[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

[TESTIMONIANZE] - La carica sulla coda del corteo



Messaggio di P.P. inoltrato da Carlo Gubitosa



=============================


Cari amici,
vi invio alcune considerazioni che ho scritto al ritorno da Genova dopo
alcune discussioni con giovani colleghi. Proprio queste discussioni mi
hanno obbligato a rielaborare le idee un po' pi? organicamente di quanto
abbia fatto finora, per poter proporre una primissima base di
discussione, su fatti concreti e vissuti, in vista della costituzione di
Forum sulla globalizzazione nella nostra azienda (una mega
multinazionale).

Ritornando da Genova.

L’ho ancora negli occhi il corteo immenso, con le donne genovesi che
dalle finestre ci innaffiavano generosamente d’acqua e noi
accaldatissimi che battevamo le mani e ringraziavamo e ne chiedevamo
ancora.
Dietro di noi evangelici tedeschi: “Cancelliere, cancella i debiti non
cancellare i poveri”. Bandiere rosse, bandiere verdi, i giovani
socialisti belgi, ragazzi della Lipu, delegati dei consigli, disabili in
carrozzella.
Lo chiamo – lo chiamiamo – “movimento”, perche' ?, grazie al cielo,
un’espressione composita, trasversale per eta' e intendimenti ideologici
e culturali, non legata – di nuovo grazie al cielo – ad una particolare
formazione politica.
Non ha leader, solo portavoce. Non ha teorici, solo seri studiosi che
vogliono capire.
E’ un movimento che puo' avere ed ha riferimenti differenti: da
organizzazioni laiche a organizzazioni di credenti, dalla chiesa
cattolica a quella riformata (io appartengo ad esempio, alla stessa
confessione protestante di, ahime', George W. Bush, ma anche di Nelson
Mandela). Un movimento che ha come interlocutore chiunque voglia parlare
in modo serio dei problemi che mette in campo.
E qui arriviamo al primo punto che credo che sia chiaro a tutti:
1) Il denominatore comune del “movimento” non puo' e non deve essere
un’ideologia ma una serie di valori. O meglio, un insieme di valori da
interconnettere.
Questi valori sono ancora in fase di focalizzazione, ma sono gia'
visibili: solidarieta', giustizia sociale, diritto, rifiuto non violento
della legge del piu' forte, rispetto per la natura (o, per un credente,
del Creato), umanesimo, accoglienza dei piu' deboli, di quelli che non ce
la fanno, tolleranza o anche, per un credente, amore (che e' concetto piu'
forte).
Esattamente quei concetti che per i potenti e il senso comune che essi
vogliono instillare nella gente, sono utopie piu' o meno risibili e senza
sbocco, sorgenti di disordine, espressioni ambigue della conservazione,
foriere di disastri economici. E non puo' essere che cosi', dato che
l’attuale pensiero unico assume per definizione che la sola fonte di
progresso sia il liberismo e dato che questo, per l’appunto, si basa fin
dalle sue teorizzazioni accademiche, sulla combinazione degli egoismi
individuali col suo seguito di controvalori: l’esclusione, la
sopraffazione, l’indifferenza..
Un pensiero che e' unico perche' non ammette critiche, se non interne,
tecniche, di dettaglio o varianti implementative.
Un pensiero che e' unico perche' di fatto accomuna la destra e la
sinistra, sia in Italia che in Europa, che in America.
Un pensiero totalitario, in senso tecnico-filosofico (ovvero un sistema
di concetti che ha la pretesa di interpretare, definire e regolare
tutto) che si rappresenta come fine della storia (e' insuperabile e
perfetto in tendenza, non si puo' concepire nient’altro di diverso perche'
e' il coronamento della storia umana e il massimo di razionalita') e come
esclusivo generatore di magnifiche sorti e progressive.
Gia', “magnifiche sorti e progressive”. Quante generazioni umane hanno
dovuto opporsi a questi pensieri unici? (last but not least, i poco
felici sudditi del “socialismo reale” – che, sia detto per inciso, il
liberista denuncia come inumano solo quando non permette lauti affari:
c’e' in giro qualche difensore dei diritti umani che si ricordi dei
diecimila morti di piazza Tien-an-menn da quando la Cina e' diventata un
bengodi degli investimenti?).
Anche i pensieri alternativi corrono costantemente il rischio di
diventare pensieri unici. La mia generazione ha fatto questo errore: ha
affidato all’ideologia comunista il compito di costituire il framework
