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[TESTIMONIANZE] - Il blocco nero si ripara dietro la polizia



2001, Genova, Italia

Lettera aperta agli amici e ai compagni di strada

Alcuni amici mi hanno chiesto di raccontare. E' colpa loro se tutti 
voialtri ora avete la sfiga di beccarvi questa lettera aperta. Non fa 
niente se non avrete voglia o tempo di leggerla fino in fondo, ci sono casi 
in cui scrivere serve anche come valvola di sfogo e come modo per 
riordinare le idee: sono due esigenze che in questi giorni mi pulsano 
dentro all'impazzata, e che stiate leggendo o meno mi siete comunque 
preziosi come immaginari interlocutori.
Impossibile in realtà dar forma scritta alla rabbia, al dolore e 
all'incredulità per quanto vissuto a Genova. E quando devo esprimere 
qualcosa per cui mancano le parole, da prolisso divento interminabile. Ve 
lo dico alla quinta riga così ho la scusa per andare avanti per altre due o 
tremila.

Siamo andati, e abbiamo visto.
Abbiamo visto e ora dovremo esserne testimoni, mettere insieme tutto ciò 
che abbiamo vissuto, raccontarlo agli altri, farlo diventare un mezzo di 
pressione politica e di ricerca della verità. Abbiamo questo dovere.
Ma dobbiamo essere lucidi. Cerco allora un distacco dallo stato emotivo che 
mi porto dietro da Genova, e lo cerco nella storia.
Conoscete il nome di Giorgiana Masi, una ragazza di 22 anni che il 12 
maggio del 1977, durante una manifestazione pacifica, venne uccisa da un 
colpo di pistola sparato da poliziotti travestiti da autonomi, uomini dei 
reparti speciali sguinzagliati dal ministro Cossiga per le strade di Roma. 
L'intento era quello di sempre: seminare panico e violenza facendone 
ricadere la responsabilità su presunte frange estreme di manifestanti e 
creando il clima giusto per una repressione generalizzata del corteo da 
parte delle forze dell'ordine, per annegare nel sangue e nello scontro di 
piazza un grande movimento nonviolento che aveva delle cose da dire ai 
potenti e ci stava riuscendo. E allora via con i finti autonomi a far 
casino da una parte, e con la polizia a caricare dall'altra. E i 
manifestanti nel mezzo a rimetterci le penne.
E' esattamente quello che abbiamo visto accadere a Genova.
Tanti hanno visto le bande dei black bloc far scoppiare gli scontri e poi 
riparare dietro le linee di polizia a riprendere fiato, protette dai 
blindati delle forze dell'ordine, ricevere armi e bastoni da misteriosi 
camion che solo con la complicità delle forze di polizia potevano entrare e 
circolare in una città blindata, li abbiamo visti spaccare vetrine e subito 
dopo parlare con funzionari delle forze dell'ordine per ricevere nuove 
direttive. Ci sono testimonianze di chi li ha visti nei giorni precedenti 
dentro le questure, confabulare con gli agenti parlando in tedesco e in 
inglese. Erano loro, erano i loro uomini. Viene da urlare.
La polizia ignorava loro e caricava e massacrava noi manifestanti che 
marciavamo a decine di migliaia con le braccia in alto, come a dire "non 
abbiamo neanche un sasso in mano" e scandivamo senza sosta 
"nonviolenza-nonviolenza". Abbiamo vissuto ore in cui vedevamo i black bloc 
spuntare come funghi, distruggere tutto davanti e dietro di noi, i 
poliziotti ignorarli o proteggerli e caricare noi, sparando lacrimogeni ad 
altezza d'uomo.
Se i momenti di panico, durante le cariche e i lanci di lacrimogeni, non 
sono sfociati in fughe generali ed incontrollate dei manifestanti, che 
calpestandosi gli uni con gli altri avrebbero portato a contare alla fine 
decine di morti, è stato solo grazie alla maturità e alla preparazione di 
un movimento che per mesi e mesi si è autoimposto un percorso di formazione 
a questo appuntamento, imparando le tecniche di reazione nonviolenta che 
sono state decisive per mantenere quanto più possibile calmo e serrato il 
corteo nei momenti peggiori. Era impressionante vedere migliaia di persone 
