trama visibile
e riconosciuta delle nuove regole della convivenza. I cittadini hanno un
solo diritto: quello di consumare voracemente tutto, a partire da
un'informazione sempre più avvelenata.
Questo il quadro. Dopo Genova il movimento dei movimenti non è più
innocente. Sappiamo che cosa è in gioco. Dobbiamo per prima cosa, con
determinazione e passione, scegliere lucidamente pratiche sociali, percorsi
politici, luoghi mentali, attitudini antropologiche che spezzino alla radice
e radicalmente decostruiscano qualsiasi velleità, opzione, cultura che
faccia perno simbolico e pratico sulla sfida e sul fronteggiamento guerriero
con i killer legali della democrazia. Sarebbe la fine di quella grande
speranza di cambiamento a cui il movimento dei movimenti ha dato vita. Come
ha scritto in questi giorni Susan George, non rinunceremo mai alla nostra
lotta contro le immense ingiustizie della globalizzazione ma dovremo
inventare sperimentare costruire nuove vie democratiche per portarla avanti.
Questa è la sfida.





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