che potesse dar forma a tensioni ideali molto diverse (e, attenzione,
ricordiamoci che il primo ad essere contrario al concetto di “ideologia
comunista” era proprio Marx. Per Marx ogni forma di ideologia e' fumo
gettato negli occhi alla gente per non permettergli di ragionare con la
propria testa; ha con se' un potenziale repressivo e totalitario. Tanto e'
vero che lui affermo' esplicitamente di non essere per niente marxista –
cosa che e' un paradosso solo per chi non vuole capire la differenza tra
analisi scientifica e, per l’appunto, ideologia).
Non voglio che questo nuovo movimento faccia lo stesso errore. E’ un
film gia' visto. E finisce male. Quindi:
2) Questo movimento non puo' e non deve combattere il pensiero unico
dominante con un altro pensiero unico. La pluralita' ? la sua ricchezza.
Se la perde, perde se stesso perche' vuol dire che e' gia' dominato dal
pensiero che vuole combattere. Questo movimento non e' e non sara' un
tentativo di sostituire un sistema di potere con un altro.
Ma data questa natura e questo programma, il movimento ha di fronte un
problema delicatissimo e complesso.
Infatti, se questo movimento fosse una cosa diversa (e vecchia), fosse
cioe' un partito strutturato, con tessere, militanti conosciuti e fidati,
con capacita' di espulsione e di scomunica, con capacita' di chiudersi a
falange per tenere fuori chi non si riconosce nella sua linea, i rischi
di essere investiti da elementi “altri”, “estranei” (vedi black-bloc a
Genova)  sarebbe molto ridotto. Ma a che prezzo? In un corteo degli anni
settanta le “tute nere” sarebbero state inesorabilmente additate come
provocatori e inesorabilmente sprangate da un efficiente servizio
d’ordine. Ma quello stesso servizio d’ordine era espressione proprio di
quel concetto di “contro-stato” che e' invece rifiutato a priori dal
movimento attuale e che in particolare era rifiutato dal Genoa Social
Forum.
In vista della manifestazione di sabato 21, Vittorio Agnoletto dichiaro'
che a malincuore, ma proprio a malincuore, il GSF aveva deciso di
istituire un servizio d’ordine, proprio per evitare le provocazioni del
giorno precedente. Ma che tipo di servizio d’ordine? Quello con caschi e
spranghe stile anni settanta? No! Un cordone di gente disarmata che si
teneva per mano.
E’ del tutto risibile l’accusa al GSF di non aver neutralizzato le tute
nere. Qualche volta, grazie a circostanze fortunate, c’e' riuscito, ma il
piu' delle volte gli attivisti del GSF sono solo riusciti a prendersi
calci e sprangate.
Anche dopo gli incidenti del giorno precedente e la morte di Carlo
Giuliani il movimento poteva contare solo  sulla dimensione e sulla
tipologia della propria mobilitazione e, paradossalmente, sulla capacita'
e, piu' che altro, la volonta' delle forze dell’ordine di mantenere per
l’appunto l’ordine, perche' non aveva nessuna capacita' difensiva e tanto
meno offensiva. E qui arriviamo al terzo tema:
3) Il movimento potra' sopravvivere e ampliarsi solo se sara' in grado di
definire in modo ancora piu' netto di quanto sia riuscito a fare sinora,
un confine tra i metodi di lotta non violenti e ogni pratica estranea ai
suoi valori. E questi confini vanno tracciati non solo tra i metodi di
lotta, ma anche tra le parole.
Per inciso, anche le Tute bianche, devono rivedere criticamente
l’opportunita' di alcuni loro metodi. Conosco alcune Tute bianche, so
come la pensano e le ho viste all’opera. Non perseguono lo scontro ma
solo la rappresentazione dello scontro, equipaggiati con strumenti
esclusivamente difensivi e con modalita' non molto distanti da quelle
ghandiane. Checche' ne dicano i giornalisti benpensanti, il confronto tra
Tute bianche e le forze dell’ordine non e' mai stato piu' violento di
quello che avveniva tra il movimento guidato da Ghandi e la polizia e le
truppe inglesi in India.
Questo, almeno fino a Genova. Probabilmente dopo Genova bisognera'
ripensare criticamente a tutte le tecniche di lotta non violente,
capirne le modalita' e opportunita' tecniche (con tute nere e provocatori
in giro anche un certo tipo di confronto diretto non violento puo' essere
inopportuno. Se ne sono rese conto troppo tardi anche le Tute bianche
venerdi' prima dell’uccisione di Carlo Giuliani. E infatti hanno cercato
di fare dietro front e di sganciarsi dagli scontri. Hanno cercato