reagire alle cariche non voltandosi e fuggendo come sarebbe istintivo ma 
alzando le braccia e rimanendo fermi, faccia a faccia con il fumo dei 
lacrimogeni e con i manganelli della polizia. Avete presente la celebre 
foto dello studente di Piazza Tienanmenn immobile davanti a una fila di 
carroarmati? Quella. Immaginatela e trasportatela a Genova, applicata a 
trecentomila persone.
C'è gente che si è beccata ore di lacrimogeni, pur di non spostare di un 
metro la propria postazione di puntello come servizio d'ordine, dando così 
tranquillità e punti di riferimento a chi sfilando doveva passare dove era 
automatico aver paura, ci sono compagni che hanno rischiato di trovarsi in 
prima linea sotto la carica pur di non mollare la presa del braccio del 
vicino a costituire il cordone di sicurezza, indispensabile per tenere 
insieme il corteo e salvaguardare la sicurezza dei partecipanti, evitandone 
una dispersione che sarebbe stata pericolosissima se non mortale. In una 
manifestazione che fosse stata priva di una preparazione così accurata ad 
affrontare certi momenti, il comportamento delle forze dell'ordine avrebbe 
causato scene di fuga e panico tali da portare alla morte per calpestio e 
schiacciamento di non so quanta gente. Chi ha diretto polizia e carabinieri 
cercava la strage. Per questo è giusto parlare di trecentomila superstiti.
Infine, lo avrete letto: i compagni che sono rimasti in città anche sabato 
notte sono stati assaliti da centinaia di poliziotti che hanno fatto 
irruzione nella scuola dove dormivano, li hanno massacrati a colpi di 
manganello e calci in faccia mentre erano nei loro sacchi a pelo, hanno 
distrutto tutto, avevano l'intento di far sparire tutte i filmati e le 
fotografie che i manifestanti avevano realizzato durante la giornata per 
testimoniare la collusione tra le bande nere e le forze dell'ordine. Dopo 
aver spaccato nasi ed ossa si sono accaniti contro i computer, spaccando 
tutto e asportando i dischi fissi con le informazioni riguardanti denunce, 
elenchi di persone ferite o di cui non si hanno più notizie, arresti 
ritenuti illegittimi. Prove scomode. Una retata in puro stile-Pinochet, 
selvaggiamente compiuta nel 2001 a Genova, Italia.
Un massacro contro gente disarmata che crede nella pace e non sa tirare 
neanche un sasso. I più fortunati, i pochi che non sono usciti da quella 
scuola in barella, sono stati ammanettati e arrestati.
Io non so bene cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò, ma ci dobbiamo 
provare. Dobbiamo contrastare le menzogne di chi ha voluto tutto questo e 
ora tenta di ritorcerlo contro un movimento fatto di donne e di uomini che 
hanno marciato a braccia alzate. Tutti voi avete letto quello che ha detto 
il ministro dell'Interno, non ve lo sto a ripetere. Riprendendo un articolo 
del manifesto, vi ricordo invece un analogo discorso fatto da un altro 
personaggio, oltre trent'anni fa. Sì, cerco ancora lucidità nella storia. 
Era il pomeriggio del 7 luglio 1960, quando 350 uomini della Celere armati 
di pistola e mitra caricarono 300 operai delle officine di Reggio Emilia in 
sciopero, armati di maniche di camicia e nient'altro. E' un massacro, Afro 
Tondelli muore schiacchiato da una jeep, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, 
Lauro Ferioli e Marino Serri cadono a terra sotto colpi d'arma da fuoco. E' 
di loro che parla la più struggente canzone del repertorio operaio 
italiano, "Morti di Reggio Emilia", che tanti compagni ancora oggi si 
emozionano a cantare e a tramandare di generazione in generazione. Il 
presidente del consiglio era Ferdinando Tambroni, al governo grazie 
all'appoggio del Movimento Sociale Italiano e dichiarato oppositore della 
Costituzione fondata sulla Resistenza del'Italia antifascista. Così riferì 
al Parlamento dopo i fatti di Reggio: "circondati dai dimostranti che 
tiravano sassi, gli agenti furono costretti a sparare per legittima difesa".

