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Dopo la trappola di Genova: che fare?



    Nonostante il dolore, l'amarezza e la rabbia per quanto avvenuto a 
Genova nei giorni passati, cerchiamo di non perdere la lucidità e abbozzare 
una prima analisi per provare a capire il perchè di quanto accaduto, a 
leggere i nostri errori e a trovare la strada da percorrere adesso.

    La trappola

    Il Potere da sempre, quando è o si percepisce minacciato, reagisce con 
la massima violenza di cui è capace: se necessario spara. Lo fa nella 
maggior parte del mondo, lo ha già fatto anche in Italia e lo farà ancora 
e, se questo non dovesse bastare, scatanerà la repressione feroce e 
indiscriminata.
    Il potere politico e militare nel nostro paese è in mano ad un governo 
liberista-mafioso-fascista e, per chi ne aveva qualche dubbio, il 
comportamento della polizia prima e del suo braccio mass-mediatico poi lo 
comprova definitivamente.
    Questo potere non aspettava altro che l'occasione per poter sfoderare 
tutta la violenza di cui è capace nei confronti di un movimento solido, 
vero, dal basso e dalla parte della verità e della giustizia, perciò 
fortemente minaccioso. Non aspettava altro che qualcuno gliene fornisse 
l'occasione o, almeno, gli fornisse l'opportunità di crearsi l'occasione.

    Se l'occasione immediata è stata data dai criminali neri, sia che 
fossero sia che non fossero in combutta con la polizia, l'opportunità più 
profonda è stata data dal clima di tensione che si è venuto a creare ed è 
montato intorno al vertice dei G8: le botte di Napoli, il ragazzo ferito a 
Goteborg, l'attenzione mediatica ossessiva su tutto quanto si preparava per 
Genova, la mobilitazione dell'esercito, l'annuncio dell'arrivo a Genova da 
parte di coloro - antimperialisti, insurrezionalisti e quant'altro - che 
non si riconoscevano nelle raccomandazioni del Genoa Social Forum, la 
farneticante "dichiarazione di guerra" del portavoce delle tute bianche 
(salvo dichiararsi pacifista all'ultimo minuto, ma qualcuno forse a 
ventanni l'ha presa sul serio: attenzione, le parole sono pietre e si porta 
la responsabilità delle loro conseguenze!), il susseguirsi di esplosioni 
nella settimana del Vertice.
    E poi l'illusione, da parte del GSF, di poter tenere insieme - 
all'insegna del tutti a Genova - ma separate e distinte, in così poco 
spazio, tutte le forme di testimonianza e azione, dalla preghiera 
all'assalto alla zona rossa, dalle azioni dirette nonviolente ai vandalismi 
annunciati: una forma di mobilitazione e contaminazione che ha favorito 
l'emergere e l'imporsi, da tutte e due le parti della barricata, di coloro 
che sguazzano nel torbido e danno sfogo - in queste occasioni dove si 
possono confondere nella massa - alla violenza più brutale di cui sono 
capaci. E nessuna azione sembra essere stata prevista per neutralizzali.
    E' stata una battaglia campale e, come tutte le battaglie giocate sul 
piano militare, ha avuto la meglio chi ha colpito più ferocemente, più 
subdolamente, alle spalle e di nascosto.
    E i nostri temi e le nostre proposte azzerate dalla violenza.
    E' stata una trappola e noi ci siamo cascati. Se ne dovrà parlare 
ancora, ma adesso bisogna venirne fuori.

    La Rete di Liliput

    Con i fatti di Genova il movimento emerso a Seattle entra nella fase 
acuta del conflitto. In Italia, rispetto ad altre fasi storiche di lotta di 
piazza, questa volta c'è la novità delle Rete di Lilliput: centinaia e 
centinaia di associazioni - che quotidianamente lavorano sui temi sociali 
ed ecologici - le quali, riunite nei nodi locali, hanno fatto la scelta 
della nonviolenza.
    La Rete di Lilliput all'interno del movimento di lotta ha, e deve 
mantenere e rinforazare, un proprio ruolo fondamentale, delicato e 
insostituibile: quello di percorrere la strada stretta che passa tra 
l'assenza di conflitto da un lato e il conflitto violento dall'altro (che 
conduce alla repressione e ad una nuova stabilizzazione) ossia di lavorare 
alla trasformazione del conflitto in senso nonviolento, .
    La Rete di Lilliput deve investire le proprie energie per impedire che 
un conflitto che coinvolge l'umanità e la natura intera venga condotto nel 
cul de sac dello scontro con la polizia (nel quale il potere vuole condurlo 
ed ha dimostrato di saperlo fare benissimo); per trovare la via d'uscita 
dalla polarizzazione tra due soggetti antagonisti (contestatori vs forze 
dell'ordine) che consente al resto del mondo di rimanere spettatore; per 
non concedere a nessuno la possibilità di restringere il conflitto ad 
affare tra noi ed il potere, ma lavorare per estenderlo, generalizzarlo, 
portarlo tra tutti ,coinvolgendo la gente affinchè cominci, grazie alle 
nostre azioni, a sentirsi interiormente in conflitto con se stessa ed il 
proprio stile di vita e di consumo.
    Si tratta di trasformare, lentamente ma profondamente, il consenso che 
sostiene il sistema in dissenso ed il dissenso in azione.