disperatamente di farlo quando hanno capito di essere finiti in una
trappola congiunta blacks – forze di polizia. Ma ormai era troppo tardi
).
E bisogna capire tutte  le implicazioni politiche dei metodi di lotta
non violenti.
E’ urgentissimo farlo, perche' a Genova decine di migliaia di giovani,
dai boy scout ai volontari delle ONG, dai disabili ai ragazzi down, dai
missionari ai centri sociali, si sono visti caricare e troppo spesso
massacrare da chi doveva garantire il loro diritto a manifestare
pacificamente e difenderli dalle violenze, mentre i violenti
scorrazzavano impunemente.
Io ero li', sul lungomare di Genova. Ero in quello spezzone terminale di
ventimila persone che si e' preso la carica finale.
Ho visto la gente che c’era in quello spezzone: pastori evangelici
italiani e stranieri, studentesse di teologia, consigli di fabbrica, un
gruppo di untrasettantenni tedeschi, anziani non vedenti, due persone
disabili in carrozzina (ho poi letto che sono state investite dalla
carica della polizia), ragazzi con le chitarre sulle spalle, ragazzi con
il bongo, i visi solari della ragazza e del ragazzo che sul treno da
Milano si ripassavano gli appunti universitari e avevano nello zainetto
l’insalata di riso preparata dalla mamma, il gruppo di giovani inglesi
coi quali siamo arrivati da Genova Nervi (pericolosi teppisti,
ovviamente, che, come noi tutti, hanno timbrato il biglietto
sull’autobus affollatissimo anche se era evidente che nessuno glielo
avrebbe mai controllato). C’eravamo, eravamo con loro, abbiamo parlato
con loro, abbiamo fotografato quelle ventimila persone che con altre
duecentomila avevano superato la paura e l’angoscia con la gioia di
poter dire insieme “Dropt the debt” (e non abbiamo di certo bisogno di
guru dell’economia per sapere che e' una parola d’ordine che va
articolata in un programma non semplice – quanti pseudo-ragionamenti
supponenti ci vengono riversati addosso, come gas lacrimogeni o meglio
come melassa per impastare e immobilizzare ogni critica).
Ormai lo sanno tutti: la carica violentissima su quella gente e' stato un
attacco gratuito.
Questi eventi sono gia' un pezzetto di storia, suggellato dalle immagini
che sono state viste in tutto il mondo.
Non e' necessario entrare qui nella polemica tra chi dice che era un
piano preordinato, delirio di singoli poliziotti, rabbia e desiderio di
vendetta (e' una scusante?) o frutto d’incapacita'.
Probabilmente, quando si saranno dissipate le nebbie del day after, si
trovera' che era tutto cio'. Si scoprira' che era localmente un piano
preordinato. E si scoprira' che localmente era anche delirio, incapacita'
e voglia di rivalsa (sui deboli).
Il vero problema e' che a fronte di questo disastro campale si e' aggiunto
il disastro politico. Perche' e' palese   che accusare il movimento di
essere connivente con i devastatori, di essere contiguo ai violenti e
alla violenza (tesi che doveva essere sostenuta dall’ignobile blitz alle
sedi del GSF) e' palese, dicevo, che questa classica manovra da pensiero
unico ha conseguenze nefaste.  Conseguenze oltretutto gia' sperimentate,
analizzate, di cui si conosce la dinamica. Tutte, nessuna esclusa. Film
gia' visto, che finisce malissimo.
Altro che paternalismo di Berlusconi. Fosse almeno paternalista! Ma
immaginatevi un padre che dopo aver preso a cinghiate ingiustamente un
figlio dice “Ho fatto bene lo stesso a dartele e se mi capita te le daro'
un’atra volta”. Perche' questo invito alla chiusura di ogni pur minima
possibilita' di dialogo e di convivenza? Anche qui c’e' solo incapacita',
arrogante inettitudine? O assistiamo invece all’anticipazione di schemi
da regime, forzata da un settore delle forze di maggioranza e accettata,
forse anche dopo reticenze, da un governo intossicato che non riesce ad
uscire dal tunnel in cui si e' cacciato nel breve volgere di tre giorni?
Questo lo puo' sapere solo il governo di centro - destra, ma le
responsabilita' politiche sono evidenti.
E’ allora compito del movimento bloccare sul nascere ogni possibile
deriva che puo' essere indotta da questa chiusura ed evitare che migliaia
di giovani si sentano disperati e agiscano in modo disperato. Perche'
questo e' il rischio maggiore, sul piano umano e politico, delle
sconsiderate affermazioni e delle dissennate rivendicazioni del Governo.