Carlo Giuliani aveva la stessa età dei ragazzi di Reggio Emilia e di 
Giorgiana Masi. La sua imprudenza di ventenne lo ha consegnato a un elenco 
di vittime che affonda le sue radici in un passato maledetto. L'uomo che lo 
ha ucciso era appena maggiorenne. Entrambi tragiche comparse di un gioco al 
massacro tra poveri, in cui il potere trae buon gioco dal creare scontri e 
disordini per serrare le fila e reprimere nel sangue qualunque energia 
alternativa e antagonista, soprattutto quando queste energie iniziano a 
conquistare una posizione culturale e politica tale da renderle agli occhi 
dell'opinione pubblica un interlocutore importante, maturo e degno di 
essere ascoltato: una voce troppo pericolosa per otto mercanti di armi e di 
droga barricati in una nave blindata a spartirsi il pianeta. E allora 
contro ai manifestanti si mandano le forze dell'ordine, uomini in divisa 
che in buona parte altro non sono che ragazzi assoldati negli strati 
sociali più disagiati pescando nella disperazione della disoccupazione, 
addestrati alla guerra selvaggia con uno scientifico lavaggio del cervello, 
armati senza magari aver mai visto una pistola fino a una settimana prima, 
drogati chissà con che cazzo di sostanze e mandati allo sbaraglio contro 
l'inferno scatenato ad hoc da uomini misteriosi vestiti di nero, quei black 
bloc assoldati, armati, organizzati e diretti come un corpo speciale, come 
le teste di cuoio. Non sono fantasie, li abbiamo visti. Loro a spaccare 
tutto da una parte, la polizia dall'altra, i manifestanti in mezzo. C'è un 
pezzo di Stato che ha voluto ed organizzato tutto questo.
E' tutto troppo evidente e pazzesco. Ne siamo stati testimoni, dicevo 
all'inizio. E allora testimoniamo. Noi che eravamo a Genova non ci 
stanchiamo di incontrarci, di raccontarci a vicenda quello che abbiamo 
visto, di mettere insieme i pezzi, di ricostruire i fatti e di parlare. 
Raccogliamo la documentazione che la polizia non ha distrutto, rendiamola 
visibile a tutti, affinché tutti abbiano gli elementi per capire la gravità 
e le proporzioni di quello che è accaduto in questi giorni.
Chi invece a Genova non c'era ci stia vicino, vi prego, ve lo chiedo con 
voce straziata, abbiamo tremendamente bisogno di voi. Aiutateci a 
raccogliere le idee e a tentare di trovare calma e lucidità in una 
situazione che ci ha sconvolto e che rischia di farci impazzire dalla 
rabbia. E insieme a noi leggete, informatevi, documentatevi, state a 
sentire le voci e fatele rimbalzare ovunque. Collegatevi alla pagina 
http://www.peacelink.it/altrinformazione in cui si stanno raccogliendo e si 
continueranno a raccogliere tutte le testimonianze. Alcune sono 
accompagnate dalle foto di un gruppo di carabinieri che si travestono da 
black bloc fuori da una caserma. Ormai ne circolano parecchie di foto come 
questa, per lo più scattate da manifestanti o fotografi amatoriali, alcune 
immagini sono già nelle mani di grandi agenzie.
Cliccate anche su http://www.mir.it e sul sito del manifesto 
www.ilmanifesto.it, leggetevi gli articoli usciti su questo quotidiano 
negli ultimi giorni. In particolare l'edizione straordinaria del 23 luglio 
merita una lettura approfondita. Rispetto ad altri movimenti del passato 
abbiamo in più questo mezzo straordinario di comunicazione e di 
divulgazione del materiale, e allora non vi stancate di girare per la rete, 
di seguire i racconti andando avanti di link in link, di conoscere e di 
capire quello che è accaduto. Se non avete tempo di leggere a video, 
stampate tutto, e utilizzate i momenti morti della settimana - le attese 
nel traffico dei giorni feriali o le ore in spiaggia del sabato e della 
domenica - per riprendere in mano quei fogli. Per favore fatelo. E' un 
dovere civile e morale prima ancora che politico.