    Che fare?

    Se questo è il servizio prezioso che la Rete di Lilliput può svolgere è 
necessario, a mio avviso - soprattutto e urgentemente dopo Genova - 
compiere alcune scelte strategiche necessarie alla trasformazione 
nonviolenta del conflitto.
    Gli obbiettivi di mantenere la possibilità di agire nelle piazze, di 
ridurre al massimo la possibilità di degenerazioni violente, di mettere il 
potere nell'impossibilità - o nella difficoltà estrema - di utilizzare il 
suo apparato repressivo e di comunicare a più persone contemporaneamente le 
nostre ragioni, possono essere tenuti insieme oggi, a mio avviso, solo 
declinando la modalità lillipuziana reticolare, adottata come forma 
organizzativa della Rete, anche come strumento di mobilitazione.

    A tal fine bisogna, per un verso, lasciare modalità di azione ormai 
usuali ma sempre più inefficaci o addirittura controproducenti:
     1) abbandonare la rincorsa dei vertici del potere: uscire dalla 
subalternità degli spazi e dei tempi di manifestazione imposti dalle loro 
agende, che ci portano a scendere in piazza dove e quando vogliono i potenti;
    2) uscire dalla logica della uguaglianza nella diversità, e della 
contemporaneità, delle forme di lotta, adottata dal GSF: le forme che non 
sono coerentemente nonviolente nei mezzi, nei fini, nella comunicazione, 
nell'immaggine, fanno il gioco del potere. Non bisogna manifestare dove 
manifestano compagni di strada che non condividono le nostre forme.
    3) uscire dalla logica delle manifestazioni di massa che, in questa 
fase, sono il ricettacolo di coloro che intendono sfidare il potere sul 
piano, reale o simbolico, della forza e sempre più si trasformano in campi 
di battaglia, a tutto vantaggio di chi vuole criminalizzare il movimento.

    Per altro verso, bisogna strutturare una modalità di azione nuova, 
nonviolenta, lillipuziana, reticolare:
    1) creare presso ogni nodo, o insieme di nodi limitrofi, un gruppo di 
azione nonviolenta GAN (dove sono stati costituiti gruppi di affinità tanto 
meglio, che non si sciolgano);
    2) avviare un programma di formazione per ciascun GAN serio e e 
approfondito, teorico e pratico, sul metodo nonviolento e sulle sue 
tecniche;
    3) quando sarà completata la formazione, strutturare un' agenda di 
azioni nonviolente locali concordate e contemporanee su tutto il territorio 
nazionale, in base alle nostre priorità, di tempi e di temi (per esempio 
per raggiungere un obbiettivo più avanzato in una campagna di boicottaggio, 
o per fare un'azione di comunicazione efficace su un tema particolarmente 
importante, per fare una contestazione capillare e diffusa ecc.).
     Questa strategia lillipuziana e nonviolenta può consentire - se 
attuata con persuasione, preparazione e organizzazione - di portare 
efficacemente le nostre tematiche sui nostri territori, di comunicare a 
viso aperto con i nostri concittadini che spesso ci conoscono - conoscono 
il nostro impegno e lavoro quotidiano - e sanno che non siamo vandali 
calati da chissà dove, di impedire - visti i numeri ridotti e non 
trattandosi di manifestazioni ma di azioni dirette condotte da chi le 
organizza - le infiltrazioni di provocatori (e comunque ci si prepara, 
eventalmente, per isolarli, escluderli, consegnarli alla polizia o 
sospendere l'azione), di rendere inutilizzabile l'apparato repressivo del 
potere sia nella forma violenta che in quella disinformativa, perchè senza 
alcun alibi e perchè tutto si svolge sotto gli occhi della nostra gente e 
della stampa dei nostri paesi e città.

    Conclusioni

    Questa è la strada che avevamo provato ad indicare già ai tempi di 
Marina di Massa. Allora fu minoritaria. Oggi rinnoviamo l'appello: che 
almeno la Rete di Lilliput cambi la propria strategia, subito, e indichi 
una via di azione ai tanti ragazzi che oggi la cercano e sono delusi e 
frastornati per quanto vissuto o visto a Genova.

    Ma già sentiamo i proclami per andare tutti a Roma il 10 novembre.
    Devo ricordare che alla Prima assemblea nazionale della Rete di 
Lilliput era stato formato un gruppo di lavoro per preparare il 
controvertice e le contestazioni di Genova. Il G8 è finito. Per la Rete di 
Lilliput non è automatico partecipare ad un Social Forum stabile, non è 
automatico partecipare alle mobilitazioni che altri hanno posto in agenda. 
Si tratta di scelte politiche e strategiche che vanno fatte - o non fatte - 
tutti assieme.
    E' tempo di mettere in agenda, prima di ogni decisione, la Seconda 
assemblea nazionale della Rete di Lilliput.
    Presto, per favore.


Pasquale Pugliese
Movimento Nonviolento
Reggio Emilia