Ed e' nostro compito, solo nostro, evitare che un giovane di 23 anni
cerchi di gettare un estintore addosso ad una jeep di carabinieri e
farsi ammazzare. Un nostro giovane, si badi bene; che non si facciano
distinzioni manichee, che non si pronuncino scomuniche, che non si
cerchi di evitare responsabilita' tramite dissociazioni vergognose,
perche' altrimenti non saremo mai in grado di prevenire queste tragedie.
E’ a ragazzi come Carlo Giuliani che innanzitutto doveva arrivare il
nostro messaggio e nella forma piu' forte.  Se non e' arrivato e' una colpa
nostra, non di altri. Occorre dirlo chiaramente, senza temere che si
stia scusando il Governo. Perche' lo diciamo in una lingua che
l’avversario non capisce e che non sara' mai in grado di capire.
Ed e' in questa lingua, che e' solo nostra, che dobbiamo chiederci, perche'
un giovane obiettore di coscienza, che presta il servizio civile con
Amnesty International, che raccoglie firme contro la pena di morte, che
non ha mai avuto atteggiamenti violenti si trova in un certo momento
della sua vita a cercar di lanciare un estintore contro una jeep con
dentro un carabiniere di leva.
Perche' questo atto cosi' violento e cosi' improbabile (se si ha
l’intenzione di ammazzare non lo si fa con un estintore raccolto per
caso)? Dobbiamo cercare di capirlo, per amore di ragazzi come Carlo
Giuliani, la cui morte rappresenta non l’apice bensi' l’unica vera e
amarissima sconfitta del movimento a Genova..
Era compito del movimento additare con forza la propria reale ricchezza
a ragazzi come Carlo Giuliani. Ed ora in avanti sara' un compito ancora
piu' urgente. Un’emergenza prioritaria, in vista dei confronti sociali
che si apriranno in settembre.
I ragazzi del movimento lo stanno capendo benissimo. A Milano, durante
la manifestazione di Lunedi' pomeriggio, tre ragazzini a lato del corteo
tenevano uno striscione “Vendetta per Carlo”. Io ero con Emergency e
alcuni giovani facevano un cordone laterale. Uno di essi li ha
rimproverati: “Togliete quello striscione. ‘Vendetta’ non vuole dire
niente”.
Si', ‘vendetta’ non vuole dire niente. Film gia' visto; ha un finale
angosciante. E probabilmente vuol dire poco anche ‘assassini’ urlato a
carabinieri e poliziotti. E’ una rabbia che si urla perche' sentano
altri, non perche' sentano i ragazzi in divisa. E’ solo un pegno che
paghiamo a quel pensiero unico incapace di distinzioni, a quel pensiero
di regime che dobbiamo scardinare dalla nostra coscienza, dal nostro
modo di pensare, di agire, di parlare. Quel pensiero unico che e' il
terreno dell’avversario.
Dobbiamo fare come il giovane di Emergency: un servizio d’ordine di
idee, un cordone laterale di valori.
Non e' un compito facile. Anzi, in base alla mia esperienza vedo che sara'
uno dei compiti piu' difficili di questo nuovo movimento. Cercheranno di
impedircelo in mille modi. Perche' al di la' della supponenza di quei
metre a pensee che vogliono farci credere che la globalizzazione e'
puramente una questione tecnica e di tecnologie, al di la' della rozzezza
di chi pensa che i drammi dell’umanita' non siano drammi ma
inconvenienti, al di la' della prepotenza dei Grandi che come cura
impongono la causa stessa della malattia, e' evidente che quel che temono
questi supponenti, questi rozzi, questi prepotenti e' proprio un
movimento che non riescono a capire e che quindi non riescono a
reprimere.
E questo e' dunque il quarto compito:
4) L’avversario non deve poter leggere il movimento, non deve poterlo
decifrare coi suoi schemi.
Laddove si aspetta che noi si urli “assassini”, noi saremo muti. Laddove
sperano di averci azzittiti, noi urleremo con tutto il fiato. Quando ci
aspetteranno per scontrarsi con noi, noi saremo altrove. Appena saranno
sicuri di averci assopito, noi risveglieremo migliaia di persone.
Se fara' cosi' il movimento resistera' e crescera': opponendo ricchezza e
varieta' di azioni, di pensiero e di parole all’orizzonte monocromatico
dell’avversario (e come altro potrebbe essere per chi pensa che il
profitto sia l’unico cardine della vita sul nostro pianeta?).
Ecco allora l’importanza del quinto compito:
5) Mantenere, coltivare e far crescere la ricchezza e il pluralismo di
questo movimento, contro ogni tentativo di egemonia di un pensiero
unico.
Non puo' essere un movimento solo marxista come non puo' essere un
movimento solo cristiano. Non puo' essere un movimento solo laico come
non puo' essere solo di ispirazione religiosa.  Mantenere la coerenza di
questa rete attraverso collegamenti di valore e' un compito di assoluta
novita' che esige strumenti teorici e pratici inediti. Un compito
difficile e imprescindibile, perche' la perdita anche di una sola voce
sarebbe un passo verso l’afonia e non il contributo ad un discorso piu'
chiaro e incisivo.

P.P. 


P. S.
Luned? 23 eravamo in quindicimila a sfilare nel centro di Milano con
tutti i negozi e gli uffici aperti. E il giorno dopo piu' di
cinquantamila. Senza un solo incidente (eppure eravamo arrabbiatissimi),
senza una vetrina infranta.
Chissa' come mai. Chissa' chi mancava?