Il Genoa Social Forum continuerà il suo lavoro, verranno indetti nuovi 
appuntamenti, preparandosi ad una grande manifestazione nazionale a Roma il 
10 novembre, in concomitanza della riunione del WTO che si svolgerà in 
Quatar. Le iniziative, sia di formazione e di studio su queste tematiche 
che di presenza in piazza, si moltiplicheranno. Di fronte a tutto questo, e 
soprattutto di fronte a quanto avvenuto a Genova, è il momento di prendere 
posizione. Per questo è importante leggere e conoscere: per poter scegliere 
da che parte stare. Chi sta dalla parte di questo movimento, se ancora non 
l'ha fatto lo dica. Oppure dica che non ci sta. Ma decida. Decida! Perché è 
il momento di schierarsi. O da una parte o dall'altra. La strategia della 
sinistra di governo o aspirante tale (chiamatela strategia dalemiana o 
veltroniana o rutelliana, alla resa dei conti per me pari son...) di "un 
colpo al cerchio e uno alla botte" pur di aspirare a prendere i voti di 
tutti è una strategia indegna, fa vomitare, e se qualcuno non se ne fosse 
accorto è pure perdente. La preparazione di una manifestazione di rilievo 
mondiale su tematiche di scala planetaria per mesi viene ignorata, non ci 
si schiera in nessun modo, quando si tratta di prendere uno straccio di 
posizione non si sa bene che rispondere, per un po' l'adesione viene 
esclusa, poi viene data in extremis ma con mille distinguo e polemiche 
interne, poi viene revocata quando muore un ragazzo (cioè proprio nel 
momento in cui era ancora più opportuno esserci e schierarsi!) Questo è 
quello che hanno fatto gli immondi vertici dei diesse. Se la base di questo 
partito, o una parte della base, non si riconosce in questo comportamento è 
ora che lo urli forte. Alcuni compagni diessini lo hanno fatto: alla festa 
dell'Unità di Firenze il segretario regionale toscano è stato contestato 
mentre tentava di difendere la vergognosa posizione assunta dal partito 
sulla questione G8, ed è stato costretto ad interrompere il suo immondo 
intervento dalla reazione di una platea composta da oltre mille persone tra 
militanti ed iscritti diessini, esponenti di associazioni, giovani, 
anziani. Tra le persone che sono intervenute al dibattito anche un anziano 
iscritto che si è detto "vergognato dalla posizione di questo nostro partito".
Bene compagni, cosa si aspetta a far avvenire ciò in tutte le feste 
dell'unità, in tutte le sezioni, in tutte le federazioni? Le dichiarazioni 
di D'Alema e Fassino non sono migliori di quelle del segretario toscano. 
Sono rivoltanti. La base del partito ha l'ultima occasione, ma davvero 
l'ultima, di riprendersi la propria storia (quella per cui ancora si 
cantano i "morti di Reggio Emilia"), la propria dignità, la propria 
identità di sinistra, mettendo quest'ultima davanti alla propria fedeltà ai 
vertici e facendo scomparire dalla scena politica chi ha guidato il partito 
negli ultimi anni, dai dirigenti nazionali a quelli di federazione 
cittadina e di unità circoscrizionali. Fuori tutti coloro che sono stati 
responsabili o conniventi rispetto a certe scelte sciagurate oltreché 
suicide (numeri elettorali alla mano). E' ora di ricominciare. Ma in 
fretta, che non c'è tempo. Perché è ora di fare l'appello, chi ci sta bene, 
e chi non ci sta è dall'altra parte. Dall'altra parte! Questo deve essere 
chiaro. Non è più tempo di mezze scelte, di compromessi, di sfumature che 
vogliono salvare capra e cavoli. C'è da scegliere. Bianco o nero? Testa o 
croce? Destra o sinistra? Ripeto e sottolineo: destra o sinistra?
I cittadini di Genova questa scelta l'hanno fatta. Per dieci chilometri di 
percorso abbiamo visto cestini calar giù dalle finestre, raccogliere 
bottiglie di plastica ormai vuote e ricalarle giù dopo un minuto, riempite 
d'acqua. Neanche ai box della Ferrari sono così efficienti. Chi ha vissuto 
momenti di panico particolarmente brutti e si è ritrovato nei vicoli senza 
via d'uscita, accerchiato da bande nere e forze di polizia, si è visto 
aprire le porte di casa da gente che li ha così tratti in salvo. Sul viale 
che finalmente conduceva all'arrivo, un signore dal primo piano ha offerto 
una quanto mai desiderata doccia ai manifestanti accaldati da tante ore 
sotto il sole e stremati da tanta tensione e paura, spruzzando acqua con la 
pompa del balcone. Subito dopo si è aperta un'altra finestra al piano di 
sopra, poi un'altra, poi un'altra ancora, e nel giro di pochi istanti 
l'intera facciata del palazzo si è animata di persone che spuntavano 
d'incanto chi con una tinozza, chi con un secchio o una bottiglia, tutti a 
buttar giù acqua, e non era solo un modo per dare refrigerio a chi lì sotto 
si inzuppava contento, no, era un atto politico, un simbolo, era come 
sventolare una bandiera o soffiare in tanti fischietti, era come dire "ci 
vedete? ci siamo anche noi". Il popolo dei rubinetti, o se preferite il 
popolo delle mutande, quelle sventolate da arzille nonne ottantenni che si 
affacciavano a salutare chi sfilava, in risposta all'ordinanza che ha 
vietato l'esposizione del bucato alle finestre per non disturbare la vista 
degli otto grandi.
Ecco, il popolo della sinistra è chiamato - ultima chiamata - a fare 
qualcosa di altrettanto facile ed insieme dirompente. Ad uscire una buona 
volta dai congressi di sezione, dalle riunioni di direttivo, dagli attivi 
di federazione, dalle assemblee con se stessi e con i propri modestissimi 
dirigenti. A lasciare quelle benedette sedie per aprire le finestre e 
tornare a guardare la gente, le masse, i compagni, le realtà territoriali, 
i movimenti, le persone, e ad aprire quei rubinetti diventati un simbolo 
nelle case di Genova. Di fronte alla gravità di quanto accaduto nei giorni 
scorsi, io credo che si abbia il diritto di sapere chi sta da una parte e 
chi dall'altra. E lo vogliamo sapere subito.
Ancora una cosa.
Carlo, lo apprendo dai giornali, esattamente un mese fa era con noi al 
Circo Massimo, in una giornata di festa per un evento sportivo, un concerto 
animato da un milione di persone e da altrettante bandiere, quelle di una 
squadra di calcio. Questo futile particolare, la cui citazione può sembrare 
fuori luogo, è però elemento per capire che la vita di ogni singola persona 
è fatta di tante cose, grandi e piccole, di elevati ideali e di passioni 
frivole, di razionalità e di istinto, di lucidità e di follia, di pensieri 
adulti e di pulsioni infantili, di atteggiamenti responsabili e di 
comportamenti sprovveduti, i cui confini sono talvolta così labili che un 
solo attimo, uno solo, può bastare a rendere tutto bello o tutto tragico. 
Non so cosa sia passato per la testa di quel ragazzo, in quell'attimo, per 
esporsi così imprudentemente alla reazione folle di un coetaneo con la 
divisa e la pistola. So però che la vita di Carlo era uguale alla nostra 
vita, non era diversa, e che quella pallottola ha dilaniato pure me, noi, 
voi. Nessuno ha il diritto di ritenersi estraneo a quel corpo sull'asfalto. 
Nessuno.

Filippo Thiery    (thiery@tin.it)

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"E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri
  senza le barricate, senza feriti, senza granate
  se avete preso per buone le verità della televisione
  anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti."

  Fabrizio De André, 1973